Con
un tonfo sinistro, il corpo di Kyam si abbandonò tra le
braccia di Maxi.
Il
giovane, per alcuni istanti, rimase immobile, il corpo congelato da
un doloroso stupore. Gli pareva di essere circondato da una
prigione oscura, sempre più soffocante.
Il
suo amico fraterno giaceva tra le sue braccia, inerte, il corpo
dilaniato da una grave ferita.
Poteva
sentire sui suoi palmi il sangue di lui.
Strinse
la mascella e irrigidì il corpo, come una sbarra d’acciaio.
Prima di morire, il suo amico fraterno gli aveva chiesto di vendicare
la morte sua e del suo equipaggio.
Ed
egli, pur dilaniato dalla sofferenza, aveva acconsentito.
Astaroth,
che si era reso colpevole di una tale carneficina, sarebbe stato
distrutto.
La
forza demoniaca, di cui menava vanto, non lo avrebbe salvato dalla
sua collera.
Le
sue dita, leggere, sfiorarono la guancia di Kyam, in una gentile
carezza. Ne era cosciente, tale gesto era inutile, ma non riusciva a
smettere.
Il
suo stupido cuore credeva di confortare Kyam e di guidare la sua
anima verso il cielo.
Aveva
sofferto pene atroci, non poteva non meritarsi il Paradiso.
– Non
credo servirà a molto, amico mio… Ma, ti prego, ho
fatto quello che ho potuto…. – mormorò, il tono
amaro. Tanti ricordi, in quel momento, si spiegavano davanti ai suoi
occhi e acuivano il suo senso di pena.
Kyam,
per lui, era una roccia stabile e non aveva esitato a gettarsi in
situazioni pericolose, pur di salvargli la vita.
Con
lui, non aveva bisogno di coprire la sua anima con una perenna
maschera di buffone.
La
nave, come un delfino, filava sul mare, lasciandosi dietro una scia
di candida spuma.
Le
stelle scintillavano d’argentei bagliori nell’infinità
zaffirina della volta celeste e i loro raggi, leggeri, sfioravano
l’acqua, accendendola di effimeri baluginii.
Si
era avviato verso la prua. Lì, immerso nel silenzio di quella
notte serena, avrebbe potuto posare la maschera dell’allegria.
Non
sapeva perché, ma si vergognava a mostrare la pena del suo
cuore.
Le
sue lacrime erano custodite nelle profondità della sua anima,
come gemme in uno scrigno.
– Mi
mancate, madre mia… – aveva mormorato, il tono
malinconico. Al compimento del suo sesto anno di vita, sua madre era
stata colpita da una grave consunzione.
Nonostante
le cure sollecite dei guaritori e le ardenti preghiere di suo padre,
si era spenta.
Ricordava
bene il suo corpo, ormai privo di vita, illuminato dal giallore
lugubre delle candele.
Il
dolore, in quell’istante, si era congelato nel suo cuore. No,
quelle membra esili serbavano solo l’aspetto di sua madre.
Nonostante
la sua malattia, lei aveva sempre avuto un carattere energico.
Non
si doveva piangere un corpo privo di volontà e di opinione.
Aveva
sentito due braccia nerborute stringergli le spalle.
Un
moto di vergogna l’aveva invaso e il suo volto s’era
imporporato. Qualcuno aveva veduto la sua amarezza e si era
preoccupato.
Si
era irrigidito. Non era suo desiderio mostrare la sua dilaniante
disperazione.
– Amico
mio… Non fingere una serenità che non provi. Siamo
fratelli, non dimenticarlo. – aveva mormorato la gentile voce
di Kyam.
A
quel suono basso, ma dolce, la sua resistenza si era infranta e le
lacrime, prive di controllo, avevano inondato le sue guance.
– Grazie...
– aveva sussurrato. Quelle parole, d'apparenza semplice,
avevano lenito le sue angosce.
Kyam
si era mostrato capace di andare oltre la sua maschera esuberante e
aveva accolto la sua amarezza.
Lo
aveva stretto tra le sue braccia, senza domandargli nulla.
E,
per lunghi, eterni istanti, erano rimasti immobili, stretti in un
abbraccio, accarezzati dalla luce argentea delle costellazioni.
Un
forte scalpiccio di passi interruppe il corso dei suoi pensieri.
Maxi,
colto di sorpresa, sussultò, si terse le lacrime, poi si girò.
Fissò,
quasi sorpreso, la figura di Kilik avanzare a grandi passi verso di
lui, i lunghi capelli castani scompigliati. Gli sembrava di essere
riemerso da un sogno.
I
ricordi, con la loro dolcezza, lo avevano catturato e lo avevano
strappato alla realtà.
Chinò
la testa e fissò lo sguardo sul viso di Kyam. Il dolore, che
prima distorceva i lineamenti del suo amico, era svanito.
Sembrava
addormentato in un sonno quieto, quasi fanciullesco.
Ma
era una illusione del suo cuore d’amico, che non concepiva una
simile, straziante tragedia.
Non
voleva comtemplare l'aspra e dolorosa verità della sua morte-
Un
fulmine, ad un tratto, rimbombò nel cielo, grigio di nubi e,
per un istante, il lampo illuminò d’un livido riflesso
il viso di Maxi.
La
pena strinse l'animo di Kilik, come una mano d’acciaio. Il
giovane comandante di quella nave aveva subito una grave perdita.
Il
suo sguardo, di solito scintillante di energia, era vuoto, quasi
perduto in dimensioni lontane.
Lacrime
silenziose sgorgavano dai suoi occhi e flebili singhiozzi, simili ai
lamenti di un animale ferite, sollevavano il suo petto.
Cauto,
il monaco guerriero allungò il braccio e appoggiò la
mano sulla spalla destra del pirata. Aveva imparato a stimare Maxi.
Oltre
l’aspetto bizzarro, occultava un cuore nobile, degno di un
guerriero.
E
Kyam era ben degno del suo affetto.
Lo
aveva compreso, tra loro esisteva un legame fraterno assai forte, che
nulla avrebbe potuto distruggere.
Maxi,
in quell’istante, era straziato dalla morte di un fratello.
Per
lui, era dilaniante vedere una persona così onorevole
abbattuta da una tale tragedia.
Maxi
non meritava un siffatto tormento.
Doveva
donare al suo cuore un aiuto.
Maxi
si girò e, per alcuni istanti, i suoi occhi neri, lucidi di
lacrime, si fissarono in quelli ambrati del monaco, caldi di
comprensione. Kyam, poco prima di spegnersi, gli aveva raccomandato
cautela con quel giovane.
Con
la sua sagacia, aveva avvertito, nelle profondità della sua
anima, il palpito d’una energia oscura.
Ma,
in quel momento, quella informazione, d’una importanza
decisiva, gli pareva quasi un’inezia.
Il
suo cuore e la sua mente, pesanti di dolore, non desideravano pensare
a nulla.
-
Mi dispiace tanto per quello che è accaduto, Maxi. Vorrei
potere fare qualcosa. – mormorò il giovane monaco,
dispiaciuto.
A
queste parole, con un grido disperato, Maxi si lanciò nel suo
petto. Forse, se ne sarebbe pentito, ma non aveva la forza di
sfruttare la sua razionalità…
Bramava
il conforto d’un abbraccio caldo e sincero, in quel momento
doloroso.
Colto
di sorpresa dall’irruenza del gesto del pirata, Kilik barcollò,
ma non cadde.
Poi,
d’istinto, strinse le braccia attorno alla sua schiena.
– Kilik…
Per favore, almeno per ora, non abbandonarmi. Mi fa troppa paura la
solitudine. — confessò il pirata. Forse, aveva sbagliato
a mostrare la sua vulnerabilità, ma non voleva pensare a
nulla.
Desiderava
lasciarsi cullare dall’affetto di una persona, capace di
accogliere il suo tormento.
La
disperazione, in quel momento, oltrepassava la prudenza.
Pur
di non sprofondare nella tenebra, era disposto a mettere in pericolo
la sua incolumità.
Ne
era cosciente, era un comportamento egoista, ma non aveva la forza di
mutarlo.
La
stretta di Kilik, d’istinto, si serrò attorno alla
schiena di Maxi. Nella sua semplicità, era una richiesta
commovente.
Quel
giovane, tanto vivace e intelligente, aveva paura di mostrare la sua
fragilità.
Doveva
dare forza al giovane pirata e dargli la possibilità di
fidarsi di lui.
– Stai
tranquillo. Non ti abbandonerò. – affermò,
deciso, mentre il rimbombo di un nuovo tuono rompeva il silenzio.
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