Nota sul linguaggio: nel mio modo di parlare con la parola "lumache" si identificano le chiocciole, quelle con il guscio; con il termine (dialettale credo...) imeghe, invece si intendono le "limacce" quelle lumache generalmente rossicce e senza guscio.
Imega
Un sasso dopo l’altro
lanciati
sul mio guscio
a creparlo.
Credevo non esistesse
dolore peggiore.
Ho continuato a strisciare
tenendo insieme i pezzi.
La scia di lacrime
sotto di me.
Non era male poi,
pensavo di farcela,
forse ce l’avrei fatta.
Una lumaca dal guscio
crepato
rimane lumaca.
Poi un masso,
un urto incredibile.
Tutto quel rumore
e tutto quel silenzio,
tutte quelle schegge nel mio
fragile corpo.
Quel guscio costruito
in anni di dolori
da cui fuggire,
decenni passati
a cercare di sopravvivere,
era andato.
Due possibilità:
sopravvivere a quelle ferite
per tenermi il guscio
o lasciarlo andare.
Sono uscita strisciando,
aprendo ferite profonde,
da quello che era stato
il mio scudo.
Eccomi,
sono una imega.
Anni passati a temere
per il mio guscio,
tutto quel dolore, dalle crepe
alla fine di tutto,
ma alla fine ho capito.
Non c’è coraggio senza paura.
Mi muovo fiera,
tutta questa pelle
vulnerabile
esposta.
Mi colpiranno di nuovo.
Farà male.
Perché sarò viva.
Sono viva.
Farà male
ma non lo voglio più
quel guscio
che mi toglieva
il coraggio.
Non la paura.
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