Nella GIF, tratta dal film “Il club del libro e della
torta di bucce di patata di Guernsey”, come immagino Sarah nel giorno della
proposta di matrimonio.
Capitolo 53
Un matrimonio sbagliato
“Perché la mancanza d’amore è la mia pestilenza.”
Alda Merini, Quando tu non ci sei
Girava
tra i tavolini della sala interna, nascondendo il dolore dietro una maschera di
sorrisi forzati, mentre sfuggiva agli sguardi di quanti le volevano bene,
conscia che, con il suo viso pesantemente truccato rispetto al solito e i suoi
capelli privi di volume, giacché non aveva indossato i bigodini durante la
notte, e acconciati con la riga dal lato opposto per camuffarvi il livido più
marcato, avrebbe dato adito alla loro intuizione. Ma fu l’ombra di tristezza
che le aleggiava attorno a richiamare l’attenzione dapprima di Davide.
Mentre in sottofondo
suonava “Parlami d’amore Mariù”, di colei che era per
lui come una figlia lo tenevano in apprensione le spalle ripiegate, l’incedere
lento, i gesti incerti e quell’espressione che ricordava di averle già visto in
un tempo lontano e che, adesso, attraverso il proprio sguardo inquieto, aveva
anche Hannah intercettato.
Raccoglieva le
ordinazioni Sarah, stringendo forte taccuino e matita per trattenere le mani
dal tremare e, quando l’esecuzione musicale fu terminata, indirizzò gli occhi
brucianti di sonno perduto e di lacrime che aveva ancora da versare verso il
pianoforte.
“Dovresti provare prima
tu a parlarle”, suggerì Davide a fior di labbro alla sua futura sposa,
anch’ella preoccupata, pensando che con l’amica si sarebbe aperta più
facilmente, mentre il bicchiere d’acqua che gli aveva porto rimaneva sospeso in
aria dinanzi al suo volto.
Hannah assentì con un
cenno del capo, soltanto a lui percettibile, ed entrambi si voltarono simultaneamente,
mossi da un istinto empatico, ritrovando lo sguardo affranto di Sarah, per poi
riprendere a parlarsi con gli occhi.
Fu
l’angoscia che la logorava dentro, ripercuotendosi sul suo corpo e alterando la
sua lucidità, a farle interpretare quel tacito dialogo fatto di sguardi intensi
e di delicate movenze come un’ostentazione del loro amore e, intanto che
guardava Davide raccogliere il bicchiere, la tristezza per l’altrui bene le si
tramutò in un moto di stizza.
Con
uno slancio improvviso, fuggì da se stessa, dalla
constatazione del proprio fallimento e dai consequenziali sentimenti negativi,
dirigendosi rapidamente verso i bagni col desiderio di nascondersi e, al
contempo, di farsi trovare per ritrovarsi, tornando ad essere come prima.
Sbatté
la porta alle sue spalle, sottraendosi agli sguardi attoniti del signor Gennaro
e dell’addetto alla caffetteria e ai commenti di biasimo di qualche cliente
intento a consumare al banco, distratto e infastidito dal suo scatto.
Aprì
il rubinetto, poggiando il palmo di una mano sul bordo del lavandino in
ceramica bianca con decorazioni floreali dorate in rilievo e il dorso
dell’altra sulla fronte. Il suono dei singhiozzi trattenuti si fondeva con lo
scrosciare dell’acqua, finché non lo interruppe un colpo deciso alla porta che
fu aperta e lei si volse alla voce allarmata che aveva invocato il suo nome.
Come
lavacro, le lacrime avevano sciolto il trucco, spazzato via la menzogna,
rivelando i segni di un matrimonio sbagliato, la vera essenza di un uomo che
Hannah credeva perfetto. Con l’amica, aveva sognato su quell’amore romantico,
allontanandosi un poco alla volta dalle bruttezze del genere maschile
conosciute nel postribolo di Mauthausen, prima che Davide le dissipasse per
sempre. Mai avrebbe pensato di sorprenderla in un incubo, a confrontarsi
nuovamente con la realtà della sofferenza.
E
Sarah non poté scorgere commiserazione nei suoi occhi, giacché questi le
restituirono il riflesso del proprio dolore. Come aveva con lei partecipato
alla gioia, così ne avrebbe condiviso il pianto.
Per
rispetto e turbamento, in punta di piedi e senza proferire parola alcuna,
Hannah le si avvicinò e, dinanzi allo sguardo che comprovava il fallimento
della propria vita e, al contempo, infondeva quell’affetto che, indurita da un
recondito, inconfessabile sentimento d’invidia, aveva smesso di cogliere e
accogliere, Sarah si commosse profondamente.
Sulla
spalla amica, le lacrime non soffocarono, oltrepassando coi singhiozzi le
spesse mura, sovrastando la musica allegra del pianoforte che Davide, adagio,
interruppe, mentre fra i clienti in sala s’incrementava lo stupito mormorio.
Quand’egli,
sospinto dall’apprensione che gli corrugava la fronte in un’espressione
adirata, accorse celermente sull’uscio del bagno, il signor Gennaro era già lì,
con le braccia incrociate, nella trepidante ma paziente attesa di comprendere
l’accaduto che l’abbraccio di Hannah celava, tra l’intreccio dei loro capelli
che ricoprivano il volto livido.
Scemando
in respiri contratti, il pianto si quietò, mentre la voce spezzata di Sarah
s’elevava nella confessione di una verità distorta che s’era imposta di credere
per continuare ad amarlo. “Mi ha lasciato, Hannah”, si rivolse solo a lei, pur
sapendo della presenza degli altri, “non è tornato a casa stamattina. È colpa mia.”
Soffocò
in gola un singhiozzo ed eruppe in un sommesso grido d’aiuto rivolto, stavolta,
a coloro che s’era scelta come figure paterne cui, per un attimo a loro
bastevole, sollevando un po’ il viso, mostrò i segni della punizione per quello
che credeva il proprio errore. “Io non sono una buona moglie”, sibilò.
Pensava,
infatti, che, assumendosi la colpa, l’avrebbero aiutata a farlo tornare. A
casa, ad amarla.
Padre
di una figlia precocemente perduta e padre di una figlia femmina mai nata,
Davide e Gennaro, che su Sarah riversavano il loro sentimento paterno di
responsabilità e protezione, si guardarono in faccia, scambiandosi il medesimo
sguardo. Generando un’emozione simile alla rabbia, in entrambi, eran vibrati l’amara delusione verso Matteo che avevan creduto fosse il marito giusto e il senso di colpa
per avergli affidato quella figlia già duramente provata dalla vita. Ma solo
uno gli avrebbe parlato.
“Ora che non posso più tornare
a quando ero bambina
ed ero salva da ogni male
e da te.”
Noemi, Glicine