D’impeto,
Sandokan si precipitò da Yanez e lo strinse tra le braccia. Il
suo cuore, in quel momento, palpitava di gioia.
Quelle
lunghe, estenuanti notti d’angoscia si erano concluse.
Ancora
una volta, Suyodhana era stato sconfitto e le sue brame di dominio
erano state frustrate.
Il
calore del corpo di Yanez, stretto attorno al suo, era la più
bella sensazione che potesse provare.
Sentì
le lacrime velargli gli occhi. Aveva temuto di perdere il suo
fratellino portoghese.
In
quell’istante, l’energia nervosa, che, fino a poco prima,
l’aveva sostenuto, si era dissolta.
Il
suo animo era turbato dal forte desiderio di ridere e di piangere.
Una
domanda, ad un tratto, balenò nella mente del giovane principe
malese. Certo, il pericolo era cessato, ma desiderava dissipare i
suoi dubbi.
Perché
Yanez aveva impiegato tanto tempo per emergere dall’oscurità?
Per
lui, così concreto, non doveva essere stato problematico
scegliere i suoi compagni.
Cosa
aveva distolto la sua attenzione da loro?
Con
garbo, sciolse l’abbraccio e le sue dita, leggere, si posarono
sulle spalle dell’amico.
–
Perché?
– chiese, calmo.
Yanez,
perplesso, sbarrò gli occhi, poi le sue labbra si sollevarono
in un sottile sorriso.
–
Capisco.
Vuoi sapere perché ho impiegato tre giorni per svegliarmi. –
dichiarò.
Con
un cenno della testa, il rajà malese annuì.
Un’ombra
effimera velò gli occhi cerulei del portoghese e, per alcuni
istanti, il suo sguardo vagò oltre le finestre del palazzo.
L’oceano,
d’un terso azzurro, simile ad un’acquamarina, era
sfiorato dai raggi del sole, che accendevano l’acqua di
barbagli dorati.
I
gabbiani, emettendo grida rauche, precipitavano verso il mare e, di
tanto in tanto, in nuvole di gocce, emergevano le sagome dei delfini
e delle balene.
Una
mano d’acciaio strinse l cuore di Yanez in una morsa. Come
aveva potuto dimenticare quei luoghi così belli?
Ormai,
erano la sua patria.
In
quei posti aveva creato la sua famiglia, che lo aveva circondato di
rispetto e di affetto.
Quasi
si vergognava a rivelare la ragione della sua esitazione a Sandokan.
–
Suyodhana
è stato perfido. Non so cosa abbia fatto, ma è riuscito
a staccare la mia anima dal mio corpo. E, in questo stato, sono
giunto al confine tra il regno dei vivi e quello dei morti. –
cominciò.
Un
brivido involontario percorse la schiena di Sandokan. Dunque, avevano
rischiato davvero di perderlo.
I
medici erano riusciti a risanare le ferite del suo corpo, ma non
avevano potuto infrangere la sua magia.
Solo
l’adamantina forza di volontà del suo amico portoghese
era riuscita a distruggere quell’incubo.
– Con
quell’individuo, nulla è impossibile. Continua. –
lo incoraggiò, gentile.
Un
debole sospiro fuggì dalle labbra di Yanez e, con un gesto
nervoso, si passò una mano tra i corti capelli.
– Non
so se sia stato vero o no… Ma, in quel limbo, ho potuto vedere
mia madre… Lei era lì, ancora giovane e bella, e mi
invitava a seguirla… Mi diceva che niente ci avrebbe separati.
Niente. – mormorò.
Si
interruppe e il suo corpo, per alcuni istanti, si irrigidì,
come una sbarra di metallo. La visione di lei, splendente di salute e
gioventù, avvolta in un lungo abito verde e azzurro, era stata
splendida, ma destabilizzante.
Quando
aveva incontrato gli occhi di lei, così simili ai propri, era
stato sopraffatto dall’emozione.
La
nostalgia, da lui creduta svanita, era riemersa e aveva sentito la
struggente necessità d’un abbraccio.
Chinò
la testa sul petto, il cuore greve d’emozione. Aveva pochi
ricordi di lei, perduti nella nebbia del tempo, ma il suo istinto
l’aveva riconosciuta.
Ella
si era girata, gli aveva sorriso e le sue mani sottili si erano
strette attorno alle sue spalle.
– Io
ho pochi ricordi di mia madre… Ma so che mi voleva bene e, se
fosse sopravvissuta, mi avrebbe donato tutto l’amore di cui era
capace. E, in quel limbo, il mio desiderio era stato esaudito. Mi
vergogno quasi a dirtelo, amico mio. – confessò.
Sandokan,
bonario, sorrise e gli strinse ancora di più le mani sulle
spalle.
– Perché
ti devi vergognare? A te il calore di una famiglia è stato
negato quando eri un bambino. Hai voluto esaudire un desiderio
legittimo. – replicò. Non poteva rimproverare nulla a
Yanez.
A
lui la famiglia era stata strappata dall’avidità
dell’uomo, ma era riuscito a conoscere l’affetto dei suo
genitori, di Macassar e di sua sorella Chandra.
Yanez,
a causa delle sue origini illegittime, era stato privato del suo
diritto a vivere in un ambiente sereno.
Poche
ore dopo la sua nascita, sua madre era morta e il suo padre adottivo
era deceduto al compimento del suo sesto anno d’età.
Era
stato costretto a diventare il servo del suo stupido padre naturale e
dei suoi sciocchi e crudeli fratellastri.
– Poi,
ho sentito la tua voce, amico mio. E avvertivo la tua angoscia e la
tua rabbia. Hai detto che avresti preferito perdere tutto, ma non me…
E, ancora una volta, mi hai chiamato amico. E’ stata la frase
più bella che io abbia mai sentito. Mi ha consentito di
ristabilire un contatto con la realtà. E la mia realtà,
il mio presente siete voi. – continuò.
Alzò
la testa e i suoi occhi celesti si rifletterono in quelli neri di
Sandokan.
– Ho
dovuto dirle addio di nuovo. E’ stato triste, ma non mi pento
della mia decisione. E’ stato bello godere delle sue carezze,
ma non mi basta. Io non cerco chimere, ma realtà. –
concluse, tranquillo. Non sapeva perché, ma, in quel momento,
si sentiva libero.
E
la felicità riempiva il suo cuore.
– Sono
felice, amico mio. Ma credo sia il caso di avvertire gli altri. E’
giusto festeggiare anche con loro il tuo ritorno. – propose
Sandokan.
Yanez,
entusiasta, annuì ed entrambi, allegri, uscirono dalla stanza.
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