Prigioniera n. 280

Mi rannicchio ancora una volta dietro il paravento, che mi hanno concesso di tenere, seppur con malagrazia, per potermi sfilare l’unico abito che mi sia rimasto. È nero, stinto, liso in più punti. Ma lo rassetto e lo ripiego con cura sullo schienale della sedia sghemba.

Rimango, tremante dal freddo, in maniche di camicia.

Cerco di fare in fretta, rimanendo sempre il più possibile nascosta dal paravento. Quel poco di orgoglio e di amor proprio che mi si concede ancora di avere non deve essere offeso dagli sguardi lubrici dei miei carcerieri, che non fanno altro che spiarmi e ridacchiare tra loro.

Da domani, sarò solo una cosa.

Ma, almeno fino a stasera, mi appartengo ancora, e il mio pudore si ribella allo sfregio di sguardi insolenti.

Sono stanca… Tanto.

Ho smesso di lottare.

L’ultima volta, accadde quando mi strapparono dalle braccia il mio chou d’amour, il mio piccolo Louis Charles.

Neppure al processo ho lottato. Mi sono difesa, nella mia assoluta solitudine. Ho osato attaccare i miei aguzzini solo quando mi sono state rivolte accuse abominevoli… riguardo a me e al mio povero bambino... “Mi appello alle madri qui presenti!” ho urlato, col poco fiato che ancora mi resta.

Osservo il sangue che mi macchia le mani… potrebbero pure risparmiarmela, la Louison, a ben pensarci. La mia natura femminile è malata, da un po’ di tempo a questa parte. Sanguino spesso, mi sento spossata... non credo che vivrei a lungo, se anche non arrivasse domani.

Domani…

Ecco, domani tornerò ad essere Antonia.

Finalmente.

Non più la Puttana, l’Autrichienne, Madame Déficit, la Vedova Capeto, la Prigioniera n. 280.

Solo Antonia…

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