Solo se balli con me

di Imperfectworld01
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Venti.


Non riuscii a chiudere occhio tutta la notte. Avevo così tante cose per la mente che mi venne impossibile prendere sonno, tanto che a un certo punto decisi di rinunciarvi definitivamente.

Saranno state le quattro o cinque di notte quando presi la decisione di alzarmi dal letto e dirigermi in salotto.
Mi sedetti accovacciata sul divano, cingendomi le gambe con le braccia, incantata a fissare un punto indefinito davanti a me.

A un certo punto mi passai l'indice e il medio sulle labbra, facendo un giro completo della mia bocca due o tre volte.

Era stato davvero necessario? Insistere così tanto per baciare Filippo solo per togliermi un peso inutile con il quale in realtà avrei potuto benissimo convivere? C'erano cose ben più gravi nella vita, e non aver dato il primo bacio a quindici anni non rientrava fra quelle.

Non ne era nemmeno valsa la pena. Non solo era stato pure peggio di quanto mi sarei mai aspettata, ma in più avevo litigato con Vittorio per una sciocchezza del genere. E poi fra tutte le persone esistenti al mondo avevo baciato proprio quell'egocentrico di Filippo, il quale come minimo era già corso a spifferare tutto ai suoi amici per farsi acclamare come il re della serata.

Mentre mi torturavo ancora una volta con quei pensieri, sentii qualcosa di morbido che mi sfiorava. Mi voltai e vidi Giuseppe al mio fianco, che strusciava il suo muso contro il mio avambraccio.
Iniziai a fargli dei grattini sotto il mento, dato che sapevo che le coccole in quel punto particolare lo facevano impazzire, infatti poco dopo cominciò a vibrare e fare le fusa.

Per una volta, non mi dispiaceva la sua compagnia, tanto che lo presi in braccio e me lo posizionai sulle gambe.

Continuai a dargli carezze, mentre di tanto in tanto mi dava dei bacini a modo suo, leccandomi le dita e le mani.

Era strano. Sembrava quasi che sapesse del mio malumore e che avesse deciso di darmi conforto, ma forse era solo una mia suggestione.

Mi venne quasi da ridere a pensarci, stavo impazzendo, a tal punto da convincermi che un gatto potesse provare pietà e compassione verso di me e che volesse consolarmi. E risi, in un primo momento, però poi scoppiai a piangere a dirotto, senza riuscire a fermarmi né senza un reale motivo.

Giuseppe aveva un'aria stralunata e stizzita, sobbalzava a ogni mio singhiozzo. Poco dopo infatti decise di alzarsi dalle mie gambe e andarsene in cucina a sgranocchiare qualcosa.

Tirai su col naso un paio di volte e poi mi sdraiai sul divano, stendendomi su un fianco. Avevo la vista così annebbiata dal pianto da non riuscire più a tenere gli occhi aperti, pertanto li chiusi e, nel farlo, altre lacrime colarono sul mio viso.

*

Quando mi svegliai qualche ora dopo, ero piuttosto confusa e avvertivo un dolore lancinante alla testa.

Non avevo idea del perché mi trovassi in salotto e non sul mio letto, inoltre sentivo la pelle tirare e solo innumerevoli minuti dopo realizzai che era per via delle lacrime che si erano asciugate sul mio viso ore prima.

Dopo qualche secondo di ricognizione, mi alzai di scatto dal divano e mi diressi verso camera di Vittorio.

Stava ancora dormendo, ma non mi importava. Mi avviai verso la sua finestra e spalancai le tende, così da far entrare la luce nella sua stanza e svegliarlo.

Infatti lo sentii grugnire dopo poco e girarsi dall'altra parte del letto. Andai a sedermi sul materasso e cominciai a percuoterlo nel tentativo di svegliarlo.

Diversamente dalle altre volte, reagì in maniera più brusca del solito, rispondendo con una manata. Persi l'equilibrio e caddi all'indietro, atterrando col sedere sul pavimento.

«Ahia» mugugnai, senza però darmi per vinta. Dopo essermi massaggiata il fondoschiena, mi rialzai in piedi e feci il giro del letto, inginocchiandomi davanti al viso di Vittorio. «Vittorio, svegliati, dobbiamo parlare» lo scongiurai.

Aprì un occhio e poi l'altro, poi li roteò e si rigirò dall'altra parte del letto. «Io non... iente... dirti» brontolò, e lo interpretai come un: «Io non ho niente da dirti».

«D'accordo. Allora ascolta me.»

«Va a dà via el cu, Nina!» rispose, e sebbene non mi fosse chiaro il significato di quelle parole, ero piuttosto certa che fosse un insulto. «Va föra di pè, e lasciami dormire» aggiunse.

Stavo iniziando a spazientirmi. Non poteva decidere di avercela con me e non rivolgermi più la parola senza neanche ascoltarmi. «Sei davvero uno stronzo, lo sai? Volevo fare pace con te, ma onestamente adesso non mi interessa più. Arrangiati, e va a dà via el cu pure tu, cretino!» esclamai, prima di alzarmi e uscire dalla sua stanza, richiudendo la porta alle mie spalle con veemenza, come avevo imparato a fare da mia sorella.

Rimasi qualche istante fuori dalla sua stanza, con la schiena appoggiata alla porta e le braccia incrociate al petto, prima di sbuffare e riaprire la porta.

Vidi Vittorio in piedi, ancora un po' assonnato, intento a rifarsi il letto. «Ah, bene» dissi per attirare la sua attenzione, prima di battere le mani. «Vedo che ce l'hai fatta ad alzare il tuo culo di lì.»

Mi trucidò con lo sguardo ma io non avevo intenzione di demordere. Mossi dei passi verso di lui e lui fece lo stesso con me. «Esci da questa stanza, non ti voglio vedere né parlare» ordinò serissimo, afferrandomi per un braccio e preparandosi a sbattermi fuori.

«Ti comporti proprio come un bambino» lo rimproverai, fissandolo con gli occhi ridotti a due fessure e facendo il possibile per rimanere coi piedi incollati al pavimento.

«Già, con la differenza che so di esserlo e se non altro evito di atteggiarmi da primadonna come fai te.»

«È questo che pensi di me?» domandai, liberandomi dalla sua presa con uno strattone.

«Sì. E anche che sei un'ipocrita, una bugiarda e un'opportunista» rispose, rivolgendomi uno sguardo che mi gelò il sangue nelle vene.

Fra tutte le persone, lui era l'ultimo che pensavo fosse in grado di tirare fuori tutta quella cattiveria.

L'avevo ferito così tanto con quello che avevo fatto? Se poi non lo riguardava nemmeno... l'avevo fatto per me, senza pensare né a lui né a nessun altro. Non capivo perché la cosa l'avesse toccato così tanto sul personale.

Andai a sedermi sul bordo del letto. «E tutto questo solo perché ho baciato Filippo? Sì, è vero, è successo» ammisi, mentre lui mi fissava incredulo. «E prima di sparare sentenze su di me, forse dovresti stare a sentire i veri motivi per cui l'ho fatto.»

«Perché ti ha incantata come fa con tutte, è semplice.»

«Vittorio però devi lasciarmi parlare, perché mi stai davvero facendo innervosire!» sbraitai, rialzandomi in piedi e puntandogli il dito contro. «È colpa tua, lo sai? Se tu non avessi fatto quel discorso su Irene e sul perché ci avessi provato con lei mesi fa, io non... io non avrei cominciato a ossessionarmi così tanto, a sentirmi un pesce fuor d'acqua, a ritenermi indietro rispetto alle proprie coetanee... ho soltanto fatto il tuo stesso ragionamento, timorosa di fare una figuraccia in futuro con qualcuno che mi piace veramente... e mi sono rivolta a Filippo solo perché sapevo che avrebbe accettato senza troppe storie. Ma non me ne frega niente di lui, zero proprio, persino lui ne è consapevole, solo tu non sei in grado di rendertene conto.
E a essere sincera mi fa male sapere che pensi cose così brutte su di me, perché io di te penso che...»

Mi fermai prima di terminare la frase, perché avevo un groppo in gola, la voce tremolante e sentivo che stavo per mettermi a piangere. Abbassai lo sguardo sul pavimento, non riuscendo più a sostenere il suo sguardo duro e inquisitorio.

Non avevo mai pianto davanti a un'altra persona, tralasciando mia mamma e mia sorella, ma loro erano la mia famiglia, non le contavo nemmeno, e se mai mi era capitato di farlo con altre persone al di fuori di loro era stato per futili motivi come le crisi di pianto dovute al ciclo dei giorni precedenti.

Cercai di calmare il mio respiro e concludere il discorso, ora che avevo la sua completa attenzione.

«Di te penso che sei l'unica persona che mi conosca veramente. Quando ho lasciato Torino, non mi è dispiaciuto poi così tanto, perché la verità è che io... io non avevo amici lì. Alle elementari non era così, avevo tante persone che mi erano care, ma poi... poi fra una cosa e l'altra ho cominciato a chiudermi sempre di più in me stessa, sentivo di non potermi aprire con nessuno, mi tenevo tutto dentro, perché pensavo che... non lo so, che nessuno potesse capirmi o che a nessuno importasse di me. Perciò con le persone che conoscevo nel corso degli anni instauravo solo delle amicizie superficiali, non riuscivo a trovare nessuno con cui riuscissi a essere realmente me stessa, mostravo solo la parte di me che sapevo che a loro sarebbe andata bene. Ero la Nina sempre contenta, di buon umore, quella che non voleva mai creare scompiglio o avere problemi con la gente e che si faceva andare bene tutto, quella che non aveva mai una giornata no, la cui vita andava sempre a gonfie vele. E nessuno si accorgeva che non era davvero così, perché era come se fossi invisibile agli occhi degli altri, e forse in fondo a loro conveniva così. Pensa che ho iniziato a fumare solo perché lo facevano tutti e non volevo sentirmi esclusa, volevo che tutti avessero una buona opinione di me, che credessero che ero come tutti loro... l'unica cosa che ho guadagnato da ciò è stato quello di prendere il vizio e una probabile morte prematura per via di problemi respiratori nel caso non dovessi riuscire a smettere.
«Comunque, con te non c'è stato bisogno di fingere nulla, a te andavo bene così come sono, fin dal primo momento, il che mi sembrava incredibile perché so di non avere un carattere facile e che sopportarmi non è una passeggiata, e probabilmente stare in mia compagnia non è per nulla piacevole... ma tu fino ad adesso eri quasi riuscito a convincermi del contrario. E sei anche stato il solo a capire che dietro al mio atteggiamento che fa allontanare le persone, c'è la paura di farmi vedere per ciò che sono davvero. Ti ricordi? Me l'avevi detto la sera che Benedetta era scappata a Torino, quando ti avevo svegliato nel cuore della notte perché avevo bisogno di qualcuno. E tu c'eri, nonostante tutto ci sei sempre stato per me, da quando ti conosco. Sei il mio migliore amico, Vittorio. Ancor di più, sei il mio primo, vero amico.»

E alla fine avevo pianto. Avevo pianto tantissimo, mentre andavo avanti con il racconto della mia vita prima di conoscerlo. Avevo pianto davvero, davanti a lui, e se nemmeno quello avesse funzionato a farmi perdonare da lui, non sapevo cos'altro avrei potuto fare, perché ero stata me stessa al cento per cento, senza filtri e con tutte le mie debolezze e insicurezze.

Tirai su col naso e deglutii, una volta concluso il mio discorso.

Calò il silenzio. Probabilmente Vittorio non sapeva cosa dire, né si aspettava che tirassi fuori una roba del genere.

A un certo punto mi appoggiò le mani sulle spalle e piegò le ginocchia per giungere alla mia altezza. «Quindi... significa che un pochino mi vuoi bene?» chiese. Sollevai lo sguardo e lo puntai sul suo, pronta a demolirlo in due secondi, se davvero dopo tutte le mie parole quella era l'unica cosa che aveva da dire, ma poi lo vidi sorridere e sorrisi a mia volta, prima di tirargli una sberla scherzosa sul braccio. «Sei proprio un deficiente!» lo sgridai, poi mi asciugai le lacrime e risi.

«Scusami per quello che ho detto. Non avevo idea di... altrimenti non avrei mai detto quelle cose. È solo che mi sembrava troppo bello che, per una volta, ci fosse qualcuno che preferisse me a Filippo, e non lo venerasse come fosse una divinità, e poi ieri sera ti ho vista lì, con lui, e per l'ennesima volta mi sono sentito una nullità, come se fossi stato un mezzo per arrivare a lui... perché sì, è successo tante volte che una ragazza mi usasse solo per avvicinarsi a lui. Perdonami, per aver commesso l'errore di non accorgermi che tu non sei come le altre ragazze che ho conosciuto.»

Roteai gli occhi. «Smettila di dirlo. Mi dà fastidio. Non devi paragonarmi a nessun'altra ragazza e non devi equiparare le mie coetanee fra di loro, perché è davvero una cosa stupida.»

«Pensavo di farti un complimento» tentò di giustificarsi, non cogliendo il punto del mio discorso.

«Non lo è! È normale, siamo giovani e un po' superficiali, è logico che cerchiamo le stesse cose, che cerchiamo di omologarci fra noi, e non è per forza un male, cerchiamo un punto di riferimento, qualcosa che ci unisca... E poi, secondo il tuo discorso anche tu sei "come tutti gli altri", tutti i ragazzi che vanno dietro a Monica così come le ragazze fanno con Filippo.»

«È una cosa diversa, Monica è...»

Lo interruppi: «Sentiamo, perché ti piace davvero? Perché è bella? Perché si atteggia da civetta e agli occhi di tutti è irraggiungibile? Scommetto che se non fosse così gettonata e agli occhi di voi ragazzi non apparisse come un premio da contendersi, non ti piacerebbe nemmeno. Vorresti stare con lei perché sei innamorato oppure perché ti sentiresti appagato per l'essere riuscito ad avere la ragazza che tutti desiderano?»

Vittorio mi fissò con la fronte aggrottata, e non rispose subito. Si prese qualche secondo per pensare alle mie parole. «Magari entrambe le cose» rispose infine. «Ma so che non mi stancherei di lei dopo averla conquistata» aggiunse, eppure non mi sembrava poi così tanto convinto.

Annuii senza dire nulla e poi uscii dalla sua stanza. Stavo per richiudermi la porta alle spalle, quando sentii Vittorio chiamarmi: «Ehi, Nina». Mi voltai verso di lui, pronta ad ascoltarlo. «Ti voglio bene» disse e io sorrisi flebilmente.

*

Poche ore dopo la rappacificazione fra me e Vittorio, Benedetta occupò la nostra cameretta per parlare al telefono con Maurizio, Vittorio scese in cortile a giocare a calcetto con gli amici, mentre mia madre e Claudio andarono insieme a fare la spesa.

Considerando la poca compagnia di Benedetta, era come se ci fossi solo io in casa, pertanto avrei potuto prendermi del tempo per fare una cosa che avevo in mente da un po' di giorni.

Per l'appunto, quella sciocchezza del bacio non era l'unico pensiero che mi aveva torturata in quei giorni: ce n'era un altro un po' più serio e che mi portavo dietro anche da più tempo.

Mi avvicinai al mobile vicino all'ingresso e presi il libro delle Pagine Bianche. Era arrivato il mese precedente per posta ed era ancora ricoperto dell'involucro trasparente. Lo aprii e poi lo portai in cucina, sedendomi al tavolo e iniziando a sfogliare le pagine con frenesia.

Persi circa un quarto d'ora per trovare ciò che cercavo, ma alla fine ce la feci. Posai il dito sulla riga che mi interessava, dopodiché mi armai rapidamente di carta e penna e ricopiai numero di casa e indirizzo di Emanuele Colombo.

Mio padre.

Era da giorni, forse settimane, che non facevo che pensare al fatto che, dopo tutti quegli anni separati, mi ritrovavo finalmente nella stessa città di mio padre, e non avevo ancora avuto modo di rivederlo.

Sapevo di non poterlo chiedere a mia madre, perché non avrebbe capito o magari ci sarebbe rimasta male, perciò avevo dovuto ingegnarmi da sola. L'importante era che, in un modo o nell'altro, ce la facessi a rivederlo.
Era la cosa che desideravo di più in quel momento.

Dopo aver ricopiato sul foglio di carta le informazioni che necessitavo, chiusi il libro delle Pagine Bianche e lo rimisi al suo posto, prima di piegare in quattro il foglio e metterlo dentro il taschino del mio zaino di scuola.

 





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