[1] L'Occhio || PJO₁

di Josy_98
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Era una giornata come tutte le altre al Campo Mezzosangue: in un campetto una dozzina di satiri e di ragazzi giocavano a pallavolo, come quasi tutti i pomeriggi. Delle canoe scivolavano sulla superficie di un laghetto, mentre alcuni ragazzini, con indosso la caratteristica maglietta arancione del Campo, si rincorrevano intorno a un gruppo di capanne annidate nel bosco. Alcuni si esercitavano con l'arco in un poligono di tiro. Altri cavalcavano lungo un sentiero boscoso e alcuni dei cavalli avevano le ali.
Sul portico di quella che tutti chiamavano la Casa Grande, il quartier generale del Campo, due uomini sedevano l'uno di fronte all'altro a un tavolino da gioco. L'uomo rivolto verso l’esterno era piccolo ma grassoccio. Aveva il naso rosso, gli occhi grandi e lucidi e dei capelli riccioluti così neri da sembrare quasi blu. Somigliava a uno di quei dipinti di angeli bambini... com'è che si chiamano? Pupi? No, putti. Ecco. Somigliava a un putto di mezza età invecchiato in una roulotte e indossava una camicia hawaiana tigrata. L’altro, invece, era su una sedia a rotelle, indossava una giacca di tweed, i capelli castani erano un po' radi e la barba incolta; negli occhi aveva uno scintillio malizioso.
Si stavano sfidando a Pinnacolo, come ogni giorno, quando una vibrazione nell'aria li avvertì che qualcosa era successo. Ebbero appena il tempo di scambiarsi uno sguardo prima che, accanto a loro, apparissero tre vecchiette dall’aspetto decrepito interrompendoli e facendo spaventare i ragazzi nelle vicinanze. Avevano i volti pallidi e raggrinziti come bucce appassite, i capelli d'argento trattenuti da fazzolettoni bianchi e le braccia ossute che spuntavano da vestiti di cotone scoloriti. La vecchietta sulla destra e quella sulla sinistra avevano entrambe un paio di ferri da calza infilati nella cintura, con un calzino sferruzzato a metà a testa, mentre quella al centro teneva un fagottino tra le mani e un enorme cesto pieno di filo blu elettrico, da cui spuntava il manico di un grosso paio di forbici d’oro e d’argento a lama lunga, infilato su un braccio.
L’uomo con la camicia hawaiana fece sparire le carte e si alzò in piedi di scatto, sorpreso dalla loro comparsa come l’altro.
«Penso sia meglio andare dentro.» mormorò, perplesso e preoccupato, quello sulla sedia a rotelle indicando la porta d’ingresso della Casa Grande, e chiudendo il corteo che si accomodò nel salotto. «Temo di non capire perchè siate qui.» disse alle tre vecchiette scambiandosi uno sguardo con l’altro uomo, una volta che si furono sistemati.
La vecchietta di mezzo mostrò loro il fagottino che teneva in braccio, rivelando il volto di una neonata tranquillamente addormentata. «Deve essere protetta.»
«Non sarà una di quelli.» disse l’uomo con la camicia hawaiana infondendo una nota di disprezzo al pronome.
«È nostra sorella.» spiegò loro la vecchietta di destra, sorprendendoli.
«Come?» domandò sorpreso il secondo uomo.
«È figlia di Temi e personificazione della sua identità di Ananke, la dea del Destino, della Necessità Inalterabile e del Fato. In molti le danno la caccia già adesso, nonostante sia ancora in fasce, per i poteri che svilupperà.» continuò la sorella di sinistra.
«Cosa dice mio padre?» chiese l’uomo con la camicia hawaiana. «Sicuramente vorrà disintegrarla.»
«Zeus non può opporsi al Destino.» disse quella di mezzo. «Nessuno ha mai potuto farlo, nemmeno noi. Siamo le tessitrici del Fato degli uomini, ma non siamo mai state noi a deciderlo. Riportiamo solo i fatti.»
«Questa bambina, tuttavia, potrebbe cambiare le cose.» rivelò la sorella di destra. «Dipende tutto da lei.»
L’uomo in carrozzina sgranò gli occhi. «È lei, vero?» domandò loro. «È la bussola
Loro non dissero niente, ma fu già una risposta.
«E cosa dovremmo fare?» chiese l’altro, infastidito. «Crescerla qui?»
«Sì.» risposero le tre sorelle. «È una semidea, dopotutto. Dovete addestrarla.»
«Non abbiamo una casa per lei.» fece notare loro l’uomo in carrozzina.
«Può restare qui, nella Casa Grande. E se volesse abitare in una delle capanne, potrà farlo. La scelta sarà unicamente sua. Loro sono d’accordo.» disse la sorella di sinistra, sorprendendoli ancora una volta.
«Grandioso.» commentò, ironico, quello con la camicia hawaiana. «Un’altra marmocchia. Suppongo che mi dovrò adeguare. Come si chiama la bestiolina?»
«Avalon.» dissero le tre sorelle mentre quella di mezzo gli porgeva la bambina. «Avalon Elise.» Lui la prese riluttante e loro sparirono. In quel momento la piccola aprì gli occhi, fissando il volto dell’uomo.
«Beh, Avalon Elise.» disse lui alla piccola, osservandola. «Io sono Dioniso, e guai a te se mi darai fastidio.» concluse puntandole contro un dito, minaccioso.
Di tutta risposta lei alzò una manina, stringendola attorno al dito con una presa ferrea, e sorrise al dio.

 
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«Chirone! Chirone!» una bambina particolarmente agitata corse verso il centauro, interrompendo la lezione di tiro con l'arco. Aveva occhi neri e lunghi capelli completamente bianchi, come a simboleggiare il suo legame con la Bilancia, tenuti raccolti da un paio di ferri da calza in bronzo celeste, regalo di tre sue sorelle. «Devo raccontarti una cosa, è importante!» la bambina si fermò ansimando davanti al centauro, che la osservava curioso e un po’ preoccupato.
Chirone fece cenno ai ragazzi di lasciarli soli, poi si rivolse alla bambina abbassandosi alla sua altezza. «Dimmi, Avalon, che cos’hai Visto?»
Lei era molto nervosa, si tormentava la maglietta del campo che le faceva da vestito, ma la sua voce era chiara quando rispose. «Succederà qualcosa di terribile e devo impedirlo.» e gli raccontò tutto.
Da quel momento niente fu più lo stesso.




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