Perfect

di TigerEyes
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Ringrazio come sempre la mia formidabile beta Moira78 per l'aiuto e Tillyci per la consulenza (si legge karateghi!), buona lettura!



PERFECT



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Akane rilasciò un sospiro, pesante come le nuvole rigonfie che ribollivano di malumore oltre la finestra. Se uno specchio avesse potuto riflettere il suo stato d’animo, non aveva dubbi che sarebbe stato della stessa tonalità antracite di quel cielo che tuonava, preannunciando l’imminente sfogo della sua irritazione.
Una mano a sostenere la testa, accartocciò tra le dita dell’altra il bigliettino fino a farlo sparire, come se non fosse mai esistito. Ma ormai le parole le aveva lette: il solito ritornello che sapeva a memoria, avrebbe potuto scriverci una canzone.
Sbuffò, lanciando un’occhiata annoiata alle prime gocce di pioggia che s’infrangevano contro i vetri.
Da quando aveva iniziato il liceo, i ragazzi sembravano impazziti. Non per un virus o un’intossicazione, no. Per lei. Non riusciva a capirne la ragione, sapeva solo che da mesi non aveva pace ed era veramente stufa.
Riaprì la mano e il foglietto si materializzò di nuovo, tutto stropicciato.
A volte aveva l’impressione che il suo cuore si fosse sgualcito allo stesso modo, a forza di struggersi per un uomo che non solo non la ricambiava, ma per il quale non era mai cresciuta. No, per il dottor Tofu lei non aveva sedici anni, non ci andava neanche vicino. Ai suoi occhi, sarebbe rimasta per sempre una bambina, la sorellina più piccola della donna che lui amava. Che sciocca era ad anelare attenzioni dall’unica persona da cui non le avrebbe mai ricevute, mentre era letteralmente circondata da ammiratori adoranti che facevano a botte fra loro o addirittura con lei, pur di conquistarla. Se avessero almeno tentato un dialogo… Troppo intimiditi? Spaventati? Ma da cosa, poi? Dal suo carattere risoluto? Per questo la sommergevano di bigliettini d’amore, piuttosto che cercare un contatto diretto? Era incredibile come i ragazzi passassero da un estremo all’altro, dalle parole appassionate vergate su un foglietto allo scontro fisico negli sport più disparati, perché di un approccio normale parevano incapaci. Meglio ricorrere alla violenza, oppure affidare i sentimenti a un pezzo di carta, piuttosto che esporsi. Ecco che esemplari attirava lei: gli estremi. Come potevano pensare questi ragazzi che lei potesse essere interessata a uscire con qualcuno che rimaneva avvolto nel mistero oppure che la attaccava ogni volta che cercava di mettere piede a scuola, impedendole di partecipare alle lezioni? Che razza di idea avevano delle ragazze questi soggetti, se cercavano di piegarla al loro volere brutalmente o restando anonimi? Da lì a porsi la domanda il passo fu breve: esistevano ragazzi normali? O erano un mito? Dovevano pur essere da qualche parte, ne era certa, ma ormai era stata posta su un piedistallo, troppo in vista perché fosse avvicinabile come un comune essere umano. E allora ecco che i suoi compagni preferivano osservarla da lontano, squadrandola, giudicandola, bisbigliando alle sue spalle. Era diventata una reginetta suo malgrado, senza scettro né corona, senza averlo chiesto. E come tutte le regine, era sola nel suo mondo per nulla dorato. Era sola in mezzo a due ali di studenti quando attraversava i corridoi, sola quando pranzava in giardino sotto un albero, sola quando faceva squadra durante l’ora di ginnastica. Cominciava a sentirsi fortunata ad avere almeno due amiche, dato che nemmeno la sorella la avvicinava: Nabiki rimaneva in disparte a scattarle foto su foto da rivendere sottobanco a uno stuolo di ammiratori che preferiva sognare su un rettangolo colorato, piuttosto che avvicinarsi a lei cercando di trasformare quel sogno in realtà. Non che a lei interessasse davvero avere un ragazzo, in quel momento, dato che il suo cuore era già impegnato. Ma almeno un’amicizia, una! Invece l’avevano isolata. I suoi ammiratori aveva fatto sì che lei non riuscisse a farsi delle amicizie, né maschili, né femminili. E li odiava anche per questo.
Un tuono fece tremare la stanza e la finestra, prima che un energico bussare la inducesse a voltarsi verso la porta.
“Avanti”, concesse con tono stanco voltandosi con la sedia girevole della scrivania verso il lato opposto della stanza.
“Si può?”, chiese Nabiki facendo capolino.
“Solo sei hai portato qualcosa di dolce con cui tirarmi su”.
“Spiacente, sorellina”, fece spallucce lei entrando e accomodandosi sul letto. “Come vedi ho solo un pacchetto di patatine”.
“Mi chiedo come fai a non ingrassare, con tutte quelle che ti strafoghi…”.
“Metabolismo veloce. Piuttosto, che t’è preso oggi a scuola? Sei stata più aggressiva del solito con quei poveretti che volevano solo che tu facessi loro l’onore di concedergli un appuntamento!”.
“Odio gli uomini, Nabiki, cosa c’è da capire?”, chiese esasperata.
Un lampo illuminò a giorno la stanza, prima che un boato la facesse tremare di nuovo e la pioggia iniziasse a scrosciare.
“Ma proprio tutti? Voglio dire, non sono tutti come Aristocrat o gli ebeti che gli danno retta”, osservò lei con la bocca piena mentre spargeva frammenti di patatine sul tappeto. Akane incrociò le caviglie e sbuffò.
“D’accordo, non proprio gli uomini, i ragazzi. E nemmeno tutti i ragazzi, solo quelli della scuola, dato che sono obbligata ad avere con loro contatti stretti sei giorni su sette”.
“Contatti stretti…?”, chiese Nabiki con un sorrisetto ambiguo.
“Non quelli che credi tu! Intendo quelli che vanno da innocui bigliettini d’amore come questo”, disse agitando il foglietto che stringeva in una mano, “fino a vere e proprie dichiarazioni urlate a suon di sfide negli sport più assurdi”.
“Dove hai detto che lo hai trovato quello?”, le domandò la sorella indicando col mento il corpo del reato.
“Infilato nientemeno che nella mia cartella”, rispose stizzita Akane.
“Come hanno osato!”, la schernì Nabiki. “Comunque sto ancora cercando di capire il senso di queste sfide, sempre che un senso ce l’abbiano…”, si domandò accavallando le gambe e facendo dondolare un piede.
“Beh, l’hai detto tu stessa: nella ferrea convinzione che, battendomi, io scenda dall’immaginario piedistallo su cui mi hanno posta senza un motivo, affinché conceda un appuntamento al vincitore”.
“Continuo a pensare che non abbia alcun senso…”.
“Lo dici a me? E tra una sfida e l’altra una gamma imbarazzante di ragazzi che mi pedinano, scattano foto, cercano di avvicinarmi con le scuse più ridicole, o di suscitare il mio interesse mettendosi in mostra, il che va da un nuovo assurdo taglio di capelli al cercare di eccellere almeno in uno sport per richiamare la mia attenzione sulle loro prodezze o la loro presunta prestanza fisica”. Nabiki non riuscì a trattenere le risate, spargendo altre briciole intorno a sé. “Che poi, pochissimi possono affermare di eccellere davvero in una disciplina sportiva – arti marziali neanche a parlarne, nessuno a scuola le pratica sul serio a parte me, proprio le uniche che mi interessano – e peggio ancora non riesco a trovare nessuno anche solo vagamente interessante, sia sotto il profilo intellettivo, che fisico”.
“A parte Tatewaki”.
“Cheee?”, sbottò lei indignata.
“Dai ammettilo, sorellina, è un bel ragazzo, glielo devi concedere, alto e attraente. Peccato per l’ego che tende all’infinito come l’universo e il cervello striminzito di un’oca”.
Sì, avercelo il cervello di un’oca, sarebbe già tanto, avrebbe voluto ribattere Akane.
“Comunque il numero dei miei pretendenti è lungo quanto variegato e noioso. Il bello è che ancora non capisco quando sono diventata così popolare, vorrei proprio sapere chi è stato il maledetto che ha decretato che Tendo Akane sia la ragazza più bella dell’istituto superiore Furinkan e quindi ogni studente di sesso maschile si senta in dovere di chiedermi di uscire. O almeno provarci, tanto per poter raccontare di aver avuto almeno il fegato di farlo!”.
“Calmati, sorellina, stai diventando paonazza, prendi un bel respiro…”.
Akane chiuse per un istante gli occhi, si prese la chioma tra le mani e sciolse il fiocco passandosi nervosa il nastro tra le dita.
“Ogni nuovo arrivato ci prova, Nabiki, ti rendi conto? È diventato scontato. Mi è persino venuto il dubbio che ormai i ragazzi me lo chiedano più per vedere se l’inavvicinabile Akane Tendo capitoli, che per un reale interesse. Anzi, sono quasi certa che ci sia un giro di scommesse, a riguardo”. Akane incrociò le braccia al petto e inclinò la testa di lato, fingendo di aguzzare la vista. “E che tu, sorellona, raccolga quelle scommesse, altrimenti non si capisce come fai a essere tanto ricca, non credo che vendere le mie foto ai quattro venti renda così tanto”.
Nabiki alzò le mani all’altezza delle orecchie in segno di plateale resa.
“Giuro sul tuo sacro karategi che non so di cosa tu stia parlando”.
“Certo, come no…”.
Akane dovette ammettere con se stessa che il tempo lo passava in gran parte così: mentre i suoi capelli crescevano – ormai li aveva lunghi quanto Kasumi, perché, perché lui non li notava? – gli spasimanti molesti aumentavano. Ormai si era ripassata tutte le discipline: boxe, scherma, judo, salto con l’asta, basket, baseball, pallavolo… e naturalmente il kendo, altrimenti non avrebbe potuto tenere a bada anche il ‘ragazzo più desiderato della scuola’.
“Allora? Vuoi dirmi cosa dice questo ennesimo bigliettino?”, chiese divertita Nabiki.
Akane riaprì la mano stretta a pugno e sbuffò.
“Gronda parole smielate che spergiurano amore eterno, sai che novità, ma il peggio è che si conclude con l’immancabile convinzione che anch’io ricambi l’anonimo mittente, per via di presunte occhiate lanciate languidamente dalla sottoscritta nella sua direzione. L’ultima volta che ho sbattuto le ciglia è stato due giorni fa perché qualcosa mi è finito in un occhio!”, commentò puntandosi contro un indice con veemenza.
Nabiki finì distesa sul letto a furia di ridere.
“Capiscono sempre quello che vogliono capire, sono senza speranza!”.
Gli ammiratori strasicuri che lei provasse i loro stessi sentimenti erano i peggiori, non solo perché erano i più ostinati, ma perché potevano diventare pericolosi, più che altro per se stessi.
“Ricordi quello precipitato in giardino cadendo dal ramo di un albero su cui si era appostato per spiarmi con un binocolo?”.
“Ricordo le mazzate che gli hai dato, sorellina, mentre io chiamavo l’ambulanza”, ridacchiò Nabiki rialzandosi a sedere.
Akane sospirò e gettò il bigliettino nel cestino della carta, quindi tornò a giocare con le proprie ciocche avvolgendole attorno alle dita, riflettendo sul fatto che le avesse fatte crescere solo per sembrare più grande e attraente ai suoi occhi. Poteva anche farle arrivare alle caviglie, per quel che valeva, ormai era chiaro quanto sciocca e inutile fosse stata la sua idea.
“Sai che ti dico? Rimarrò zitella e porterò avanti la palestra da sola, piuttosto che cedere a uno di quegli smidollati dei nostri compagni!”.
“Non posso darti torto: sono quasi tutti secchi come chiodi e deboli come gattini, non ti ci vedo proprio a uscire con un fuscello a caso tra quei ragazzi, perché di certo non sopravvivrebbe all’appuntamento: se ti prendesse per mano, gli frattureresti tutte le dita senza nemmeno accorgertene”.
Ad Akane scappò da ridere per la prima volta da quando la sorella era entrata nella sua stanza.
“Non m’importa di non avere un ragazzo, anche se Yuka e Sayuri mi prendono in giro. Preferirei di gran lunga che mi lasciassero in pace, tanto non hanno speranza con me, nessuno ce l’ha, perché ostinarsi tanto? Si divertono a essere pestati?”, si domandò alzando i palmi al cielo esasperata.
“Evidentemente, sì”.
“Allora oltre che gracili sono anche stupidi. Ma potrei comunque tollerarli se solo non rischiassi di entrare in classe in ritardo ogni santo giorno per causa loro”.
“Ah, eccolo il motivo principale della tua avversione!”, esultò Nabiki. “Il fatto che quei poveri sfigati s’intestardiscono con te nel momento meno opportuno della giornata! Per il resto, quindi, non ti dispiacciono più di tanto, vero? Dai, non è poi così male essere al centro dell’attenzione…”.
“Non dire assurdità!”, si alterò lei. “Mai sopportati in nessun momento della giornata, ma la mattina prima di entrare in classe mi fanno proprio imbestialire!”. Si rilassò contro la sedia girevole e reclinò la testa all’indietro per guardare il soffitto. “Smetteranno mai di tormentarmi?”.
Nabiki tuffò di nuovo una mano nel pacchetto di patatine, la trovò vuota e la rovesciò per raccogliere le briciole.
“Prima o poi sì, anche se con tutta probabilità solo alla fine del liceo sarai finalmente libera da tutte queste morbose attenzioni”.
“Che seccatura!”, sbuffò tornando eretta per poi poggiare un gomito sulla scrivania e una guancia contro il palmo della mano. “L’anno scolastico è iniziato da quanto? Quattro mesi? E sono già stanca! Devo trovare una soluzione adesso, non ho proprio voglia di passare anche il secondo e il terzo anno a respingere o addirittura prendere a calci ogni spasimante, robusto o mingherlino che sia, prima che suoni la campanella”.
“Ma a parte tutto, se non ti esasperassero ogni mattina, tu riusciresti a vederti con un ragazzo della tua età o anche di poco più grande?”, chiese Nabiki studiandola sorniona da sotto in su.
Aveva forse intuito che lei aveva un debole per il dottore? Doveva correre ai ripari, prima che la sorella si accorgesse che era avvampata! Ma doveva anche evitare di insospettirla… forse eludendo la domanda?
“Mai e poi mai e non solo perché sono gracilini: ecco, più che altro sono tutti così… così… sdolcinati! Sì, sdolcinati e appiccicosi! Io non sono proprio il tipo da romanticherie, almeno non come le mie amiche. Non che mi dispiaccia una passeggiata sottobraccio, o essere invitata a mangiare un gelato, ma ciò che vorrei è… è…”, sospirò. “Qualcuno con cui parlare, confrontarmi! Non ho mai incontrato un ragazzo che sia uno in grado di imbastire un discorso serio, anziché grondare zuccheri da ogni sillaba e fare promesse campate per aria”.
Anche se quel qualcuno esisteva, in realtà, solo che con lui non aveva speranza.
“Allora rimarrai davvero zitella a vita, temo”, concluse Nabiki alzandosi in piedi.
“Se devo accontentarmi di avere accanto qualcuno che abbassa lo sguardo intimidito da me, preferisco restare sola”.
“Sarà difficile in effetti che tu possa trovare qualcuno che ti tenga testa, sorellina: col carattere e la forza che ti ritrovi, chi mai sarebbe disposto a sposarti?”.


- § -


Gli occhi azzurro cenere stavano fulminando con lo sguardo quelli paterni, intimando loro di non azzardarsi a prendere un altro sottaceto o avrebbe ridotto il genitore a un tappetino per il bagno. L’aura combattiva che Ranma sprigionava faceva spavento pure se stava semplicemente seduto a consumare la colazione. Ma a spaventarla davvero erano i muscoli tesi e guizzanti delle braccia pronte a scattare. Anche se ‘spaventare’ non era in quel caso il verbo adatto: tutt’a un tratto stava cominciando a sudare pure lei.
Il pizzico che Nabiki rifilò alla sua coscia sotto al tavolo ridestò Akane dal torpore catatonico-contemplativo in cui era caduta, rendendosi conto che si era di nuovo imbambolata mentre teneva le hashi sollevate e un pezzo di verdura che aspettava ancora di essere addentato dalla sua bocca aperta. Se lo infilò tra i denti e masticò con furia, distogliendo lo sguardo imbarazzato dai pettorali di Ranma.
I pettorali di Ranma sotto la canotta sudata.
Kamisama, perfino come uomo aveva le tette più grosse delle sue!
Akane tuffò di nuovo le bacchette nella ciotola di riso, sforzandosi stavolta di non distogliere l’attenzione dai maledetti chicchi che non volevano saperne di essere catturati. Invece tornò di sottecchi a osservare il fidanzato: ormai era così allenato che voltandosi di scatto avrebbe potuto colpirla con un pettorale e renderla cieca da uno occhio, brutto idiota che non era altro, doveva sedersi più lontano, d’ora in poi! Senza contare che avrebbe almeno potuto darsi una rinfrescata e cambiarsi, invece di presentarsi come al solito a tavola fasciato in quella canottiera striminzita e aderente. Non cambiava mai, ma dove aveva vissuto quello zotico, prima di mettere piede in casa loro?
“Sorellinaaaa, mi passi la teiera?”, chiese Nabiki civettuola, anche se il tono era più quello di una vipera che sta cercando di trattenere una mastodontica risata.
Akane le lanciò uno sguardo omicida che alla sorella rimbalzò, rispedendo mentalmente al mittente con un sopracciglio inarcato la conversazione che avevano avuto mesi prima che il ciclone Saotome piombasse in casa loro.
Ci sei cascata di nuovo, eh? Che dicevamo?
Akane cercò di rendere il suo sguardo ancora più truce.
Non dirlo nemmeno per scherzo!
A Nabiki scappò una risatina. E si stava anche mordendo il labbro inferiore, quindi stava escogitando qualcosa.
“Akane, non trovi anche tu che sia davvero perfetto?”, chiese a gran voce alla tavola imbandita.
Lei sputò il tè che stava sorseggiando e iniziò a tossire per quello che le era andato di traverso.
“Sorellina, che ti prende?”, chiese apprensiva Kasumi, mentre suo padre abbassava il giornale per dare un’occhiata alla situazione.
“Tutto bene, figliola?”.
Stava solo sputando un polmone, ma per il resto sì, tutto bene.
“Ma certo che sta bene, ora passa, vero?”, rispose Nabiki per lei mentre le elargiva dei colpetti alla schiena e Akane riprendeva fiato. Maledetta.
“Cosa è perfetto?”, chiese Ranma distrattamente senza smettere di contendersi col padre una lisca di pesce. Due bambini delle elementari, ecco cos’erano. Ogni santo giorno.
Akane si volse verso Nabiki con uno sguardo sconfortato.
“Oh sì, talmente perfetto che avrebbe lasciato che mi strozzassi…”.
La sorella posò ciotola e bacchette.
“Tieni sempre a mente cosa ti ho detto pochi giorni fa”, le bisbigliò in un orecchio nell’alzarsi in piedi. “Vi precedo a scuola, ragazzi!”.
Una manciata di secondi dopo il tavolo andò in frantumi.
Akane riuscì a malapena a capire cosa stesse accadendo, tra una Shampoo abbarbicata a Ranma come una tellina e un Mousse imbufalito che lanciava le armi più disparate dalle sue maniche. Una avrebbe raggiunto anche lei in pieno, anziché Ranma, se il fidanzato non avesse scaraventato lontano la cinesina neanche fosse stato un gatto rognoso e non avesse preso lei tra le braccia per allontanarsi da casa saltando di tetto in tetto.
L’ultima cosa che Akane vide, prima che casa sua scomparisse all’orizzonte, fu l’espressione gongolante di Nabiki che le faceva l’occhiolino e ciao ciao con una mano.
L’avrebbe strangolata appena fosse riuscita a raggiungerla a scuola.
Intanto, schiacciata contro il petto di Ranma fino a diventare paonazza mentre la città si avvicinava e si allontanava sotto di loro, ad Akane tornarono in mente le parole della sorella quando pochi giorni prima, furibonda, aveva gridato in lacrime nella sua stanza che Ranma era soltanto uno sbruffone, arrogante, testardo, vanitoso e infantile dongiovanni pieno di sé, insomma tutto fuorché il ragazzo perfetto.

(Puoi elencare tutti i difetti di questo mondo, sorellina, ma la verità è una sola. Volevi un ragazzo che ti tenesse testa invece di fare lo sdolcinato e svenire ai tuoi piedi, che ti trattasse da pari a pari e non come una statua da venerare o una fragile ragazzina da difendere, che fosse intraprendente e robusto abbastanza da non rompersi alla prima occasione e guarda un po’: desiderio esaudito! È molto più forte di te!
Ma se non facciamo altro che litigare e insultarci, anziché parlare e confrontarci!
Hai ragione, non potrai mai farci grandi discorsi, ma è sincero e coraggioso e pronto a correre da te ogni volta che ne hai avuto bisogno, sacrificando anche se stesso, se necessario. Delle altre non gli importa, sciocca, gli importa solo di te! Meno di ventiquattr’ore dopo il suo arrivo a Nerima ha fatto
tabula rasa di sfidanti, molestatori, pedinatori, fotografi e poeti anonimi. Ricordi cos’ha gridato durante la sfida di pattinaggio sul ghiaccio contro Azusa e Mikado?
S-sì, ma non credo che parlasse sul se…
Oh, dimenticavo: è pure carino!)


Ma quale carino, si ritrovò a pensare Akane mentre ne osservava il profilo concentrato e aspirava l’odore selvatico della sua pelle. Un cucciolo è carino. Un passerotto è carino.
Ranma toglie proprio il fiato.
L’atletico fidanzato, frattanto, le stava chiedendo se stesse bene, lasciando trasparire dal tono vibrante della voce quanto fosse preoccupato.
Akane sospirò rassegnata.
No, quello sbruffone, arrogante, testardo, vanitoso e infantile dongiovanni pieno di sé non era il ragazzo perfetto.
Ma era perfetto per lei.

Accidenti…





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