Battleground - Cronache del Multiverso

di evil 65
(/viewuser.php?uid=669446)

Disclaimer: questo testo è proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Eccoci di nuovo!
Con questo capitolo si chiuderà definitivamente l'arco Trenzalore. Senza perdere tempo in convenevoli, vi auguriamo una buona lettura!



Capitolo 31 - La Battaglia di Trenzalore: Parte 3

128053035-376957856727843-1931253844418038376-n

In the dark
I can feel you in my sleep
In your arms I feel you breathe into me
Forever hold this heart that I will give to you
Forever I will live for you…”
Skillet – Awake And Alive


Un altro colpo li mancò per un soffio e all’interno del Falcon scoppiò il panico.
Il Dottore premette un tasto sulla parete prima ancora che i suoi compagni potessero urlargli qualcosa. Con suo grande sollievo, il comando rispose all’istante e i motori a propulsione esplosero alle loro spalle in un turbinio di fuoco e fiamme. Mentre schizzavano spediti della vastità dello spazzo, Rowlet per poco non si schiantò addosso a Ruby.
Il Dottore si buttò subito sul sedile del pilota ed esaminò gli strumenti, facendo scattare diversi interruttori. Con vigore appena ritrovato, volse lo sguardo in direzione della Cacciatrice.
<< Vai alla posizione di tiro! >> ordinò con voce imperiosa.
Senza perdere tempo, la mietitrice scese nella torretta e si assicurò al posto di tiro con la cintura. Il sedile rispose la peso ruotando a sinistra e Ruby si affrettò a impugnare i comandi.
I sistemi intuitivi gli permisero di prendere rapidamente il controllo completo dei movimenti della torretta.
Nel mentre, il Dottore compì una brusca deviazione, e i suoi occhi incontrarono brevemente quelli rosso sangue del loro inseguitore.
Tirò un respiro profondo e premette il comando.
<< Ce la posso fare, ce la posso fare… >>
Lottando con la console del Falcon, il Signore del Tempo riuscì a richiamare la nave appena in tempo per evitare un altro colpo di energia e la diresse verso una cintura di asteroidi. Starscream si lanciò subito all’inseguimento.
Mentre Rowlet cercava di rimanere in equilibrio, il Dottore puntò verso il basso, sollevato che la nave stesse prendendo velocità.
Ruby prese un respiro profondo, sapendo il sistema di comunicazione consentisse un minimo di dialogo a bordo.
<< Dobbiamo stare bassi! È la nostra unica possibilità! >> disse << Prova a seminarlo tra le meteore! >>
Il Signore del Tempo non se lo fece ripetere due volte e cominciò a zigzagare tra i detriti spaziali con grande maestria.
<< Dottore, Rowlet non pensa che sia una buona idea>> bubulò impaurito.
L’alieno roteò gli occhi. << Se può farti sentire meglio, nemmeno io. Reggiti! >>
<< A cosa… >>
L’avvertimento del Dottore giunse troppo tardi. Con una serie di bubulii sorpresi, il barbagianni ruzzolò verso il soffitto mentre la nave roteava su se stessa.
Tendendo le dita al massimo, l’uomo riuscì a stento a raggiungere i comandi degli scudi e li attivò. Nel far ciò, tolse lunghissime ciocche giallo-brune e ruvide che trovò impigliate nella console.
Sollevato, si raddrizzò nel sedile del pilota, riprese in mano i comandi e stabilizzò la nave.
<< Mi abbasso di quota! >> esclamò alla giovane mietitrice.
Diresse la nave verso la superficie di un grosso asteroide e poi la richiamò all’ultimo momento.
Il loro inseguitore imitò la loro manovra in maniera quasi perfetta e sparò una raffica di colpi. Se gli scudi della nave in fuga non fossero stati attivi, quell’attacco li avrebbe sicuramente abbattuti.
<< Dottore, si avvicina da babordoooo! >> lo avvertì Rowlet, ancora steso a terra.
Una forte esplosione sconquassò la nave e il Signore del Tempo riuscì a evitare per un soffio un monolito di arenaria che gli si parò davanti.
Deglutì e gridò a squarciagola: << Che stai facendo lì dietro? Aspetti che i nostri cadaveri siano sparpagliati per tutto il pianeta? Rispondi al fuoco! >>
<< Devo prima averlo a tiro! >> ribatté Ruby, indignata.
All’interno del corridoio cilindrico, Rowlet emetteva bubolii e fischiettii all’impazzata che erano l'equivalente di vivide imprecazioni, mentre ruzzolava su per le pareti, lungo il soffitto, ovunque tranne dove voleva essere.
<< Rowlet, modera il linguaggio >> ordinò il Dottore, senza voltarsi.
In quel preciso istante, i sistemi d’arma della nave agganciarono il bersaglio. Ruby fece ruotare la torretta e aprì il fuoco contro di lui.
Un’altra esplosione fece sobbalzare la nave. La Neo-Cacciatrice sapeva che se non fosse stato per gli scudi, sarebbero già stati fatti a pezzi. Strinse le mascelle e continuò a sparare.
Starsvcream precedeva all’inseguimento, quasi sprezzante dei loro sforzi per difendersi.
<< Troviamo un riparo! >> gridò senza smettere di sparare. << Presto! >>
<< Tranquilla, ci siamo! >>
In fatto di manovre e combattimento spaziale al di fuori di un TARDIS, il Dottore conosceva poco più della teoria. Aveva molta più esperienza in materia di difesa personale… ma era una vero esperto per quanto riguardava i suoli planetari.
Rasentando la superficie di un altro asteroide, si alzò e sfrecciò sopra le rocce. Sfiorò un picco così vicino che ne staccò un pezzo.
Riluttante a perdere terreno per guadagnare quota e attaccare dall’alto, Starscream continuò a tallonarli.
“Manca poco”, pensò il Dottore, stringendo forte i comandi. “Basta tenerlo a distanza ancora per un po’.

Si inclinò bruscamente, abbassandosi così tanto da scavare un solco nell’asteroide. Uno dei cannoni a bordo attraversò la traiettoria del cybertroniano e colpì per caso un punto momentaneamente cieco.
Una parte della struttura di volo si disintegrò all’istante, lasciandosi dietro una scia di rottami, mentre il robot tentava di tenerlo sotto controllo.
Ruby lanciò un grido di trionfo, senza lasciare i comandi di tiro.
<< Bel colpo! >> si complimentò il Dottore, ma non potevano ancora cantare vittoria.
Con un ringhio infastidito, Starscream riprese il suo equilibrio e sparò una coppia di missili dalle mani.

                                                                                                          * * * 

Dopo il violento colpo ricevuto, Thor si alzò da terra reggendosi su un ginocchio. Lo scontro con Grougaloragran lo aveva lasciato stanco, ma non certo senza forza.
Come vide il volto dell'assalitore, il suo sguardo si fece incredibilmente sorpreso per poi divenire furibondo. Ricordava bene quel giorno… quando il Maestro e i suoi seguaci avevano assaltato casa sua, uccidendo quanti più asgardiani possibile, tra cui suo padre.
<< Megatron... >>
Ringhiò il suo nome, e questo bastò a generare il fragoroso rimbombo di un tuono, sinonimo della sua rinomata collera.
Il tiranno di Cybertron arricciò le mandibole metalliche a imitazione di un sorriso grottesco, così simile a quello di un volto umano... ma decisamente più sinistro.
<< Sono passati molti anni, figlio di Odino >> disse con la sua voce bassa e graffiante << Temevo ti fossi dimenticato di me. >>
Si portò una mano dietro la schiena e sguainò la stessa spada che aveva troncato la vita di innumerevoli Aesir. 
<< La mia alabarda gronda ancora del sangue del tuo popolo... e freme dalla voglia di concludere il nostro scontro. >>
<< E allora sarai accontentato!>> esclamò il Tonante con un grido di battaglia, per poi lanciare Mjolnir contro lo stomaco dell’avversario.
La potenza di quel colpo fu abbastanza da far indietreggiare il cybertroniano, che affondò la spada nel terreno per mantenersi in equilibrio. Fatto questo, sollevò i suoi occhi dardeggianti e incontrò quelli blu elettrico dell’Asgardiano.
<< Il tuo maglio non ti salverà >> ringhiò attraverso i denti << Non questa volta! >>
Sollevò il cannone del braccio destro… ed ecco che un secondo proiettile di luce viola investì il dio del tuono, spedendolo contro una colonna. L’enorme monumento in marmo venne completamente distrutto dallo schianto e le macerie crollarono sul corpo dell’Ase.
Questi sollevò i detriti con facilità, lo sguardo fisso nelle ottiche rosso sangue del Mech.
<< Se pensi che io possa cavarmela solo con la mia fidata arma, significa che nella tua stoltezza mi hai sottovalutato. Un grave errore, sovrano dei Decepticon... molto grave... >>
E come emise un sospiro, un potente fulmine saettò dal cielo nero e si abbattè con prepotenza sul gladiatore.
Megatron ruggì di dolore nel momento in cui la corrente elettrica cominciò a penetrare nelle sue membra. Se fosse stato una normale macchina, un simile colpo sarebbe stato sufficiente per friggere i suoi sistemi interni e spegnerlo sul posto. Ma il sovrano di Cybertron... era tutto fuorché una normale macchina. Era una creatura viva, il risultato di milioni di anni di evoluzione che avevano partorito l'organismo biomeccanico perfetto.
I filamenti neurologici che formavano il suo endoscheletro cominciarono a convertire il fulmine in piena energia, caricando le armi del Mech. I suoi occhi rosso sangue s'illuminarono di un'intensa luce scarlatta, a cui seguì il ruggito di una bestia bramosa di sangue.
Subito dopo, i cannoni posti sulla schiena sua schiena puntarono dritti verso Thor e cominciarono a sparare a raffica.
Il tonante ben sapeva di non essere sufficientemente in forze per evitare quei colpi… e così si portò le braccia davanti per bloccarne quanti più possibile. Subì quella raffica a bruciapelo! E nonostante il suo corpo fosse ricoperto dei tagli e dei graffi inferti da Grougaloragran, riuscì a rimanere in piedi.
Ma anche gli dèi avevano una soglia di sopportazione, per quanto elevata. Alla fine, perfino il dio del tuono si ritrovò costretto a piegare le ginocchia per evitare che gli si spezzassero. Ansimava copiosamente e alzò il suo sguardo furibondo verso Megatron, penetrandolo con i suoi occhi azzurri.
Questi gli si avvicinò con la spada sguainata, strusciandola minacciosamente contro il suolo pieno di cenere. Al contempo, il suo sorriso si fece man mano più sadico.
<< Quanta rabbia vedo nel tuo sguardo, figlio di Odino. Ma per chi, mi chiedo? >> domandò beffardo << Per me, che ho sbudellato la tua gente come se fossero maiali? Per il Maestro, che ha ordinato l'attacco? O forse per te stesso... perché non sei stato capace di proteggerli!? >>
Scattò in avanti e investì il Tonante con un possente colpo di lama, scaraventandolo a diversi metri di distanza.
Thor si rialzò lentamente, facendo appello alle poche forze che gli erano rimaste.
<< Io provo rabbia, possente titano... molta rabbia, è vero. Rabbia per il Maestro, che ha reso infelici molte persone… rabbia per me stesso, che non sono stato presente per il mio popolo... e rabbia per te, che hai ucciso la mia gente senza pietà  >> ringhiò tra i respiri << Ed è proprio perché provo tutta questa rabbia che tu... >>
Allungò un braccio.
<< ... la proverai sul tuo metallo! >>
Mjolnir gli fu di nuovo in mano. E con le forze rimanenti, Thor ne sbatté l'incudine sul terreno, generando una tempesta di fulmini.
Megatron sorrise di rimando e caricò i suoi cannoni all'unisono. Dalle loro bocche fuoriuscirono un totale di tre raggi luminosi che andarono a scontrarsi con l'attacco del Tonante.
L'esplosione risultante fu abbastanza potente da inclinare il terreno sottostante, mentre lampi di energia e saette cominciarono a propagarsi dal punto d'incontro dei due attacchi. La gravità stessa sembrò perdere di significato, mentre detriti e massi rimbalzavano verso il cielo come bianche fumate, accompagnati dal ruggito del tuono e dalle fiamme della battaglia. E poi... tutto cessò, mentre un lampo di luce devastante oscurava la vista di entrambi gli avversari.
Thor cercò di localizzare il suo avversario in mezzo alla polvere. Sicuramente era riuscito ad abbatterlo, no?
La risposta a quella domanda non tardò a farsi sentire. Un pugno metallico lo colpì alle spalle con forza sufficiente da atterrarlo. Il guerriero cadde al suolo, e il suo viso venne premuto contro la nuda roccia dal grande piede del colosso.
<< Questo è il destino che attende tutti coloro che osano sfidare il mio comando >> sogghignò Megatron << Ed è ciò che merita un vigliacco della tua risma, figlio di Odino. >>
<< Parli a me di vigliaccheria, cybertroniano... >> ribatté l’altro, a fatica << ma non sono io quello che sta attaccando un avversario spossato! La tua finta superiorità morale è disgustosa. >>
Il cybertroniano ridacchiò in apparente divertimento. << Eppure, a differenza tua, sono sempre stato capace di fare tutto ciò che era necessario per garantire la sopravvivenza del mio popolo. Perfino... uccidere colui che consideravo come un fratello. >>
Chiuse gli occhi al ricordo dell'attimo in cui aveva trafitto la scintilla di Optimus Prime, causandone la morte.
Per innumerevoli cicli stellari aveva sognato il giorno in cui sarebbe finalmente stato in grado di stroncare la resistenza Autobot. Ma dopo le esultazioni iniziali e la soddisfazione di aver vinto la guerra... solo il vuoto aveva accompagnato gli anni successivi del signore di Cybertron.
Sul volto del Mech balenò per un attimo un cipiglio esitante, ma fu presto sostituito da un ghigno crudele.
<< Dimmi, quanti sono morti a causa delle azioni di Loki Laufeyson? E quanti ancora moriranno prima che tu riesca finalmente a trovare il coraggio di porre fine alla sua vita? >>
A sentire quelle parole, il Tonante conficcò le unghie nel terreno. << Tu non sai niente di Loki... lui è mio fratello, e questo non cambierà mai anche se non siamo legati dal sangue. È vero che si è macchiato di molti crimini… e l'ultimo è stato il più atroce di tutti. Ma nonostante questo... io non posso dimenticare i nostri giochi da infanti, le nostre battaglie da adolescenti e tutte le volte che ci siamo guardati le spalle a vicenda. Tu che sei un fratricida, stando ai tuoi vanti, non puoi neanche immaginare il significato della parola “famiglia”! Non ho intenzione di disonorare quelle morti… ma nemmeno voglio arrendermi con lui. >>
<< Ah! Quindi non è di amore che si tratta... ma di orgoglio >> sogghignò beffardamente il Decepticon << Orgoglio per la tua famiglia... per l'immagine distorta che hai coltivato di tuo fratello... per la tua convinzione di poterlo cambiare. Apri gli occhi, Asgardiano! Quel ragazzo è morto nel momento in cui ha assaporato il sangue per la prima volta. La tua è solo la preghiera di un bambino che sogna ancora un fratello che non esiste più... è patetico! >>
Aumentò la forza che teneva il dio bloccato a terra.
<< Per molto tempo ti ho considerato un guerriero degno del mio rispetto... ma ora vedo che non sei molto diverso dalla mia vecchia nemesi, Optimus Prime. Anche lui la pensava come te... ed è finito con una spada conficcata nel petto. >> Sollevò il piede metallico e il suo sorriso si fece più predatorio. << Ma per te, figlio di Odino? Credo che Loki avrà in mente qualcosa di diverso! >>
Quelle parole risuonarono nella mente di Thor come un colpo di cannone. Il dio del tuono deglutì a fatica. Loki era davvero irrecuperabile? Davvero non esisteva più un briciolo del fratello con cui aveva giocato e combattuto quando erano più giovani?
Thor non voleva dare ragione alle parole del cybertroniano, perché in fondo sperava ancora di poter redimere i suoi peccati. In fondo, se il dio degli inganni era diventato un simile mostro... la colpa era soltanto del Tonante, che lo aveva abbandonato nel momento del bisogno.
Quando Megatron sollevò il piede, strinse i denti e afferrò il manico del Mjolnir, stringendolo con forza.
<< Per Odino... per Battleground! >> esclamò girandosi verso di lui pronto a colpirlo… ma il titano fu più lesto e gli schiacciò di nuovo la faccia al suolo con un calcio di inaudita potenza.
Ormai impossibilitato a muovere anche solo un muscolo, Thor sentì la propria coscienza vacillare. Poi… vi fu solo oscurità.

                                                                                                               * * * 

Accelerator si acquattò rapidamente tra le lapidi, il respiro ansimante e il corpo madido di sudore.
Non sapeva dove fossero i suoi inseguitori, ma non perse tempo a cercarli. Al momento doveva concentrarsi su un unico compito: trovare un nascondiglio sicuro! Più facile a dirsi che a farsi.
Una grotta sarebbe stato un suicidio: troppo buia e con poche vie di fuga. Era un nascondiglio, certo, ma non sarebbe durato. E poi… poteva davvero nascondersi? Quei mostri sembravano implacabili.
<< Cazzo... >> sibilò, mentre ricuciva i propri tessuti muscolari. Lo avevano ferito sul serio, molto più di qualunque avversario avesse mai incontrato… a parte Vader.
<< Tsk... e adesso che faccio? Cristo, mi sembra di essere in quel film slasher con l'assassino mascherato…e io sono la protagonista bionda. Che merda di situazione… >>
Fu allora che un forte scricchiolio risuonò sopra di lui. L'esper si tese come un tronco d'albero... e sollevò lentamente lo sguardo.
I suoi occhi scarlatti incontrarono quelli diabolici di un angelo che lo osservava dalla cima di una colonna, il volto contorto da un sorriso zannuto e le mani protese verso il basso, con gli artigli divaricati.
Senza mai perderlo di vista, Accelerator fece alcuni passi indietro... e un altro scricchiolio riecheggiò alle sue spalle. Si voltò di scatto, ritrovandosi una mano artigliata a soli pochi millimetri dal viso. E quella mano era collegata ad un braccio di pietra, a sua volta connesso ad un angelo dal volto altrettanto rabbioso
Ci era mancato davvero poco che lo afferrasse!
Con il cuore che ancora gli batteva a mille, l’esper rotolò dietro al mostro e batté il piede destro a terra, così da generare una voragine abbastanza grande da inghiottirli entrambi.
Sapeva che questa era solo una soluzione temporanea. Quei dannati cosi avevano le ali, ma al momento era tutto quello che poteva fare per guadagnare un po’ di tempo.
<< Ci deve essere un modo per analizzarli >> borbottò a se stesso << Forse sono statue tecnologiche comandate a distanza… no, si comportano come uno sciame… forse hanno una matrice principale, proprio come il Misaka Network o anche solo come un alveare! Se sono come le Misaka… potrebbe esserci una loro Last Order, da qualche parte. Qualcuno che li comanda! Tolta di mezzo la matrice, potrei riuscire a seminarli. Il problema è trovarla... cazzo, se solo potessi analizzarli! >>
Imprecò mentalmente e strinse ambe le mani in pugni serrati.
<< Ma forse il Dottore... ti prego, fa' che funzioni. >>
Cercò di attivare il suo comunicatore.
<< Vecchio! Ehi, vecchio, rispondi! >> urlò con tutto il fiato che aveva in corpo << Sono Accelerator, qui ho un grosso problema, per favore, rispondi! >>
Il dispositivo crepitò... ma non sopraggiunse alcuna voce. Qualunque cosa avessero fatto i loro avversari ai comunicatori, era ancora in corso.
Accelerator strinse i denti. Era da solo... ed era a corto di opzioni.
"Peggio di così non può andar-..."
Non riuscì a terminare quel pensieri. Udì il suono della carne che veniva tranciata e si sentì sollevare da terra come una bambola di pezza. Con la coda dell'occhio, intravide un terzo angelo con il braccio sollevato a mezz'aria e gli artigli grondanti di sangue. Lo aveva appena colpito!
Provò a mantenersi in equilibrio con i vettori dell'aria... ma ecco che un forte pugno lo colpì dritto alla schiena, spedendolo al suolo. L'esper sentì qualcosa dentro di sé che si rompeva, probabilmente una costola. Tuttavia, scelse di ignorare il dolore e rotolò subito sulla schiena.
Il suo sguardo si posò su un angelo leggermente diverso rispetto agli altri. Era un po' più grosso e aveva la testa adornata da una specie di corona in pietra.
Lo guardava dall'alto in basso con quel suo sorriso contorto, come se stesse pregustando un pasto.
Accelerator sputò un rivolo di sangue e si sollevò rapidamente in piedi.
<< Bene, cosa abbiamo qui? >> borbottò sarcastico.
A quanto pare aveva trovato proprio ciò che stava cercando. O meglio… ciò che stava cercando era andato direttamente da lui. 
<< Questa deve essere la loro regina… o il loro re. Tsk... hanno proprio il senso dell'umorismo. >>
Scrocchiò il collo un paio di volte.
“Se non sono riuscito ad analizzare un angelo normale, dubito di poterlo fare con questo... ma se la mia intuizione è corretta, e la mente di questi mostri funziona come il Misaka Network, allora potrei provare a modificare i loro modelli di pensiero.”
Batté il piede per terra, alterando i vettori del suolo e creando una specie di muro tra lui e gli altri angeli, sperando di poterli rallentare almeno un po’.
<< Non posso fuggire e non posso nascondermi. Se deve essere il mio funerale… almeno voglio tentare  >> ringhiò.
Andò dietro la presunta “regina” e le mise le mani sulla schiena. Poi, senza mai chiudere gli occhi, si concentrò a fondo provò  ad analizzarne la struttura.
Poteva già sentire gli angeli dall'altra parte del muro che scavavano animatamente contro la parete rocciosa, nel tentativo di superarla. A questa velocità, probabilmente non ci avrebbero impiegato troppo tempo!
Ma in tutto questo... Accelerator percepì anche qualcos'altro.
La statua in sé sembrava completamente invalicabile, un buco nero al centro della realtà, qualcosa privo di massa o forma. Ma in mezzo a tutto quello... c'erano anche dei deboli segnali di "qualcosa"... impulsi elettrici che scaturivano direttamente dall'angelo, e scorrevano come una sorta di filo invisibile a mezz'aria.
Accelerator aumentò la potenza di calcolo del suo cervello, li seguì con lo sguardo... e scoprì che puntavano direttamente verso il muro dietro cui si trovavano gli angeli.
"La mia teoria..." pensò mentre il suo cuore tirava un sospiro di sollievo "la mia teoria era esatta! Ci sono quasi… ma ce la farò in tempo?"
Gli angeli lo avevano quasi raggiunto. Ormai era davvero una lotta contro il tempo: doveva provare a recidere la rete mentale dello sciame angelico, ma non poteva comportarsi in modo avventato.
Un solo passo falso… e non c’era modo di sapere quale contraccolpo avrebbe subito il suo cervello. Forse ci avrebbe anche rimesso le penne! 
<< O la va o la spacca! >> esclamò, mentre faceva pressione su quei fili invisibili.
All'inizio non accadde niente... poi, il mondo attorno l'esper esplose in una luce abbagliante. Provò dolore. Un dolore inimmaginabile, come non ne aveva mai provato in tutta la sua vita! Nemmeno i ricordi del suo tempo passato con i Kihara erano riusciti a scuoterlo fino a questo punto.
Il corpo dell'albino cominciò a sanguinare dalla bocca, dalle orecchie, dal naso... ma niente di tutto questo aveva importanza, perché Accelerator vide l'eternità. L'infinità del cosmo, composto da galassie e stelle di ogni dimensione.
Era così che queste creature vedevano il mondo? No... l'universo?
Il cervello dell'esper cominciò a calcolare. Le sue sinapsi lavorarono come non avevano mai fatto prima, mentre cercavano di comprendere la strana energia psichica che collegava gli angeli. Accelerator si sentì svenire, e così fece appello a tutte le energie che gli erano rimaste per mantenersi cosciente.
Lanciò un urlo sofferente e strinse la presa su quei fili invisibili. Sì udì il suono di qualcosa che si spezzava, a cui seguirono le urla animalesche degli angeli che si trovavano dall'altra parte del muro. Era come se qualcuno li stesse torturando!
Accelerator sentì quelle urla strazianti e arricciò le labbra in sanguinate in un sadico sorriso. Stava… stava davvero funzionando! La sua teoria si era rivelata corretta! Ma aveva ancora del lavoro da fare. Il dolore era insopportabile, e se avesse lasciato la presa… be', a quel punto sarebbe stato divorato da degli angeli infuriati. Ecco perché doveva dare tutto sé stesso e usare tutta la sua capacità di calcolo!
Quei vettori erano assolutamente estranei alla sua scienza, non li conosceva, non li aveva mai calcolati, eppure cercò lo stesso di andare avanti. Doveva adattare le proprie sinapsi ed elaborare i dati più velocemente di quanto avesse mai fatto in tutta la sua vita!
<< Devo... resistere >> sussurrò, mentre il sangue continuava a zampillargli dal corpo << Ci sono quasi... questi mostri creperanno... andate all'Inferno, luridi figli di puttana! >>
Una coppia di squarci a forma di croce si aprirono sul suo petto e l'esper cacciò urla disumane. Senza che se ne rendesse conto, sulla sua schiena cominciarono ad apparire piccoli sprazzi di materia color pece che, via via che i secondi passavano, si condensarono fino a formare dei turbini neri irregolari, simili a grosse ali.
<< Adesso! >> sbraitò, mentre faceva pressione sulla rete mentale un’ultima volta.
I fili esplosero in una miriade di granelli lucenti, e le urla degli angeli divennero ancora più forti. L’esper sorrise… e si sentì sprofondare nell’incoscienza.
Cadde a terra, coperto di sangue dalla testa ai piedi. E mentre chiudeva gli occhi, non vide una coppia di piedi metallici che camminavano lentamente verso di lui.
                                                                                                                          * * *

La battaglia in cui Penny era rimasta coinvolta procedeva da diversi minuti. Il suo avversario? Un cybertroniano dalla personalità piuttosto bizzarra... o bizzarre, in base a quello che aveva dedotto dal modo in cui si era comportato fino ad ora.
Blitzwing. Questo era il nome del robot, e a quanto pare era uno dei combattenti più letali e potenti delle armate Decepticons. Non che si sarebbe aspettata niente di meno, visto quanto era riuscito a metterla in difficoltà dall'inizio dello scontro. Come tutti i loro nemici, era un individuo molto persistente!
Mentre l'androide evitava l'ennesima raffica di colpi ad opera del triple-changer, questi le sorrise con il suo volto più pacato.
<< Mia cara f
räulein, perché mai combatti ancora per cvezti orcanici? Io pozzo zentire ciò che zei tafero. Tu non zei umana, no... zei come me! Hai una zcintilla al pozto di un core di carne e zangue! Cvindi perché combatti per cvezti luridi verrmi? >>
L'atlesiana fece roteare le proprie lame, venendo presto circondata dai riflessi dei fili ad esse collegati. Con rapidi movimenti delle mani, ne spedì una coppia verso il robot.
<< Non ho certo il tempo per discuterne con te>> disse Penny con tono serio, mentre le prime due lame si infilavano nella pelle metallica di Blitzwing.
Il Mech grugnì appena, strinse gli occhi... e la sua testa venne prontamente sostituita da un volto zannuto e ghignante.
<< Ma noi potremo tarti tutto tempo del mondo, ja?! Tante coze da fare... zpezare, tagliare, mutilare... te e tutti tuoi amici, ja, ja, pozziamo portare anche loro per gioca-... >>
Il volto del cybertroniano mutò una terza volta, diventando molto più agguerrito.
<< BAZTA PARLARE, ZTUPITO! ZIAMO NEL MEZZO DI UNA BATTAGLIA, PER AMOR DI MEGATRON! >>
E, dopo aver pronunciato tali parole, mutò il braccio destro in un cannone e sparò un potente colpo di energia verso la neo-Cacciatrice. Questa saltò all'indietro e tirò con forza le spade, portandosi dietro alcuni bulloni e facendo gridare il cybertroniano di dolore.
“E pensare che sarei potuta diventare come lui” pensò Penny, mentre si allontanava cautamente dall’avversario ferito.
A quel punto, una figura silenziosa si insinuò alle spalle della ragazza. Quatta come una gatta… un'ombra… una lama nell'oscurità.
<< PER ASGARD! >> urlò la nuova arrivata con una voce squillante.
Penny fu colpita in pieno viso da un grosso martello… ed esso apparteneva ad Harley Quinn, la spalla - nonché fidanzata - del Joker in persona!
Il colpo fu scagliato con abbastanza forza da spedire l’avversaria contro una colonna.
Harley sorrise soddisfatta e si voltò verso Blitzwig, che la scrutava con un cipiglio scontento.
<< Beh, che c'è? Quel figaccione biondo lo urla sempre! Volevo provarci anche io! Effettivamente... fa un certo effetto, ora capisco molte cose… >>
<< DI CHE CAZZO ZTAI PARLAN-... tieni a freno la lingua, Hot-Head, ziamo alla prezenza di una zignora >> terminò impassibile il volto pacato del robot << Non per zembrare un ingrato, ma non dovrezti ezzere con il tuo, ehm.. amante? Pappone? Pertonami, ma le relazioni interperzonali tra voi organici mi confondono,
fräulein. >>
<< Sì, ma è stato il puddin a ordinarmi di venire qui. Lui voleva occuparsi da solo del figlio di Meta Knight... che sono abbastanza sicura sia in realtà una figlia. In ogni caso, gli ordini sono ordini, quindi ti darò una mano. Prima uccidiamo questa zoccoletta, prima il Dottore e i suoi allegri compagni muoiono e prima io e Mr J potremo sposarci! Aaaaaah... già lo immagino. Tu sei mai stato innamorato, Blitzy? No, certo che no, tu sei... beh... hai capito, Robocop! >>
Penny barcollò per un istante, finché i suoi circuiti non si sincronizzarono di nuovo. Focalizzò i sensori sulla nuova arrivata, ricordando il loro breve incontro al porto di Beacon, quando l'aveva vista duellare con Weiss.
Harley Quinn era una pazza scriteriata che poco aveva da invidiare al Joker in termine di follia e abilità nel combattimento, e per di più sapeva utilizzare l'Haki, anche se a un livello abbastanza basico. Forse in uno scontro singolo avrebbe potuto batterla abbastanza facilmente… ma ora che aveva unito le forze con Blitzwing? Anche uscendone integra, non avrebbe avuto le forze per aiutare i propri compagni.
Vide il cybertroniano rilasciare un sospiro irritato, ma ecco che il suo volto venne nuovamente sostituito dalla faccia zannuta.
<< Uh uh, mi piaze Robokop! Tanto zangue, tanti cataveri, bellizzima arte roz-... non farti diztrarre >> borbottò quello pacato, puntando il suo sguardo glaciale verso Penny << Ultima pozzibilità,
fräulein. Zei in inferiorità numerica... e prezto anche tuoi compagni troveranno la morte. Uniziti al tuo popolo... o preca che il Maeztro abbia pietà della tua zintilla. >>
Penny ringhiò attraverso i denti. Le stavano davvero chiedendo di arrendersi e lasciare i suoi compagni a morire? Così poco i loro avversari sapevano del cosa significava essere un Cacciatore? Questo era un insulto bello e buono… e lei non sarebbe fuggita senza prima averlo compensato a dovere!
<< Mai... >> disse gelida, mentre sparava un proiettile di ghiaccio nelle ottiche del cybertroniano, costringendolo ad indietreggiare. Al contempo, compì alcuni rapidi movimenti con le mani.
Come a imitazione di una strana danza, le spade, cominciarono a volteggiare a mezz’aria, puntando alla coppia di avversari.
Harley riuscì ad evitarne la maggior parte - dando prova delle strabilianti abilità di acrobata che l’avevano resa così sfuggente e pericolosa anche nel suo mondo d’origine – ma fu costretta a pararne almeno un paio con l’enorme mantello.
La superciminale si ritrovò a ringraziare ancora una volta la sua fidata arma. Un solo istante di ritardo e la sua testa sarebbe probabilmente rotolata sul terreno!
Indietreggiò di qualche passo e  guardò l’avversaria con occhi furenti.
<< Adesso ti spezzo in due, puttana... stronza del cazzo! >> urlò, lanciandosi contro di lei e menando un affondo col martello infuso di haki.
Cominciò a bersagliare Penny con una raffica di colpi, ma l’androide non fu da meno e riuscì ad intercettare la maggior parte degli attacchi. Ma più i secondi passavano… e più le sue braccia meccaniche cominciarono a tremare per via dei contraccolpi.
Non poteva continuare in eterno.
<< Parare!? >> la schernì Harley << Parare!? Parare!? Sai fare solo questo? Non farmi ridere, troia del cazzo! >>
Penny non si lasciò distrarre e continuò mulinare le braccia nel tentativo di farla retrocedere. La fama della clown era ben meritata, ogni colpo era veloce come un fulmine e altrettanto potente. Fino ad ora, solo i sensi più sviluppati dell'androide erano riusciti a salvarla da un contrattacco mortale!
Canalizzando un po' di Aura nella gamba, riuscì a dare un rapidissimo calcio allo stomaco di Harley, spingendola via. Fatto questo, si voltò rapidamente verso Blitzwing, consapevole che non sarebbe rimasto a guardare il duello ancora a lungo
Il fato le diede ragione, e infatti il cybertroniano si era portato dietro di lei per colpirla con un possente pugno metallico. La neo-Cacciatrice ebbe giusto il tempo di scansarsi e fu costretta a sollevare le braccia per proteggersi dai detriti vaganti.
<< ZMETTILA DI MUOVERTI, ZCRAP! HO UNA TAZZA DI ENERGON A CUI TZORNARE! >> sbraitò il volto agguerrito dell'avversario, mentre cominciava a bersagliarla con una raffica di colpi.
Ogni proiettile o pugno illuminò l'Aura smeraldina di Penny, mentre questa cercava un nascondiglio tra le rocce. Sfortunatamente, i colpi di Blitzwing erano stati abbastanza potenti da ridurre in cenere qualsiasi colonna o tomba che potesse offrirle un minimo di protezione.
Aveva bisogno di altre opzioni, e alla svelta!
“In termini di forza fisica e resistenza mi surclassa di troppo. Ma le sue personalità sembrano non andare d'accordo. Forse..”
<< A titolo informativo, dove ti hanno assemblato? In una fabbrica di tostapane? >> domandò sarcastica la rossa, sperando che le ore passate ad ascoltare le discutibili battute di Yang fossero servite a qualcosa.
Il cybertroniano digrignò i denti metallici, e per un attimo la neo-Cacciatrice credette di aver finalmente guadagnato qualche minuto per riprendersi.
<< TOZTAPANE A CHI?! TE LO TO IO IL TOZTAPANE, LURIDA PICCOL-... no, non lo farai >> terminò freddamente il volto pacato, mentre lanciava alla giovane robot una fredda occhiata << Non male. Zfruttare il temperamento di Hot-Head per fargli perdere la concentrazione? Furbo... ma non zono zopravvizzuto tanto a lungo zenza imparare a tenere zotto controllo gli altri me. >>
I cannoni sulla schiena della macchina si abbassarono, puntando dritti verso di lei.
<< 
Auf Wiedersehen,
fräulein! >>
Ad aiutarlo ci pensò anche Harley Quinn, che ripose il martello in favore di un fucile mitragliatore.
<< Ora voglio che rispondi a una domanda... mi sento fortunata? Allora? Bamboccia!? >>
Detto questo, iniziò a sparare all'impazzata insieme al Decepticon. Penny strinse i denti e prese a vorticare le spade nel tentativo di frenare il maggior numero possibile di colpi.
Sentiva le sue giunture che cominciavano a cedere… lo scricchiolio del metallo, mentre le lame venivano rapidamente consumate dalla raffica… e l’Aura che diventava sempre più debole.
Sentì la propria trachea artificiale stringersi e offuscarle i sensi, era come se l’aria attorno a lei fosse diventata incredibilmente pesante.
“Non… resisterò a lungo” ringhiò mentalmente “Se gli altri non arrivano… ugh, sono morta…”
Incurante dei suoi pensieri, Harley cominciò a ridere a crepapelle.
<< Stai per diventare uno scolapasta, troietta >> sghignazzò << Ti farò così tanti buchi in corpo che le tue budella sanguineranno piombo, figlia di puttana! >>
Penny chiuse gli occhi, aspettando la sua fine inevitabile… e fu allora che un lampo di luce illuminò la sua esile figura. 


Poco prima
 
Un formicolio convulso lo scosse in tutto il corpo, segnale inconfutabile del suo essere ancora vivo e oramai non più privo di conoscenza.
Baelfire aprì lentamente gli occhi, la testa che girava e ronzava, gli arti dolenti. Gli ci volle un minuto buono per risollevarsi seduto facendo leva sui palmi indolenziti.
Si guardò intorno: era ancora nella conca sabbiosa a pochi metri dalle rocce sotto cui aveva sotterrato l’Indoraptor durante il proprio attacco psionico.
Aspetta… Indoraptor? Come faceva a sapere che era quello il nome della creatura? Non era certo andato a chiederglielo. E poi… attacco psionico?
Si guardò le mani e strizzò le palpebre, cercando di riordinare l’enorme confusione che aveva in testa. Qualcosa era cambiato. Lo sentiva dentro di sé e attorno a sé.
Ricordava di aver chiesto l’aiuto di Vader tramite il loro contatto mentale. Ricordava che dopo le parole del Sith… si era lasciato andare. Ricordava il caos di sensazioni represse che si trasformavano in forza, energia… potere. Ricordava il suo potere esplodere, luminoso come non era mai stato prima. Ricordava la sua mente scatenarsi, liberarsi come qualcosa di fisico e tangibile per annientare e infine seppellire il perverso dinosauro.
Adesso si sentiva strano. Quasi… leggero, sollevato. Come se per tutto questo tempo il suo corpo fosse stato rigido come una statua, e fosse appena stato sbloccato come dopo un sonoro scrocchiare delle ossa. Diamine, seriamente il condizionamento mentale poteva arrivare fino a quel punto!?
Si sollevò lentamente in piedi e guardò prima dinnanzi a sé, poi tutto intorno. La conca era avvolta dal silenzio e non c’era anima viva a parte lui: supponeva – e sperava – che le rocce avessero ucciso la malefica creatura.
Non era questo però ad impensierirlo. C’era qualcosa di strano nell’aria, e non sapeva come facesse a saperlo. Si chiuse in un istante di meditazione.
Sentiva i propri sensi più sviluppati, la mente lucida e rischiarata: le ferite che aveva addosso non sanguinavano più, erano quasi del tutto rimarginate, doveva essere accaduto ad un ritmo più rapido del solito. Percepiva che, quando doveva essersi perso in quella furia di potere, il suo anello sul petto si era messo a scottare.
Da quando riusciva a capire tutte quelle cose del proprio corpo e a percepirle solo mettendosi a meditare? Certo, si era sempre allenato molto duramente con Logan facendo quel tipo di esercizi, perché rientrava nelle abilità di un guerriero, ma c’era qualcosa di più, indescrivibile da comuni sensi mortali: un istinto, forse, un riflesso condizionato.
Arrivò alla conclusione fosse opera del suo legame con Vader, forse di quella misteriosa Forza che li legava e li rendeva capaci di percepire quello che gli altri non potevano. Il Sith non aveva detto che era qualcosa come un campo energetico capace di avvolgere ogni cosa vivente ed esistente?
Forse per quello adesso si sentiva tanto scombussolato. Stava iniziando ad avvertire cose a lui prima precluse: qualcosa era definitivamente cambiato dentro di lui. No, si corresse, non era cambiato, si era risvegliato, ed era scattato tutto la notte in cui aveva saputo di Vader e quando aveva ascoltato i suoi suggerimenti.
Non spiegava però come le sue ferite fossero guarite così in fretta, specialmente quella dell’uncino. Forse il taglio era meno grave di quanto avesse pensato? In fondo l’aveva preso di striscio, ma questo non significava essere automaticamente fuori pericolo, perché l’apertura avrebbe potuto allargarsi in seguito a movimenti bruschi.
Istintivamente infilò le dita sotto il colletto e sfiorò il suo anello: era tiepido, come se il metallo fosse in procinto di raffreddarsi. Probabilmente c’entrava qualcosa, qualcosa che gli sfuggiva nuovamente sul vero essere, tanto per cambiare, ma tagliò corto scuotendo la testa. Qualunque cosa stesse capitando al suo corpo – i suoi capelli erano diventati verde chiaro!? Che cavolo, dov’erano finite le sue ciocche corvine spiccanti sul suo verde smeraldo!? – se ne sarebbe occupato in un altro momento, con più calma e dedizione.
Non aveva dimenticato di avere una missione da compiere: dato che al momento si sentiva stabile e in salute e non c’erano nemici all’orizzonte, era meglio mettersi al lavoro.
Non si fidava a tornare da dove era venuto. Aveva la sgradevole sensazione che i Decepticon fossero ancora da quelle parti, e poi temeva di perdersi ancora di più, d’altronde non aveva la minima idea di dove fosse finito e quanto fosse effettivamente lontano dagli altri.
Tanto valeva vedere dove portava il sentiero sabbioso alla sua sinistra e che lo allontanava dalle rocce. Non poteva nascondere di provare un certo sollievo nell’allontanarsi rapidamente dalla presunta tomba di quel nominato Indoraptor.
Ad occhio e croce, fece praticamente cinque metri di passi quando trovò una piccola caverna.
Sentì il cuore iniziare a battere più forte. L’istinto gli diceva di entrare, di dare un’occhiata, ricolmandolo d’anticipazione. Poteva mai essere…?
Si affacciò all’entrata della caverna e allungò la mano: il palmo si illuminò di luce verde, immediatamente proiettata a rischiarare la visione dell’antro. E quel che vide gli fece emettere un grido di esclamazione strozzato.
Un’imponente cabina telefonica blu della polizia britannica si stagliava al centro della grotta, misurando ad occhio e croce quattro metri d’altezza. L’aveva riconosciuta subito, per via della descrizione del Dottore: era il TARDIS, la macchina del tempo e dello spazio appartenente al Signore del Tempo.
Ce l’aveva fatta, l’aveva trovata!
Il suo entusiasmo si spense quasi subito. E adesso che avrebbe fatto? Il suo comunicatore era scollegato, non poteva contattare il Dottore per farsi guidare, né poteva dare ai suoi compagni la buona notizia.
Incerto e indeciso, fece due timidi passi verso la navetta. Ebbe appena il tempo di bloccarlesi di fronte: il portello d’accesso gli si spalancò davanti di colpo, come se qualcuno l’avesse spinto col preciso intento di invitarlo ad entrare.
Indietreggiò, incredulo e sbigottito. Come diavolo era possibile? Forse qualcuno all’interno l’aveva aperto? Quel qualcuno poteva vederlo e voleva farlo entrare? Ma chi diavolo poteva situarsi all’interno del TARDIS del Dottore?
Il suo primo pensiero fu “il Maestro” e pensò immediatamente ad una trappola, ma poi si ricordò che i Signori del Tempo non potevano mettere piede su Trenzalore. Ma allora come cavolo aveva fatto a metterlo lì? Forse c’era uno dei suoi servi ad attenderlo all’interno, lo stesso che aveva posizionato il TARDIS?
“Aspetta un attimo” si disse “È una cabina telefonica. Chi accidenti ti fa un’imboscata dentro una cabina telefonica?”
Sì, d’accordo, era una macchina del tempo e via dicendo, ma le dimensioni erano quelle che erano, no? Se ci fosse stato dentro qualcuno al suo interno, aperta la porta l’avrebbe già assalito, ammesso fosse quella la sua intenzione, e ammesso ci fosse veramente qualcuno dentro. Da quella distanza, l’interno era scuro e liberava spifferi, quindi questo suggeriva tutto il contrario.
E allora come si era aperta? Valutò l’ipotesi di essere stato lui stesso con i suoi poteri a livello inconscio, ma non aveva percepito alcuna stretta negli angoli della mente, e nessuna aura verde si era manifestata.
L’istinto gli suggeriva esserci sotto altro come spiegazione logica, ma non aveva tempo di rimuginare: doveva entrare lì dentro e trovare una soluzione alla svelta.
Fece un respiro profondo per placare il nervosismo, quindi strinse i pugni e fece un altro passo avanti, scivolando così all’interno del TARDIS…
E poi ne uscì di colpo, barcollando all’indietro, visibilmente sotto shock. Fissò per qualche istante l’uscio della cabina, sbattendo forte le palpebre: era fermamente convinto di avere le allucinazioni.
Poi si fece coraggio ed entrò di nuovo. Stavolta, tenne a freno l’emozione e lo sconcerto, impegnando la sua mente in una stranita considerazione.
“È molto più grande all’interno che all’esterno…”
Un’intera sala illuminata da lucine sparse sulle pareti gli si parò davanti: aveva il soffitto a cupola, largo e spazioso, percorso da venature di metallo concentrate verso l’alto e congiungenti verso il centro della stanza, dove v’era un intero, riconoscibile ed evidente complicato sistema tecnologico-elettronico di comando, talmente ampio da comprenderne dei pannelli disseminati sulle pareti tutte intorno a Fire, ritto dietro l’uscio chiuso. Quello che doveva essere il centro di comando era un cilindro disteso su un tavolo di altrettanti pannelli elettronici come perno, e sulla cima aveva una gigantesca base di metallo a due strati dalla forma di un tozzo e irregolare cono rovesciato.
Il cuore dell’adolescente pulsava rapidamente: provava una profonda sensazione di spaesamento, meraviglia e annichilimento davanti un tale prodigio, di come un intero ambiente del genere potesse essere contenuto all’interno di una semplice ristretta cabina.
Ad un tratto, udì un flebile ronzio provenire dall’interno dell’orecchio. Incredulo, vi accostò le dita: il suo auricolare era ancora intatto, nonostante lo scontro con l’Indoraptor! Ed era tornato a funzionare! O almeno così sembrava.
Non c’era un minuto da perdere.
<< Doc! >> gridò, e per un istante registrò la propria voce come qualcosa di bizzarro, soprattutto perché non era propriamente da lui essere così informale << Dottore! Sono Royal! Riesci a sentirmi!? >>
Dapprima, l’arciere udì solo il distinto brusio dell'elettricità statica. Poi, lentamente, quel rumore fastidioso cominciò a mutare in una voce anziana e familiare.
<< Roy-… io… sco… a… entir-… ti...ripeti... >> disse l’inconfondibile cadenza del Dottore, anche se accompagnata da numerose interferenze.
Dannazione. A quanto pare il lavoro dei Decepticon in qualche modo continuava ad influire nonostante il ritrovato funzionamento dell’aggeggio elettrico.
<< TARDIS trovato. Ripeto: TARDIS trovato >> scandì il giovane il più possibile << Sono dentro. Attendo istruzioni. >>
Altra elettricità statica, a cui seguì uno strano fischio. La voce del Signore del Tempo risuonò ancora una volta nelle orecchie dell’arciere.
<< Ah! Così va molto meglio… DIAMINE! Ruby, fa un po’ attenzione con quel cannone! >>
<< Ci sto provando! >> ribatté la voce della mietitrice << Ma alle accademie non ti insegnano esattamente a SPARARE NELLO SPAZIO! >>
<< Rowlet sta per vomitare! >> aggiunse un bubolio rassegnato.
Il suono di una forte esplosione risuonò nelle orecchie del ragazzo, il quale non poté trattenersi dall’esclamare, impanicato: << Ma che cazzo sta succedendo!? >>
<< Ehm... >> borbottò il Dottore << Diciamo solo che abbiamo avuto qualche problemino… ma tutto sommato ce la stiamo cavando molto bene! E tu che mi dici, ragazzino? Vi abbiamo perso per un po’, cosa diamine state combinando su quel pianeta?! >>
<< I Decepticon ci hanno teso un’imboscata e ci hanno separato >> riassunse nell’immediato il Vigilante, recuperando quasi subito il controllo << Non so che è successo agli altri, probabilmente li stanno affrontando e sono nei guai. Dobbiamo agire subito, Dottore! Ho trovato il TARDIS! Non so come ho fatto ma è qui, sono al suo interno! >>
<< Hai trovato il TARDIS? Eccellente! >> esclamò il Signore del Tempo << Allora abbiamo ancora la possibilità di ribaltare questo scontro! Ora, Royal, ascoltami MOLTO attentamente. Gli auricolari che vi ho fornito non sono solo dispositivi di comunicazione, ma anche dei nano-regolatori temporali. In poche parole, possono essere usati per teletrasportare una persona dal punto A al punto B, ma hanno bisogno di un segnale a cui agganciarsi! Ora… dimmi se vedi una grande leva rossa sulla console del TARDIS! >>
Il giovane si affrettò a scrutare nell’immediato ogni possibile angolo di quell’anfratto tecnologico, alla disperata ricerca del comando appena descritto dal Signore del Tempo. Lottava contro l’ansia e la preoccupazione e si sforzava di rimanere concentrato.
<< Trovata! >>
<< Bene… molto bene >> borbottò il Dottore, apparentemente ansioso tanto quanto lui << Sotto quella leva troverai una manovella… e sopra quella manovella troverai un foro d’entrata. Dovrai infilare il tuo auricolare al suo interno, così da permettere al TARDIS di leggere la lunghezza d’onda su cui operano gli auricolari. Una volta fatto… gira la manovella di 360 gradi. >>
Fire non si era mai sentito così tanto nervoso e sotto pressione come in quel momento: d’altronde non capitava certo tutti i giorni di doversi occupare di una dannata macchina del tempo a forma di cabina blu di cui non sapeva assolutamente niente, tranne che da essa dipendevano le sorti del Multiverso e, in quel preciso istante, anche la vita dei suoi compagni.
Le mani gli tremavano furiosamente mentre cercava anche col tocco quanto descritto dal Signore del Tempo.
<< E dopo aver messo l’auricolare che accidenti faccio? Poi non potrò più sentirti! >>
<< Non preoccuparti! Se tutto va… AUCH! STUPIDO TIMONE! Mi manca la mia nave… comunque, se tutto va come previsto, il resto dei Time Wrriors verrà teletrasportato all’interno del TARDIS! Una volta che saranno tutti dentro, potrei rimetterti l’auricolare! >>
<< Cosa significa “se tutto va bene”!? Credevo fossi sicuro di quel che facevi! >>
Dall’altra parte della linea, il Dottore ridacchiò amaramente.
<< Lo ero, fino a quando non hanno cominciato a SPARARMI ADDOSSO! ORA GIRA QUELLA DANNATA MANOVELLA! >>
Fire sentì una goccia di sudore freddo colargli lungo la fronte. Restare a non fare niente per paura di fare casini sarebbe stato anche peggio.
“Fanculo, o la va o la spacca.”
Agguantò il proprio auricolare e lo ficcò nel foro, girando la manovella con la forza della disperazione.
Tutt'intorno nella sala di pilotaggio cominciarono ad apparire figure traslucide che diventarono rapidamente solide, rivelando il resto dei visibilmente affaticati e feriti Time Warriors.
Angel si ritrovò di fianco a Fire, sorreggendosi alla spalla. Il suo corpo era ricoperto di tagli e lividi in diversi punti, e alcune ferite stavano perdendo copiosamente sangue. Tuttavia, nel complesso sembrava ancora abbastanza in forma da rimanere cosciente.
Emil, invece, cadde direttamente a terra , stringendosi il ginocchio, presto affiancato dalle figure altrettanto esauste di Yang, Weiss e Blake.
<< R-ragazzi… >> boccheggiò ansimante il fauno lupo.
<< Arrivo! Resistete! >>
Fire corse da loro, deciso ad aiutarli. Aveva intuito che con ogni probabilità i Decepticon o chissà quale comitato di accoglienza spedito dal Maestro li avevano attaccati, perciò - per quanto fuorviato dalle loro condizioni - agì con notevole rapidità. Constatò che Hikaru, la Cacciatrice albina e la fauna gatto erano in grado di reggersi in piedi sebbene notevolmente sfiancati, mentre Yang, Emil, Penny, James e Kirby erano appena coscienti, con espressioni doloranti e confuse sui rispettivi visi.
<< Prendete gli altri, aiutatemi! >>
Yang, per quanto indebolita, si avvicinò a James, premendogli più volte le mani sul petto finché l’effetto del gas della paura non si dissolse. Venne sostenuto da Blake, e mentre alzava lievemente la testa, Heller vide il resto del gruppo intento a far rinvenire Penny e soccorrere Emil, mentre Yang si appoggiava alla spalla di Weiss.
Il soldato non poté fare a meno di sentirsi precipitato in un incubo, ancora peggio dell’orrida spaventosa visione acquisita qualche istante prima per colpa dello Spaventapasseri.
<< Oh, Dio, cos’ho fatto? >> gemette in un sussurro di voce.
<< Risparmia il fiato >> lo rimbeccò il Vigilante, e il suo tono inspiegabilmente pungente spinse il Cacciatore a voltare appena il capo verso di lui.
Adesso era palese il suo nervosismo. Era accovacciato accanto a Kirby, quello più grave di tutti: la pelle del viso tremolava, si stendeva e deformava negli angoli della bocca squassati, come sul punto di contorcersi in un orribile sorriso. Quel tremolio delle labbra che si alzavano verso l’alto portava una firma piuttosto eloquente: sebbene Heller non avesse mai affrontato il Joker personalmente, aveva sentito parlare dei suoi disturbanti metodi di tortura dall’amico.
Angel aveva la nausea, nonché una notevole confusione in testa, ma la vista degli altri in condizioni peggiori delle sue lo spinse a cercare di reagire.
Si avvicinò con passo traballante ai due adolescenti dai capelli colorati.
<< Lascia fare me. Cercherò di estrargli il veleno >> disse a Fire, e senza attendere una sua risposta poggiò la mano destra sulla spalla del rosato.
<< Nelle tue condizioni non puoi fare molto >> l’avvisò Blue, apparso dietro di lui, preoccupato per le condizioni del suo protetto.
<< Posso rallentarlo e lo farò >> affermò il rosso, concentrandosi il più possibile sul fermare l’avanzata della sostanza nel corpo del Time Warrior.
Kirby emise un suono strozzato simile a una risata, gli occhi azzurri che si facevano sempre più vacui. Il tocco di Angel riuscì però a rischiarirgli parzialmente i nervi.
<< Qualunque cosa tu voglia fare >> annaspò, girandosi verso il ragazzo dai capelli verdi << sbrigati. >>
Nel mentre, Blue si guardò intorno per fare la conta dei presenti. << Aspetta… a me sembra che manchi qualcuno all’appello. Dove sono il biondo col martello e il caffeinomane? >>
<< Cosa!? >>
Fire si guardò intorno, lo sguardo sconvolto nel constatare che il drago aveva ragione: Accelerator e Thor non erano lì con loro.
Provò l’impellente desiderio di sprofondare. Come aveva fatto a non accorgersene!? Dannazione, questo era proprio quello che nel modo più assoluto non sarebbe dovuto succedere!
<< Calmati >> sibilò James alle sue spalle, vedendo la sua espressione impanicata << Lo so che sei preoccupato. È una notizia terribile per tutti, ma ora abbiamo le mani legate. Angel non può resistere a lungo, Kirby rischia di morire e anche noi siamo messi piuttosto male! Devi chiamare il Dottore, Royston! >>
L’ammirabile tempra di soldato del Cacciatore era la voce della ragione. Come ad enfatizzare e a dargli manforte, Angel digrignò i denti, mentre un rivolo di sudore gli colava lungo la fronte.
Fire non aveva scelta, lo sapeva. Non avrebbe potuto fare niente in ogni caso. Doveva avere fiducia nell’esper e nel dio, sapendo di cosa erano capaci, e aggrappandosi a questo sperare resistessero finché non avrebbero sistemato le cose.
<< Resisti, Knight, o giuro che ti uccido con le mie mani >> intimò al rosato, mentre portava la mano all’auricolare << Dottore! Qui la situazione non è delle migliori! Dove sei!? >>
<< Ancora un po’... ugh… impegnato! Dannazione… Fire, ora arriva la parte più difficile: dovresti trovare una parte, beh… non so bene come descriverla… oh, al diavolo! Controlla la console del TARDIS fino a quando non troverai una superficie umida e molliccia! Il resto della console è di metallo, ma questa sezione ti sembrerà quasi organica! >>
<< Ma che cazzo... >>
L’adolescente si morse il labbro. Non era il momento di tergiversare. Qualunque cosa fosse, doveva trovarla alla svelta.
Si girò verso Angel, imperioso.
<< Hikaru, continua a tenere stabile Knight, io cerco di seguire le istruzioni del Doc per farci andare via da qui! >>
Dopodiché corse all'impazzata verso il complesso di tastiere luminose, alla disperata ricerca di qualcosa che fosse anche solo vagamente simile a quello che il Signore del Tempo aveva detto. Infine, trovò una sezione della console che corrispondeva apparentemente alla descrizione del Dottore. Sembrava quasi una superficie spugnosa… e si stava muovendo, come fosse viva.
<< Doc, l’ho trovata >> gli comunicò, non senza una smorfia schifata sul viso << E ora? >>
<< Ora… be’, devi metterci le mani sopra. >>
<< Che cosa!? >>
<< Ahi! Ragazzo, non sono mica sordo! Ascoltami bene: quelli che hai davanti sono i circuiti connettivi del TARDIS. Permetteranno alla mia nave di collegarsi telepaticamente al tuo cervello. A quel punto dovrai solo immaginare una destinazione che consideri sicura, e il TARDIS vi teletrasporterà lì! >>
<< La base a Dreamland è sicura al momento? >>
<< No, lo spazio aereo del pianeta sarà completamente sorvegliato… servirà una destinazione alternativa. >>
Una destinazione alternativa a Dreamland!? Aveva voglia di scherzare! Dove accidenti sarebbero potuti andare? Metà galassia era continente imperiale, non sarebbero mai stati al sicuro, né passati inosservati! Era una follia!
“Non è il momento! Avanti, Royston, pensa!” si disse, stizzito. Doveva pur farsi venire un’idea! Anche se era il Dottore il capo della Resistenza e quindi quello con i piani e con le basi.
Con calma. Bisognava andare per opzioni. Gli serviva un luogo sicuro. Un luogo dove a nessuno potesse venire in mente nell’immediato di raggiungerli. Un luogo dove i suoi compagni potessero essere curati. Un luogo chiuso, al caldo. Un luogo familiare…
<< Ma che…!? >>
Gli interni della macchina cominciarono a illuminarsi. Poi… il mondo attorno a loro prese a tremare.

                                                                                                                          * * *

Il Dottore inclinò il Falcon ed entrò zigzagando in un enorme campo di cunicoli. Poteva solo sperare che Fire avesse seguito le sue istruzioni alla lettera.
Era davvero un peccato che la gittata del TARDIS non fosse abbastanza ampia da raccogliere anche i loro auricolari!
Sballottando di qua e di là nella torretta, Ruby si sforzava di non perdere di vista l’inseguitore, gettando un occhio ogni tanto alla superficie disseminata di buchi e anfratti.
La raffica successiva esplose troppo vicino a lei e l’onda d’urto fece sobbalzare la torretta. Quando finalmente si stabilizzò, la mietitrice si accorse con orrore che il cannone si era bloccato. Non poteva ruotarlo in nessuna direzione!
 Allo stesso tempo, gli allarmi della nave si misero a suonare, segnalando che non solo la torretta aveva subito danni durante l’inseguimento.
<< Il cannone è bloccato in posizione frontale >> urlò verso l’alto << Non si muove! Dobbiamo seminarlo! >>
Ma vista la situazione, sembrava più facile a dirsi che a farsi.
Un’altra raffica sconquassò il vascello. Il Dottore sapeva che, nonostante le modifiche apportate alla nave, se il Decepticon avesse sparato un altro colpo come quello… avrebbe abbattuto gli scudi.
Manovrando i comandi, il Signore del Tempo imboccò uno dei cunicoli più stretti. Se sperava che quella catena avrebbe dissuaso l’inseguitore… be', si sbagliava, perché Starscream rimase loro incollato.
Fissando con  gli occhi sbarrati fuori dall’oblò trasparente della torretta, Ruby stimò la distanza tra le pareti di roccia che stavano sfrecciando ai loro lati.
I fianchi della nave continuarono a sputare scintille, mentre il Dottore attraversava i passaggi sempre più stretti, con Rowlet svolazzava per la cabina.
<< Preparati! >> gridò l’uomo.
Ruby intuì a cosa si stesse riferendo e prese un paio di respiri calmanti.
Una luce intensa apparve in fondo al corridoio che stavano attraversando, e un’altra raffica dell’implacabile cybertroniano per poco non mandò la nave a schiantarsi contro il soffitto della caverna.
Il Dottore riuscì a evitarlo all’ultimo istante. Non aveva tempo di controllare sui visori se una parte indispensabile della nave avesse subito danni. Contava solo che stessero ancora volando e che i comandi rispondessero sotto le sue mani!
E poi sbucarono fuori, sfrecciando sotto le stelle dello spazio. Appena la nave uscì dalle viscere dell’asteroide, il Signore del Tempo ridusse la potenza e fece compiere una gran volta al Falcon. Adesso puntavano direttamente verso l’apertura della grotta.
Ancora una volta, Ruby trovò Starscream direttamente nel suo mirino e reagì di conseguenza.
Forse perché il vascello era ricomparso in modo improvviso e inaspettato al margine del suo sistema di mira o perché era rimasto sconvolto da quella che sembrava una picchiata suicida, il Decepticon mancò il bersaglio… ma la neo-Cacciatrice no, invece.
Il Dottore si allontanò dall’agglomerato di grotte con una virata stretta, mentre il loro inseguitore si schiantava violentemente sulla superficie dell’asteroide.
Manovrando i comandi, l’uomo esultò e lanciò la nave a tutta velocità nell’iperspazio.
 
                                                                                                                 * * *

Sulla Terra - Londra

Dopo la conversazione con l’Oscuro Signore dei Sith Darth Vader, Logan Royston sapeva di essere praticamente prigioniero nella propria stessa magione londinese, e questo grazie ai dannati droni spia del Sith, svolazzanti tutti intorno al suo territorio.
Il comunicatore lasciatogli dal guerriero nero al momento si trovava all’interno della tasca del nobile, suo malgrado acceso. La tentazione di buttarlo via o anche solo di lasciarlo spento si era ripresentata in lui altre volte, ma si era domato fermandosi a riflettere sulle conseguenze che ne sarebbero derivate: non aveva nessuna voglia di rivedere il Signore Oscuro presentarsi in casa sua per fare una chiacchierata ancora più disdicevole della precedente. Anche se Vader non l’aveva ancora ricontattato, non dubitava che prima o poi si sarebbe fatto sentire quando ne avrebbe avuto il tempo o anche solo la voglia, perciò si teneva preparato a quell’evenienza.
Dopo quell’incontro, aveva fatto trasferire l’intera servitù nel castello a Gongmen: li voleva al sicuro, fuori da quella faccenda, dato che avevano inconsapevolmente già rischiato troppo. E per questo aveva fatto di tutto per apparire alla servitù come il solito bonario marchese, sempre di buonumore, sempre sorridente, pronto a ridere e scherzare, sempre educato e gentile; aveva praticamente convinto tutti tranne il maggiordomo Sebastian Michaelis: l’uomo aveva un’arguzia non da poco, ed era saggio e comprensivo al punto da decidere personalmente di reggere il gioco al suo padrone.
Il maggiordomo aveva capito, da quando Darth Vader si era presentato sulla soglia della magione, che per il signor Royston sarebbero sorte delle complicazioni – per non dire guai – e il fatto che avesse congedato la servitù gliel’aveva confermato; perciò, al contrario degli altri servi, aveva deciso categoricamente di restare al fianco del marchese, facendogli presente i suoi sospetti ma mostrandosi anche disponibile a non ricevere per forza dei dettagli esplicativi, a meno non glieli avesse forniti il nobiluomo stesso di spontanea volontà. Voleva aiutarlo il più possibile, qualunque fossero i suoi propositi: la sua lealtà e amicizia erano salde fino a quel punto, per questo Logan non aveva potuto fare molto per dissuaderlo, quindi aveva infine acconsentito a farlo rimanere.
La fuga non era la priorità dell’uomo al momento. Era piuttosto difficoltoso metterne una in atto considerato la presenza dei droni, e non aveva mezzi per potersi rifugiare in luogo sicuro con la garanzia di nascondersi completamente all’Impero e soprattutto all’Oscuro Signore dei Sith.
Non poteva chiamare Baelfire col comunicatore: non era sicuro avrebbe risposto, e probabilmente adesso entrambe le loro linee erano sorvegliate. D’altronde l’aveva messo in chiaro anche di fronte al guerriero nero: non avrebbe messo suo figlio in mezzo a quella faccenda, soprattutto non l’avrebbe fatto personalmente cadere in trappola per i propri capricci.
No, Royston non aveva altra scelta se non quella di aspettare. Ma non l’avrebbe fatto restando con le mani in mano.
Da quando si era trasferito alla magione per sfuggire alle grinfie di Lord Shen, oltre ad aver continuato a svolgere da lì le proprie mansioni, aveva trascorso gran parte del tempo nel suo laboratorio alchemico. E dopo la visita di Vader, aveva raddoppiato i turni, lavorando da solo tutto il tempo, come aveva sempre fatto.
Stava sviluppando un manufatto ben preciso che, segretamente, aveva iniziato a realizzare quando aveva scoperto la doppia identità di suo figlio.
Suo figlio.
Logan sfiorò il metallo con la punta del suo martello da lavoro in un gesto meccanico; la sua mente era altrove. Sospirò.
Inutile negarlo a se stesso, la vicenda col Sith l’aveva segnato. Non tanto per l’aggressione che ne era derivata, anche se naturalmente non l’aveva certo presa a cuor leggero.
La questione riguardava il fatto di aver sempre saputo che prima o poi sarebbe giunto il giorno in cui Baelfire avrebbe scoperto da dove veniva, chi era la sua famiglia originaria e perché fosse finito a Gongmen. Sapeva essere suo diritto farsi delle domande e ottenere delle risposte, come sapeva che alla fine avrebbe preso la decisione più saggia. Credeva sinceramente in lui, così come credeva in ogni singola parola detta a Vader.
Eppure una parte di lui non poteva fare a meno di avere un’enorme paura dell’abbandono e del rifiuto, seguita dal terrore di essere messo da parte e dimenticato, da suo figlio. Temeva di perdere il suo bambino, che Vader potesse rubarglielo e in qualche modo corromperlo, o peggio, ucciderlo perché non voleva piegarsi a lui. Provava un caos di pensieri irrazionali e legittimi senza avere chiara distinzione di quale delle due definizioni corrispondessero.
Alla fine della fiera, Logan Royston era un essere umano, come molti altri. E in quanto tale, possedeva anch’egli debolezze, difetti e rimpianti, le cui radici erano alquanto profonde.
La famiglia Royston era una famiglia di guerrieri: era nel loro sangue, nel loro nome. Vigorosi, regali e forti come la pietra, questo era il loro motto e questo era il significato del nome del casato.
Sì, Logan conosceva il potere che derivava dai nomi. Sapeva che il proprio significava “piccola conca”: e cos’era la conca, se non una delle più grandiose espressioni naturali cui roccia e pietra si manifestavano?
La sua infanzia e parte della sua adolescenza erano costellate dalla battaglia e dal combattimento. Ma era innegabilmente diverso da Shen: non erano allenamenti massacranti, non aveva maestri spietati e severi, lo scopo non era diventare il più forte di tutti. Lo scopo erano i tornei, i giochi, i duelli. Responsabilità e aspettative collegate alla gloria, all’onore e al riconoscimento che portava la lotta.
All’epoca era solo un ragazzino, ma già allora aveva una vena ribelle che forse aveva trasmesso a Baelfire più di quanto pensasse: gli sembrava assurdo che, oltre all’educazione e alle buone maniere per essere un vero galantuomo, il suo solo interesse dovesse sposarsi prima possibile con una giovane di buona famiglia, e la guerra. Lui neanche sapeva cosa fosse, ma aveva capito che i giochi che era costretto a fare erano un allenamento costante per prepararlo ad essa.
Ma poi l’aveva affrontata. Aveva combattuto la guerra per l’espansione territoriale dei Royston a soli sedici anni, e il suo casato ne era infine uscito vincitore, conquistando e appropriandosi di un enorme numero di terre. Fu così che morirono i suoi genitori, assieme a chissà quanti altri soldati con famiglie, e per buona misura molti suoi amici e compagni. E quanti ne aveva uccisi, per non restare ucciso lui stesso…
Così capì che la guerra non era un gioco né un divertimento, e che erano stati dei pazzi a farglielo credere. Così il fardello del capofamiglia Royston ricadde tutto sulle sue spalle: sulle spalle di uno che non era nient’altro che un ragazzino, un adolescente scapestrato, un bambino che solo allora aveva scoperto la vera natura della guerra.
Da allora aveva maneggiato le armi con una prospettiva e un’importanza molto diversa. Di sicuro non le riteneva più la sua unica ragione di vita, né del suo casato.
Il suo rimpianto era dover essere cresciuto talmente in fretta da non aver mai goduto appieno la sua adolescenza, perché gli avevano infilato in mano le armi e l’avevano esposto ai tornei guerriglieri in tenera età, e poi si era ritrovato sedicenne a diventare marchese.
Tuttavia si era fatto forza e in silenzio aveva accettato le conseguenze rovesciategli addosso dalla vita senza che potesse farci niente. D’altronde, sapeva che c’era gente messa molto peggio di lui: era pur sempre un nobile con tutti i propri agi e privilegi. Ma era infelice. Infelice come molti altri in quella soffocante corrotta società creata dal Maestro e dalla sua supremazia.
Aveva adottato Fire a soli diciotto anni. E dato che dovevano reggere il gioco della parentela di sangue poiché l’eredità era obbligatoriamente passata attraverso il sangue, non lo aveva subito presentato alla società ufficialmente come suo figlio, l’aveva fatto restare nell’ombra per un po’, per poi inventarsi la falsa storiella dell’amante con lui l’aveva avuto, della morte di quest’ultima, della famiglia di lei da cui il bimbo aveva risieduto prima che suo padre lo riconoscesse ufficialmente.
Adottarlo era forse stata l’unica decisione autonoma in tutta la sua vita, forse l’unica che lo rendeva davvero felice. Per questo, quando raccontava di quanto avesse amato la sua donna, di quanto avesse sofferto a saperla morta, di quanto fosse stato felice di ritrovare suo figlio, era credibile: perché gli bastava esternare l’amore puro e sincero impiegato in quel semplice atto di adozione.
Nonostante tutte le responsabilità già pressate sulle proprie spalle, voleva sinceramente farsi carico di un figlio tutto da solo. Non gli importava quanto sarebbe stato difficile, intendeva prendere la questione molto seriamente: considerava davvero immorale avere figli solo per capriccio. Certo, ormai era evidente, il suo desiderio di crearsi una famiglia sua nasceva anche per colpa del tipico ambiente infantile anaffettivo caratteristico dei nobili, cui suo malgrado aveva vissuto: lui voleva amore, voleva una famiglia, ma quello che contava davvero era l’essere disposto a dare amore, a fare del suo meglio per crescerlo come meglio poteva.
Era per questo che Logan Royston era una persona così buona, allegra, giocosa e disponibile. Be’, tecnicamente lo era di suo, faceva parte della sua personalità, ma non era tutto rose e fiori come appariva. Nessuna persona normale potrebbe essere sempre così dolce e pacata.
I nobili sono sempre costretti ad indossare una maschera di compiacenza, e lui l’aveva imparato a proprie spese. Aveva dovuto buttare la sua adolescenza nel cassonetto per indossare i panni di una bambola di plastica. E non era mai stato facile mantenere quell’aspetto di sé.
Quando Fire era ancora piccolo – era stato adottato a otto anni – e Logan ancora molto giovane, quando pensava che suo figlio non potesse vederlo o sentirlo, si sfogava, piangendo, urlando e singhiozzando. Ecco dove andava a finire tutto quello che reprimeva dentro di sé; Fire non si capacitava con quale forza suo padre riuscisse il giorno dopo a sorridergli e a sorridere agli altri, tanto da far scordare al suo bambino cosa aveva visto.
Logan Royston il festaiolo. Nessuna preoccupazione, solo una gran voglia di divertirsi. Se solo avessero saputo…
Doveva ridere. Perché sapeva che se avesse iniziato a piangere… non sarebbe più riuscito a smettere. Eppure, un giorno lo fece, e da quel momento, accadde molto più di rado. Non smise mai completamente, ma le sue previsioni sul fatto di non smettere mai sfumarono completamente.

Una sera, il piccolo Fire si sveglia nel cuore della notte, perché sente dei singhiozzi. Sa di chi sono, e questa volta, prende coraggio e iniziativa. Si alza dal letto, con indosso il pigiamino di seta, e con i piedini nudi zampetta verso la stanza di suo padre.
Apre piano la porta, senza farsi udire. Logan è lì, seduto sul letto, i gomiti sulle ginocchia, le mani sul viso, le spalle scosse dai singhiozzi. Poi il nobiluomo si blocca, quando sente una dolce pressione avvolgerlo sulla schiena.
È il suo bambino. Il suo dolcissimo bambino lo sta abbracciando.
<< Non piangere, papà. Sono qua. Non essere triste. >>
 
E dopo quel momento, ce ne furono molti altri di simili. E molti altri ancora. Per ogni volta in cui Fire piangeva e suo padre lo consolava, ricambiava quest’ultimo con lo stesso identico gesto.
E questo suggellò per sempre l’innegabile, indiscutibile amore tra padre e figlio. Perché non vi è niente di più sincero nell’amore e nell’affetto del fare scambio delle proprie fragilità. Amore è mettere il bene di qualcun altro prima del tuo sapendo che anche l’altro in questo ti ricambierà. Un dare e un avere in cui entrambe le parti sono coinvolte.
Dopo aver rievocato il tutto, Logan si accorse di avere gli occhi zuppi di lacrime attraverso le lenti degli occhiali protettivi che stava indossando. Liberò un sospiro.
Adesso suo figlio gli mancava da morire. Avrebbe voluto averlo vicino e abbracciarlo forte. Erano l’uno l’àncora di salvezza dell’altro. Ma sapeva che avrebbe dovuto aspettare.
Gli stava bene. Era forte e avrebbe resistito, come la dura pietra che era.
Così si rimise a lavoro… finché un assurdo scossone non fece tremolare il suo laboratorio, costringendolo ad uscire fuori per capire cosa diavolo stesse succedendo. Sapeva solo che proveniva dal salone e che ogni probabilità era molto grande.
Fortunatamente, prima di quell’avvenimento, il suo lavoro alchemico era ormai terminato.
 
Nel frattempo
 
Il TARDIS smise di muoversi… e le porte della macchina si spalancarono, rivelando il mondo esterno.
<< Tutti fuori! Adesso! >> gridò il Vigilante.
Prese delicatamente Kirby per le spalle e lo trasportò fuori dalla cabina... poi si bloccò nel guardarsi intorno. Fissò il pavimento sotto i suoi piedi. Le mattonelle aveva qualcosa di fin troppo familiare. Alzò lo sguardo sulle pareti. Poi il soffitto.
Era un atrio con un salone enorme, palesemente appartenente alla casta nobiliare.
Non era possibile. Quello era...
<< Per tutti i gironi dell’inferno! >> sbottò una voce familiare.
Contro ogni più folle previsione, la figura di Logan Royston era apparsa lì nel salotto. Era trafelata, segno che aveva corso per recarsi lì. Doveva aver sentito come minimo tutta la confusione fatta.
<< Baelfire…!? Ma come hai… cosa diamine sta succedendo!? >>
<< Padre, non c’è tempo! >> esclamò Fire, in completa tensione << Devi aiutarmi, hanno bisogno di cure urgentissime! >>
Il nobiluomo strabuzzò gli occhi, esterrefatto. In rapida successione, fissò suo figlio negli occhi. Poi fissò la cabina. Poi i ragazzi stesi per terra.
Il suo istinto di padre e di persona premurosa ebbe la meglio, e si arrese con un sospiro.
<< Vado a chiamare Sebastian. >>
 
Mezz’ora dopo
 
I Time Warriors furono trasferiti in infermeria. Fortunatamente i lettini erano stati rifatti e pertanto agibili: Fire e Logan, aiutandosi a vicenda, li adagiarono, esaminarono le loro ferite, le sciacquarono, le medicarono e infine le fasciarono. Kirby fu prelevato da Sebastian e trasferito nel laboratorio alchemico, poiché necessitava di cure molto più specifiche e complicate: era possibile sintetizzare la tossina di Joker solo possedendo i macchinari specifici.
In quanto medico, Michaelis era il più adatto ad occuparsene, ma il ragazzo non avrebbe avuto alcuna possibilità se non fosse stato per il rallentamento creato dai poteri del soleano blu.
Fu faticoso, ma alla fine tutti furono stabilizzati, tanto che caddero in un sonno profondo: si poteva solo immaginare quanto i loro combattimenti li avessero sfiancati.
Padre e figlio si lasciarono crollare seduti insieme su uno dei divanetti in un angolo della sala, esausti ma soddisfatti del loro lavoro di squadra. Rimasero in silenzio per qualche istante, entrambi incerti di cosa dire o fare: la situazione li aveva colpiti all’improvviso e adesso li lasciava completamente senza parole, anche se quanto avevano da dirsi era tanto.
<< Non è questo che immaginavo quando ti dicevo che dovevamo passare più momenti padre-figlio insieme >> dichiarò infine Logan scherzosamente, allentando la tensione.
A Fire scappò una risatina stanca, ma sincera, e gliene fu davvero grato.
<< Mi dispiace, papà >> mormorò << È bello rivederti. Ma volevo starti lontano per proteggerti, non piombarti in casa così. >>
<< Suppongo non sia stata una tua idea >> intuì l’uomo << È stata quella sottospecie di cabina? Può teletrasportarsi? >>
<< Diciamo di sì. >>
A quel punto, gli raccontò tutto quel che era successo nell’ultimo periodo, sin dal suo reclutamento col Dottore: ormai era importante fargli sapere come stavano ufficialmente le cose. Quando arrivò alla questione di Villa Skywalker, spiegò in breve e in maniera semplificata che l’incursione era servita per scoprire l’ubicazione del TARDIS, l’unico congegno in grado di fermare il Maestro e il suo dominio, e che lui aveva cercato di usarlo sotto indicazione del Dottore, ma qualcosa era andato storto facendoli finire lì a Londra.
Ma tacque su Vader e Lada. Non era pronto a dirglielo. Non subito. E poi al momento c’era qualcos’altro che lo tormentava.
<< Non siamo arrivati tutti sani e salvi >> gli confessò, stringendosi nelle spalle << Abbiamo perso Thor e Accelerator. Non so dove siano finiti, non sono apparsi con noi quando li ho teletrasportati tutti. Io… non credo sia colpa mia, ho fatto tutto quello che mi ha detto il Doc, eppure sono spariti. >>
Logan lesse la viva preoccupazione nei suoi occhi e ne rimase colpito. Non aveva parlato con tanto trasporto degli altri suoi compagni, tranne di quei due e del Dottore. Intuì che, nel bene e nel male, erano coloro con cui aveva legato di più, cosa non facile vista la sua introversione.
<< Staranno bene >> lo rassicurò << Se sono così potenti come mi hai raccontato, sono ancora vivi. Devi avere fiducia in loro, e devi avere speranza. Quando gli altri tuoi compagni saranno di nuovo in sesto, li ritroverete. >>
Fire annuì e gli appoggiò la tempia sulla spalla: solo ora si rendeva conto di quanto fosse stanco. Ne aveva passate di cotte e di crude, prima di potersi dire tranquillo e al sicuro come in quel momento.
Logan gli accarezzò i capelli, poi rimase interdetto. << Ti sei schiarito i capelli? >>
<< Ah. >> Il giovane si afferrò una lunga ciocca e la guardò come se la vedesse per la prima volta. << No, non è stata una mia idea. È successo quando si sono risvegliati i miei poteri. >>
Risvegliati. L’aveva detto quasi senza pensarci. Doveva essere l’istinto, perché sapeva, no, sentiva che era la verità.
<< Riesco a fare cose nuove, e sento di poter fare altrettante cose nuove senza averle mai fatte prima. È pazzesco, è una specie di istinto... però abbiamo la conferma della nostra teoria di allora. Sono qualcosa di mentale. Energia psionica, direi. >>
<< Oh, be’, direi che è superiore a laser, e di sicuro molto, molto meglio di “luce verde”… >>
<< E che cavolo, ero un moccioso! >>
<< Preadolescente >> lo corresse Royston, sghignazzando, per poi passargli le dita tra le ciocche, pensieroso << Sbaglio, o anche nel giorno in cui hai scoperto i tuoi poteri hanno cambiato colore? Sono diventati verdi da allora. >>
<< Dove vuoi arrivare? >>
Il marchese lo fissò dritto negli occhi, con solennità. << Per molti popoli antichi i capelli erano simbolo di forza vitale, quasi emanazione della potenza del cervello. Sono una metafora per la maturità sessuale e mentale. Allora stavi diventando adolescente… ora un adulto. >>
Baelfire non poté fare a meno di abbassare lo sguardo a guardarsi i palmi. Si sentiva diverso, era vero. In qualche modo non si pensava più come a un ragazzino, ma non sapeva nemmeno se definirsi già adulto. Di sicuro quel viaggio che stava facendo l’aveva plasmato, sia mentalmente che fisicamente.
<< Papà? >>
<< Sì, figliolo? >>
<< Vorrei chiederti qualcosa... che non ti ho mai chiesto prima. >>
Fire prese un respiro profondo, come ad infondersi coraggio, prima di parlare.
<< Perché hai scelto me? >> domandò << Tra tutti quei bambini all’orfanotrofio... perché proprio io? >>
Logan tacque e lo osservò per qualche istante, con un’espressione indecifrabile. Lo sguardo azzurro corse nel vuoto, come se stesse rievocando quel momento.
<< Ho osservato le foto e i fascicoli di quei bambini uno ad uno >> sussurrò << Sorridevano, come a cercare di apparire al meglio, sperando forse di essere scelti per questo. Mi sembrava quasi impossibile poter vedere delle facce tanto felici in un posto orribile come quello. Mi sembravano falsi. Tutti... tranne uno. >>
Incontrò lo sguardo del figlio adottivo.
<< Tu non sorridevi, Baelfire. Perché eri sinceramente infelice… e perché non fingevi. Non ti importava di come saresti apparso, non volevi essere ciò che non eri. E dall’altro lato... eri rassegnato e fermamente convinto che saresti rimasto per sempre lì dentro. Che quello era il tuo destino e allora non valeva la pena lottare per cercare di cambiarlo. E nonostante questo, hai sempre avuto la forza di essere incommensurabilmente generoso con il prossimo che ti rifiutava per quello che eri. >>
Gli strinse amorevolmente una spalla.
<< Quella è la tua scintilla. Fu ciò che mi colpì. E mi colpì ancora di più quando ti conobbi dal vivo. E giurai a me stesso che avrei dimostrato a quel bambino sperduto che come tutti gli altri... anche lui meritava di essere davvero felice. >>
Fire fissò a lungo il volto sorridente di suo padre. Poi avvertì gli occhi bruciare, e senza una parola, lo strinse tra le braccia, premendogli il mento sulla spalla. Sentì Logan ricambiare la sua stretta con altrettanto amore, le dita ad accarezzargli i capelli.
<< Mi hai salvato la vita, bambino mio >> lo sentì mormorare << Senza di te, sarei marcito per il resto della mia vita. >>
<< Tu mi hai salvato per primo, Logan. >> Disse il suo nome con la voce tremante dall’emozione. << Senza di te sarei probabilmente marcito lì dentro per sempre. >>
<< Ehm… facciamo cinquanta e cinquanta a testa? >>
<< Cinquanta e cinquanta a testa va bene. >>
Risero tutti e due, finalmente più leggeri e sinceramente felici. Poi Logan si alzò in piedi.
<< Non c’è più motivo per me di restare qui dopo che ti sei cacciato così tanto nei guai. >>
<< Ma papà… >>
<< Non dirmi “ma papà”! Non ti sto dando la colpa! È stata una mia scelta quella di appoggiarti e di coprirti. Sapevo a cosa potevo andare incontro divenendo tuo complice, e non ho paura. Mi sono preparato a questa evenienza. Nel laboratorio alchemico ho preparato qualcosa che mi aiuterà per quando partiremo a salvare i tuoi amici, perché ti assicuro che ho tutta l’intenzione di riportarli qui al sicuro. Sono curioso di conoscere il tuo amico Accelerator. >>
<< Non è mio...! >>
<< Baelfire? Cerchi di mentire a me? >> Royston ridacchiò innocentemente, per poi sorridere << Sei sempre il solito. Se non fosse un caro amico per te... ci terresti forse così tanto a salvarlo? Non hai parlato mai di lui come “un mio compagno di squadra” o “un ragazzo dei Time Warriors”. No... lo hai chiamato per nome. E non è da te. Le tue parole ti tradiscono, figliolo. >>
Fire incassò, storcendo le labbra e stringendo i denti. << Potrei comunque fartelo conoscere senza che tu debba venire con me. Potrebbe essere pericoloso… >>
<< Ti ho insegnato io a combattere. Per l’amore del cielo, figliolo, quanti anni pensi che abbia? Sono ancora giovane e prestante, fidati che posso tranquillamente badare a me stesso. Potrei essere la tua spalla! Non ce l’ha ogni supereroe? E poi, siamo sempre stati una squadra perfetta. >>
Suo figlio tirò un lungo sospiro. << Non riesco proprio a convincerti a non rischiare così tanto solo per me? >>
<< No, non ci riuscirai. >> L’uomo gli sorrise nuovamente. << Questo perché sono tuo padre. Io ti proteggerò sempre. >>
A quel punto, il giovane non poté fare a meno di ricambiare il suo sorriso. Ma poi il suo viso si adombrò, mentre prendeva un respiro profondo.
Non poteva più rimandare, lo sapeva. Si alzò in piedi a fronteggiarlo.
<< C’è una cosa che devo dirti. >>
Il suo tono e il suo sguardo erano molto seri, perciò il marchese capì che si trattava di qualcosa di molto importante. Segretamente intuì anche cosa fosse, perché, in fondo, lo sapeva già. Gli fece comunque cenno di proseguire.
<< Il Dottore... mi conosceva. Conosceva mia madre, così come Thor. Mi hanno parlato di lei. Ho scoperto come sono arrivato all’orfanotrofio. Poi, alla festa di Anakin Skywalker... ho incontrato il mio vero padre. >>
Fu così che gli raccontò tutto. Logan non lo interruppe neanche un istante, solo alla fine: anche lui voleva dirgli la verità.
<< Sapevo già qualcosa, almeno in parte. Vader è venuto da me per interrogarmi. >>
<< Stai scherzando! >>
<< Non direi proprio >> borbottò il nobiluomo, massaggiandosi distrattamente la gola << Lo ha fatto per te. Voleva conoscerti meglio, voleva che gli dicessi tutto quello che sapevo su di te. Ho tergiversato un po’, e poi se ne è andato. >>
<< Sì, e magari gli hai anche offerto una tazza di tè >> sbottò il figlio << Ti ha fatto del male, non è così!? >>
<< Ne ho subìte di peggio >> tagliò corto Royston, non potendo nascondere l’espressione colpevole sul proprio viso << Ascoltami bene, per tutto il tempo in cui starete qui, cercate di non uscire di casa. Ci sono dei droni che sorvegliano il territorio. Li avete scampati per bene trasportandovi qui, ma se avete altri amici fuori di qui che vogliono raggiungervi lui potrebbe localizzarvi e tornare qui a prendervi. >>
<< Okay, poi richiamerò il Dottore >> rispose Fire in tono sbrigativo, mentre si massaggiava le palpebre nel tentativo di mantenere la calma.
Il pensiero che Vader fosse stato lì e avesse messo le mani addosso a suo padre lo faceva andare in bestia e lo riempiva di orrore e preoccupazione più totali. Sentì il palmo di Logan sfiorargli dolcemente la guancia.
<< Va tutto bene, Baelfire >> lo richiamò << Io sto bene, e lui adesso non è qui. Non agitarti senza motivo, sistemerai tutto dopo. Adesso calmati. >>
L’adolescente annuì, stringendosi nelle spalle. << Mi dispiace. Io… cazzo, non pensavo… >>
<< Linguaggio >> lo corresse automaticamente il padre burberamente.
<< Scusa, è che… è così dannatamente difficile. Io ero… >>
<< Non l’hai presa bene >> affermò Logan << Senza offesa, ma non posso biasimarti. >>
Il giovane Royston prese un respiro profondo.
<< All’inizio... ero sconvolto. Non so cosa mi aspettassi, ma certo non di essere figlio del cane del Maestro e della regina della Valacchia. Ma ho capito una cosa. Non c’era alcun bisogno di disperarsi >> affermò Fire, con una dolcezza inaspettata << Avrei anche potuto essere figlio di due persone assolutamente mondane... ma nulla avrebbe cambiato una semplice, inoppugnabile verità. Non importa dove il mio sangue mi porterà. Io so chi sono. >>
Gli occhi di Logan si inumidirono di colpo. << Davvero? >>
Il giovane gli si avvicinò, stringendogli amorevolmente le mani. C’era un’espressione ferma e decisa nel suo sguardo.
<< Sono tuo figlio. >>
E lo abbracciò di nuovo. Un abbraccio diverso, molto più profondo di prima. Piangevano entrambi questa volta, un pianto silenzioso di gioia e di completa riconciliazione.
<< Ti voglio bene, papà. >>
<< Anch’io, figlio mio >> Logan trattene a stento un singhiozzo << Anch’io. >>

                                                                                                                          * * * 
 
Sul pianeta Trenzalore, Megatron osservò con uno sguardo impassibile il corpo svenuto di Thor.
Il Dio del Tuono si era sicuramente rivelato un avversario degno del loro tempo… e quasi gli dispiaceva di non essersi potuto confrontare con lui quando era al massimo della forma, come avevano fatto su Asgard molti anni orsono. Ma il cybertroniano non era certo diventato il Signore del suo mondo attraverso mezzi onorevoli! Ogni tanto bisognava mettere da parte l’orgoglio e concentrarsi sul quadro generale.
Voltandosi, vide Blitzwing, Mohawk e Shatter camminare verso di lui, affiancati dalle più piccole figure di Harley Quinn, Adam e Cinder.
Megatron inclinò curiosamente la testa.
<< Dove sono i vostri alleati? >> chiese rivolto alla mora.
La donna schioccò la lingua e i suoi occhi dardeggiarono di un giallo brillante.
<< Sembra che ci abbiano abbandonati nel mezzo della battaglia >> ringhiò, le mani strette in pugni serrati << Ma mi assicurerò che il loro tradimento non resti impunito. >>
<< Lo faremo entrambi >> accondiscese Adam, stringendo la presa sulla sua arma << Daremo loro la caccia fino ai confini di Battleground, se necessario. Un’amicizia con Salem non si rompe tanto facilmente! >>
Megatron assottigliò le ottiche e si voltò verso i suoi fedeli sottoposti.
<< Ebbene? >> ringhiò, notando l’assenza di prigionieri.
Blitzwing e Shatter si lanciarono sguardi imbarazzati.
<< Sono riusciti a scappare >> rispose la femme << Una qualche forma di teletrasporto. Berserker… è morto durante la battaglia. >>
Inutile dire che quella notizia colse i restanti cybertroniani decisamente di sorpresa. Berserker era stato uno dei loro guerrieri più capaci… ma anche se affiancato da Soundwave e Shatter, era comunque caduto sotto i colpi del soleano? Quel ragazzo doveva essere molto più forte di quanto gli avessero dato credito.
<< La sua morte non resterà impunita >> sibilò il Signore di Cybertron << Tuttavia… il Maestro non sarà contento. >>
<< Cinque parole che non vanno mai bene nella stessa frase >> commentò una voce squillante dalle ombre.
I presenti si voltarono all’unisono e i loro sguardi incontrarono quello estatico del Joker, in testa alla sua banda.
Harley rilasciò subito uno squittio eccitato e si lanciò verso di lui… solo per essere messa a terra da un forte schiaffo del clown.
La donna si portò una mano alla guancia. << Pudding… >>
<< Non dire “Pudding” a me, razza di ruota difettosa! >> ribatté il Principe del Crimine << Avevate tutti un lavoro, ma noto che nessuno di voi è riuscito a completarlo! Ma che vi ho portati a fare?! >>
<< I mocciosi si sono dimostrati molto più tenaci del previsto >> ringhiò Bane, visibilmente scontento dall’intera situazione. Odiava quando un avversario usava simili trucchetti per darsela a gambe!
All’improvviso, un forte fragore risuonò sopra le loro teste. Un jet planò verso il suolo e atterrò proprio di fronte a Megatron, per poi assumere le sembianze di un Decepticon molto familiare: Starscream, il secondo in comando delle armate cybertroniane. Aveva il corpo bruciacchiato in diversi punti, ma a parte questo sembrava essere uscito per lo più incolume dalla sua ultima battaglia.
<< Lord Megatron! >> esclamò il mech, inchinandosi profondamente di fronte al Signore di Cybertron.
Megatron si limitò a fissarlo.
<< Dov’è il Dottore? >> domandò pericolosamente.
Starscream sollevò lentamente la testa e sembrò deglutire a fatica. << Lui… è riuscito a scappa-… >>
Non ebbe la possibilità di finire la frase. Il braccio armato del superiore scattò in avanti e lo afferrò per il collo, sollevandolo da terra.
<< Vedo che mi hai deluso ancora una volta, Starscream >> ringhiò l’ex gladiatore.
Le ottiche del Seeker si spalancarono allarmate. << Io… ugh… ho fatto del mio meglio… >>
<< Ti avevo affidato un compito importante >>  continuò Megatron, implacabile << Ma vedo che non mi sei utile neanche per catturare un misero insetto! >>
<< Un… insetto tra miliardi! >> balbettò l’altro << Qualcuno che ha eluso il Maestro per decenni! Potrebbe essere ovunque! >>
La presa sul volantino si allentò e il suo corpo metallico ricadde pesantemente al suolo.
Megatron gli lanciò un’occhiata piena di disgusto.
<< Allora sarà lui a venire da noi >> disse mentre volgeva lo sguardo verso un punto ben preciso.
Gli altri membri della squadra lo imitarono e videro l’esile figura di Soundwave che fuoriusciva dalla nebbia del cimitero. Nella mano destra reggeva qualcosa di gracile e pallido.
Il Signore di Cybertron arricciò le appendici metalliche in un sorriso ferino.
<< Questa caccia non è stata priva di vittime >> ammise a malincuore << Ma siamo comunque riusciti a guadagnare una piccola vittoria! >>
Il nuovo arrivato lanciò il corpo di Accelerator affianco a quello di Thor.
Gli occhi di Joker parvero illuminarsi nella penombra della sera.
<<  Uuuuuuuuuuuh! >> esclamò sornione, mentre intuiva il significato dietro alle parole di Megatron << Questo sì che sarà divertente! AH AH AH AH AH AH! >>




Ebbene sì, Thor e Accelerator sono stati catturati dal nemico. Ma ormai il Doc ha finalmente il suo TARDIS, quindi ormai tutti i suoi problemi sono risolti... oppure no?
Nel prossimo capitolo, i lettori otterranno finalmente le risposte a tutte le loro domande sulla nascita di Battleground...




Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3998145