Un
denso fumo aromatico si levava dal bruciatore di ceramica e riempiva
la stanza di intense note di sandalo e patchouli.
Fei
Long, disteso sul letto, fissava il soffitto, gli occhi lucidi di
lacrime. Quelle note vellicavano il suo corpo di un languido piacere.
Aveva
bisogno di quell’effimero godimento, quando giungeva quel
giorno doloroso.
A
stento, frenò un singhiozzo. Cercava lo smarrimento dei sensi,
ma non era totale.
Quegli
aromi, pur da lui amati, non slegavano la sua mente dalla realtà.
– Papà…
Perdonami. E’ stata tutta colpa mia. – mormorò,
sconfortato. I sensi di colpa riemergevano tumultuosi dalle nebbie
dei ricordi.
Era
cosciente della loro assurdità, ma la forza della sua mente
era fragile, davanti ai moti del suo cuore.
Al
compimento dei suo sei anni di età, suo padre, il coraggioso
sindacalista Ning Peng, era morto, ucciso da un criminale, durante un
furto in casa.
Fedele
al suo credo, che gli imponeva la difesa dei diritti dei lavoratori,
aveva denunciato le angherie subite dagli operai di una grossa
azienda petrolifera.
Per
questo, era stato condannato a morte ed era stato ammazzato.
Quei
bastardi erano a conoscenza della sua esistenza e avevano deciso di
aggredirlo, mentre passeggiavano.
Avevano
deciso di sfruttare il suo profondo amore per lui.
Suo
padre, fulmineo, si era posto tra lui e il pugnale del sicario.
La
lama era affondata nella sua forte schiena, dilaniandola, e il sangue
era sgorgato sulle sue mani.
Era
morto per difendere la sua inutile vita.
La
porta della stanza, ad un tratto, si aprì ed entrò Ryu.
Il
lottatore nipponico aggrottò un sopracciglio. Due anni dopo la
sconfitta di Bison, lui e quel giovane di Honk Kong si erano
reincontrati.
Aveva
avuto la possibilità di conoscerlo meglio e non se ne era per
nulla pentito.
Il
loro legame si era approfondito e si era tramutato in un’amicizia
sincera.
Aveva
imparato a rispettare l’indole schiva, ma gentile del lottatore
cinese.
Accennò
ad un sorriso. Forse, era più simile a lui di quanto pensasse.
Nel
cuore di Fei Long, aveva scorto un’ombra, di cui non
comprendeva la ragione.
Calmo,
si sedette sul letto e lo scrutò. Aveva veduto, su un mobile,
un bruciatore di essenze e aveva riconosciuto le note del sandalo e
del patchouli.
Il
peso del suo cuore era gravoso e tentava di scioglierlo, servendosi
del potere degli aromi.
Ma
il profumo non aveva liberato il suo animo.
Cauto,
gli prese la mano destra tra le sue, quasi fosse un gioiello.
Fei
Long, sentendo quel tocco, sussultò, poi si girò e i
suoi occhi neri si rifletterono nelle iridi di Ryu.
Il
suo corpo, prima irrigidito, si rilassò. Gli piaceva la
compagnia silenziosa, ma attenta del guerriero nipponico.
Per
questo, era sempre felice di ospitarlo, quando si fermava ad Honk
Kong.
Il
suo sguardo, ad un tratto, si adombrò. Forse, avrebbe dovuto
chiedergli di tornare il giorno successivo.
In
quella giornata la sua anima era avvolta dalla tenebra e aveva la
gentilezza di uno spettro.
Ryu
gli accarezzò la mano. Desiderava sapere la causa della sua
tristezza, ma non era giusto costringere il suo compagno a parlare.
Doveva
essere sua la scelta di aprire il suo cuore.
– Ti
chiedo scusa, Ryu… Questo è un giorno doloroso per me.
Non sono ospitale come dovrei. – mormorò il cinese,
dispiaciuto.
Le
labbra di Ryu si sollevarono in un sorriso pieno di comprensione.
– Stai
tranquillo. Non è con me che ti devi scusare. – gli
rispose, pacato.
L’attore
chiuse gli occhi e, per alcuni istanti, tacque. Il suo amico asiatico
non aveva mutato il suo tono.
Non
era irritato dal suo silenzio.
Nella
sua voce, aveva percepito una nota preoccupata, che aveva prevaricato
il suo carattere discreto.
Ryu
desiderava capire le ragioni del suo dolore, ma non osava forzarlo a
rivelazioni inopportune.
E
di tale delicatezza gli era grato.
Aprì
gli occhi. Purtuttavia, non poteva esimersi da un dovere di onestà
verso il suo compagno.
Gli
costava uno sforzo non indifferente, ma era un dovere
imprescindibile.
– Ryu…
Quando ho compiuto nove anni anni, in questo giorno, è morto
mio padre. – cominciò Fei Long.
Il
lottatore nipponico sbarrò gli occhi, ma continuò a
sfiorargli la mano. Cominciava a comprendere la ragione della
malinconia dell’attore.
Avvertiva
la mancanza di una figura genitoriale, perduta ad una età
troppo precoce.
Avrebbe
voluto esprimere la sua vicinanza, ma gli sembrava insensato
esprimere generiche parole di conforto.
Anche
egli aveva conosciuto la condizione di orfano, ma non era legato ad
una tragedia repentina.
– Vedi,
mio padre era un sindacalista coraggioso. Per lavoro e per ideale ha
sempre difeso gli interessi degli operai. Per questo, era odiato dai
potenti. Perché non si faceva fermare dalle loro minacce. Il
suo senso dell’onore era ferreo. – dichiarò, gli
occhi lucidi di commozione.
– Ti
ha insegnato lui le arti marziali? – chiese Ryu.
Fei
Long, sentendo questa domanda, gli lanciò uno sguardo stupito.
– La
tua voce è quella mia e del mio amico Ken, quando parliamo del
nostro maestro Gouken. E, come lui, anche tuo padre era un valido
guerriero. Perché tu sei un valido combattente. Grandi maestri
forgiano grandi guerrieri. – dichiarò il guerriero
asiatico.
Il
viso di Fei Long s’imporporò e, d’istinto, reclinò
la testa sulla spalla destra. Ryu aveva troppa stima delle sue
capacità.
Ma
non poteva fargliene una colpa.
Cosa
avrebbe pensato, se avesse conosciuto la sua storia nella sua
interezza?
– E’
vero. Fu lui a darmi i primi insegnamenti nelle arti marziali. Ha
imparato il kung fu per difendere se stesso e quello a cui teneva.
Non voleva essere un uomo disarmato, davanti alle ingiustizie. –
continuò e un debole sorriso sollevò le sue labbra.
Pochi
istanti dopo, però, le sue labbra si piegarono in una linea
diritta, amara, mentre le lacrime strisciarono sulle sue guance.
– Ma
fece un errore: si fidò troppo di me. E io l’ho tradito.
L’ho tradito. – ripeté il divo, lo sguardo fisso
davanti a sé.
Il
nipponico aggrottò la fronte, stupito. La voce di Fei Long si
tingeva d’un forte rimorso e non ne comprendeva la ragione.
Il
suo animo era limpido e fermo, come la lama d’una spada.
Quale
angoscia tormentava il suo animo?
– I
suoi nemici sapevano che amava passeggiare con me… E non hanno
esitato ad aggredirlo in un momento di guardia abbassata. Hanno
colpito me, per colpire lui. E io non ho saputo difendermi da solo…
Ho lasciato che morisse, senza riuscire a fare nulla. –
confessò, amareggiato.
Si
interruppe e, per alcuni istanti, fissò il soffitto,
attraverso il velo delle lacrime.
– Mia
madre, a causa di quella sciagura, è caduta nel vortice
dell’alcolismo ed è morta a causa della cirrosi epatica.
E’ colpa mia se sono morti… – sussurrò e la
sua voce si spense in un tenue mormorio.
Le
braccia di Ryu si strinsero attorno alle spalle di Fei Long.
– Che…
Che fai? – domandò l’attore, stupefatto. Il suo
amico nipponico era d’animo nobile, ma la sua indole era
schiva.
Perché
lo aveva abbracciato?
Gli
pare di sentire il battito regolare del suo cuore contro le proprie
orecchie…
– Fei
Long… Permettimi di restarti accanto in questa giornata. –
mormorò Ryu, pacato. Il rimorso del suo amico era penoso per
lui.
Era
il suo nobile animo la fonte della sua sofferenza.
Fei
Long adorava la sua famiglia e si condannava per non essere riuscito
a fare nulla, pur non avendo alcuna colpa.
L’amore
gli impediva di perdonare se stesso in quella giornata.
Ma
non poteva offrirgli parole logore e usurate.
L’attore
cinese, senza alcuna parola, si appoggiò al petto del
compagno. Si sentiva bene, cullato da quell’affetto puro, privo
di affettazione.
– Ti
ringrazio, amico mio. –
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