A
passo rapido, Marianna si avviò verso la camera, stringendo
tra le mani un vassoio, su cui erano posate caraffe colme di succo di
tamarindo.
Aprì
la porta, cercando di non fare rumore, e vi lanciò uno sguardo
attento, come quello d’una cerbiatta nella foresta.
La
luce del sole meridiano, che filtrava dalla porta finestra semi
aperta, illuminava d’oro la stanza e si posava sui mobili
lignei e sui tappeti, ricamati d’oro e perle.
Sandokan
era seduto accanto alla dormeuse su cui, inerte, giaceva Yanez.
Il
suo sguardo verde, serio, vaga sul corpo inerte dell’amico,
mentre le sue mani si posavano ora sulle mani, ora sulle guance
dell’altro, in gesti colmi d’affetto e premura.
La
ragazza sospirò. Il suo innamorato non si era mosso da quella
posizione scomoda e, come un nume, continuava a vegliare il suo sonno
innaturale.
Attendeva,
con tenace speranza, un segno di vita su quel volto da lui amato, in
quel momento simile a quello d’un morto.
La
giovane di origini italiane sentì un brivido attraversarle la
schiena e, per alcuni istanti, perse la presa sul vassoio. Era
ragionevole sperare in un risveglio per Yanez?
Certo,
il cuore palpitava nel suo petto e il respiro gonfiava d’aria i
suoi polmoni, ma i suoi occhi cerulei restavano chiusi.
Sandokan,
indomito, continuava la sua veglia, non concedendo riposo al suo
corpo, ma la situazione non cambiava.
Perché
Yanez non si svegliava? Era prigioniero d’una magia crudele,
che aveva separato la sua anima dal suo corpo?
Oppure,
nonostante il suo cuore battesse, era morto e non avrebbe potuto
riacquistare la coscienza?
Era
giusto condannarlo ad una esistenza priva di vita?
Forse,
avrebbe dovuto esporre a Sandokan le sue considerazioni…
Scosse
la testa, decisa. No, lo avrebbe caricato d’una ulteriore
angoscia.
Inoltre,
era trascorso troppo poco tempo.
Non
potevano giungere a conclusioni affrettate.
Yanez
non era un debole e, ne era sicura, lottava con ferocia leonina per
non cadere nella tenebra di Suyodhana.
Con
la loro presenza, dovevano incoraggiarlo a ritornare alla luce.
Sandokan,
sentendo i passi della compagna, si scosse dai suoi pensieri e si
girò.
–
Marianna,
c’è qualcosa che richiede la mia presenza? –
domandò, preoccupato.
Ella
scosse la testa in segno di diniego.
– No,
stai tranquillo. Ti ho solo portato del succo di tamarindo.–
rispose.
Si
avvicinò e porse il vassoio al giovane rajà.
Sandokan
prese il boccale e , d’un fiato, lo bevve.
–
Grazie.
Ne avevo proprio bisogno. – le disse, gentile.
Poi,
il suo sguardo si posò di nuovo sul corpo inerte del
portoghese e un raggio di luce colpì il suo volto, accendendo
i suoi occhi di deboli pagliuzze dorate.
Marianna
sentì la pena stringerle il cuore. Forse, era uno scherzo
causato dal sole, ma gli splendidi occhi di Sandokan, rossi
d’angoscia, le parevano lucidi di lacrime.
Quell’attesa
logorava il pur forte spirito della Tigre della Malesia.
E
ne capiva la ragione!
Nonostante
l’origine differente, Yanez de Gomera era per lui un fratello e
il suo cuore soffriva all’idea di una sua eventuale morte.
Anche
per lei era dolorosa una simile possibilità, ma la sua pena,
per quanto forte, non era paragonabile a quella del suo innamorato.
No,
in quel momento, doveva essere una roccia per il suo compagno,
dilaniato dalla preoccupazione.
– Non
capisco perché non si sveglia. – mormorò ad un
tratto il giovane, amaro.
La
sua mano destra, leggera, sfiorò quella inerte del suo
compagno lusitano, poi la strinse.
La
ragazza, sentendo quelle parole, gli lanciò un’occhiata
stupita.
– Che
cosa intendi? – chiese.
Il
rajà del Kiltar sospirò e, per alcuni istanti, tacque,
come se fosse indeciso.
– Yanez
ha sempre combattuto contro le magie di Suyodhana. Non si è
mai arreso al potere di quell’emissario delle tenebre, che si
serviva di lui per colpire me. Eppure, perché ora non si
risveglia? Perché continua a dormire così? Sembra un
morto privo di calore… – mormorò.
Gli
sfiorò il viso con la mano e gli scostò una ciocca di
capelli biondi dalla fronte.
Marianna
sbarrò gli occhi sorpresa. Pur con parole diverse, Sandokan
aveva espresso riflessioni simili alle sue.
Pur
sperando in un esito positivo, aveva paura di una tragedia e si
struggeva nell’impotenza e nelle domande.
La
sua mente, con un’onestà implacabile, gli aveva posto la
possibilità di un esito tragico, ma il suo cuore non voleva
vedere una tale, straziante possibilità.
E,
forse, tali pensieri attraversavano la mente dei loro compagni.
–
Forse,
ha visto qualcosa di bello nel regno dei morti. Chissà, magari
ha conosciuto l’affetto della madre, che gli è stato
negato troppo presto… E io ho paura che non voglia rinunciare
ad una bellezza illusoria, che però rispecchia i suoi desideri
più profondi. E non so che cosa fare… Devo costringerlo
a ritornare qui o lasciarlo partire? Non è crudele condannarlo
ad una esistenza che non vuole, per risparmiarmi un dolore infinito?
– concluse.
La
voce gli morì in un singhiozzo e, con un gesto nervoso, si
terse le lacrime, che minacciavano di rotolargli sulle guance.
Marianna
sospirò e, in un gesto di conforto, gli posò le mani
sulle spalle e gliele accarezzò. Quel pensiero di Sandokan era
espressione d’un animo generoso e ardente, che l’aveva
legata a lui con un amore sempre giovane, che nulla avrebbe
distrutto.
Sandokan,
pur di non condannare il suo amico ad una esistenza insensata, era
pronto a porre termine alla sua vita, ma la sua troppo chiara
angoscia gli impediva di discernere ogni aspetto della realtà.
– Ti
fa onore tale premura, ma dimentichi una cosa: Yanez non ha mai
seguito chimere. E’ sempre rimasto fisso coi piedi piantati
sulla terra. Lui ha sempre preferito la realtà ad un sogno,
per quanto bello. E noi siamo la sua realtà.– dichiarò,
risoluta.
Sandokan
sospirò e strinse le mani della compagna.
– Lo
spero Marianna. Lo spero con tutto il cuore. –
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