Put your lips on me_2
Titolo:
Put your lips on me (and I can live underwater)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long
Fiction
Capitolo due: 3026
parole fiumidiparole
Personaggi: Damian Wayne,
Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Lois Lane, Clark Kent, Tim Drake,
Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Vari ed eventuali
Rating:
Giallo
Genere: Generale,
Slice of life, Fluff, Smut, Light Angst
Avvertimenti: Mermaid!AU,
Accenni slash, Hurt/Comfort
SUPER
SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.
Jon
sbadigliò sonoramente e si stiracchiò sulla sedia
su cui
era accomodato, stropicciandosi gli occhi prima di gettare uno sguardo
verso il proprio letto, dove Damian stava riposando. Aveva ancora le
palpebre abbassate e respirava pesantemente, simbolo che la febbre non
si era ancora abbassata.
Erano passati appena due giorni ed era
stato tutto
così... assurdo. Nessuno dei due si sarebbe mai aspettato
che le
cose finissero in quel modo, eppure eccoli lì, a casa sua.
Quando si era reso conto della piega che stavano prendendo le cose, non
aveva esitato ad afferrare il cellulare per chiamare suo padre e
spiegargli per filo e per segno dove si trovasse e che cosa fosse
successo - omettendo ovviamente la parte in cui Damian era un tritone e
limitandosi semplicemente a dire di aver trovato un ragazzo svenuto
sulla spiaggia -, così che lui stesso potesse aiutarlo con
Damian. Nell'attesa, però, mentre teneva stretto a
sé
l'amico febbricitante per farlo stare al caldo, l'oceano davanti a loro
aveva cominciato a ribollire e Jon per poco non aveva gridato quando
due luminosi occhi azzurri lo avevano scrutato nella mezza
oscurità.
Col cuore in gola, Jon ci aveva messo un
secondo di
troppo per rendersi conto che il volto che era emerso dalle acque era
quello di Dick. E lo aveva visto cambiare espressione così
tante
volte, nell'arco di una manciata di secondi, che aveva faticato non
poco a spiegargli la situazione e a dirgli che Damian, nonostante ci
avesse provato, non era riuscito a farsi spuntare nuovamente la coda e
alla fine aveva deciso di portarlo a casa sua per tenerlo al caldo ed
evitare che la sua febbre peggiorasse. Dick lo aveva fissato a lungo,
facendo scorrere lo sguardo dal suo volto alle gambe nude di Damian che
spuntavano sotto la felpa, e Jon era stato certo, nonostante la
parziale oscurità, di aver visto le labbra di Dick ridursi
ad
una linea sottile, proprio come le sue palpebre.
Dick se n'era andato dicendogli che ci
avrebbe
pensato lui stesso ad avvertire Bruce e che lui avrebbe fatto meglio a
comunicare loro le condizioni di Damian giorno dopo giorno, ma, prima
di sparire fra le onde, gli aveva consegnato una conchiglia dalla forma
ovale con la quale avrebbero potuto parlare, anche se in un primo
momento Jon aveva creduto che lo stesse prendendo in giro.
Però,
quando Dick gli aveva bonariamente detto che se non voleva credere a
lui poteva parlare direttamente con Bruce, Jon alla fine aveva
accettato quella conchiglia con la promessa che si sarebbe preso cura
di Damian finché non fossero riusciti a trovare una
soluzione
per le sue attuali condizioni.
Suo padre l'aveva raggiunto nello stesso
istante in
cui la coda azzurra di Dick era sparita sotto la superficie dell'acqua,
e non aveva perso tempo: fissando le corde che usava solitamente per le
sue arrampicate, si era calato nell'insenatura e aveva avvolto Damian
in una coperta e se l'era issato lui stesso in braccio, indicando a Jon
una delle funi col gancio di sicurezza; quando erano risaliti e avevano
preso posto nel furgone, suo padre aveva cominciato a tempestarlo di
domande, dal perché si fosse spinto fin laggiù a
come
aveva trovato quel ragazzo, e Jon aveva risposto a tozzi e bocconi,
restando sempre piuttosto sul vago. L'interrogatorio era stato ripreso
da sua madre, per quanto si fosse occupata nel frattempo delle
condizioni di Damian, sempre più febbricitante.
Adesso, con addosso un pigiama troppo
grande e
imbottito di medicine, Damian se ne stava rannicchiato sotto il piumone
sotto lo sguardo mesto di Jon. Si sentiva come se tutta quella
situazione fosse stata colpa sua. Se non si fosse distratto, se non
avesse cominciato a pensare a Damian durante la salita, forse... scosse
il capo, poggiando i gomiti sulle cosce per abbandonare la testa fra le
mani. Damian sarebbe davvero riuscito a tornare normale? Per quanto Jon
si fosse trovato egoisticamente a pensare che in quel modo sarebbe
stato più facile confessargli i suoi sentimenti... non
l'avrebbe
mai fatto a discapito della sua felicità. Damian aveva una
famiglia da cui tornare, un intero mondo che faceva parte di lui... e,
per quanto Jon avrebbe voluto dirgli tutto, non poteva dargli
l'ennesimo peso né tenerlo con sé, soprattutto
quando non
aveva idea di cosa provasse Damian.
«J-Jon...?»
Trasalendo, Jon sollevò di
scatto la testa e
puntò lo sguardo sul volto di Damian, le cui palpebre aperte
a
mezz'asta stavano mostrando in parte i suoi occhi verdi. Era ancora
febbricitante e le sue guance erano rosse e accaldate, ma il respiro
aveva cominciato a tornare in parte regolare.
«Ehi». La voce di
Jon uscì
tremula mentre si sporgeva verso il letto. «Come ti
senti?»
Damian si prese un momento, tossendo
prima di
leccarsi le labbra. «...come se mi avesse masticato uno
squalo», ammise, e Jon si lasciò scappare una
risatina.
«Ne hai anche
l'aspetto».
«Mhnr. Non sei
divertente».
Chiuse gli occhi, salvo poi riaprirli di
nuovo di
scatto prima di raddrizzare immediatamente la schiena; il capogiro che
lo colpì, però, lo costrinse a cadere ancora una
volta
all'indietro, per di più con una raffica di colpi di tosse
che
lo fecero piegare di lato e sollevare le gambe con un gemito doloroso.
Allora le aveva davvero, non era stato un sogno. Sentì Jon
massaggiargli delicatamente la schiena per aiutarlo a calmarsi e ammise
a se stesso di aver apprezzato il gesto, sentendo poco a poco quella
tosse calmarsi e lasciarlo in pace. Cosa gli stava succedendo? E
dov'era? Provò a chiedere spiegazioni, ma la voce non
uscì, avvertendo solo un orribile subbuglio nel suo stomaco.
«Ti ho... portato a casa
mia». Jon
rispose come se gli avesse letto nel pensiero, e sollevò
giusto
una palpebra per vedere il modo in cui si stava massaggiando un
braccio. «Stavi male, non potevo lasciarti lì da
solo
senza essere certo che ti... sai...» abbassò la
voce, come
per timore che qualcuno potesse sentirlo «...ti spuntasse di
nuovo la coda».
«Casa tua?»
ripeté Damian,
cercando di fare mente locale. Aveva vaghi ricordi di quello che era
successo, ma ciò che gli era rimasto impresso era il modo in
cui
si era gettato verso la riva per salvare Jon. Poi le gambe, il corpo
accaldato, il dolore... perché i muscoli di quei nuovi arti
gli
facevano così male? Non aveva mai letto niente del genere
nei
libri che... la consapevolezza lo colpì come uno schiaffo in
pieno viso, e guardò Jon in stato confusionale.
«Che
giorno è?»
«La tua famiglia sa che sei
con me»,
disse subito Jon, leggendo fra le righe di quella domanda. E, nel
vedere l'aria stranita di Damian, si affrettò a continuare.
«Quando sei svenuto... ho chiamato mio padre».
Frenò
subito ogni replica nel vederlo pronto ad aprire la bocca,
ricordandogli che stava male e che urlargli contro avrebbe solo
peggiorato le sue condizioni, oltre a richiamare i suoi genitori.
«Nell'attesa, è arrivato Dick. Mi ha consegnato
questo». Jon frugò fra le tasche della tuta,
porgendogli
il piccolo dispositivo a forma di conchiglia che gli era stato
affidato. «Mi ha chiesto di informarli delle tue condizioni
tutti
i giorni. Oggi è il secondo».
Damian l'aveva osservato per tutto il
tempo in cui
aveva parlato, e un po' si era tranquillizzato. Era passato poco tempo,
bene. Ma restava sempre lo stesso inconveniente di quelle due
protuberanze che aveva al posto della coda. «Non sanno nulla
riguardo a quelle?» chiese nell'accennare alle proprie gambe,
e
Jon scosse la testa.
«Troveranno qualcosa. Ne sono
sicuro»,
provò a rincuorarlo, avendo notato l'espressione mesta che
si
era dipinta sul volto di Damian. Voleva tornare a casa. Ma come avrebbe
potuto biasimarlo? «Ora cerca di stare tranquillo. La mamma
ha
detto che avevi la febbre molto alta quando ti abbiamo portato
qui».
Anche se incerto, Damian si
limitò a fare un
breve cenno col capo. Era... strano respirare aria e starsene sotto
quelle coperte, e soprattutto ancor più strano era il
pensiero
che quello fosse il letto di Jon. Sentì le guance bruciare,
ma
diede la colpa alla febbre e voltò la testa verso la
finestra,
sentendo la pioggia che picchiettava contro i vetri. Non si era accorto
che stava piovendo, e si concentrò a tal punto su quel suono
che
quasi sussultò quando sentì la mano di Jon sulla
sua
fronte, tornando a guardarlo con fare interrogativo.
Jon sorrise imbarazzato e si
massaggiò il
collo con l'altra mano, giustificandosi col fatto che volesse solo
controllare che non scottasse troppo, e Damian lo lasciò
fare,
abbassando le palpebre quando una piacevole pezza bagnata
cominciò a rinfrescargli la fronte. Bollente com'era, gli
sembrava davvero una bellissima sensazione.
Non si accorse nemmeno di essersi
addormentato di
nuovo, svegliandosi con un colpo di tosse e il piacevole profumo di
cibo. Non aveva idea di che cosa fosse, di certo non erano le alghe e
gli altri piccoli animali acquatici che preparava solitamente
Pennyworth, ma l'odore era invitante e, quando aprì del
tutto
gli occhi, vide la figura longilinea di una donna dai lunghi capelli
scuri che aveva appena posato una gran ciotola sul comodino; per un
attimo ebbe uno strano dejavù ma, prima che potesse capire
il
perché, tossì e richiamò l'attenzione
della donna.
«Scusa, ti ho
svegliato?» Aveva una
bella voce. Autoritaria ma, al tempo stesso, dolce e comprensiva. In un
modo un po' bizzarro gli ricordava Selina, la compagna di suo padre.
Damian scosse immediatamente il capo.
«No», gracchiò, cercando di mettersi
almeno a
sedere; ma la donna lo frenò nel poggiargli delicatamente
una
mano su una spalla.
«Non sforzarti», gli
disse in tono
cordiale. «Jon era davvero preoccupato quando ti ha portato
qui.
Hai bisogno di riposo». Gli scostò qualche ciocca
di
capelli che gli si era incollata al viso, e per un attimo Damian
sussultò, temendo che potesse notare le sue orecchie a
punta; la
donna, però, lesse quel fare come diffidenza verso una
persona
sconosciuta, così sorrise rassicurante. «Oh,
scusami.
Dimenticavo. Sono Lois».
Tossendo, Damian nascose il naso
arrossato al di
sotto delle coperte, osservando la donna con cipiglio.
«Damian», si presentò in tono rauco,
facendola
ridacchiare.
«Piacere di conoscerti,
Damian». Si
voltò verso il comodino, ma solo per sollevare il coperchio
della ciotola; si sprigionò un profumo ancor più
invitante, e Lois gettò uno sguardo verso il volto curioso
del
giovane. «Ti ho portato un po' di brodo di pollo. Hai bisogno
di
rimetterti in forze, ma non sforzarti se non riesci a mangiarlo tutto,
d'accordo?»
In un altro momento, Damian avrebbe
probabilmente
risposto col suo solito tono sprezzante, così da far capire
alla
donna che non era più un avannotto ormai da molto tempo e
che
era abbastanza adulto da poter fecondare delle uova, ma nel guardarla
in quegli occhi scuri, ogni cattiveria gli morì sulle labbra
ancor prima di formarsi. Quella Lois non lo conosceva minimamente,
eppure lo stava trattando con una gentilezza tale che, fino a quel
momento, oltre a Jon gli era stata riservata solo dai membri della sua
famiglia e consorti.
Incerto su che cosa dirle, alla fine
mormorò
un «Grazie» strascicato che parve essere
abbastanza,
giacché la donna sorrise e lo lasciò riposare,
invitandolo a chiamarla se mai avesse avuto bisogno di qualcosa. Quando
uscì, Damian fece spuntare nuovamente il naso fuori dalle
coperte, cercando di mettersi a sedere con attenzione; le gambe gli
formicolavano come non mai e sentiva quelle ossa nuove di zecca
scricchiolare ad ogni movimento, persino il suo ginocchio destro fece
uno strano suono quando lo piegò.
Aggrottò la fronte e
abbassò lo
sguardo, studiando il proprio corpo tra un colpo di tosse e l'altro.
Attento a muoversi con circospezione, sollevò la gamba
destra
per distenderla davanti a sé, arricciando le dita dei piedi
e
inclinando un po' il capo contro la spalla mentre si osservava; era...
strano e in parte doloroso muovere le sue articolazioni, ma stava
cominciando a farci l'abitudine. E lanciò uno sguardo verso
il
comodino, arrischiandosi ad allungare un braccio per afferrare quella
ciotola. Lois l'aveva chiamato brodo di pollo, mhn...? Prese quel
cucchiaio - se ben ricordava, si chiamava proprio cucchiaio - e lo
affondò nel brodo, rigirandolo prima di arricciare un po' il
naso e azzardarsi a prendere una cucchiaiata per portarsela alla bocca;
le sue papille gustative apprezzarono e quel sapore gli
inondò
il palato, facendogli allargare un po' gli occhi. Qualunque cosa fosse
quel pollo, il brodo era davvero buono.
Mangiò lentamente, gustandosi
quel pasto per
quanto non fosse riuscito comunque a finire tutto il brodo,
infilandosi ben presto nuovamente sotto le coperte per godersi quel
calore. Da quando aveva lasciato il mare non riusciva a scaldarsi come
avrebbe dovuto, e non sapeva se reputare la cosa alla sua condizione
attuale o al fatto che, come gli era stato detto, sembrava essersi
ammalato. Fu chiedendosi che fine avesse fatto Jon che
abbassò
di nuovo le palpebre e si addormentò senza nemmeno
rendersene
conto, ignaro che quest'ultimo fosse andato fino in città
per
far comprare anche le sue medicine.
Jon era difatti appena uscito dal
droghiere dopo
aver preso tutto ciò che sua madre aveva segnato sulla
lista,
sollevando lo sguardo verso il cielo cupo. Da quando lui e Damian
avevano lasciato l'insenatura, il tempo stesso sembrava essere contro
di loro, sempre pronto a riversare vere e proprie secchiate d'acqua
sulla città; sapeva che era una coincidenza -
perché era
una coincidenza, giusto? -, eppure una vocina continuava a ripetergli
che qualcosa, da quando Damian aveva scoperto di poter possedere quelle
gambe, non quadrava.
Scosse la testa per scacciare quegli
stupidi
pensieri, affrettandosi su per la strada che lo avrebbe riportato a
casa. Non voleva essere colto all'improvviso dalla pioggia e
inzupparsi, quindi darsi una mossa gli sembrava la cosa migliore da
fare; se avesse potuto, avrebbe preso il furgone di suo padre e avrebbe
fatto sicuramente prima, ma suo padre era a lavoro e avevano solo quel
loro amorevole catorcio per spostarsi, dunque avrebbe dovuto
accontentarsi dei suoi piedi allenati.
«Jonathan».
Nel sentire alle sue spalle quel tono di
voce
così aspro, Jon per poco non si lasciò sfuggire
la busta
che stava sorreggendo. Si voltò con attenzione, rimanendo
basito
nel sollevare il capo e incontrare quello che si rivelò
essere
lo sguardo serio di Bruce; boccheggiando, provò a dire
qualcosa,
per quanto non riuscisse a spiccicare nemmeno una parola. Non sapeva
che cosa lo avesse lasciato più stranito, il fatto che fosse
davvero alto - non quanto suo padre, ma quasi - o il vederlo
lì,
sulla terra ferma, per di più in città come un...
normale
essere umano.
«Bruce?» disse
incerto, e fu a quel
punto che Jon fece immediatamente scorrere lo sguardo sulla sua figura,
dall'ampio petto nascosto dalla camicia che indossava alle gambe
fasciate da un pantalone nero che le faceva apparire ancora
più
lunghe di quanto non fossero. Sbatté le palpebre
più e
più volte, a dir poco incredulo. «Che
significa?»
«Dov'è
Damian?» domandò
invece Bruce senza rispondergli, e Jon, per la prima volta in quegli
ultimi sei anni, sentì montare una rabbia sorda nei
confronti
del tritone che aveva davanti.
«Tu lo sapevi?» Lo
sguardo di Jon si
indurì, ignorandolo a sua volta mentre stringeva lungo il
fianco
il pugno della mano libera. «Sapevi che Damian sarebbe potuto
salire in superficie... e non gliel'hai mai detto?»
Avevano passato sei anni a seguire le
condizioni di
Bruce, a stare attenti proprio per evitare che Damian potesse essere
visto e tenerlo in quel modo lontano dai pericoli... quando sarebbe
potuto passare per un comune essere umano, godersi la luce del sole e
camminare per le strade della città esattamente come stava
facendo l'uomo che aveva davanti?
Si squadrarono entrambi per attimi che
parvero
interminabili. Nessuno dei due proferì un'altra parola, per
quanto in quel momento ce ne sarebbe stato decisamente bisogno. Rigido
e con la schiena dritta, Bruce aveva abbassato il capo per fissare Jon
dritto negli occhi, ricambiando quel suo sguardo serio. Poi, contro
ogni altra aspettativa, trasse un lungo respiro.
«Era per il suo bene,
Jonathan».
Jon si sentì andare su tutte
le furie,
conficcandosi le unghie nel palmo della mano. «Cosa,
esattamente?
Tenerglielo nascosto? Aspettare che lo scoprisse da solo per caso e
rischiare che potesse morire?» chiese, stupendo persino se
stesso
al tono sprezzante con cui pronunciò quelle parole. I suoi
genitori gli avevano insegnato ad essere educato, certo... ma, in quel
momento, si sentiva solo ribollire per il modo in cui Bruce aveva
mentito ad entrambi per tutti quegli anni.
«Non discuterò di
questo, Jonathan. Non qui».
«Se ti porto da Damian... ci
spiegherai tutto?»
Quel quesito fu pronunciato
così in fretta
che Bruce quasi rimase spiazzato da tutta quella sfacciataggine. Era
abituato ai modi di fare dei suoi figli - Jason era il primo a
contraddirlo non appena ne aveva l'occasione -, ma... non se lo sarebbe
aspettato da un comune ragazzo come Jonathan.
Bruce sollevò il mento,
facendo scorrere lo
sguardo sulla sua figura: per quanto riuscisse a fiutare in lui un
pizzico di referenziale timore, il giovane umano non aveva mosso un
singolo passo, confrontandosi con lui senza avere intenzione di tirarsi
indietro. A ben vedere, apprezzava in parte quel suo mantenere la sua
posizione. «Abbiamo un accordo»,
acconsentì infine.
La sua priorità, in quel momento, era suo figlio.
Non del tutto convinto, Jon
guardò dapprima
il suo volto per scrutarlo con attenzione, poi il più
piccolo
movimento del suo corpo, allungando infine una mano verso di lui; vide
Bruce esitare un momento, un sopracciglio inarcato come se non capisse,
e poi quella grossa mano afferrò la sua, stringendola con
forza
ma senza esagerare. Fu solo a quel punto che il giovane parve ritenersi
soddisfatto - Damian gli aveva detto quanto valesse la parola data per
i tritoni e, non possedendo una pinna caudale, una stretta di mano era
ciò che più si avvicinava agli usi e costumi
della loro
razza -, facendo un breve cenno col capo prima di dargli le spalle e
avviarsi.
Quel ritorno a casa sarebbe stato un po'
strano.
_Note inconcludenti dell'autrice
Inizio
col ringraziare Shun di
Andromeda, alex_love
e Liberty89
per aver letto, commentato e apprezzato il primo capitolo.
Mi sono resa conto che, per mancanza di tag come su Ao3, non ho
spiegato che questa è una No Powers AU, quindi i
protagonisti
non hanno niente a che fare col mondo dei supereroi ordinari presenti
nell'universo DC. Il modo in cui chiama suo padre è spiegato
in
questo capitolo ma, avendoli scritti tutti insieme di getto
(letteralmente, Shun può confermare), per me era scontato
che
usasse un cellulare. Chiedo venia per non averlo effettivamente
accennato prima e aver fatto avere un attimino di confusione
più
che giustificato aha
Non potevano ovviamente mancare i fratelli protettivi, il solito Bruce
e soprattutto... Damian che fa sclerare male il povero Jonno innamorato
mentre cerca di toccare tutto senza nemmeno rendersi conto di cosa
possa implicare per gli umani. Dopotutto perché dovrebbe
preoccuparsene, se non ha mai avuto problemi con i suoi organi
riproduttivi e la nudità? Povero Jonno raggio di sole :D
Commenti
e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥
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Farai felici milioni di
scrittori.
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