In mother's eye
Titolo:
In mother's eye
Autore: My Pride
Fandom: Batman
Tipologia: One-shot
[ 2355 parole fiumidiparole
]
Personaggi: Lois
Lane, Damian
Bruce Wayne, Jonathan Samuel Kent
Rating:
Giallo
Genere: Generale,
Slice of life, Fluff
Avvertimenti: What
if?, Hurt/Comfort
Just stop for a minute and smile: 50. "Ehi,
non mettermi fretta!"
TenderLovingCare:
64. Personaggio X viene visitato
BATMAN
© 1939Bob Kane/DC. All Rights Reserved.
Lois
aveva appena finito di correggere la bozza di un articolo quando
sentì qualcuno vociferare che Bruce Wayne era appena entrato
nell'edificio, accompagnato da uno dei figli più giovani.
Non era raro che il proprietario del
Daily Planet
facesse qualche improvvisata, ma ciò provocava una forte
competizione in tutti i giornalisti presenti, che cercavano sempre di
accaparrarsi un'intervista esclusiva con l'ex scapolo d'oro di Gotham.
Da quando aveva annunciato il suo matrimonio con Selina Kyle, chiunque
nel raggio di miglia e miglia provava a strappargli qualche parola a
riguardo, ma finora nessuno ci era mai riuscito. Nemmeno Clark o la
stessa Lois, per quanto frequentassero alternativamente villa Wayne e
l'appartamento di Metropolis almeno una volta al mese.
Abbandonando momentaneamente il suo
computer, Lois
si alzò dalla sua postazione per poter provare a sua volta a
sgraffignare un'intervista, ma ebbe giusto il tempo di vedere sparire
Jimmy come un razzo - una foto di Bruce Wayne in compagnia del figlio
era un'occasione troppo ghiotta per un fotografo come lui - in
ascensore, rimanendo praticamente la sola in quel vasto ufficio, prima
che una breve risata richiamasse la sua attenzione; nel voltarsi, vide
Damian poggiato con la schiena contro il muro dell'ufficio di Perry, un
sorrisetto sardonico dipinto in viso e le braccia, perfettamente
fasciate dal suo completo Armani, incrociate al petto. Aveva i capelli
ravvivati all'indietro, e i suoi occhi verdi luccicavano come non mai.
«Lois! Sei splendida come
sempre», la
salutò con quel cipiglio che aveva preso da Bruce, e che
riservava per lo più alle interazioni sociali a cui era
costretto a sottoporsi. Però, e Lois lo sapeva, con lei non
aveva bisogno di comportarsi in quel modo. Lo faceva solo
perché
lo divertiva farlo e godeva degli sguardi stralunati degli altri
giornalisti.
«Ciao anche a te, Damian. Non
hai bisogno di
adularmi come fa tuo padre, ti sei già preso mio
figlio»,
prese in giro nel fargli un occhiolino mentre si avvicinava.
«Come hai fatto a superare uno stuolo di giornalisti e
fotografi?» domandò curiosa, vedendo le labbra
sottili del
giovane sollevarsi in un sorriso che le fece sollevare le mani in segno
di resa. «Va bene, come non detto. Allora. Sei da queste
parti
solo per accompagnare tuo padre, o volevi fare felice tua suocera con
un'intervista?»
«Magari un'altra
volta», parve
promettere Damian, gettando un'occhiata alle sue spalle. «In
realtà sono venuto a chiederti un favore, Lois».
«Damian Wayne che chiede un
favore? Voglio
l'esclusiva», ridacchiò, ma nel vedere lo sguardo
un po'
assente del giovane e il modo in cui aveva cominciato a tormentarsi le
mani - Damian... nervoso? Questa sì che era nuova -,
capì
che si trattava di una cosa seria e la sua espressione mutò
con
la stessa velocità con cui suo marito si infilava il
costume.
«Cosa c'è?»
Damian si prese un momento, trovando
piuttosto
interessante fissare la fotocopiatrice prima di guardare nuovamente la
donna. «Riguarda Jon», snocciolò,
continuando
immediatamente nel vedere Lois pronta a replicare con quel cipiglio di
disapprovazione materna che ormai conosceva bene. «Ti freno
subito, non abbiamo litigato o altro. È solo che... ha
ancora
qualche postumo dall'ultima battaglia», abbassò la
voce,
in modo che nessuno potesse sentirlo. Non che ce ne fosse bisogno,
visto che c'erano solo loro due, ma era paranoico esattamente come suo
padre. «I suoi poteri non sono ancora tornati, quindi ha la
febbre e il braccio non guarisce in fretta come la sua fisionomia
kryptoniana dovrebbe consentirgli».
«Non credo che tu debba
preoccuparti,
Damian». Lois provò a rassicurarlo con un sorriso,
poggiandogli una mano su una spalla. «Clark è
stato
esposto molto spesso a qualunque tipo di kryptonite, in mancanza di una
camera di contenimento a sole giallo devi solo dare il tempo a Jon
di... ricaricarsi. Si è preso una bella scarica e i suoi
poteri
sono esplosi, ma questo non significa che non--»
«Devo partire con mio padre
per una settimana, e non voglio che Jon sia da solo», la
interruppe.
Lois sbatté le palpebre
più e
più volte, cercando di assimilare le parole che aveva appena
sentito. Damian si sarebbe tagliato la lingua - e non solo
metaforicamente, conoscendolo - piuttosto che chiedere un favore a
qualcuno, ma la cosa riguardava Jon... quindi poteva capire la sua
preoccupazione. In quel momento, Jon era praticamente alla stregua di
un essere umano, aveva un braccio ingessato ed era ancora un po'
scombussolato per la scarica elettrica alla kryptonite che si era
beccato a causa di uno dei robot-droni di Luthor, e il fatto di dover
stare lontano, senza poter agire immediatamente, sembrava mettere
Damian in ansia. Non che la Justice League non avrebbe monitorato la
situazione, ma era comprensibile il timore di lasciarlo solo in un
momento in cui sarebbe stato praticamente vulnerabile a chiunque.
Così, scuotendo dolcemente il capo, Lois lo
guardò con un
piccolo sorriso.
«Andrò a trovarlo
appena stacco dal
lavoro», promise, e sul volto di Damian vide comparire un
cipiglio rassicurato che gli vedeva raramente, un piccolo stiramento di
labbra che significava che stava a sua volta sorridendo. Dopo tutti
quegli anni, Lois aveva ormai imparato a conoscere quell'espressione.
«Ti ringrazio»,
replicò Damian, e
anche quella era una cosa piuttosto rara per uno come lui. Ma Lois lo
apprezzò davvero, sapendo che non lo diceva tanto per dire.
«Dovrei proprio andare, adesso», aggiunse
riluttante.
«Mio padre si starà già chiedendo che
fine ho
fatto».
Lois gli sorrise e si sporse per dargli
un bacio
sulla fronte a mo’ di saluto. Damian era decisamente
più
basso di Jon, ma superava lei di qualche centimetro ed era quindi stata
costretta a sollevarsi comunque un po’ sulle punte per
poterlo
fare. «Ci vediamo tra una settimana. E cerca di stare
tranquillo», gli disse, dandogli un buffetti sulla spalla
prima
di spingerlo via lei stessa, rimediandoci qualche borbottio scherzoso
da parte del giovane.
Seguendolo con lo sguardo mentre le
porte si
chiudevano e Damian spariva in ascensore, Lois si batté una
mano
sulla fronte, imprecando. Si era fatta di nuovo sfuggire
un’intervista con Bruce. Scosse la testa, facendo spallucce.
Ci
sarebbe stata una prossima volta. Dopotutto Damian le aveva chiesto un
favore non da poco - almeno secondo gli standard del giovane Wayne -,
quindi mise da parte la sua giornalista interiore assetata di notizie e
tornò a riconcentrarsi sul lavoro, tirando fuori la mamma
che
era in lei quando, ore dopo, aveva lasciato il Planet e si era
ritrovata a suonare al citofono dell’appartamento che suo
figlio
condivideva con Damian ormai da qualche anno.
Erano rimasti un po’ tutti
sorpresi che
avessero deciso di vivere a Metropolis, meno di quanto non lo fossero
stati quando quattro anni prima avevano detto loro che si stavano
frequentando. Lois, da brava giornalista qual era, lo aveva
già
sospettato… ma a farle vincere quei 50$ che aveva scommesso
col
marito, il quale possedeva mille viste diverse tranne quella
più
ovvia, era stata la poca pazienza di Damian nel rotolarsi con Jon sul
divano della fattoria Kent quando aveva passato l’estate con
loro. Ah, il giovane amore.
Il pensiero la fece sorridere divertita
e
fischiettò, aspettando pazientemente che suo figlio le
aprisse
per farla entrare. Dopo quasi cinque minuti, pensò di
suonare di
nuovo, ma finalmente sentì dei passi strascicati e una voce
borbottare qualcosa, finché non ci furono dei movimenti
dietro
la porta prima che quest’ultima venisse aperta di slancio e
gli
occhi di Jon, resi acquosi dell’influenza, si soffermassero
straniti sul volto di sua madre.
«Babba? Che ci bai
bui?»
Lois trattenne una risata. In tutti
quegli anni, era
davvero la prima volta che sentiva Jon col raffreddore. «Una
madre ha bisogno di un motivo per andare a trovare suo
figlio?»
Jon si soffiò forte il naso,
spostandosi
dalla soglia per far entrare la madre. «Ti conosco,
mamma»,
replicò in tono più comprensibile, e Lois rise.
«Bene, allora prenditela col
tuo ragazzo se
sono venuta a rimboccarti le coperte», prese bonariamente in
giro
nel mettere piede nell’appartamento, vedendo il figlio
aggrottare
la fronte per un momento; quando la consapevolezza si fece largo sul
suo viso, la sua espressione divenne quasi comica mentre le dava spalle
nel borbottare tra sé e sé, e Lois
poté benissimo
cogliere un «Kahkhyf»
uscire dalle labbra del suo ammalato figliolo. «Jonathan
Samuel
Kent. Hai appena imprecato in kryptoniano davanti a tua
madre?»
Jon si fermò a
metà strada dalla
cucina, voltandosi un po’ verso di lei.
«…no?»
provò con tono incerto, e Lois scoppiò di nuovo a
ridere.
«Ti sto prendendo in giro,
tesoro».
Mugugnando qualche altra cosa e tirando
su col naso,
Jon si grattò il braccio ingessato e la invitò a
seguirlo, stringendosi meglio nella felpa della MetU che indossava.
«Ti preparo qualcosa».
«Oh, no. Ci penso io. Tu sta'
fermo sul divano».
«Ma...»
«Niente ma. Divano.
Adesso»,
ordinò col suo solito tono che non ammetteva repliche e che
riusciva a far capitolare anche il grande Superman; il figlio non fu da
meno, tanto che, seppur brontolando, alla veneranda età di
ventiquattro anni masticò un «Sì,
mamma» con
lo stesso tono che usava da bambino, ciondolando verso il divano.
Lois lo vide accasciarsi contro un
bracciolo prima
che Alfred gli saltasse bellamente in grembo, cominciando ad impastare
sul suo stomaco senza che Jon gli desse peso; si limitò a
carezzargli il pelo sul dorso, abbassando le palpebre. Era strano
vederlo in giro per l'appartamento da solo, avendo sempre avuto l'ombra
di Tito a coprirgli letteralmente le spalle come una guardia del corpo.
Da quando l'alano era venuto a mancare lo scorso anno a causa della
vecchiaia, lasciando un piccolo vuoto nel cuore di tutti, persino il
gatto sembrava un po' mesto. Non sapeva chi dei due ragazzi avesse
pianto di più, quel giorno.
Scosse la testa per scacciare quel
triste pensiero,
entrando semplicemente in cucina per poter preparare del the per
sé e per il figlio. Non era la prima volta che andava nel
loro
appartamento, quindi sapeva già dove trovare ogni utensile,
senza contare che Damian certe volte era un tale maniaco dell'ordine -
tranne nella sua stanza alla villa, secondo i racconti di Alfred il
maggiordomo - che raramente trovava qualcosa fuori posto. C'erano
giusto un paio di tazze sull'isola - Lois ridacchiò nel
vedere i
loghi di Batman e Superman -, un barattolo parzialmente aperto con dei
biscotti al cioccolato, un cesto con delle belle mele rosse e verdi e
un contenitore di medicine con una nota, scritta nella grafia ordinata
di Damian, la quale recitava: “Prendile. Ricorda che comando
io” alla quale Jon aveva risposto “Nei tuoi
sogni”
con la sua scrittura a zampe di gallina.
Lois sbuffò ilare mentre
afferrava il
bollitore dalla credenza per riempirlo d'acqua. Quei due erano peggio
dei loro padri. Aspettando che l'acqua bollisse, diede un po'
un'occhiata ai filtri a disposizione per scegliere per entrambi i
frutti di bosco, tornando dal figlio cinque minuti dopo; aveva riempito
la tazza di Superman e quella che Jon aveva comprato appositamente per
lei quando andava a far loro visita - la scritta “World's
Greatest Journalist” capeggiava su sfondo rosso acceso - e
aveva
preso anche qualche biscotto per accompagnare le medicine, ma non si
meravigliò di vedere Jon col viso affondato in parte nel
cuscino, gli occhi chiusi e la fronte aggrottata come se gli facesse
male la testa.
«Jon», lo
richiamò piano, e lui
rispose con un brontolio prima di agitare la mano ingessata verso la
poltrona; Lois arcuò un sopracciglio e si
avvicinò per
posare tutto sul tavolino davanti al divano, chinandosi all'altezza del
figlio prima di sfiorargli la fronte con le labbra.
«Scotti», lo accusò con quel cipiglio di
materno
biasimo, ordinandogli di mettersi a sedere.
«Gh... non mettermi fretta»,
si lamentò Jon, ma Lois, senza
voler sentire repliche, gli intimò ancora una volta di
raddrizzare la schiena, vedendolo ubbidire nonostante i borbottii che
si lasciò sfuggire; andò a recuperare il
termometro
dall'armadietto dei medicinali per poter visitare lei stessa quel suo
sconsiderato figlio, il quale aggrottò maggiormente la
fronte
alla sola vista mentre si strofinava il naso in un fazzoletto.
«Che ci vuoi fare con quello?» domandò,
e Lois lo
fulminò con lo sguardo.
«...non farti rispondere in
modi in cui una
madre non dovrebbe rispondere al proprio figlio, Jon».
Jon aprì la bocca per
replicare, ma un vago
rossore si impossessò delle sue guance prima che,
distogliendo
lo sguardo, lasciasse che sua madre si occupasse di lui. In
realtà era piuttosto strano, a ben pensarci, dato che da
bambino
non si era mai ammalato a causa della sua natura in parte kryptoniana;
sentire quindi sua madre toccargli la fronte, controllare che non
scottasse troppo e ordinargli di aprire la bocca e sollevare la lingua
per sorreggere il termometro, gli fece provare una bizzarra sensazione
all'altezza dello stomaco, ma non fu del tutto spiacevole. L'unico
inconveniente? La testa aveva cominciato a martellargli come non aveva
mai fatto prima di allora, e persino il braccio gli formicolava come se
tanti insettini si fossero insinuati nel gesso. Era così che
si
sentiva Damian quando stava male o si feriva? Non lo invidiava proprio.
Fu anche costretto a prendere le
medicine ma, pur
storcendo un po' il naso, non si lamentò più di
tanto,
buttandole giù con un sorso di the e un biscotto mentre sua
madre recuperava un plaid abbandonato sulla poltrona, sistemandoglielo
sulle spalle; ringraziò a mezza bocca, trattenendo un colpo
di
tosse prima di poggiarsi contro la spalla di sua madre non appena
quest'ultima si accomodò al suo fianco.
«Non volevo farti
preoccupare»,
sussurrò, ma Lois gli carezzò delicatamente i
capelli con
una mano prima di posare un lieve bacio su quelle ciocche disordinate,
almeno per quanto la posizione in cui si trovavano glielo consentisse.
«Shh, non dire sciocchezze e
riposa. Guarirai
in un batter d'occhio», rassicurò, stringendolo
nel
sentirlo accasciarsi meglio contro di lei.
Presto avrebbe recuperato i suoi poteri
e sarebbe
stato bene, così avrebbe smesso di preoccuparsi di far
preoccupare gli altri. Fino ad allora... avrebbe avuto al suo fianco
sua madre.
_Note inconcludenti dell'autrice
Rullo
di tamburi! Nuova challenge del weekend indetta dal gruppo
facebook Hurt/comfort
Italia, e stavolta l'iniziativa è soprattutto
incentratta sul fluff. Non a caso si chiama #TenderLovingCare
L'unica
nota triste di questa storia è la morte di Tito, che
purtroppo
viene a mancare a causa della vecchiaia. Damian ha quasi ventisette
anni, ormai, quindi il suo amato alano ha vissuto più di
quanto
ci si aspetterebbe da una razza come la sua (ricordiamo che Damian
aveva intorno ai dieci anni quando Bruce glielo ha regalato), anche se
scriverlo mi ha fatto male all'anima
Per
concludere, piccola curiosità. La parola kryptoniana usata
da Jonno, ovvero «Kahkhyf»,
in kryptoniano significa «Cazzo»
quindi, sì, Jonno ha tranquillamente imprecato
perché il
suo amorevole ragazzone ha detto a sua madre di andare a controllarlo.
Ah, i giovani amori
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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