Ladro in legge

di _uccia_
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                                                                                                     ---------------VITTORIA-----------------

Era una mite mattina di Aprile a Brownsville. Il quartiere della immensa metropoli di New York.
La città è da sempre conosciuta per essere pullulante di passanti e taxi, sfavillante e meravigliosa da visitare almeno una volta nella propria vita, per quanto però non esente dai pericoli.
Brownsville nonostante gli affanni delle agenzie immobiliari per rivalutare il quartiere in luogo familiare, sicuro e idilliaco, si posizionava tra i più pericolosi e malfamati di New York. I suoi punteggi avevano subito una grossa impennata tra il 2009 e il 2010 per quanto riguardava crimini violenti e crimini relativi alle proprietà.
Questo tipo di guerriglia urbana svalutava e svuotava di clientela le piccole realtà commerciali che tentavano di dare un volto legale e sano all'intero sistema malato che amministrava la città.
Vittoria De Stefano stava in piedi sul marciapiede accuratamente ripulito da poco da mozziconi di sigarette e gomme da masticare. Le braccia conserte e la testa leggermente inclinata su un lato, mentre fissava il cartellone pubblicitario affisso sull'impalcatura del palazzo in ristrutturazione proprio davanti a lei dall'altro lato della strada.
"La comunità ha un grande potenziale, aiutaci a sostenerla!".
Belava la gigantografia cristallizzata di una ragazzetta bianca dal sorriso smagliante, affissa lassù in alto sopra al traffico, i clacson, gli starnuti, le urla e le imprecazioni delle 9 del mattino.
A Vittoria sfuggì un leggero sbuffo dalle narici mentre pensava a quanto potenziale potesse avere quel particolare quartiere nelle mani giuste.
Il futuro si prospettava in risalita per Brownsville, pian piano le nuove famiglie di gay e lesbiche insieme alle cattolicissime famiglie bianche eterosessuali si sarebbero piazzate vantaggiosamente in sempre più edifici e avrebbero facilitato l'avanzata del progresso a sfavore delle minoranze etniche considerate così nocive al buon costume.
Ma fino a quel momento... c'erano ancora così tanti piccoli negozi prossimi a chiudere le saracinesche per sempre a causa della microcriminalità, che a Vittoria tremavano le mani dalla voglia di buttarcisi addosso, come un lupo contro un agnello.
"Ed eco la mia colazione", sussurrò soddisfatta abbassando lo sguardo dal cartellone pubblicitario al negozietto da estetista piazzato proprio alla base del palazzo, seminascosto dalle impalcature dei lavori in corso.
La temperatura per il pomeriggio prometteva dei rassicuranti 22 gradi, ma per chi come Vittoria era in piedi dalle prime luci, non era saggio sfidare le gelide correnti d'aria del mattino senza un adeguato cappotto color miele.
Si rendeva conto di aver esagerato un pochino nell'acconciarsi i capelli in un alto e ben laccato chignon, nell'aver scelto la nuance rosso Chanel per il rossetto, nell'aver scelto una camiciola bianca  accostata a dei lunghi pantaloni a palazzo e aver concluso il look con eleganti tacchi alti a spillo.
Ma era così che doveva presentarsi se voleva darsi un tono. Della sua immagine ne aveva fatto un arma, sapeva benissimo cosa i suoi abiti griffati accostati al suo nome puramente italiano avrebbero suscitato sui piccoli titolari esercenti.
Era lì davanti al negozio di estetica in missione conclusiva. Dovevano andare così le cose, inutile affidarsi a intermediari quando si aveva a che fare con un ostinato proprietario così affezionato al suo monolocale del cazzo da rifiutare una vantaggiosa ciambella di salvataggio nel suo mare di debiti sottoforma di assegno a più zeri.
Gli affari erano cosa delicata e di affari non si parlava mai al telefono, Vittoria doveva presentarsi di persona e concludere lì la questione.
Non ci sarebbe stata una seconda offerta in denaro, non dopo aver scoperto che il suo primo assegno era stato strappato in due proprio sotto gli occhi del suo emissario legale mandato lì la settimana prima.
Un taxi giallo si ferma proprio davanti a lei e ne scendono due persone.
Il primo a mettere i piedi a terra è il consulente legale di Vittoria, nel suo cappotto grigio chiaro lungo fino alle ginocchia e con in mano una valigetta racchiudente la documentazione da controfirmare per il passaggio di proprietà.
La seconda a scendere è Carly, giunta direttamente dall'ufficio di Vittoria a Manhattan. E' una giovane ragazza di vent'anni, curata e ben disposta a prendersi carico di piccole faccende come quella di farsi il giro dei negozietti acquisiti da Vittoria a compiere il suo dovere per mezze giornate a stipendio pieno e senza fare domande.
Ragazza tranquilla Carly, troppo ingenua per capire fino in fondo cosa stia facendo ma affidabile.
"Buongiorno!" cinguetta la ragazzina.
"Spero di non averla fatta attendere molto, c'é stato un tamponamento sulla superstrada venendo quì". Si giustifica il legale in cappotto.
Vittoria scese dal marciapiede per apprestarsi ad attraversare le automobili in colonna senza perdere ulteriore tempo. Fissava dritto il suo obiettivo, come se avesse tutta l'intenzione di sfondare la vetrina del negozio con una testata.
"Avevo detto alle 9.00 e alle 9.00 siete arrivati", sbottò pratica. "Non perdiamo altro tempo, Mr. Williams. Per questo pomeriggio abbiamo appuntamento a Manhattan per quel nuovo ristorante italiano che mio padre vuole acquisire, a quanto pare il business della catena di ristorazione stà decollando e voglio aggiungere una nuova perla alla sua collezione".
Mr. Williams la seguiva a passo di carica. "Certamente, signorina". Si affaccendò a risponderle. "Ho tutta la documentazione in valigetta, finito quì possiamo andare anche subito".
La porta del salone "Essenza estetica" suonò con un lungo e fastidioso DIN-DON quando si aprì al loro ingresso.
Lo spazio era piccolo ma non angusto, il monolocale era stato diviso da separè in cartongesso per garantire la privacy a un gruppo di due o tre clienti per volta.
Tutto era stato dipinto e ornato da varie tonalità di viola e gelsomino.
Davvero rivoltante ma era chiaro che alla allampanata proprietaria piaceva, dato lo smalto alle unghie e il camice dello stesso colore.
Rimase interdetta dall'ingresso improvviso del gruppo, protetta dietro al bancone parve valutare per un scioccante istante di premere il pulsante di emergenza 911 posto sotto al piano in compensato.
"Buongiorno a tutti e buonanotte a tutti, potete anche fare ritorno da dove siete venuti. La mia risposta non è cambiata nel giro di quattro giorni!". Fu il seccante saluto della donnetta.
Vittoria le dedicò uno dei suoi più accondiscendenti sorrisi e si tolse gli occhiali da sole marcati Gucci. Se li girò tra le mani per un istante prima di partire all'attacco.
"Non sono quì per fare altre offerte, mi avete profondamente offesa nello strappare il mio assegno. Mr. Williams, quì presente, mi ha riferito lo spiacevole accaduto. Devo dire, signora mia, che siete stata davvero avventata".
La mandibola della signora parve contrarsi, ma in un atto di ammirevole determinazione non si lasciò andare all'emozione. "Mai minaccia fu così dolce, dato che chi a dirla è una donna così elegante e sorridente".
La risata di Vittoria squillò argentina riempiendo tutto il piccolo locale. "Voglio esserle amica e socia in affari. Lei signora mia potrà restare a comando di questa...", fece una pausa guardandosi attorno. "Questa bellissima nave che ormai va affondo e in cambio io la acquisisco sollevandola da ogni debito".
"Non voglio i soldi degli italiani!", sibilò la signora che ormai stava assumendo un colorito paurosamente simile al suo camice.
Vittoria non batté ciglio e continuò a fissarla dritto negli occhi, lanciandole una silenziosa sfida come nel famoso gioco per bambini. Chi batte le palpebre per primo, perde.
"Allora...sapete chi sono io?"
"Per favore signorina De Stefano, non mi insulti credendomi una sprovveduta. Non voglio i soldi degli italiani o russi o dei fottuti cinesi!".
Vittoria  si appoggiò al bancone, riducendo visibilmente lo spazio tra lei e la signora.
Doveva concederle che aveva fegato, non c'erano dubbi che si rendesse pienamente conto con chi aveva a che fare ma il suo orgoglio le imponeva di rischiare il tutto e per tutto.
Aveva una figlia a cui badare, a casa. In un squallido appartamento, in uno squallido palazzo di una trentina di unità.
Se la passava male la signora, non poteva più permettersi l'affitto e aveva cercato in tutti i modi di ritardare lo sfratto.
Questo Vittoria lo sapeva, come sapeva che la figlia della cara signora era gravemente malata. Di una malattia assai costosa, sopratutto per una donna che giusto l'anno prima aveva dovuto disdire l'assicurazione sanitaria.
Un'assicurazione che, comunque, copriva a malapena il dentista.
Vittoria sapeva l'indirizzo di casa della signora, sapeva a quanto ammontavano i suoi debiti, quando la figlia si era ammalata, quanto dovevano costare le sue cure. Sapeva persino quanti soldi aveva in banca, sapeva che il marito della donna se ne era andato molti anni prima e che non sborsava un soldo per il mantenimento della minorenne.
Vittoria sapeva tutto perché aveva fatto i compiti e si era presentata alla porta di "Essenza estetica" solo quando era pronta a farlo.
Non si sarebbe mai scomodata se c'era anche solo una possibilità di ricevere un no come risposta.
Con un volutamente lungo gesto, si infilò la mano nella tasca interna del cappotto e ne estrasse una brochure dai colori blu e azzurro. La distese sul bancone e aspettò che la signora ne esaminasse il contenuto prima di parlare.
In copertina c'era raffigurato un bel ospedale privato, di quelli che sembrano palazzi storici e con inferiate tanto alte all'ingresso da far togliere dalla mente delle persone comuni anche solo il pensiero di potersi curare proprio lì.
"Gran brutto affare la leucemia", miagolò Vittoria.
La signora riportò in fretta lo sguardo ostile su di lei. "Lei lo chiama affare?".
Vittoria tornò a sorridere. "Tutto è un affare, compreso quello che le propongo".
"Come fa a sapere di mia figlia?"
"So' ogni cosa e sono quì per darle aiuto. Come ho già detto non ci sarà un altro assegno, mi ha fatto ben capire che si lascerà morire di fame in strada piuttosto di accettare soldi da me".
Vittoria ora stava tamburellando le dita sul bancone mentre parlava. "Suppongo... che questo non valga per la dolce Lilly, dico bene?".
La signora fece un passo in dietro, gli occhi colmi di angoscia.
Si, Vittoria sapeva anche il nome della figlia.
"Dia una possibilità di vita a Lilly, accetti il mio aiuto. E' già tutto spesato, ogni cura necessaria a tenere con lei la bambina è già stata anticipata da me. La stanno aspettando signora, devo solo fare una telefonata e lei deve solo porre un paio di firme".
Vittoria schioccò le dita, Mr. Williams appoggiò la valigetta sul bancone e fece scattare con due colpi le chiusure. Preparò tutta la documentazione sul piano, ormai era fatta.
Lo sapeva Vittoria e lo sapeva anche la signora, che chiese:
"Resterò io la titolare del negozio?".
"Lei lo amministrerà, io ne avrò la proprietà. A lei spetteranno le entrate pattuite nel contratto di cessione"
"Perché?"
"Convenienza", Vittoria fece leggermente le spallucce. "Ora non ci prenda in giro, ha preso una decisione, firmi!".
"Se non dovessi farlo? Se dovessi invece aspettare offerte più vantaggiose da... qualcun'altro?".
Mr. Williams e Carly stavano a guardare il botta e risposta muovendo lo sguardo da una parte e l'altra del bancone come se stessero seguendo una partita di tennis. Non proferirono parola.
Vittoria prese la penna a sfera di Mr. Williams, premette il pulsante di apertura della punta con un CLICK e la porse alla signora con un gesto impaziente.
"Crede davvero che i russi saranno più clementi nella loro offerta? Faccia pure allora, dica pure di no alla 'Ndrangheta a favore dell'Organizacija. Vediamo che succede!".
Seguì qualche istante di imbarazzo, ma la firma alla fine fu scontata.
La signora stava apponendo giusto le ultime iniziali quando Vittoria diede disposizione sul da farsi:
"La signorina Carly, quì presente, verrà a farle visita il primo di ogni mese. Dovrà solo battere qualche scontrino e aggiungere qualche soldo in cassa, non si preoccupi signora. Non dovrà trattenersi allungo e le assicuro che sarà assolutamente discreta".

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Dieci minuti dopo, Vittoria e i suoi due accompagnatori erano già fuori sul marciapiede.
Carly si sbracciò per chiamare un taxi mentre Vittoria e Mr. Williams esaminavano l'agenda fitta di impegni.
Era così che Vittoria si guadagnava il suo posto all'interno della famiglia De Stefano, il suo era un compito delicato che richiedeva piccoli giochi d'astuzia e molta burocrazia.
In quel momento, in un magazzino della periferia di New York, stava marcendo dall'umidità e dall'incuria un ammasso di banconote equivalente a mezzo milione di dollari in piccolo taglio.
Il ricavato di qualche settimana di spaccio nei sobborghi criminali. Roba da poco, solo quello che poteva essere considerato un lavoretto per arrotondare, dato che i De Stefano non si occupavano di microcriminalità e non intendevano abbassarsi a tanto nemmeno in futuro.
Vittoria doveva assolutamente impedire che facessero la fine dei soldi chiusi e sepolti in bidoni di Pablo Escobar. Quelli, di Escobar, erano finiti per marcire del tutto e ridursi a carta straccia.
Il lavaggio del denaro era cosa da risolvere in maniera meticolosa, ma Vittoria sapeva che suo padre le aveva assegnato quel compito perché sapeva che non avrebbe combinato grani casini affiancata com'era sempre da legali, consulenti e finanzieri.
La teneva in disparte, suo padre. Lontana dai veri circoli dove si decideva seriamente del futuro politico ed economico malavitoso.
Vittoria sapeva gran poco di quel mondo, dove a quanto pareva si doveva essere uccello muniti per farne parte.
I pezzi grossi, la gente che contava. I Narcoboss, quelli sì che davano profitto.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per scoprire in che modo i De Stefano tenevano in scacco i loro rispettabili clienti internazionali. Ma era solo la bimbetta ventiseienne di papà.
Suo padre, il Boss. Come tutti all'interno della grande famiglia allargata lo chiamavano.
Il suo era un dominio che si manteneva saldo come una roccaforte a Boston, non a New York. Ma i suoi affari andavano ampliati e intendeva trarne guadagno anche dalla movida benestante newyorkese.
C'era un problema però e questo Vittoria lo sapeva. Se a Boston i padroni incontrastati si mantenevano da più di vent'anni gli italiani, a dare un morso alla Grande Mela c'erano anche la Yakuza e l'Organizacija"organizzazione" russa.
Il taxi chiamato da Carly interruppe la sequenza di incontri snocciolati da Mr Williams. Il trio si apprestò a salire quando nella tasca del soprabito di Vittoria, squillò il suo cellulare.
"Pronto, Papà!", salutò Vittoria al telefono con vivacità. Abbandonò la lingua inglese, finché parlava con lui non c'era motivo di coinvolgere pure i presenti americani in ciò che si dicevano.
Mantenere il parlato italiano era motivo di vanto per i De Stefano, una ostentazione e un continuo ricordare da dove provenivano.
Vittoria viveva in America da poco dopo la nascita ed era in grado i camuffare l'accento quando parlava inglese, suo padre se ne era assicurato pagando profumatamente insegnati e lezioni di dizione.
Ma quando parlava con papà o con qualsiasi altro membro degli uomini di suo padre... l'italiano era istituzionale.
"Ciao, bambina mia", la sua voce era profonda, roca dalle sigarette fumate a ripetizione e così famigliare.
Non vedeva papà da capodanno e cominciava a non poterne più di Manhattan.
"Pensavo di chiamarti stà sera, papà. Volevo aggiornarti sui nuovi acquisti di questi giorni e ho una sorpresa per te!". Sarebbe stato così felice nel scoprire che aveva ottenuto la proprietà di quel ristorante italiano in centro.
"Ho bisogno che ti prepari, bambina". Ora la voce di papà si era leggermente incrinata, Vittoria poteva percepire i movimenti dell'uomo al di là della cornetta. Poteva visualizzarlo nella sua mente mentre si alzava dalla poltrona dietro alla sua immensa scrivania in mogano e cominciava a camminare avanti e in dietro per l'ufficio.
"Devi tornare nel tuo appartamento e fare le valige, ho appena fatto partire un paio di ragazzi da quì. Contando il traffico, da Boston per arrivare da te ci metteranno circa sette ore e mezzo. Forse otto". Pareva preoccupato, sovrappensiero.
Vittoria si aggrappò al maniglione interno della portiera del taxi con una mano, la strinse forte.
"Cosa succede? I piani erano che sarei tornata a casa a Luglio, ho ancora molte cose da sbrigare quì. Lo sai, ti mando la mia agenda elettronica aggiornata ogni mese. Ho una scaletta da rispettare e ...".
"Mi manchi e voglio che torni a casa!"
Questa sì che era una novità, si ritrovò a pensare la ragazza. Suo padre non aveva mai dato peso a smancerie, c'era sempre qualche incontro da organizzare e qualche nottata da passare fuori.
Vittoria non era certo così al centro dei suoi pensieri da volerla a casa su due piedi perché gli mancava.
"Ma proprio oggi, all'improvviso? Potresti, per favore attendere fino a sera? Ho una cena di lavoro oggi e al massimo posso partire subito dopo".
La risposta di suo padre fu immediata e intransigente: "No! I ragazzi saranno sotto al tuo palazzo per circa le cinque di stasera. Dovrai essere pronta con valige in mano".
"Ma non si fermeranno durante il viaggio? Niente pause?".
"Arriveranno lì diretti!", taglio corto lui.
Vittoria cominciava a preoccuparsi, si era sempre mossa in autonomia a Manhattan. Il suo appartamento al quindicesimo piano era sorvegliato da alcuni uomini e sistemi di allarme, come lo era anche il suo ufficio. Ma era parere di tutti che non fosse il caso di attirare l'attenzione facendola affiancare h24 da guardie di sicurezza armate.
Non ce ne era bisogno e sarebbe stato troppo sospetto, tipo cartello appiccicato in fronte con su scritto "FIGLIA DEL BOSS!".
"Mi manchi anche tu, papà", sospirò alla fine stando al gioco. Non si parlava mai di affari al telefono e quello, per come stava prendendo provvedimenti la famiglia De Stefano, aveva tutta l'aria di essere un affare pericoloso.
"Farò il possibile per tornare presto da te".




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