Il peso dei rimorsi

di Fiore di Giada
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Un debole refolo di vento increspa le tende della finestra semiaperta e spira nella camera.
Rashid, sentendo quel rumore, si alza dalla scrivania, su cui è posato il computer portatile, e, a passo rapido, vi si avvicina.
Per alcuni istanti, osserva il paesaggio di Roma, che si stende sotto di lui. Ha già visitato la capitale d’Italia, eppure non può non scoprire nuove particolarità di quella città, rivestita della sua gloria millenaria.
E, in quel momento, coperta da un oceano nebbioso, sembra un grande sepolcreto, rotto dal rombo dei motori e dagli schiamazzi.
Accenna ad un sorriso. Roma non può essere catturata, nella sua malia, con le immagini del suo telefono, per quanto suggestive. Ha bisogno di essere compresa e analizzata, nelle sue sfaccettature policrome.
La malinconia, ad un tratto, si impadronisce di lui e brividi sgradevoli attraversano la sua schiena.
No, non di nuovo… – mormora. Il tempo non è riuscito a scuotere dalle sue spalle e dal suo cuore il peso del rimorso e dei rimpianti. Ha promesso ad Azam di non soffrire, ma la sua pur grande energia non riesce a contrastare quel senso di amarezza.
E non vuole che il suo servitore, tanto sollecito e gentile, conosca il suo tormento. Ama Azam d’un affetto filiale, ma non gli è bastevole la sua compagnia.
Desidera condividere il suo viaggio con lei.
Un simile, innocente desiderio è destinato a restare inappagato.
D’istinto, entra nella sua camera d’albergo e il suo sguardo si posa su un piccolo portafoto di legno, posato accanto al computer.
Rashid, con gesti lenti, calmi, afferra il portafotografie e lo osserva. Su quel piccolo pezzo di pellicola, è impresso uno degli ultimi momenti felici della vita di Maya.
Sono entrambi ad una festa e un semplice abito verde acqua, lungo fino al ginocchio, aveva vestito il suo corpo esile, mentre i suoi corti capelli castani, di solito scarmigliati, erano pettinati in un elegante taglio carré.
Un debole sorriso solleva le labbra del giovane. In quella festa, la sua amica, di solito perduta nel suo mondo di formule e algoritmi, gli è parsa meravigliosa, inconsapevole della sua bellezza.
La sua femminilità, di solito celata dal suo camice di scienziata, è sbocciata, come un fiore in una giornata di primavera, e ha turbato il suo animo.
Un sussurro sale sulle labbra e si spegne in un singhiozzo. Non ha saputo comprendere la fonte di quell’emozione. Si è lasciato guidare dai suoi pregiudizi e non ha saputo vedere l’essenza autentica di Maya.
Sono stato stupido. Se avessi capito, saresti ancora viva con me. E ammireresti le meraviglie della città di Roma. – mormora. Le ha voluto bene, ma l’ha giudicata seguendo uno stereotipo stupido.
Sospira. Nel corso di quella festa, l’ha vista impegnata nella danza caraibica e il suo turbamento si è ravvivato.
I suoi movimenti, così aggraziati e fluidi, avevano seguito il ritmo sincopato della melodia.
E, quando le ha chiesto di ballare, ha saputo guidarlo con la maestria di una consumata insegnante di ballo.
I loro corpi, in quel momento, sono stati stretti in un abbraccio vibrante di calore.
Avrei dovuto ripetere questa esperienza. Sono stato stupido. – pensa, amaro. Avrebbe dovuto costruire altre occasioni di incontro!
Come ha potuto essere tanto stupido?
Perché non ha incoraggiato Maya a rivelare la sua bellezza e non l’ha ricoperta di doni e premure? Come ha potuto negare a sé stesso la verità sui suoi sentimenti?
L’ha sempre ritenuta svagata, nonostante la sua mente acuta, eppure ella si è mostrata ben più saggia di lui.
Non ha mai preteso nulla da lui e ha sempre posto il suo benessere prima del proprio, nonostante l’angoscia di una situazione dolorosa.
Lo ha incoraggiato a godersi la vita e ad afferrare l’occasione della felicità.
Le lacrime, ormai prive di controllo, bagnano le guance di Rashid e singhiozzi strazianti si spezzano nel suo petto. Sì, è cosciente di avere un dovere verso di lei, ma non riesce a seguire quella pur dolce indicazione.
I ricordi, con le loro catene d’amarezza, gli impediscono di essere felice.
Ed è stanco di simulare una gioia perenne, ben lontana dalla verità della sua anima.
Perdonami Maya… Io so che dovrei godermi la vita, ma… ma non ci riesco. Non ci riesco perché ti amo. – mormora, mentre il vento disperde le parole nel silenzio della stanza.




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