rosso
Madame Red si chinò sulle misere
spoglie di Mary Ann Nichols, detta Polly. Esaminò il cadavere ancora
caldo con occhio clinico, distaccato, allenato da anni di esercizio
della professione medica. Il taglio alla gola era così profondo che
la sua testa si era quasi staccata di netto dal corpo. Dalla
giugulare recisa zampillavano ancora violenti spruzzi vermigli.
- Non si può proprio dire che tu abbia
il senso della misura. - commentò, rivolgendosi alla figura che se
ne stava in piedi dietro di lei, comodamente appoggiata al muro.
Grell sbuffò e non si disturbò
neanche a sollevare lo sguardo, continuando a limarsi le unghie con
indifferenza. - Da che pulpito, darling. Sbaglio, o siamo un
tantino ipocrite? -
Madame Red distolse l'attenzione dallo
Shinigami e tornò a concentrarsi sulla sua vittima. I bulbi oculari
vitrei e sporgenti erano spalancati sul nulla eterno, la sua ultima
espressione di paura mista a sorpresa impressa nei suoi lineamenti
grossolani.
Posò a terra la valigetta contenente i
bisturi e fece scattare le chiusure. Il lucido metallo degli attrezzi
scintillò sinistramente nella sporca luce giallognola di un lampione
a gas poco distante in Buck's Row. Erano gli stessi utensili che
aveva impiegato innumerevoli volte per salvare vite, guarire dai
mali, ricucire ferite; ma da qualche tempo si erano tramutati in
strumenti di giustizia. Mezzi con i quali ella tentava di riportare
l'equilibrio nel mondo, punendo colpevoli ignare del loro peccato e
raddrizzando gli sbagli di un destino che sempre sceglieva a chi
togliere e a chi elargire in base a un disegno perverso e crudele.
Strappò con decisione il corsetto liso
della prostituta, mettendone a nudo il petto e il ventre. Inforcò
gli occhiali come se si fosse trovata in sala operatoria, estrasse un
bisturi affilato dalla custodia e diede inizio al macabro rituale.
Salvare, guarire, ricucire. A che
scopo? Quale senso poteva trovare in quegli atti di altruismo se lei
non era stata salvata? Se il suo male non sarebbe mai guarito? Se la
sua ferita non sarebbe mai stata ricucita?
E quelle maledette osavano presentarsi
al suo cospetto perché uno dei loro clienti poco accorto aveva
accidentalmente immesso nel loro corpo il seme della vita. Un seme
scomodo che avrebbe intralciato la loro professione. Una seccatura
che proprio non ci voleva. Un fastidioso inconveniente di cui
liberarsi al più presto.
Non aveva mai giudicato quelle donne
per il modo in cui si guadagnavano da vivere. Pur essendo nata tra
gli agi della nobiltà, conosceva la cruda realtà dei sobborghi e
non rifiutava mai di mettere le proprie abilità al servizio delle
“povere sventurate” che, di quando in quando, le si rivolgevano
per le questioni più svariate.
Ma chiederle proprio quello!
Pretendere da lei nientemeno che quel delicatissimo intervento con la
leggerezza e la superficialità che si sarebbero dedicate alla
rimozione di una verruca… No, non era riuscita a sopportarlo.
Ciononostante aveva acconsentito e si
era occupata personalmente di tutto il procedimento, ma fin da quella
prima operazione aveva sentito germogliare in petto una rabbia
galoppante, una furia primitiva e tossica alimentata dalla sofferenza
accumulatasi negli anni; una collera che aveva covato segretamente e
si era accresciuta ad ogni nuovo incarico. Perché la voce della sua
disponibilità ad offrire quei particolari servigi si era sparsa
presto nell'ambiente e le visite di prostitute ansiose di sopprimere
la scintilla di una nuova esistenza indesiderata accesasi in loro si
erano susseguite nei mesi.
Madame Red ascoltava le loro istanze
una dopo l'altra. Era testimone di quei volti che le sfilavano
davanti come maschere scialbe: ora spaventati, ora dubbiosi ma, molto
più spesso, scocciati e irritati da quell'incidente che purtroppo,
si sapeva, era uno dei rischi del mestiere più antico del mondo.
Il suo rancore aveva finito per
divampare, tramutandosi in una belva affamata che reclamava a gran
voce un'azione concreta da parte sua.
La sorte non le era mai stata amica: le
aveva concesso un esiguo assaggio di felicità per poi derubarla di
ogni cosa, con gli interessi. Colui che amava aveva sposato sua
sorella; l'uomo a cui aveva imparato a voler bene, con il quale
immaginava di condividere il futuro, era morto travolto da una
carrozza e lei era sfuggita allo stesso fato solo perché la creatura
che portava in grembo era stata sacrificata.
Ricordava l'istante in cui
quell'individuo anonimo in camice bianco le aveva dato la ferale
notizia: per salvarla, era stato necessario asportarle l'utero. Era
un ricordo nitido ma, in qualche modo, avulso dalla realtà e dallo
scorrere lineare del tempo; come la reminiscenza di un sogno
frammentato, senza un inizio né una fine.
Il dottore aveva snocciolato altre
informazioni tecniche con gli occhi incollati saldamente agli appunti
scritti sulla cartella perché sostenere la vista del suo volto
devastato dalla disperazione sarebbe stato troppo penoso.
In quel momento, avrebbe desiderato non
essere lei stessa un medico. Avrebbe preferito che quel verdetto le
suonasse solo come un'incomprensibile sequela di termini altisonanti
il cui significato le era del tutto estraneo. In questo modo, almeno
per un po' avrebbe potuto fingere di non capire, di non essere già
consapevole della tremenda verità precorsa dalla sensazione di gelo
e vuoto che avvertiva dentro di sé. Invece, malgrado lo shock subito
nell'incidente, la situazione le era risultata chiarissima nella sua
spietatezza: aborto e asportazione dell'utero. Il suo bambino (o la
sua bambina, non ne aveva idea né l'avrebbe mai scoperto) era morto
ancora prima di nascere, e non avrebbe più potuto avere figli. Mai
più.
Non che lo desiderasse, a quel punto.
Non desiderava più niente, tranne forse che la morte si fosse
portata via anche lei. Perché lasciare il lavoro a metà? Perché
risparmiare chi avrebbe dovuto trascinarsi dietro per anni il peso
insostenibile di “quelli che rimangono”, nonché la colpa
vergognosa di essere vivi? Il fardello dei ricordi e il rimpianto di
ciò che avrebbe potuto essere conducevano a una lenta agonia,
condita dall'impossibilità di tollerare che la vita di tutti gli
altri proseguisse nella più serena normalità giorno dopo giorno.
Evidentemente, coloro che l'avevano
salvata credevano che sottrarla alla morte sarebbe stato più
caritatevole che lasciarla perire. In fondo, era questo che ai medici
veniva insegnato. Salvare chi poteva essere salvato, sempre e
comunque. A qualsiasi prezzo.
Ma quelle donne disgustose! Arrivavano
con smorfie seccate chiedendole di aiutarle a sbarazzarsi di ciò che
lei aveva perduto soffrendo immensamente e senza che potesse fare
nulla per impedirlo! Quelle incoscienti! Insensibili al suo dolore
incommensurabile, ignare della tempesta che la loro decisione
sbrigativa le scatenava nell'animo!
Lei che aveva perso ogni cosa, vedeva
quelle sciagurate gettare via senza alcuno scrupolo ciò che non
avrebbe mai più potuto avere. E ogni volta era come se la sua
creatura venisse uccisa di nuovo; come se il suo ventre venisse
violato ancora e ancora. Ma avrebbe pensato lei a rimettere le cose a
posto. Si sarebbe occupata lei di punirle! Non poteva più restare
indifferente.
Così era cominciato tutto. Il primo
omicidio, l'alleanza con Grell, la scia di sangue che si lasciava
dietro ad ogni passo e la seguiva ovunque andasse, le sue mani sempre
più rosse...
Madame Red si riscosse all'improvviso,
tornando al presente. La sua padronanza del mestiere le aveva
permesso di dare inizio all'operazione nonostante la sua mente stesse
vagando altrove, lontana dallo squallore di Buck's Row e dai resti
inermi della defunta Mary Ann Nichols.
Il sangue caldo e vischioso stava
sgorgando a fiotti dallo squarcio nella carne flaccida della donna,
inzuppandole l'orlo dell'abito e schizzandole il viso.
Si trattava di una procedura complessa
che richiedeva attenzione e una grandissima precisione, oltre che
tempo. Ma se non avesse compiuto quel gesto di natura puramente
simbolica, il rito punitivo non sarebbe stato completo. In un certo
senso, fare a loro ciò che era stato fatto a lei dopo averle uccise
era un minuscolo granello di sabbia sul suo piatto della bilancia.
Una vittoria infinitesimale nella sua personale guerra contro
l'ingiustizia dell'universo, ma pur sempre una vittoria. Non una vera
e propria compensazione per i patimenti che la vita le aveva
riservato, ma le regalava l'illusione che qualcosa fosse tornato al
suo posto.
- Hai finito? - domandò Grell con una
punta d'impazienza nella voce. - Quella roba comincia a puzzare
terribilmente. I miei capelli s'impregneranno di questo fetore e ci
vorranno almeno tre bagni all'acqua di rose per toglierlo. -
Madame Red finse di non aver udito le
lamentele del suo complice. Aveva un lavoro da portare a termine.
- Sai, mi colpisce molto che tu non
abbia voluto abbandonare il nostro piccolo gioco. - continuò lo
Shinigami, lanciandole uno sguardo interessato. - Il tuo caro
nipotino sta indagando sulle morti di queste squallide prostitute.
Non hai paura che venga a sapere chi sei davvero? -
Le sue mani si arrestarono solo per un
momento, prima di ricominciare a trafficare con il groviglio di
interiora tiepide della Nichols. L'asportazione era quasi terminata.
- Ciel non scoprirà nulla. - rispose,
ostentando una sicurezza della quale difettava. - Farò in modo che
non accada. Non deve accadere. -
- Mmm. Non ne sarei così sicura, se
fossi in te. - ribatté Grell, attorcigliandosi una ciocca intorno
all'indice con aria distratta. - Ricordati che al suo fianco c'è
quel ragazzaccio di Sebastian. Immagino ti sia accorta che i suoi
talenti vanno ben oltre servire un ottimo tè delle cinque. -
Madame Red s'irrigidì e strinse la
mascella. Sì, se n'era accorta eccome. Quell'uomo avrebbe potuto
rivelarsi una notevole spina nel fianco. Le sue doti investigative
erano eccezionali, così come la sua efficienza nelle indagini
riguardanti gli omicidi che la stampa londinese, sull'onda del
sensazionalismo morboso, aveva imputato al fantomatico Jack lo
Squartatore. Chiunque fosse, Sebastian Michaelis era tutt'altro che
un innocuo maggiordomo.
Il rischio che potesse guidare Ciel
fino alla verità era assai concreto, malgrado ella potesse contare
sulle capacità di un essere sovrannaturale. In ogni caso, avrebbe
pensato a qualcosa.
- Io qui ho concluso. - dichiarò la
donna, richiudendo la valigetta e alzandosi, torreggiando sul corpo
scempiato della prostituta. - Possiamo andare. -
Grell si avvicinò e fece scivolare lo
sguardo su di lei con aria di approvazione. - Vederti così ricoperta
del sangue delle tue vittime mi infiamma terribilmente, darling. -
dopodiché studiò il lugubre spettacolo da oltre la sua spalla.
- Mmm. I miei complimenti, Madame Red.
Stavolta ti sei davvero superata. Lasciami solo aggiungere un tocco
finale. -
Lo Shinigami mosse qualche passo in
avanti e il suono dei suoi tacchi riecheggiò nel vicolo deserto.
S'inginocchiò, intinse due dita nella pozza di sangue e le passò
prima sulle labbra e poi sulle palpebre della vittima, usando una
cura degna di un pittore intento a dipingere il suo capolavoro sulla
tela.
- Ecco, così è perfetta. Non trovi? -
- Non è finita. - replicò algida la
donna, gettando uno sguardo sprezzante alla sagoma ormai
irriconoscibile sul selciato. - Ce ne sono altre. Andremo a prendere
anche loro e avranno ciò che meritano. -
Grell le cinse la vita con un braccio e
l'attirò a sé, prendendole il mento tra pollice e indice. Il
candore dei suoi denti aguzzi balenò nell'oscurità del vicolo
mentre le rivolgeva un sorriso ferino. - E tingeremo anche loro di un
bel rosso, non è vero? -
Madame Red annuì e negli occhi
fosforescenti dello Shinigami scorse l'eccitazione generata da quella
tetra prospettiva un attimo prima che le labbra di Grell premessero
sulle sue in un bacio intenso dal retrogusto di ruggine.
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