Gli Ultimi Maghi

di Zobeyde
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RACCONTI DI RE, CAVALIERI E SPADE

 




Da quel giorno Jim accompagnò Alycia altre volte nella palude; si trattò di uscite più tranquille, in cui si tennero a distanza dall’isolotto dell’Anthea Ingannatrice, per dedicarsi invece a esemplari meno aggressivi. Anche perché bastava già Alycia a mettere alla prova i suoi nervi.
Dall’episodio con la pianta assassina, tuttavia, aveva smesso di offenderlo gratuitamente e non sparava più malignità sulle sue umili origini. Non che fossero diventati amiconi e capitava anzi spesso che bisticciassero per i motivi più futili, tipo se Jim le passava l’ampolla sbagliata, o se dimenticava di mettere qualcosa nello zaino. Ma in generale si stava sforzando di essere più gentile e se aveva bisogno del suo aiuto terminava sempre la richiesta con “per favore”.
Tutto sommato, fu un miglioramento notevole.
Proprio come suo padre, inoltre, Alycia era un’enciclopedia vivente; non solo era una maga di eccezionale talento, ma conosceva a memoria i nomi di ogni singolo fiore, albero o arbusto ed era in grado di distinguerli a una semplice occhiata, motivo per cui Blake aveva deciso di affidarle Jim perché perfezionasse le sue competenze in botanica:
«Questa è una Taluma Labirintia» gli spiegò un pomeriggio nella foresta, mentre esaminavano un esemplare dalle bizzarre foglie a spirale. «Attira le formiche in un tortuoso percorso all’interno delle sue foglie e il suo nettare ridona la memoria perduta in seguito a un trauma.»
Vi era poi la Miraluna, un’orchidea che si rendeva visibile solo durante le notti di luna piena, l’Anaclea Voluptatis, che in caso di pericolo creava una bolla in cui il tempo rallentava…
In passato, raccontò, le piante magiche erano diffuse in tutto il pianeta: la Terra allora doveva somigliare a un autentico paradiso, prima che i Mancanti cominciassero come al solito a rovinare tutto; perciò, i maghi di Arcanta ritennero opportuno trapiantarle nelle serre della Cittadella.
«Qualcuna però ha trovato il modo di sopravvivere qui fuori» concluse; con la punta del dito, sfiorò i verticilli di un ricco cespuglio e tutti insieme i sepali verdi si schiusero, liberando i delicati petali rosa pallido cosparsi di polline. «È questo che mi ha sempre affascinata delle piante: riescono ad adattarsi a tutto.»
Jim la guardò; era raro sentirla parlare con tanto trasporto, di solito manteneva sempre un atteggiamento altero e distaccato. Proprio come suo padre, in effetti.
«Chi ti ha insegnato queste cose?» le chiese, spinto dalla curiosità. «Il tuo maestro? Boris…come si chiamava…?»
L’espressione di Alycia si annuvolò all’improvviso. «No. Boris Volkov è un guerriero: alla Corte delle Lame, la sua accademia, ho appreso tutto sulle armi e su ogni forma di combattimento. Ciò che so sull’alchimia, invece, l’ho imparato da sola.»
«Caspita.»
Lei scrollò le spalle. «Mio padre stava via per mesi e io non avevo mai idea di quando sarebbe tornato a casa. Se fosse tornato. Ma almeno avevo a disposizione la sua biblioteca.»
«E quindi vivevi completamente sola?» domandò Jim. Si figurò una Alycia bambina che vagava per le sale di un palazzo deserto e provò dentro di sé una stoccata di rabbia. Come accidenti faceva quell’incosciente di Blake a partire a cuor leggero? Non c’era da meravigliarsi se crescendo sua figlia fosse diventata una misantropa.
«Valdar era sempre con me» rispose lei. «Non mi perdeva d’occhio un attimo: qualche volta l’ho pure convinto a giocare insieme all’ora del tè.»
«Mi risulta più difficile immaginare te che giochi a una cosa del genere che Valdar» ammise lui, riuscendo a strapparle un sorriso; quando accadeva, notò, le si formavano due piccole fossette ai lati della bocca. Le trovò graziose.
«Ti assicuro che è una creatura più dolce di quanto non sembri, dovresti provare a conoscerlo.»
«Forse ce l’ha con me perché non ho ancora imparato l’orchese.»
«È difficile per lui fidarsi delle persone» mormorò Alycia. «Ha avuto…una brutta delusione in passato.»
Jim rimase a guardarla in attesa che proseguisse, ma lei ancora una volta scelse di deviare il discorso: «Dimmi qualcosa di te» lo spronò invece. «Non avevo mai conosciuto un mago cresciuto tra i Mancanti.»
«Cosa vuoi sapere esattamente?»
«Per esempio, come hai fatto a non dare nell’occhio finora?»
Jim sorrise. «Il bello del circo è che la gente ci va per assistere a cose impossibili; gli illusionisti sfruttano stratagemmi per far sembrare la magia reale, io faccio esattamente il contrario. Ciò che conta è che per il pubblico sia “Lo Straordinario Khazam” a essere magico.»
«Quindi hai sempre dovuto recitare una parte?»
«Non lo facciamo tutti continuamente?»
Alycia soppesò le sue parole. «E prima del circo? Com’era la tua vita?»
«Semplice, monotona, isolata. Stavo sempre alla fattoria con i miei genitori.»
«Un Mancante e una strega.»
«Già.»
«Non capita spesso che i maghi instaurino relazioni coi Mancanti» commentò lei. «Come si sono conosciuti?»
Jim aggrottò la fronte, richiamando alla mente i ricordi: «Durante la Guerra: mio padre ha combattuto in Belgio, ma fu ferito e trasferito in un ospedale militare, dove mia madre era infermiera. Su di lei non so molto, solo che era ricca. Quando mio padre ottenne il congedo si sono sposati a Limerick e poi sono venuti negli Stati Uniti. Con l’oro di mia madre hanno comprato la fattoria.»
«Perciò non sai praticamente nulla delle tue origini magiche? Di chi fosse tua madre prima di fare l’infermiera e della sua famiglia?»
Jim raspò il terreno con la punta della scarpa, a disagio; stava sempre bene attento a non indugiare sul suo passato, e si augurò che Alycia non avesse intenzione di indagare troppo a fondo. «Mia madre non parlava mai della sua famiglia, penso non andassero d’accordo. E poi…a mio padre non piaceva la magia.»
Alycia adesso lo stava scrutando con molta attenzione, un po’ troppa per i suoi gusti; questa volta avrebbe fatto comodo a lui un pretesto per cambiare argomento, ma lei non gliene diede tempo: «E a tua madre stava bene che ti venisse proibito di usare i tuoi poteri?»
«No, ma era malata da tempo, spesso non aveva neanche la forza per alzarsi dal letto. Quando è morta, mio padre ha stabilito che ci dessi un taglio con la magia.»
«Che strano» mormorò Alycia.
«Immagino fosse stato un duro colpo per lui.»
«Parlavo di tua madre» replicò lei. «Dici che era malata da tempo, cosa aveva?»
«I medici non hanno mai saputo dircelo.»
«Perciò dico che è strano» disse Alycia, accigliata. «I maghi non si ammalano.»
«Questo è impossibile.»
«A te è mai successo? Hai mai preso la scarlattina o il morbillo, anche un semplice raffreddore?»
«Be’» fece lui, realizzandolo solo in quel momento. «In effetti, no.»
Alycia raccolse i suoi attrezzi, i libri e le provette e li ripose nello zaino. «Immunità alle malattie e lunga vita sono le caratteristiche principali della nostra razza: moriamo solo di morte accidentale o di vecchiaia. Qualunque cosa avesse tua madre, di sicuro non era un male comune.»
«Dici che potesse aver preso una specie di virus magico?»
«O di maleficio» rispose lei, torva in viso. «Farò qualche ricerca.»
«Ehm, grazie» borbottò lui, non sapendo come interpretare l’offerta. Mentre Alycia proseguiva il cammino, domandò: «Ehi, dici che i maghi vivono molto a lungo…tipo quanto, esattamente?»
«Dipende, ho sentito che alcuni sono arrivati fino a centocinquant’anni.»
«Centocinquanta?» si meravigliò lui. Alzò il passo per starle dietro. «Tuo padre è così vecchio?»
«Ne ha centosette, ma dicono se li porti bene.»
Jim inciampò. «Centosette?!»
«Devi proprio ripetere tutto quello che dico?»
«Scusa» disse Jim, arrossendo. «Ma quindi tu non avrai mica tipo settant'anni…?»
Alycia sospirò. «Rilassati, James, non mi nutro di sangue di vergini per sembrare giovane. Ho compiuto diciassette anni a gennaio.»
Si fermò all’improvviso, l’espressione pensierosa. «Senti, ci ho ripensato, credo che mi tratterrò qui ancora un po’.»
«Pensavo avessimo finito.»
«Devo solo...occuparmi di una cosa» rispose lei con fare evasivo, guardando verso gli alberi. Sembrava che tutt’a un tratto avesse una gran fretta di toglierselo di torno. «Non mi occorre più il tuo aiuto, comunque. Torna a casa.»
«Sei sicura di voler rimanere qui fuori tutta sola? Tra poco farà buio…»
«So badare a me stessa» tagliò corto Alycia, bruscamente. «Ci vediamo domani.»
Perplesso, Jim si convinse che con lei fosse meglio non insistere e la salutò, incamminandosi da solo fuori dal bosco.
 
 
L’estate passò e ottobre portò con sé piogge più frequenti, giornate più corte e tutta una serie di cambiamenti.
Tra le lezioni di magia con Blake e le mattinate insieme ad Alycia nel bayou, Jim aveva finito col passare al circo sempre meno tempo, così chiese il permesso di poter trascorrere con i suoi amici la settimana del suo compleanno:
«Si unirà a noi, vero?» domandò a Blake, ma lui declinò educatamente l’invito.
«Temo che la mia presenza a molti non sarebbe gradita» spiegò in tono mite. «Godetevi i festeggiamenti.»
La sera del 22 ottobre, O’Malley riunì tutti gli artisti nella carrozza ristorante, di solito riservata alle – poche – grandi occasioni; durante la festa l’alcol scorse a fiumi, e Rodrigo e Antonio si misero d’impegno per far ubriacare il direttore al punto da convincerlo a salire su un tavolo e intonare qualche vecchia canzone irlandese.
Jim raccontò delle stranezze di Blake e della sua scontrosa figlia, e mostrò qualche nuovo incantesimo che aveva imparato: a mezzanotte, realizzò uno spettacolo pirotecnico di illusioni, e piccoli draghi colorati presero a svolazzare dappertutto per il campo, inseguiti da bambini urlanti.
Arthur li raggiunse a festa inoltrata, mentre tutti erano impegnati a ballare, per dargli il suo regalo: una raccolta dei maggiori successi di Mamie Smith.
«Magari lo possiamo ascoltare una di queste sere col mio giradischi» propose, affondando le mani nelle tasche. «È un po’ che non lo facciamo.»
In effetti, dal giorno dell’incontro tra Blake e Joel, e della lavata di capo dello stregone agli operai, i due amici non trascorrevano più molto tempo insieme, limitandosi a un rapido scambio di saluti e a qualche parola frettolosa la sera.
«Oh, a proposito» aggiunse poi Arthur. «Probabilmente Maurice è troppo ubriaco per parlartene, ma ho sentito che vuole mettere su uno spettacolo per la fine del mese. Sarà una cosa grossa, ha intenzione di spendere un bel po’ dei soldi di Blake. E ti vuole a tutti i costi, visto che c’è il divieto di far esibire gli animali.»
«Grandioso!» rispose Jim, felice che il circo avesse ripreso le sue attività. «Ci sarò sicuramente…anche perché, ammettiamolo, altrimenti chi le attira le ragazze?»
«Certo» replicò l’amico, divertito. Esitò un momento: «Ho visto quella cosa con i draghi di prima: sei diventato bravo.»
«Oh, quello. Non è niente di che, dovresti vedere le illusioni che crea il signor Blake, quelle sì che sono un portento…»
«Voglio dire che hai imparato un sacco di cose» continuò Arthur. «E sembri molto più sicuro di te quando pratichi la magia. Significa che presto potremo tornare alla vecchia vita, non credi?»
L’entusiasmo di Jim si attenuò a poco a poco: erano fermi da cinque mesi, una situazione a cui molti erano riusciti ad adattarsi bene, trovandosi anche un impiego in città o qualcuno da frequentare. Altri, invece, non vedevano l’ora di ripartire.
Quanto a Jim, non aveva ancora idea di quali piani avesse il futuro per lui: gli piaceva imparare cose nuove da Blake e persino trascorrere del tempo con Alycia non era più un sacrificio. Malgrado gli mancasse viaggiare con i suoi amici, il palcoscenico e gli applausi, vivere a contatto con la magia ogni giorno era un qualcosa a cui sentiva di non poter rinunciare. Non più.
Rientrò nella sua cabina quando ormai stava iniziando ad albeggiare. Lily dormiva acciambellata su un ammasso di vestiti gettati sul letto e, accanto a lei, Jim trovò due regali apparsi dal nulla: il primo si rivelò una magnifica stilografica in avorio, accompagnata solo da un biglietto con la firma di Blake. Jim la provò subito, e scoprì che era stata incantata per scrivere da sola e che il suo inchiostro poteva diventare invisibile. Il secondo regalo era un libro rilegato in seta turchese, che raccoglieva biografie dei più grandi stregoni della storia. Sul biglietto riconobbe la grafia di Alycia: “Papà dice che ti piacciono questo genere di cose. Magari può esserti di ispirazione.”
Il ragazzo sedette sul letto e accarezzò distrattamente la gatta, ripensando alla serata appena trascorsa, poi passò in rassegna gli altri regali dei suoi amici – il gilet realizzato all’uncinetto da Teresa, il mazzo di carte da gioco osé di Rodrigo e il pacchiano orologio da polso di O’Malley, decorato con finte gemme.
Un familiare senso di vuoto tornò ad aprirsi al centro del suo petto come una voragine; per la prima volta nella vita, sentiva di avere il cuore diviso a metà.
 
 
Più trascorreva il tempo, più Jim si convinceva di aver rimandato la decisione fin troppo a lungo, così una sera, colse l’occasione per discuterne con il maestro.
«Immaginavo ci fosse qualcosa che non va» disse, quando Jim gli chiese di parlare alla fine della lezione. «Sei distratto ultimamente.»
Non aveva torto; come anticipato da Arthur, O’Malley aveva cominciato ad assillarlo perché tornasse a prendere parte alle prove per lo spettacolo di fine mese: si sarebbe tenuto nel periodo di Halloween, in cui tra addobbi e costumi sarebbe stato più facile spacciare le magie di Jim per effetti speciali. Così, alle lezioni di magia e botanica si era aggiunto altro lavoro.
Con un gesto elegante, Blake comandò ai libri di tornare a occupare i propri scaffali. «Ti piacciono gli scacchi?» chiese poi. «È un gioco che stimola la mente, l’ho sempre trovato utile per sbrogliare le situazioni più difficili.»
«Non conosco le regole.»
«Te le insegno io» si offrì. «C’è una scacchiera sopra la mensola del camino, ti dispiace portarla qui?»
Mentre lo stregone avvicinava il tavolino, Jim prese a due mani la bella scacchiera in alabastro. Il suo sguardò indugiò sulla spada affissa sopra il focolare; le fiamme proiettavano un caleidoscopio di riflessi sulla lama lucente, dando l’impressione che le figure incise si muovessero. Anche lì c’erano re, dame e cavalieri.
«Con Alycia come va?» domandò Blake, disponendo i pezzi sulla tavola. «Ormai trascorrete molto tempo insieme.»
«Meglio, credo. Cioè, non mi ha ancora trasformato in uno scarafaggio.»
«Penso che le faccia bene stare qui» commentò lui con l’ombra di un sorriso. «È diversa, di sicuro sorride più spesso. Arcanta ha molto da offrire…ma tende anche a tirare fuori il peggio delle persone.»
«Quindi non ci tornerà?»
Lo stregone emise un leggero sospiro. «Prima o poi dovrò farlo per forza, come ha detto Alycia, ho ancora dei doveri nei confronti del Decanato. Ma finché ho la possibilità di temporeggiare…i Bianchi muovono sempre per primi, osserva questa apertura.»
Mosse in avanti un pedone e Jim, non sapendo cos’altro fare, rispose facendo avanzare il Nero in modo speculare. Blake lo mangiò, conquistando subito le caselle centrali. «Si chiama “Gambetto di Donna”, una delle più classiche. Contiene però una trappola: ti illude di essere già in vantaggio, ma in realtà rende vulnerabile la Regina. Come vedi, si tratta di un gioco di strategia. E può essere spietato.»
Jim annuì, la fronte aggrottata mentre studiava lo schema. Provò a eseguire alcune mosse, Blake rispose; le lancette della pendola ticchettavano piano, scandendo la danza delle figure che si davano battaglia.
«E riguardo me?» domandò dopo un po’ il ragazzo. «Quando tornerete ad Arcanta cosa farò io?»
«È una decisione che spetta solo a te. Ti senti pronto a cambiare totalmente vita?»
«Il fatto è che…non lo so.» Jim si sforzò di trovare le parole adatte per esprimere cosa provava. «Ho sempre pensato che nel circo potessi essere me stesso, ma non ne sono più sicuro; amo la compagnia, ma amo anche la magia. Senza contare che probabilmente vivrò così a lungo che vedrò invecchiare e morire la maggior parte di loro…»
Gli venivano le vertigini al pensiero della lunghissima vita che lo attendeva: che gli piacesse o no, sarebbe comunque rimasto solo, alla fine. E allora, Arcanta sarebbe stata l’unica alternativa...
«Se credi che ad Arcanta troverai la risposta, temo di doverti dare una delusione» rispose Blake. Mangiò il suo Cavallo, che si unì al gruppo di pezzi sul lato destro della scacchiera. «La società creata dai Decani avrebbe dovuto essere perfetta: ci hanno illusi che il mondo non meritasse la magia, che fosse meglio custodirla tra pochi, ma non si può tenere in gabbia qualcosa di così potente, così come non lo si può fare con le persone. Anche se si crede di fare il loro bene.»
«Questi Decani sembrano un po’ dei Fascisti» osservò il ragazzo, provocando in lui un sorrisetto. «Però Alycia crede ciecamente in loro.»
«È giovane, appassionata, e ha ereditato la testardaggine dei Blake, il che la rende facilmente plagiabile. Lo ero anche io alla sua età.» Tacque per alcuni istanti, analizzando la partita. «Ma a differenza sua, ero consapevole che ad Arcanta non avrei mai trovato il mio posto.»
Jim lo fissò con attenzione, sforzandosi di non far trapelare la sua ansia di risposte. Non capitava spesso di scalfire la corazza del maestro, e non aveva intenzione di commettere passi falsi.
«La mia famiglia non ha mai goduto di grande popolarità laggiù» proseguì lo stregone, lentamente. «Titoli nobiliari e denaro per i maghi non hanno alcun valore, e qualsiasi cosa rappresenti un legame col Vecchio Mondo è visto con diffidenza: ad Arcanta, solo chi è nato e cresciuto secondo i dogmi del Decanato è ritenuto degno di considerazione. Gli Esterni devono faticare per guadagnarsela.»
«Lei è nato in Inghilterra, no?»
«I Blake affondano le loro radici nel cuore di Albione» confermò lui. «Al tempo dei druidi, degli dèi e della Grande Magia. Il mio antenato, però, si macchiò di un grave crimine: cercò l’alleanza con i Mancanti.»
«A me non sembra affatto un crimine» obiettò Jim, sorpreso.
«Lo è per Arcanta. In quel periodo infuriava una guerra tra maghi e Mancanti, ma il mio antenato era convinto che si potesse ancora trovare un punto d’incontro. Per questo rapì il figlio di un re Mancante e lo educò alla magia.»
«Un po’ estremo.»
«All’epoca non si andava per il sottile. Il giovane principe crebbe nei boschi, e imparò dal suo maestro il linguaggio del Tutto. Comprese come la magia fosse parte del mondo e che non aveva senso combatterla. Passarono gli anni, il principe divenne re; fondò una grande città e riunì sotto il suo vessillo i regni vicini. Il suo nome era Artorius Pendragon, passato alla storia come Re Artù.»
Jim per poco non rovesciò la scacchiera. «Dice sul serio? Ma quindi, se Artù è esistito davvero, significa che il suo antenato era..?»
«Merlino.» Blake parve divertito dalla sua reazione. «Arcidruido delle Midlands e consigliere fidato del nuovo re: sotto la sua guida il regno di Camelot crebbe e prosperò, i maghi erano ben accetti e per suggellare l’alleanza, Artù prese in moglie Morgana Blackthorn, sacerdotessa di Avalon. Da loro nacque un bambino che avrebbe dovuto rappresentare l’unione dei due mondi, il principe Mordred.»
«Un Sanguemisto» disse Jim piano. «Come me.»
«Le cose però non andarono come Merlino aveva sperato» proseguì Blake. «I Lord Mancanti si rifiutarono di accettare come futuro re un mezzo demonio, iniziarono a girare voci sul fatto che Morgana e Merlino avessero manipolato Artù. Così il re si convinse, per ragioni politiche, a ripudiare la sua moglie strega e sposò invece una principessa Mancante.»
«E poi?» chiese Jim, rapito dal racconto. «Cosa accadde a Mordred e Morgana?»
Supportato dall’Alfiere, Blake spostò la Regina Bianca in f7, dando scacco matto al Re. «Guidarono una ribellione contro Camelot: Mordred cercò l’alleanza di tutte le creature del Mondo Magico e le spinse a sollevarsi contro i Mancanti. La battaglia fu sanguinosa, morirono in molti da entrambe le parti. E alla fine, Mordred uccise suo padre usando la sua stessa spada.»
«Excalibur» completò Jim.
«La Spada dei Giusti. Fu forgiata da Merlino affinché donasse la vittoria solo ai puri di cuore. Per unire, mai per separare. Per creare e mai per distruggere. Artù e suo figlio non si rivelarono degni e ne furono entrambi maledetti: Mordred si ritrovò a governare un regno allo sbaraglio e preferì il suicidio.»
«E cosa ne fu della spada?» chiese Jim.
«Tornò a Merlino. Cercò di raccogliere i pezzi e custodì Excalibur in attesa di un puro di cuore che potesse continuare quanto iniziato. Ma fu un’attesa infinita, visto che appartiene ancora alla mia famiglia.»
D’istinto, Jim guardò in alto, verso il camino. «E dove tiene l’originale?»
«In questa stanza.»
Il ragazzo sgranò gli occhi. «Mi prende in giro?»
«Nient’affatto.»
«Posso vederla?»
Era quasi sicuro che il maestro dicesse di no, che era un cimelio troppo prezioso.  Invece, Blake si alzò, liberò la spada dai ganci che la tenevano fissata al muro e la fece roteare con maestria. Nelle sue mani, sembrava leggera come una piuma.
Jim si avvicinò per ammirare meglio l’elsa decorata a spirale e le finissime incisioni sull’acciaio: raccontavano una storia, una storia tragica quanto affascinante.
La domanda gli sorse spontanea. «Lei ci ha mai provato? A usarla?»
Blake gli rivolse un sorrisino strano, fatto con la bocca all’ingiù. «No e non credo ci proverò mai: se dovessi scegliere un aggettivo per descrivermi, non sarebbe “puro di cuore”.»
Gli diede le spalle, mentre rimetteva la spada al suo posto. «Ho passato anni a trovare il modo di entrare nelle grazie del Decanato, per scrollarmi di dosso il peso della mia eredità. Ho trascurato tutto il resto, spinto dall’ossessione: la donna che ho sposato, mia figlia…e quando le ho perse entrambe, mi sono reso conto che non ne valeva la pena.»
A un tratto fu assalito da un attacco di tosse e le sue spalle ebbero un fremito.
Estrasse subito dal taschino la fiaschetta con all’interno il misterioso liquido nero e bevve un paio di sorsi mentre tornava a respirare normalmente.
«Signor Blake» mormorò Jim, preoccupato.
«Sto bene» rispose lui con voce leggermente arrochita. «Non si arriva alla mia età senza qualche piccolo acciacco.»
Ripose la boccetta e tornò a guardarlo, con quel suo sguardo limpido e penetrante in cui sembravano racchiusi i segreti dell’universo. «Scegli con molta attenzione a chi rivolgere la tua lealtà, Jim. Ci ho messo tempo per capirlo, ma alla fine penso che l’unico crimine di Merlino sia stato quello di pensare con la propria testa. E con il proprio cuore.» 




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