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Munito di
ciò che restava di un pezzo di grondaia
arrugginito, alias quel che di più pericoloso era riuscito a
trovare e ad
afferrare al limitare di quella piccola discarica del suo quartiere di
residenza, Odyesseus cercò di racimolare sufficiente
coraggio per riuscire ad
avventurarsi tra i rifiuti e soddisfare una malsana
curiosità riguardo la quale
il commento di un terrestre sarebbe potuto essere “Nomen
omen”.
Non che lui
sapesse cos’era la Terra o che l’Homo
Sapiens
avesse fatto la sua comparsa su di essa. Ciò non sarebbe
accaduto che tra vari
ed eventuali milioni di anni -così come una guerra civile
tra cybertroniani
che, nessuno lo sapeva, era ancora in là da venire; ma
questi non erano che
dettagli marginali.
“Primus
nostro che sei nel cosmo…”
Ciò
che contava per il giovane e mingherlino jetformer, che
avrebbe potuto lasciare dei segni su quel pezzo di grondaia se solo
avesse
avuto forza sufficiente per riuscire a stringerla tanto, era scoprire
cos’aveva
visto quando era andato a gettare l’immondizia la sera
prima… e
uscirne vivo e possibilmente in salute.
“Sia
santificato il Tuo nome…”
O comunque
più in salute della volta in cui un mech
più
grosso di lui gli aveva fatto perdere a suon di botte una delle sue
ottiche
dorate: sarebbe stato già molto.
“Venga
il Tuo regno, sia fatta la Tua
volontà…”
Tornare a casa
malmesso era un’abitudine per lui -la
periferia della città-Stato chiamata Tarn non era un posto
per i deboli o per
gli stupidi, e lui di certo era almeno una delle due cose- ma in
quell’occasione era andata molto peggio del solito.
“Rimetti
a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai
nostri debitori…”
Se non altro
l’ottica persa era stata sostituita in
fretta…
e il donatore non proprio consenziente era stato lo stesso mech che
l’aveva
massacrato.
Pensare alla
spietatezza mostrata da Scylla in quel
frangente, sebbene fosse stata tutt’altro che gratuita e
utilizzata per dargli
una mano, lo fece rabbrividire leggermente. Odysseus amava e stimava le
proprie
sorelle ma ciò non cambiava il modo in cui si sentiva
riguardo certe cose.
“E
non ci indurre in tentazione ma Ti
Prego Fammi Tornare A Casa Intero GRAZIE!”
concluse, riuscendo a
stento a soffocare uno strillo quando una robopantegana corse tra le
sue gambe
tremanti.
Dopo qualche
istante di immobilità in cui si
guardò attorno
per verificare di essere solo, senza drogati o possibili rapinatori
acquattati
nell’ombra, continuò ad addentrarsi nella
discarica. Nel mentre non poté
evitare di tornare col pensiero alla sera prima, quando aveva visto
rintanarsi
in mezzo ai rifiuti un qualcosa di azzurro attaccato a un altro
qualcosa
abbastanza grosso.
Aveva pensato
a un animale, qualcosa tipo una turbofox o un
cybercane di considerevoli dimensioni, ragion per cui aveva portato con
sé un
paio di salsicce di cadmio che aveva comprato appositamente quel
mattino
stesso: magari sarebbe riuscito a farselo amico e portarlo nel capanno
dietro
casa, non sarebbe stata la prima volta. Capitava spesso che Odysseus
desiderasse provare nei riguardi delle persone la stessa
tranquillità che
provava verso gli animali, non aveva problemi con loro… se
non spuntavano di
botto come la robopantegana di prima, ovviamente.
“Prima
o poi riuscirò pure a convincere le mie
sorelle a
lasciarmene tenere uno!” pensò, seppur memore del
fatto che tanto Scylla quanto
Charybdis gli avessero intimato di piantarla di adottare animali
randagi.
Passò
vicino a un altro grosso cumulo di rifiuti e
sentì di
nuovo il rumore di qualcosa che si muoveva. Qualcosa di grosso.
Forse quello
della sera prima non era un animale.
Si
irrigidì nuovamente e tese il tubo davanti a
sé, conscio
di star sembrando decisamente patetico causa mani che tremavano come se
avessero stretto un martello pneumatico invece di un pezzo di metallo
immobile
e arrugginito, ma non riusciva a evitarlo, temendo di venire assalito
da un
momento all’altro.
«N-non
venire fuori! Ho
un tubo!...
Ho un tubo e non ho paura di usarlo,
q-quindi… quindi resta dove
sei!» aggiunse per buona misura, facendo saettare da una
parte all’altra le
ottiche di due colori diversi mentre si voltava a destra e sinistra con
passi
freneticamente impacciati «Resta dove sei per favor- EEEEEH!»
gridò
quando, dopo essere inciampato nei resti di un
gabinetto, cadde miseramente proprio nel cumulo di rifiuti dal quale
aveva
sentito provenire il rumore.
E
atterrò su qualcosa di caldo, vivo e di dimensioni
superiori alle sue.
«AAAAAAAAAAH!»
strillò, con sincero terrore.
«AAAAAAAAAAH!»
strillò qualcuno vicino a lui.
La conferma
della presenza di un’altra persona
portò
Odysseus a gridare di nuovo, ancora più forte e con un tono
ancora più alto, e
l’altro a rispondere esattamente nello stesso modo in una
cacofonia di acuti
che avrebbero fatto invidia ad Eucryphia -compositrice e cantante
lirica ormai
attempata ma di indubbio talento-.
Solo dopo un
po’Odysseus riuscì a calmarsi quel
tanto che
bastava da notare l’azzurro di un terrorizzato sensore ottico
azzurro a poca
distanza da lui, esattamente lo stesso che aveva visto la sera prima.
«N-non
farmi male!» lo supplicò il
proprietario di suddetto
sensore ottico, abbassando la testa e intrecciando le mani in una
preghiera
«Per favore per favore n-non farmi male ti… ti
prego. Ti prego non farmi male
io- io n-non do n-noia a nessuno, non farmi male-»
«Ma
chi, io?» fu la risposta istintiva di Odysseus,
che mai
nella vita si era sentito dire certe cose e diede persino una rapida
occhiata
alle proprie spalle per vedere se magari l’altro mech si
stesse rivolgendo a
un’altra persona «Sei tu che mi hai spaventato a
mor… te…»
Finalmente
Odysseus riuscì a guardare bene la persona che
gli stava davanti, e se fosse stato un umano sarebbe impallidito nel
notare
mani che non erano mani.
Quelle di un
cybertroniano che aveva subìto
l’empurata, alias
senza palmo e con tre sole dita piuttosto appuntite, non potevano certo
definirsi
tali.
Dalle
“mani”, lo sguardo di Odysseus
passò alla testa -altro
segno evidente di ciò che l’altro mech aveva
subìto- e poi al corpo color
arancio, tutto sporco e visibilmente ammaccato.
Il jetformer
conosceva benissimo quel tipo di ammaccature:
erano uno sgradito ornamento che gli capitava di indossare
abitualmente… e non
c’era da stupirsi che sul corpo del suo interlocutore ce ne
fossero così tante.
Odysseus finora non aveva mai visto dal vivo un transformer punito con
l’empurata, aveva visto solo immagini e filmati, ma erano
sufficienti per
capire cos’aveva davanti: un pària, una persona
che di solito veniva vista
dalla società come feccia tra la feccia, privo di qualsiasi
diritto diverso
dalla vita -e anch’esso era questionabile, secondo alcuni.
Non paghi di
mutilare i corpi dei propri simili, i Senatori
avevano aggiunto a questo anche uno stigma sociale che rendeva la vita
di
quegli individui più infernale di quanto la menomazione lo
rendesse di suo.
Si
allontanò un po’ dall’altro mech che,
di suo, non aveva
ancora rialzato la testa né aveva disgiunto le mani.
Odysseus notò che
tremavano quanto e più delle sue.
Due pensieri
attraversarono il suo processore: il primo riguardava la
facilità con cui riusciva a
immaginare almeno
parte di ciò che quel disgraziato stava passando, mentre il
secondo era una
semplice considerazione, ovvero “Per quanto i transformers
ridotti
così possano ‘fare
senso’, il Senato e noi che permettiamo a esso di fare cose
del genere siamo
infinitamente peggio”.
Peccato non
poter fare alcunché a riguardo. Nessuno aveva
l’intenzione o il coraggio, e lui, che più volte
si era trovato terrorizzato
dalla propria ombra, meno che mai.
Si
rialzò con una certa cautela e con altrettanta cautela
iniziò ad allontanarsi dai rifiuti e da quel povero
disgraziato.
«Grazie»
lo sentì mormorare
«Grazie…»
Sulle prime il
giovane jetformer non comprese neppure perché
lo stesse ringraziando, poi realizzò: di sicuro era
perché non lo aveva
picchiato né insultato, contrariamente a quel che gli era
accaduto in
precedenza.
Distolse lo
sguardo e fece qualche altro passo.
Un
ringraziamento così sentito… solo per essere
stato
lasciato in pace in mezzo ai rifiuti. Odysseus non si considerava una
cima ma
sapeva che c’era qualcosa di tremendamente sbagliato in tutto
ciò. Anzi, era tutto
tremendamente sbagliato.
A un certo
punto non riuscì ad andare avanti. Non
riuscì a
evitare di pensare che lui, anche senza empurata, avrebbe potuto
tranquillamente trovarsi al suo posto, uno scarto tra gli scarti. Era
piuttosto
sicuro che, privato dei genitori quando era una protoforma, senza le
sue
sorelle maggiori a mandare avanti l’attività di
famiglia e a prendersi cura di
lui sarebbe finito proprio in quel modo.
Lui per primo
era un perdente nato, aveva già le proprie
magagne e la cosa più intelligente da fare sarebbe stata
fare finta di non aver
visto niente, ignorare la miseria altrui -che non lo riguardava- e
farsi gli
affari propri sentendosi sollevato all’idea di avere ancora
dei diritti, delle
mani, una testa e una faccia normali; eppure non ci riusciva.
Forse il
“non considerarsi una cima” era riduttivo
rispetto
alla sua reale stupidità… o così
pensò prima di voltarsi nuovamente verso
l’altro mech e dare fiato alla bocca.
«E-ehm.
Ehi- no, no,
tranquillo, non ti faccio niente» si sbrigò a
dire, vedendo l’altro ritrarsi
spaventato e alzare le “pinze” davanti al volto in
una mossa di difesa patetica
quanto inutile «È solo… sei ferito,
giusto?»
“Che
glielo domandi a fare, imbecille? Lo hai visto da
solo!” si rimproverò. Faceva proprio schifo a
relazionarsi con le persone.
«Non
farmi male…» fu tutto quel che
disse l’altro.
«Te
l’ho detto, non ti faccio niente»
ribadì Odysseus, il
quale iniziava ad avere il dubbio che quella povera creatura ormai
fosse in
grado di pronunciare solo quelle poche frasi che aveva sentito
«N-non sarei in
grado nemmeno volendo, in effetti… e non solo
perché sei più grosso di me,
amico».
«Amico»
ripeté il mech arancione, e il
modo in cui disse
quella parola la fece suonare quanto di più alieno possibile
«“Amico”… io non
ho amici. Nessuno di quelli come me ne ha. Siamo… scarti.
Disgustosi… inutili…
le mie mani… le mie mani…»
«Tornerebbero
utili a me al posto di vari attrezzi, con il
lavoro che faccio» disse Odysseus, senza pensare
«Ehm. Ascolta, non è una buona
idea restare qui. Potrebbe capitare brutta gente, io non ti voglio fare
niente,
ma loro… loro la pensano in un altro modo».
«Lo
so» mormorò l’altro
«M-ma non so dove altro andare. Non
so neanche come sono arrivato da queste parti, non ricordo…
l’unico ricordo davvero
chiaro che ho è quando loro mi
hanno…» mosse le pinze in un gesto convulso
«E i primi giorni, quelli subito
dopo. Il resto, quel che è successo in seguito e la mia vita
prima del Senato, invece…
solo frammenti… persone, cose…» emise
un lamento «La mia testa…»
“Sei
in brutte condizioni ma almeno capisci quel che dico e
sei capace di mettere le parole in fila” pensò il
jetformer, passandosi
nervosamente una mano tra i “capelli” grigi. Dodici
“tentacoli” mobili, forti e
molto allungabili, l’unica cosa che condividesse con le
proprie sorelle:
peccato non sapesse usarli in modo utile, contrariamente a loro.
«Avresti
bisogno di un medico».
«Non
ho shanix. E comunque… e comunque
n-non… nessun medico
perde tempo con quelli come me».
«Brushsling
non è così stronzo.
È il medico da cui vado io…
o-ormai sono di casa. Già. Per gli shanix…
sì, effettivamente per tutto quel
che devi fare tu magari ce ne vogliono un altro po’rispetto a
quelli che ho
messo via, però… p-però magari in un
paio di settimane riesco a raggiungere la
cifra? Forse».
Per il poco
che si poteva capire dal suo volto senza
espressioni, alla paura del mech arancione si aggiunse la confusione.
«Non
capisco».
«Tu
hai bisogno di un medico e io conosco un medico da cui
farti andare, e tra poco avrò anche abbastanza
shanix… penso. Nel frattempo
penso di poterti far entrare nel capanno, le mie sorelle di solito non
ci vanno
mai, e dopo essere stato curato puoi andare… non so dove. Da
qualche parte.
I-io… voglio aiutare. Aiutarti. Ecco».
“Se
Scylla e Charybdis scoprono la cosa mi staccano la
testa” pensò Odysseus, ovviamente in senso
figurato “Ma spero di no… spero in
bene anche per stasera, Charybdis a quell’ora è
già a
letto e Scylla di solito
torna più tardi…”
«No.
No» disse il mech, scuotendo la testa
«Tu non devi
aiutarmi. Nessuno lo fa, nessuno lo deve fare-»
«Le
persone non vengono punite se decidono di avere a che
fare con quelle a cui è capitato… quel che
è successo a te. Abbiamo il diritto
di fare, o non fare, assolutamente tutto quel che vogliamo con
voi».
Nel bene e nel
male, ma non era necessario specificarlo:
entrambi ne erano consapevoli.
Il povero
disgraziato tra i rifiuti osò, in maniera
esitante, sollevare il proprio sguardo per incontrare il suo, anche se
solo per
un attimo. «E tu… v-vuoi usare questo diritto per
aiutare. Aiutare me».
«Sì».
«N-non…
questo è…
è una presa in giro. Vero?»
«Pff.
Sono l’ultimo che può prendere in
giro qualcuno, io.
Una settimana fa ero in un vicolo e ferito più o meno come
te. Questo posto
non… diciamo che di solito non è
l’ideale per le persone come me e te. Quelle
che non si sanno difendere. Sai».
«Nessun
posto è l’ideale per chi non si
sa difendere».
«Sì.
Già. Davvero, io voglio solo darti
una man- ehm, aiutare. Se io quando
fa buio torno qui
e ti porto nel capanno, tu vieni con me? O no?»
Non era una
proposta molto prudente, dopotutto non sapeva
assolutamente niente di quel mech, neppure il suo nome; il suo Senso di
Sfiga
però suggeriva che stava tendendo una mano a qualcuno di
innocuo e che quindi non
stava portando vicino a casa propria uno spietato killer
“legalizzato” che
gestiva una prigione ricavando sentio
metallico dai
prigionieri dopo averli fatti entrare in una
camera di
fusione con l’illusione che fosse un sistema di
teletrasporto, il tutto mentre
beveva energon extra forte di ottima qualità da una
bottiglia di vetro di
pregevole fattura e ascoltava musica classica.
Chissà
da dove saltavano fuori quelle fantasie, poi.
«Vuoi
aiutarmi davvero» disse il mech sconosciuto,
attonito
«S-sei… sei convinto».
Il jetformer
annuì, muovendo leggermente le sue ali blu. Lo
faceva quando era teso, ossia quasi sempre. «Sì.
Ehm… magari prima potresti
dirmi la tua designazione? Io sono Odysseus».
Seguì
un lungo momento di silenzio.
«Glitch.
È il modo in cui hanno iniziato a
chiamarmi, anche
se… anche se non ricordo chi è che “mi
chiama”. Né perché
dovrebbero farlo…» sibilò di dolore e
tornò nuovamente a
massaggiarsi le tempie.
«Penso
di avere anche degli antidolorifici a casa, stasera
metto nel capanno anche un po’di quello. Se vieni».
Glitch, in un
gesto forse poco conscio, dopo aver stretto
convulsamente le pinze una all’altra iniziò a
passarsi sul volto le “dita”
della mano sinistra, arrivando a lasciare dei segni -o meglio, ad
approfondire
dei segni già presenti. Doveva essere un suo tic nervoso, ma
dopo l’empurata
era normale che un transformer potesse avere un rapporto conflittuale
con la
propria faccia, se poi di faccia si poteva parlare. «Tu non
dovresti… non è il
caso di essere gentile. Non qui… o da qualsiasi altra parte.
Perché sei gentile
con me?»
«Non
mi capita spesso di riuscire a fare qualcosa di buono,
se non nel mio lavoro, per cui… per cui stavolta voglio. E
poi» Odysseus abbassò
la voce «Io non so perché il Senato ha fatto
questo proprio a te, ma so che lo
fanno anche per motivi come aver disobbedito a uno dei loro ordini, per
aver
manifestato contro di loro, per il solo fatto di essere nati con
capacità strane
o semplicemente perché sì. E questa
cosa» abbassò ancora la voce «Fa schifo,
ok?!
Schifo!
Ecco».
Glitch
sollevò nuovamente lo sguardo su di lui, poi lo
riabbassò di nuovo altrettanto velocemente. «Cerca
di non farti sentire mai. Non
devi finire anche tu come me» fece una breve pausa di
silenzio «Se… se tu non
cambi idea e stasera torni, io… vengo con te. Sì.
Mi troverai qui sotto i
rifiuti. Grazie» disse «Grazie grazie grazie».
Odysseus si
sforzò di sorridere e annuì.
Non avrebbe
mai pensato di poter provare più pena di quanta
ne provasse per se stesso.
***
«Dobbiamo
muoverci in fretta e con cautela,
Glitch!...»
«M-ma
sono due cose oppost-»
«Persone!»
sibilò Odysseus nascondendo
se stesso e il suo
nuovo amico dietro un bidone.
Glitch aveva
sobbalzato, probabilmente lo faceva sempre
quando veniva toccato -l’aveva fatto anche quando Odysseus
gli aveva detto di
attaccarsi al suo braccio e lui, dopo avergli chiesto almeno cinque
volte se ne
fosse sicuro, gli aveva dato retta- ma quello non era il momento di
prestare
attenzione ai suoi traumi. Il tragitto dalla piccola discarica al
capanno era
breve, però gli sembrava lontanissimo, come sempre e
specialmente di sera.
“Devo
stare attento, stavolta se ci beccano non fanno male
solo a me. E lui ne ha già passate abbastanza”
pensò Odysseus, sporgendosi
leggermente da dietro il cassonetto una volta che il gruppetto di
persone li ebbe
superati. «Via libera».
Quando fecero
per rimettersi in marcia, tuttavia, Odysseus
sentì qualcuno strattonare via Glitch.
«Cosa
abbiamo qui?... Un senza-faccia?!»
Odysseus,
terrorizzato, si voltò a guardare il mech
sopraggiunto dietro di loro: non era tanto più grosso di
Glitch ma era
visibilmente più aggressivo e odorava di energon extra
forte.
«Non
farmi male!» esclamò il povero
disgraziato color
arancio, spaventato quanto e più di Odysseus «Ti
pre-»
Il rumore di
statiche che seguì il pugno dato a Glitch dal
tizio fece capire subito che il viso di questi era stato sicuramente
danneggiato. Stava succedendo precisamente quel che avevano cercato di
evitare,
e il tipo non sembrava aver voglia di fermarsi solo a un pugno in
faccia.
Odysseus a
quel punto fece una cosa decisamente rara per
lui, alias afferrare il coperchio del bidone e abbatterlo sulla testa
dell’ubriaco
con tutta la forza che aveva. Risultato: il tizio, che aveva a malapena
avvertito il colpo, gli diede un pugno allo stomaco abbastanza forte da
far
cedere le ginocchia e lo afferrò per il collo,
ciò dopo aver lasciato cadere
Glitch.
L’unica
consolazione era aver almeno tentato di fare
qualcosa, ma in quel momento, sinceramente, a Odysseus non sembrava
granché.
«Uno
di sfigato che ne difende un altro! Cosa cazzo
siete, una coppietta?! Una coppietta fatta da schifo che si sbatte
altro
schifo, EH?!»
Un altro pugno
allo stomaco.
Odysseus,
piuttosto abituato, stimò che in teoria si sarebbe
stufato dopo altri cinque o sei colpi: la sua esperienza suggeriva
quello,
almeno quando il picchiatore di turno era a quel livello di sbronza. Si
augurò
di non sbagliare.
Fu a quel
punto che il mech ubriaco lanciò un grido di puro
dolore e crollò sulle ginocchia appena prima di iniziare a
rantolare e rimettere
energon a tutto spiano. Nel rialzarsi velocemente, il jetformer
notò che tanto
le gambe quanto i fianchi stavano avendo una rapida serie di spasmi e
che i
piedi, nell’arco di millisecondi, non ne ebbero
più, restando immobili come
quelli di un transformer morto.
«La
mia testa…» si lamentò il
mech arancio, ancora a terra.
«Glitch!
Stai bene?!» esclamò Odysseus,
avvicinandosi all’altro
«Dobbiamo andare via, non so cos’è
successo ma non…»
«Sono
“successo” io. Non
camminerà mai più, se non morirà a
forza di vomitare… ma spero di no» disse Glitch,
con un tono ben diverso da
quello usato nella discarica «Sarebbe troppa grazia rispetto
a quello… che
merita… Odyssesus-» si strinse la testa tra le
mani dopo un altro lamento «P-potrei…
potrei svenire, fa male-»
«Non
puoi svenire, non ce la farei a portarti. Resisti un
altro po’, ok? Dobbiamo arrivare al capanno, ti aiuto a
rialzarti, va bene? Glitch!»
«Sì…
ci sono. Ce la faccio…
forse».
Abbandonata la
cautela in favore di un passo veloce per
quanto riuscivano ad andare, si rimisero in viaggio verso il capanno.
«Allora
è per quello che ti hanno fatto quel che
ti hanno
fatto… giusto? Quella cosa di prima, i-il tizio ridotto in
quel modo, tu…»
abbassò la voce «Sei un outlier,
vero?»
«Sì…
m-ma la cosa non mi ha mai aiutato
molto. La mia
abilità fa male… fa tanto
male…»
«Ho
capito. Grazie, Glitch».
«C-come?!...»
«Grazie»
ripeté Odysseus «Per
avermi aiutato anche se sapevi
che ti avrebbe fatto male».
«Tu…
tu hai fatto lo stesso prima. Hai cercato di
farlo
smettere e l-le hai prese per colpa mia, e non dovevi. N-non eri
tenuto. Io non
potevo… ho fatto quel che dovevo».
«Potevi
approfittarne per fuggire».
«Sono
spazzatura ma non sono spazzatura ingrata,
Odysseus».
«La
tua voce è molto più profonda
quando non sei spaventato
o non sei troppo teso… ci faccio caso solo ora»
commentò il jetformer, non
sapendo bene cos’altro dire.
Dopo un breve
borbottio, Glitch rimase in silenzio per il
resto del viaggio.
***
Entrati nel
capanno e acceso un lumicino aranciato, i due
mech si accasciarono a terra con un sospiro.
«Ho
cercato di mettere su una cuccetta improvvisata
lì. Ho lavato
tutto quindi è pulita» disse Odysseus, indicando
stancamente la cuccetta in
questione «E ho messo delle coperte in più, a
brevissimo le temperature si
abbasseranno parecchio, quindi ne avrai bisogno. Per il
bagno… in qualche modo
faremo pure. Sì, come alloggio fa abbastanza schifo ma
è sempre meglio che in
mezzo ai rifiuti, e qui non ti tocca nessuno».
«Hai
g-già fatto molto più di quel che
dovevi… anche perché
non “dovevi” proprio niente. Grazie. Grazie
grazie».
Il jetformer
sorrise. «Ringraziami quando riuscirò
a farti
curare».
«Ti
ripagherò. In un modo o nell’altro
lo farò, dovessi
impiegare tutta la vita per racimolare gli shanix in qualche
maniera» affermò
Glitch.
«Tranquillo»
disse Odysseus
«Non-»
Con la coda
dell’occhio intravide un’ombra
tentacolata alla
sua sinistra.
«AAAAAAAAAAH!»
strillò, facendo cadere svariati attrezzi
nell’allontanarsi, mentre Glitch -pur
non capendo il motivo- strillava a sua volta.
Finirono ad
attaccarsi uno all’altro, spaventati a morte per
l’ennesima volta in quella gionata, e Odysseus
strillò un’ultima volta… prima
di capire che ad averlo spaventato non era stata nient’altro
che la sua ombra,
mista a quella di uno degli oggetti del capanno, e che quindi i
tentacoli non
erano altro che i suoi capelli.
«Oh
ma perché cazzo
devo fare sempre così?!» sbuffò
Odysseus, sconfortato.
Strillò
nuovamente quando la porta del capanno si
aprì di
scatto, e a stento notò che Glitch era andato a rifugiarsi
dietro di lui.
«Non
so perché ti sia messo a strillare»
disse la voce
femminile di una femme della quale, nel buio del capanno, si vedevano
chiaramente solo le ottiche dorate e una massa di
“capelli” come quella di
Odysseus che si muoveva come se fosse stata fatta di razor snakes
«Ma se hai
portato qui un altro cybercane, ricordati che ti
avevo già detto-»
La femme,
notando che a fissarla non erano solo le ottiche
dorata e verde del fratello ma anche quella azzurra di
chissà chi, si
interruppe e accese la luce del capanno.
Odysseus
sentì Glitch tremare e stringere le dita attorno
alle sue braccia come se si fosse trovato davanti un mostro, ed
emettere suoni
inconsulti nel tentativo di articolare parole che non uscivano.
Scylla,
guardando i due mech sul pavimento, sollevò
leggermente un sopracciglio.
«Ad
aver immaginato che avresti iniziato ad accogliere mech
randagi, ti avrei lasciato continuare coi cybercani».
Allora…
non so bene cosa dire se non che, per quanto questa
fanfiction sia nata più che altro perché ho avuto
voglia di far incontrare
questi due poveri disgraziati, non altera assolutamente niente a
livello di
quel che ho già scritto di Damus/Glitch/Tarn
e del suo passato nel resto delle mie storie. Le spiegazioni su come
Glitch sia
finito in un tempo che decisamente NON è il suo verranno
più avanti, incluso il
perché Scylla non abbia riconosciuto Glitch in “A
light for the lost and the
meek” e perché Tarn non abbia idea del fatto che
Scylla abbia un fratello e una
sorella.
Se riesco ad
andare avanti, cosa che spero :’D
Grazie a chi
ha letto e alla prossima!
_Cthylla_
Qui, ecco
delle immagini di Odysseus, Scylla e Glitch. Charybdis si
vedrà
dopo. I disegni dei fratelli
sono miei, quello di Glitch viene dai fumetti.
Volevo mettere
direttamente le immagini, ma purtroppo non ci riesco xD
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