Autolico,
con un sussulto, si alzò a sedere sul letto.
Rimase
immobile per alcuni istanti, le mani strette attorno al lenzuolo, il
corpo umido di sudore e il respiro affannoso. Di nuovo, era stato
tormentato dal ricordo della morte dei suoi genitori.
Vedeva
i loro corpi, straziati da ferite multiple, cadere sul pavimento con
un sinistro tonfo.
Sospirò
e si alzò dal letto. Ne era sicuro, non avrebbe riposato.
In
quel giorno, il suo cuore si sarebbe macerato nell'angoscia di una
memoria dolorosa.
Camminò
un poco attraverso la camera, poi aprì la porta e uscì.
In quel momento, aveva bisogno di sentire il freddo dell'aria sulla
pelle...
Se
fosse rimasto, ne era sicuro, sarebbe soffocato.
Percorse
circa cinquecento metri, poi si accasciò su un campo.
Ansimò
e strinse i pugni. No, non poteva piangere.
Il
suo Fato, pur straziante, era stato meno terribile rispetto a quello
dei suoi compagni.
Hercules,
malgrado il tempo passato, si colpevolizzava per la morte di sua
moglie e dei suoi figli.
Tideo
aveva visto la distruzione di Tebe e, a causa di una tale tragedia,
aveva perduto la parola.
Atalanta
era stata privata del suo regno e aveva visto la distruzione della
sua famiglia.
E
poi c'erano Iolao e Anfiarao...
Si
strinse la testa tra le mani e deboli brividi percorsero la sua
schiena, come scosse elettriche.
Rilasciò
un breve sospiro e lasciò spaziare lo sguardo.
Un
tappeto di papaveri invermigliava il campo e il vento sfiorava i
loro calici aperti, facendoli ondeggiare ora a destra, ora a sinistra.
In
lontananza, si scorgevano alberi di olivo e, ai piedi, fiorivano
arbusti di mirto,.
Autolico
sospirò. Il campo, in quel momento, era immerso nella quiete
della sera.
Il
suo orecchio, pur sviluppato, non riusciva a captare alcun rumore.
Tale
calma era ben lontana dal tumulto del suo animo e il contrasto era
per lui fonte d'angoscia.
Quando
avrebbe trovato la quiete del suo cuore?
Il
rumore di alcuni passi , ad un tratto, interruppe il corso dei suoi
pensieri.
Di
scatto, Autolico afferrò uno dei suoi coltelli, lo strinse tra
le dita e si girò.
I
suoi occhi neri, confusi, si fissarono nelle iridi cerulee di Tideo.
Perplesso,
il guerriero tebano sussultò e arretrò di due passi.
Accortosi
della sua espressione, Autolico abbassò il pugnale e imprecò
tra sé.
– Scusami,
ero sovrappensiero. – mormorò. Per poco, non aveva
ucciso un suo compagno e alleato.
Quanto
era stato stupido?
Tideo,
nonostante il suo passato, non voleva fargli del male.
Il
suo istinto, però, non riusciva a non avvertire un senso di
pericolo.
Tideo
lo scrutò, perplesso. Quasi non riusciva a riconoscere
Autolico.
Di
solito, alleggeriva le situazioni più pesanti con battute
sarcastiche e non perdeva mai il sorriso.
A
volte, invidiava la facoltà di Autolico di mantenere la calma
e di trovare il lato comico delle situazioni.
In
quel momento, gli pareva una persona differente
Un
breve ringhio risalì alla sua bocca. Non riusciva a parlare, a
causa dei ricordi della distruzione di Tebe, ma non aveva perduto le
sue facoltà mentali.
Capiva
la realtà e, malgrado la sua natura selvaggia, era pronto a
tutto pur di aiutare la sua famiglia.
Per
lui, erano suoi fratelli e non voleva vedere uno di loro soffrire,
come era accaduto a lui.
Hercules,
spesso, lo aveva abbracciato, per placare i suoi terrori notturni e il
contatto col suo corpo possente lo aveva calmato.
Forse,
poteva aiutare Autolico.
Allungò
la mano destra e la posò sulla spalla del ladro.
Dapprima,
il corpo di Autolico si irrigidì, come la lama d’una
spada, poi si rilassò. Le mani di Tideo, così
implacabili e precise in battaglia, erano dotate d’un tocco delicato.
Il
suo compagno , nel suo modo impacciato e timido, cercava di dargli il
conforto.
Chinò
la testa verso destra e un flebile singhiozzo sollevò il suo
petto. Era ingiusta una simile situazione.
Tideo,
che pure aveva patito una sofferenza dilaniante, si preoccupava per
lui.
Ma
non poteva piangere, perché era stato più fortunato dei
suoi compagni.
Le
sue lacrime erano un’offesa alle loro traversie.
Le
mani di Tideo , lievi, salirono sul viso di Autolico in una leggera
carezza. A volte, rimpiangeva la sua perduta capacità di
parlare.
Le
parole, spesso, creavano un ponte tra le persone.
Roteò
le dita e allontanò le lacrime, che minacciavano di rotolare
sulle guance del compagno. Non aveva le parole, ma aveva ancora i gesti.
Anzi,
spesso erano ben più solidi e concreti dei vuoti suoni emessi dalla bocca
umana.
D’istinto,
Tideo aprì le braccia e lo abbracciò.
Il
ladro, colto di sorpresa dal gesto del tebano, sussultò. Tideo
non parlava, eppure il suo gesto, così spontaneo, vibrava d’un
affetto sincero...
Gli
pareva di essere circondato da un cerchio di calore.
Con
un sospiro, si rilassò e abbandonò al tocco di Tideo.
Tra le sue braccia, era svanita qualsiasi fierezza.
Non
gli importava nulla della sua dignità.
Voleva
sentirsi protetto e non nascondere il suo volto dietro una pesante
maschera d’ironia.
E
quel calore donava sollievo e sicurezza al suo cuore tormentato.
Le
sue braccia si strinsero attorno alla schiena di Tideo, ricambiando
l’abbraccio, mentre lacrime di commozione sgorgarono dai suoi
occhi neri.
– Ti
ringrazio, amico mio. –
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