La persistenza della memoria
La
persistenza della memoria
Salvador Dalì
E'
una verità universalmente riconosciuta che il tempo sia
galantuomo. Ma, io vi chiedo, cari lettori, quante verità
universalmente riconosciute sono realmente tali?
Né
Michael né Sebastian credevano a quest'assurdità:
il tempo non era stato per niente galantuomo con loro.
Il
primo si era ritrovato cieco, solo, isolato dal mondo; il secondo
versava nel medesimo stato di solitudine, con la differenza che almeno
lui aveva assaggiato un po' di gioia prima. E chi dice che questo fosse
un bene? Toccare il cielo con un dito e poi ritrovarvi senza, con il
tempo che scorre inesorabile e voi lì, che ancora non
realizzate
di stare per assistere alla vostra disfatta.
Il
tempo non era galantuomo, no. Non quella mattina.
Sebastian
non riusciva proprio ad alzarsi: avrebbe voluto chiamare
l'amico per annullare la solita visita alla mostra d'arte, ma non
poteva. Non poteva deluderlo, ci sarebbe rimasto male. Avrebbe fatto
affidamento sul suo vecchio amico bastone per camminare.
Le
mattine di Settembre erano le più brutte per i suoi
acciacchi alle ginocchia: stava invecchiando.
Per
un attimo gli passò un ricordo per la mente, risultato del
preciso istante in cui aveva posato gli occhi sulla foto della sua
famiglia, sul comodino.
La
teneva lì, e la guardava prima di andare a dormire. E in
questo modo ingannava il tempo, che per un po' si congelava, a partire
da quel ricordo.
C'erano
sua moglie e sua figlia in quel ritratto formato 10x15, che
risaliva a giusto vent' anni prima. Erano in vacanza in Italia, in una
località chiamata Roccaraso. Si stringevano forte, per
entrare
nell'obbiettivo della fotocamera, e sui loro volti faceva da
protagonista un acceso color rosso dovuto al freddo, per il particolare
periodo dell'anno in cui avevano deciso di partire.
Sua
figlia, Judith, gli aveva parlato di quel posto almeno un migliaio di
volte prima che lui ce la portasse per davvero.
E
magicamente, con uno schiocco di dita, erano passati quei vent'anni:
Judith si era laureata, sposata e trasferita a Boston; sua moglie
Roxanne aveva seguito un lungo percorso di guarigione dal cancro, ma
alla fine aveva ceduto anche lei. E allora Sebastian si era ritrovato
da solo.
"Ah, come
sei patetico, vecchio mio. Rassegnati: tutti stanno bene, tranne te."
*****
Michael
aspettava, seduto su
quella vecchia panchina davanti casa sua: l'unico punto di riferimento
che avesse veramente memorizzato, a parte la casa della vicina.
Sebastian
era un po' in ritardo, cosa alquanto strana per uno come lui:
così attento all'orario.
E
già, non si poteva dire che Sebastian non ci tenesse al suo
tempo. A detta sua, il tempo che trascorrevano alle mostre d'arte era
tempo di qualità, arricchito ancora di più dalla
compagnia di un amico cieco.
Ci
aveva tenuto a specificare che il suo amico fosse cieco, chi sa per
quale motivo. Michael aveva provato a immaginarseli tutti i motivi, ma
proprio non giungeva a conclusioni. Ed era indeciso sull'aprire o no la
questione: magari Sebastian avrebbe potuto offendersi in qualche modo.
O era lui che avrebbe potuto offendersi?
Sarebbero
andati a vedere la mostra di Dalì, un pittore moderno
rispetto a quelli che avevano analizzato fin
lì. E, a dirla tutta, un po' di modernità non gli
dispiaceva per niente: tutto sapeva di vecchio, ormai; anche se lui
cercava di mantenersi in forma, non riusciva a non avvertire sul suo
corpo l'avanzata frenetica della vecchiaia.
Come
ci era arrivato lì? A quel punto, cieco, stanco e senza
speranza: come ci era arrivato così in fretta?
La
sua mente gli ricordava tutti i giorni quel maledetto momento in cui
aveva perso tutto quanto: la vista, la sua famiglia e la
felicità. Aveva solo cinque anni, per cui fu affidato ai
suoi
zii fin quando non divenne autonomo e decise di andare via di casa.
Quel
giorno di certo non si aspettava di sopravvivere all'incidente,
eppure era sopravvissuto. O meglio, il suo corpo era sopravvissuto.
Diventando grande aveva realizzato che ormai era soltanto un involucro
con un piccolo nucleo all'interno.
Poi
si ridestò dai suoi pensieri, accorgendosi della presenza di
Sebastian che si era seduto accanto a lui.
-Buongiorno
amico mio. Come stai oggi?-
*****
La mostra di Dalì era una
delle preferite di Sebastian: ci andava ogni volta che poteva
acquistare il biglietto ridotto, vale a dire, almeno una volta al mese.
Avrebbe fatto a Michael l'analisi di un dipinto a cui teneva molto.
-Bene, eccoci arrivati. Conosco questo posto come le mie tasche e ti
informo che siamo davanti a "La
persistenza della memoria".-
Michael lo incitò a continuare, sorridendogli.
-Realizzato nel 1931, è un dipinto molto particolare e devi
assolutamente sapere i dettagli di
quest'opera. Pensa che fu realizzata in sole due ore, da un
Dalì
con l'emicrania, solo a casa, che osservava la sua cena e rifletteva
sul tempo.-
-La sua cena?-
-Sì,
mio caro. Dalì si era fissato sull'
"ipermollezza" del formaggio Camembert. Lo aveva osservato fino a farlo
scomparire, in modo che rimanesse soltanto il ricordo della
sua
consistenza.-
-E
poi?-
-Poi
stava per spegnere la luce, quando ebbe l'illuminazione. Guardando
quel formaggio, aveva riflettuto sulla relatività del tempo.
Esso non può scorrere ugualmente per tutti gli esseri del
pianeta, bensì l'intensità attraverso la quale il
tempo si esprimerà, sarà diversa a seconda dei
momenti
che vivremo. Non si può quantificare un attimo, un'emozione
contenuta in esso: possiamo quantificare attraverso i calcoli soltanto
la meccanica nascosta dietro un istante. Possiamo calcolare i suoi
minuti, le sue ore, i suoi secondi. Ma, sarai d'accordo con me quando
dico che spesso un'ora non sembra un'ora, e un minuto non sembra un
minuto.-
Non
c'era niente su cui riflettere nelle parole di Sebastian: era vero.
E, da un po' di tempo, a Michael i giorni sembravano passare
lentissimi, al punto che avrebbe detto di star vivendo a furia di anni,
ogni mattina.
Forse
per Sebastian era la stessa cosa.
-E
cosa raffigura questo quadro?-
-Esso
ritrae degli oggetti spigolosi, su uno sfondo desertico
identificato come Port Lligat: un ramo d'ulivo spoglio, un
parallelepipedo e un plinto blu; al di sopra degli oggetti troviamo
degli orologi con forme particolari: sembra che si stiano sciogliendo.-
-E
scommetto che per questa parte Dalì abbia preso ispirazione
dal formaggio.-
Ridevano.
Poco, ma ridevano. E quanto avevano bisogno di ridere...
-Vedi,
Mike, lo sfondo e gli oggetti rappresentano la vita, ovvero
tutto ciò che viene investito e trasformato dal tempo, il
quale
si appoggia sopra di essi e modifica il suo avanzare tante volte quanti
sono i momenti significativi della vita di un essere umano.-
-O
di un animale.-
-O
di un animale, sì. Vedo che comprendi la visione totale del
creato che Dalì aveva. Ma c'è un particolare in
più, in quest'opera.- fece una pausa, servendosi di un
sospiro
-C'è un orologio, uno solo, che è solido. Su di
esso
delle formiche brulicanti. Sapresti interpretare questo elemento?-
Mike
ci rifletté un attimo su, ma parve capire le intenzioni del
pittore. (Chi avrebbe potuto dirlo, se fosse stato davvero
così?)
-Forse
Dalì intendeva rappresentare il tempo che passa
diversamente per ognuno di noi. Per le formiche ogni minuto
è
prezioso, dato che la loro vita dura soltanto pochi mesi.-
-Centro,
amico mio, bravo.-
Era
così contento quando riusciva a farsi comprendere senza
parlare. Quasi come se fosse lui il creatore di quell'opera.
-Ma
c'è anche un'altra cosa che devi sapere: nel dipinto, in
modo totalmente estraneo al resto degli elementi, è presente
un
occhio chiuso, con lunghe ciglia.-
-Un
occhio?-
-Sì,
un occhio. Esso potrebbe rappresentare il sogno creato
dall'inconscio di Dalì, non lo sappiamo con precisione.
Ricorda
che era pur sempre un surrealista.-
Michael
storse il naso.
-Mmh.
Potevi anche evitarla quest'ultima parte, le cose lasciate a
metà non mi soddisfano.-
-E
che cosa volevi? Pretendi davvero di poter leggere tutto dall'animo di
una persona?-
Restarono
in silenzio per un po'.
Ma
stavolta non era il silenzio che riempiva i vuoti, no: era un silenzio
che li creava.
Per
la prima volta da quando si conoscevano, Mike aveva capito quanto
fosse amara la metafora che Sebastian aveva imbastito per spiegare la
sua vita. E il compito di analizzare quella figura retorica spettava a
lui, che ormai era suo amico.
-Sai,
Michael, stamattina non sarei venuto. Ero stanco, triste e acciaccato.-
-E
cosa ti ha fatto cambiare idea?-
Sebastian
prese un respiro profondo: gli occorreva del coraggio per
aprirsi con le persone. E più vicine gli erano,
più
faticava a fidarsi.
-Gli
anni passano per me come per te, vecchio mio. Abbiamo entrambi
un'età ormai e sarebbe stato un peccato sprecare questo
tempo
nel mio letto, a leggere un libro poco interessante, riflettendo magari
sul senso di colpa per averti lasciato solo.-
Michael
aveva compreso. Ma aveva bisogno di uno sforzo in più da
parte dell'uomo di fronte a lui, se voleva analizzare quelle metafore.
Quindi
fece il finto tonto.
-Ma
io non ho tristezza a star solo, Sebastian, non dovresti portelo come
problema.-
Forse
aveva tirato troppo la corda. O forse no.
Fatto
sta, che per la prima volta ricevette in risposta un abbraccio.
Una
stretta sincera, non troppo avvolgente, ma coinvolgente; era
riuscito a ricavare qualcosa da tutta quella fatica: Sebastian aveva
finalmente abbandonato quel linguaggio criptico fatto di parole, che
imprigionavano qualsiasi emozione meritevole di essere espressa.
Sebastian
aveva utilizzato un linguaggio comprensibile anche, soprattutto a un
uomo cieco. Al suo amico.
-Non
rimpiango nulla di questa mattinata insieme a te; ho preso la scelta
giusta. Mi ha fatto bene all'animo.-
Si
staccarono dall'abbraccio, ma ormai era fatta. Si erano evoluti
entrambi: come uomini e come emozioni.
Salve a tutti!
Ci tenevo a pubblicarvi questo estratto dell'opera Vita Segreta, in cui
il pittore racconta in pochi dettagli essenziali il perché
di
questo meraviglioso quadro.
A me ha colpito molto, quindi ve lo riporto.
«E
il giorno in cui decisi di dipingere orologi, li dipinsi molli. Accadde
una sera che mi sentivo stanco e avevo un leggero mal di testa, il che
mi succede alquanto raramente. Volevamo andare al cinema con alcuni
amici e invece, all'ultimo momento, io decisi di rimanere a casa. Gala,
però, uscì ugualmente mentre io pensavo di andare
subito
a letto. A completamento della cena avevamo mangiato un camembert molto
forte e, dopo che tutti se ne furono andati, io rimasi a lungo seduto a
tavola, a meditare sul problema filosofico dell'ipermollezza posto da
quel formaggio. Mi alzai, andai nel mio atelier, com'è mia
abitudine, accesi la luce per gettare un ultimo sguardo sul dipinto cui
stavo lavorando. Il quadro rappresentava una veduta di Port Lligat; gli
scogli giacevano in una luce alborea, trasparente, malinconica e, in
primo piano, si vedeva un ulivo dai rami tagliati e privi di foglie.
Sapevo che l’atmosfera che mi era riuscito di creare in quel
dipinto doveva servire come sfondo a un’idea, ma non sapevo
ancora minimamente quale sarebbe stata. Stavo già per
spegnere
la luce, quando d’un tratto, vidi la soluzione. Vidi due
orologi
molli uno dei quali pendeva miserevolmente dal ramo
dell’ulivo.
Nonostante il mal di testa fosse ora tanto intenso da tormentarmi,
preparai febbrilmente la tavolozza e mi misi al lavoro. Quando, due ore
dopo, Gala tornò dal cinema, il quadro, che sarebbe
diventato
uno dei più famosi, era terminato»
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