Solo se balli con me

di Imperfectworld01
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Ventisei.


Non saprei dire che cosa mi prese quella notte, ma non appena poggiai la testa sul cuscino, fui inondata da una serie di pensieri contorti e contraddittori che mi lasciarono sveglia tutta la notte.

Nello specifico, erano ricominciati i miei dubbi e ripensamenti vari riguardo al mio primo bacio. Pensavo di averli debellati e che fosse una questione chiusa, invece a quanto pare era non solo aperta, ma addirittura spalancata.

Perché l'avevo fatto? Avevo gettato via un momento speciale che avrei potuto vivere con qualcuno che provava dei sentimenti per me e per il quale a mia volta provavo qualcosa. Per Filippo non aveva significato nulla, era stato un bacio come tanti, invece io me lo sarei ricordato per sempre e non avrei mai riavuto indietro l'occasione di ridare il mio primo bacio.

Com'ero stata stupida.

Mi dava sui nervi il fatto che non riuscissi a prendere sonno a causa sua, ma ogni qualvolta mi sforzassi di pensare ad altro, alla fine mi ritornava in mente lui e ciò che era successo quel maledetto venerdì sera.

Mi ero dimenticata in fretta del voto in greco, del problema di mia sorella, del segreto di Vittorio. Apparentemente l'unica cosa che aveva importanza per me in quel momento era paradossalmente la più irrilevante, eppure stavo trascorrendo un'intera notte in bianco a pensarci.

Quando giunse il momento di alzarmi per prepararmi per la scuola, non ci volevo credere. Avevo dormito sì e no due ore in totale. Nessuno mi avrebbe impedito di bermi almeno due tazze di caffè per svegliarmi.

Cercai di fare piano mentre mi muovevo in camera per stare attenta a non svegliare mia sorella, la quale ieri sera aveva lamentato un forte mal di testa e aveva convinto mia mamma a farle saltare un giorno di scuola per riposarsi e riprendersi un po'.

Avrei voluto tanto rimanere a casa anch'io, dopo il terribile voto che avevo preso in greco il giorno precedente, ma non potevo permettermelo: avevo una sorta di prova individuale di matematica per valutare il mio livello e vedere se presentavo delle lacune rispetto ai miei compagni di classe, perciò non potevo assentarmi.

Fortunatamente la valutazione di quella prova non avrebbe fatto media con gli altri voti: non ero proprio una cima in matematica.

«Ci sei, Nina?» chiese Vittorio, riscuotendomi dai miei pensieri.

Io annuii. «Sì, metto le scarpe e ci sono» risposi, chinandomi poi a terra per infilarmi le scarpe ai piedi e legare i lacci. «Andiamo» annunciai, una volta dopo aver finito.

Uscimmo da casa e ci dirigemmo verso la fermata del tram, dove avremmo atteso Irene. Le avevo telefonato la sera precedente per avvisarla del cambio di programma. Inutile dire che ne era stata entusiasta.

Pochi minuti dopo arrivò la linea 2 del tram e, quando si aprirono le porte, fra le varie persone ci fu anche Irene a scendere a quella fermata. «Eccoti!» esclamai, andando incontro alla mia amica e salutandola con un abbraccio. Poi rivolsi un'occhiata severa a Vittorio, il quale dopo qualche attimo di titubanza si avvicinò a lei con un mezzo sorriso.

Si guardarono intensamente per qualche secondo. Irene in un primo momento ricambiò il suo sorriso, poi tornò seria, infine sorrise di nuovo, portandosi una mano sulla bocca per coprire l'apparecchio. Con ogni probabilità si stava anche dimenticando di respirare.

Vittorio dal canto suo era soltanto imbarazzato, davanti a Irene non era spavaldo come quando ne parlava con me.

Inoltre, la loro enorme differenza d'altezza era qualcosa di molto tenero in un certo senso.

«P-piacere, Irene» si presentò la mia amica, non sapendo cos'altro dire per smorzare la tensione, e tendendogli una mano.

«Guarda che mi ricordo di te» rispose Vittorio, stringendole ugualmente la mano.

«Ti ricordi anche che mi hai rifilato il numero di telefono sbagliato?»

Sgranai gli occhi e mi voltai verso Irene, sorpresa per quell'improvvisa intraprendenza. Non pensavo che avrebbe mai affrontato Vittorio a riguardo.

Vittorio deglutì e incassò il colpo stando in silenzio. O almeno così pensavo. Invece, dopo qualche secondo, riprese la parola: «Magari ho confuso qualche cifra» tentò di pararsi il didietro.

«L'ho confrontato con quello che mi ha dato Nina e sembrerebbe che tu abbia confuso almeno sette cifre» precisò Irene e Vittorio sbiancò, mentre io mi trattenni a fatica dal ridere.

Fino a quel momento Irene era sempre stata piuttosto timida, sembrava che avesse paura di dire realmente quello che pensava. Con Angelica e le altre si tratteneva sempre, quindi mi stupì il fatto che con Vittorio avesse deciso di vuotare immediatamente il sacco.

«Non sarebbe il caso di andare?» mi intromisi, sia per tirarli fuori da quella situazione imbarazzante, sia perché dovevamo davvero andare.

Vittorio colse la palla al balzo e si diresse verso il sottopassaggio della metropolitana, mentre io e Irene lo seguivamo.

«Non sono stata troppo dura con lui, vero?» chiese Irene sottovoce e io scossi prontamente la testa: «Tutt'altro, anzi, sei stata un portento! Sono fiera di te» dissi forse con troppa energia, tanto che Irene mi intimò di abbassare la voce.

«Sì, ma magari adesso non mi rivolgerà più la parola perché l'ho trattato male...»

«Credimi, più lo tratti male e più hai possibilità di piacergli» la rassicurai, pensando alla sua cotta insensata per Monica.

Poi alzai lo sguardo davanti a me e vidi che Vittorio era già dall'altra parte del tornello e attendeva impaziente che lo raggiungessimo.

«Tu hai un biglietto?» chiesi a Irene, la quale scosse la testa.

Mia madre mi aveva confiscato tutti i pochi spicci che avevo, perciò non avrei potuto comprarmene uno neanche volendo.

«Allora? Vi muovete?» ci incalzò Vittorio.

Non avevo pensato a quell'inconveniente quando avevo deciso di fare il tragitto insieme a Vittorio e Filippo con la metro, e a quanto pare nemmeno Irene. E non avrei scavalcato quel tornello, neanche morta.

«Forza, tra poco arriva la metro e Filo è sicuramente già lì a Cadorna ad aspettarci!»

Esitai ancora per qualche secondo e poi, seppur controvoglia, mi diressi verso il tornello. Mi guardai intorno per assicurarmi che il dipendente dentro al gabbiotto di vetro non stesse guardando nella mia direzione, dopodiché sollevai il mio peso sulle sbarre e passai oltre. Poco dopo aiutai Irene a fare lo stesso, la quale per via della sua piccola statura incontrò maggiore difficoltà.

Dopodiché prendemmo letteralmente la rincorsa per scendere le scale e scappare il più presto possibile di lì.

*

«Era ora! Avrei fatto in tempo a farmi Lambrate-Cadorna e Cadorna-Lambrate almeno sette volte nel mentre che ti aspettavo!» esclamò Filippo spazientito rivolgendosi a Vittorio. Poi sgranò gli occhi non appena vide anche me. «E tu che ci fai qui?» domandò stupito, rivolgendomi la sua attenzione. «Ah, piacere, Filippo» si presentò poi a Irene, la quale in immediato si voltò verso di me con sguardo allusivo, come a dire: «Ah, quindi è lui quel Filippo», e io la fissai con gli occhi ridotti a due fessure per intimarla a non dire una sola parola.

«Ci abbiamo messo tanto perché Vittorio ci ha fatto commettere un reato» mi giustificai poi.

«Un reato!» mi fece il verso il moro. «Un reato è pagare così tante lire ogni giorno per uno stupido biglietto per dei mezzi sporchi e fatiscenti come una discarica, ovvio che tutti si rifiutino di farlo» si lamentò.

«Magari costerebbe di meno e farebbe anche meno schifo se ci fosse più gente a pagarlo» gli feci notare.

Poi mi avvicinai a Filippo per salutarlo con un bacio sulla guancia e lui mi sorrise. «Wow, è Natale, peperoncino?»

«Cosa?» chiesi confusa, ma lui ignorò la mia domanda e mi prese sottobraccio, nel mentre che camminavamo verso il corridoio che portava dalla linea rossa di Cadorna a quella verde, dove eravamo diretti noi.

Persi un battito per via di quel contatto fra di noi ma cercai di ignorare la cosa e convincermi che fosse normale. In fondo se l'avesse fatto Vittorio non ci avrei visto nulla di male, perciò che motivo c'era di agitarsi tanto?

«Come mai questa novità? Vittorio mi ha detto che neanche sotto tortura avresti mai fatto la strada insieme a me e lui per andare a scuola» disse, e io distolsi in immediato i miei stupidi pensieri.

Sogghignai, perché in effetti era vero, e l'avevo ribadito diverse volte da quando era iniziata la scuola. Sia perché non ero solita gradire la compagnia di Filippo, sia perché spesso anche Vittorio diveniva insopportabile quando faceva comunella con il suo amico.

«Vittorio esagera sempre» mi limitai a dire, e lui se lo fece bastare.

«Tua mamma si è arrabbiata con te per l'altra sera?» domandò poi.

Aggrottai le sopracciglia e lo fissai sospettosa. «Vittorio non te l'ha detto?»

«Ma se non lo vedo da due giorni» rispose, mentre scendevamo le scale per andare verso i binari.

«Quindi ieri non era a scuola?»

In quel momento l'espressione di Filippo mutò radicalmente, come se si fosse appena reso conto di aver detto qualcosa che non avrebbe dovuto. Lasciò la presa sul mio braccio, si grattò il capo e cominciò a evitare il mio sguardo. «No» rispose soltanto, un po' incerto.

«E allora dov'era? Perché è uscito prestissimo ed è tornato tardi.»

«Che ne so, Nina, mica gli faccio da badante!» esclamò. «Se vuoi fare il terzo grado a qualcuno, dovresti farlo a lui, non trovi?»

Decisi di rinunciare a scoprire dove si fosse recato Vittorio il giorno precedente, almeno per quel momento. Filippo non avrebbe parlato per nessun motivo al mondo, ne ero certa, avrebbe difeso il suo amico in ogni occasione.

«Treno in arrivo da Gessate, diretto ad Abbiategrasso. Allontanarsi dalla linea gialla» disse la voce automatica all'altoparlante, annunciando l'arrivo della metropolitana.

Mi voltai per vedere se Vittorio e Irene fossero ancora nei dintorni, e li vidi a parlare seduti su una delle panche grigie di marmo. Si alzarono in piedi e si diressero verso di noi dopo aver sentito l'annuncio.

«Comunque sai che le mie compagne di scuola ti conoscono?» feci, pronta a introdurre il nuovo discorso che avrei voluto fare con lui.

Dopo pochi secondi iniziammo a sentire un grande frastuono ed ecco che apparve la metropolitana a tutta velocità. Non ne avevo mai presa una prima di quella mattina, e in effetti dava proprio l'idea di un treno, con la differenza che non percorreva la strada in superficie, il che a me sembrava quasi fantascienza.

Le porte si spalancarono e, dopo aver atteso che le persone scendessero, salimmo sul mezzo pubblico. Nel frattempo che io mi guardavo ancora intorno estasiata come poco prima quando avevo preso la M1 da Cairoli a Cadorna, Filippo e Vittorio si erano già adoperati ad occupare dei posti a sedere, uno di fronte all'altro. Mentre io e Irene stavamo per prendere posto di fianco a loro, in un battibaleno questi furono occupati da altre persone.

Comunque non mi importava di stare in piedi, tanto io e Irene avremmo dovuto fare solo una fermata e poi saremmo arrivate.
Mi diressi verso Filippo per continuare a parlargli. «Vuoi sederti?» chiese e io scossi la testa, tuttavia lui si alzò lo stesso dal suo posto.

«No, dico sul serio, sto bene in piedi. Ho bevuto due caffè stamattina, perciò sono bella arzilla» gli spiegai.

«E quindi anche molto più nervosa del solito, suppongo» sogghignò e, se avesse usato un altro tono, probabilmente l'avrei insultato; invece capii subito che stava solo scherzando, perciò sorrisi a mia volta.

Stava per tornare a sedersi, solo per accorgersi con amarezza che il suo posto era stato già occupato. Così rimase in piedi a sua volta. «Cos'è che dicevi prima, sulle tue compagne?» domandò e, una volta che la metro ripartì, iniziò a tenersi con la mano alla sbarra che c'era alle mie spalle per mantenersi in equilibrio, avvicinandosi in tal modo a me.

«Ah, giusto. Be', diciamo che girano delle voci su di te...» risposi, restando vaga per suscitare la sua curiosità.

Inarcò le sopracciglia, stupito. «E tu credi alle voci?»

«No. O meglio, non lo so. Forse un po' sì. In genere c'è sempre un fondo di verità in tutto...»

«E cosa vuoi sapere?» chiese, intuendo subito dove volevo arrivare.

«Sant'Ambrogio, fermata Sant'Ambrogio: Università Cattolica - Museo della ScienzaApertura porte a destra.»

Non era possibile. Eravamo già arrivate e io non avevo neanche aperto il discorso con Filippo. Ecco un'altra cosa a cui non avevo pensato, fra le molte di quella mattina.

Anche se non ne avevo per niente voglia, mi preparai a scendere dal treno e a rimandare quella conversazione a un'altra volta.

«Nina, andiamo?» mi richiamò Irene e io annuii, prima di rivolgere un ultimo sguardo a Filippo e poi scendere. Sorprendentemente, il ragazzo mi seguì e scese a sua volta, ignorando le proteste di Vittorio, il quale rimase l'unico dei quattro sulla metro, ed era di certo molto confuso per via di ciò che si stava verificando.

«Ma sì, me la farò a piedi, non è un problema» disse Filippo, anche se era chiaro che non sarebbe mai arrivato per tempo.

Comunque ignorai la cosa e decisi di proseguire con la mia sorta di indagine. In fondo non erano affari miei se voleva arrivare tardi a lezione o meno. «Dicono che... c-che... hai già fatto... che hai già fatto l'amore» vuotai il sacco, senza riuscire a spiegarmi perché all'improvviso avessi perso la mia normale sicurezza e mi fossi espressa con quella insopportabile e stupida balbuzie. Sperai che avesse capito e che non mi costringesse a ripetere.

Studiai a lungo il suo viso per cercare di cogliere un qualche segnale, ma a parte un piccolo sorriso imbarazzato, non trapelò nulla. «E tu che ne pensi?» chiese poi.

Irene nel frattempo, che camminava avanti a noi, mi fece cenno che avrebbe accelerato il passo e che mi avrebbe aspettata in classe.

«Penso che sia una balla, ovviamente, ma...»

«È vero, invece» mi interruppe e io sgranai gli occhi.

Non potevo assolutamente crederci. Aveva solo quindici anni, anzi, quattordici a essere precisi, dato che era nato a dicembre. Non mettevo in dubbio che fosse più sveglio di me per certe cose e più precoce, ma arrivare a tanto... mi pareva eccessivo.

«Cioè, in realtà aveva molto poco a che fare con l'amore» precisò.

«In che senso, scusa?» Poco dopo inciampai su una lattina di Coca-Cola gettata a terra e, se non fosse stato per Filippo che mi tenne su afferrandomi per il polso, sarei sicuramente caduta a terra.

Filippo mi guardò divertito per via della mia goffaggine, prima di riprendere la parola. «Nel senso che non è obbligatorio farlo con qualcuno che ami.»

«Allora che cosa si fa a fare?» domandai, sempre più disorientata.

«Be', perché... perché è bello» disse soltanto, perdendosi poi qualche secondo in se stesso, forse per ricordare quel momento.

«E quando è successo?» chiesi, non riuscendo a tenere a freno la mia curiosità.

«La primavera scorsa. Mi sono trovato con questa ragazza a una festa, lei era più grande di me di un paio d'anni, e niente... ci siamo chiusi in una stanza ed è successo» ammise con un po' di disagio.

Non riuscivo ancora a credere alle mie orecchie e avevo un sacco di domande che mi frullavano per la testa. «E quanto è durato?»

«Non lo so, cinque minuti massimo.»

«Solo?» chiesi stranita. Nei film sembrava durasse all'infinito, che potesse andare avanti per tutta la notte, fino alle prime luci del mattino. Raccontata così, invece, non pareva nulla di neanche lontanamente romantico.

«Be', era la prima volta, e comunque è anche soggettivo, e poi... che palle, Nina, non mi va di parlare di queste cose con te!» sbottò a un certo punto.

«Perché no?»

«Perché sei... sei piccola, e...»

«Ma se sono nata prima di te» lo interruppi, spazientendomi.

«Intendo piccola per queste cose. Nel senso che sei ancora ingenua e... e non voglio essere io a farti scoprire queste cose.»

Qualcosa la sapevo, invece. Non ero ingenua e disinformata come credeva. O meglio, lo sarei stata fino al giorno prima. «Avete fatto anche i preliminari?» chiesi e lui strabuzzò gli occhi e arrossì un poco, dal momento che un paio di persone si voltarono a fissarci stralunati dopo quella mia domanda.

Cos'avevano da sorprendersi tanto? In fondo era una delle cose più naturali del mondo, non capivo perché le persone si scandalizzassero a sentirne parlare.

«Abbassa la voce!» mi sgridò guardandosi intorno. «E poi tu come le sai queste cose?» domandò.

«Non sono mica una bambina» feci, evitando di citare le mie fonti.

«Infatti non ho mai detto questo.»

Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, e solo allora mi accorsi che eravamo giunti davanti alla mia scuola e che quindi, di lì a breve, avrei dovuto salutarlo e andare dentro.

«Hai altro da chiedere?»

Annuii, pensando a un'ultima cosa che mi interessava sapere, anche se non c'entrava con mia sorella. «Almeno avete usato le protezioni?» domandai. Non avevo idea di che significasse con esattezza, ma era una frase di circostanza che avevo sentito spesso dire nei film, perciò doveva essere importante.

Filippo alzò gli occhi al cielo, irritato. «Ti pare? Non l'avevo mai fatto prima e non sapevo di certo che sarebbe successo quella notte, non avevo nulla con me. E poi lei aveva detto che prendeva la pillola.»

«Ma quella serve a evitare di fare i bambini, non a proteggersi dalle malattie» contestai.

Una volta, qualche mese prima, avevo sentito parlare al telegiornale di un virus abbastanza pericoloso che si poteva trasmettere facendo sesso senza le dovute precauzioni. Portava infatti a sviluppare una malattia in grado di distruggere le difese immunitarie di un individuo, il che era rischioso poiché rendeva difficile sopravvivere anche alle malattie più innocue che si potevano contrarre, dato che non si avevano più anticorpi a sufficienza per sconfiggerle.

«Se ti riferisci a quello che penso, devi stare tranquilla, perché tanto quello riguarda solo i finocchi» fece ridacchiando e io lo trucidai con lo sguardo, trattenendomi dal tirargli anche uno schiaffo.

«Ma sei serio? Siamo nel 1983 e ancora si devono fare questi discorsi ridicoli e senza senso! Perché non apri la mente e magari ti informi un po' invece che sparare queste idiozie?» sbottai, conferendo alla mia voce tutto il disprezzo che provavo in quel momento.

Non riuscivo a credere di avere a che fare con una persona così ignorante e chiusa di mente.

«Inutile che brontoli tanto, li guardo i telegiornali, e solamente i froci se lo pren...»

«Smettila di dire quella parola» lo interruppi. «Mi dà fastidio, è offensiva» aggiunsi.

Rimase in silenzio qualche istante, e io sperai che ci stesse ripensando e che volesse ritrattare quanto appena detto. Invece non fu affatto così. «Io ritengo che siano loro offensivi per via di ciò che fanno. Sono deviati, Nina» ribatté, battendosi l'indice sulla tempia, alludendo alla sua scatola cronica, la quale con ogni probabilità era vuota.

«Sono persone! E non è giusto che vengano discriminate, derise o emarginate per via di chi amano, anche perché non è una cosa che si può scegliere.»

«Appunto, come chi ha una malattia mentale, ci nasce e basta, ma non significa che non sia malato e contro natura» continuò a difendere il suo punto di vista, mentre io proseguii a fissarlo con ribrezzo.

L'ultima guerra era finita da quasi quarant'anni e fra le vittime di quella immonda ingiustizia vi erano stati anche gli omosessuali. Invece che imparare qualcosa da tutto ciò, c'era ancora chi aveva quell'ideologia profondamente sbagliata, che per fortuna a me non era stata tramandata: qualsiasi forma d'amore doveva essere accettata in quanto tale.

Ma non era così per tutti, a quanto pare. Ogni volta che sembrava che il mondo facesse passi in avanti, alla fine si rivelava tutto una vana illusione, e mi faceva male rendermene conto. Anche se forse la colpa era mia, che sognavo un mondo diverso da quello in cui vivevo, e nutrivo speranze che in futuro quella mia utopia si sarebbe realizzata.

«Se proprio vuoi saperlo, non ci sono prove scientifiche che provano che tale virus non si possa diffondere anche fra un uomo e una donna, perciò spero vivamente per te che in futuro starai più attento quando lo farai con un'altra ragazza» dissi, ritornando al discorso principale che stavamo facendo, dato che era inutile fargli cambiare idea sul resto, e un po' mi dispiaceva a dirla tutta.

Credevo fosse diverso. E pensare che avevo sprecato una notte intera a pensare a un essere ignobile come lui... Ogni volta che ero sul punto di cambiare idea sul suo conto, alla fine si rivelava sempre il contrario di come mi convincevo che fosse. In fondo ero io che sbagliavo: perché mi ostinavo a immaginarlo diverso da com'era nella realtà? Era solo un ragazzo come tanti altri della sua età, superficiale e immaturo, incapace di ragionare per davvero con la sua testa. Si credeva tanto grande, invece era solo un bambino che si atteggiava e diceva cose da adulti.

Non mi piaceva per nulla.

Filippo alzò gli occhi al cielo. «Tranquilla che tu non corri il rischio di essere fra quelle» disse con tono provocatorio e un sorrisetto malizioso.

«Ci mancherebbe altro, pervertito che non sei altro!» esclamai, e lo stavo tollerando con sempre più difficoltà. Ma perché ancora sprecavo fiato a parlare con lui? Era solo una perdita di tempo.

«Comunque, giusto perché tu lo sappia, in TV dicono che finora gli unici che si sono ammalati sono le categorie di persone che ho detto io, insieme anche ai drogati, ma tu continua comunque a vivere nel tuo mondo di fate e arcobaleni dove tutti si amano e si rispettano per il semplice fatto che sono esseri umani» mi canzonò, mentre io ribollivo dalla rabbia.

Rimasi in silenzio a fissarlo con disdegno per diversi istanti, incapace persino di trovare le parole; lui a sua volta mi riservava uno sguardo ostile.

Che fatica. Con lui era sempre un passo avanti e tre indietro.

E poi, inaspettatamente, rilassò il viso e scoppiò in una risata a dir poco rumorosa. Rideva così tanto di cuore che era quasi contagioso, ma ero ancora incavolata nera con lui, perciò mi trattenni. E poi che diavolo aveva da ridere?

«Ti giuro che vederti furiosa è una delle cose che più preferisco, peperoncino!»

«Scusami?» chiesi stralunata, spostando il peso da un piede all'altro e ponendomi a braccia conserte.

«Secondo te me ne frega qualcosa se uno se la fa con un uomo o con una donna? Che facciano quello che vogliono, a me non importa un fico secco! E no, non so chi abbia messo in giro quella voce, ma è una stronzata, non sono mai stato con nessuna. Ti stavo solo prendendo in giro, fin dall'inizio, perché mi diverte da matti vederti fuori di te dalla rabbia» confessò, prima di provare a sciogliere il nodo che formavo con le mie braccia incrociate al petto, ma io gli voltai prontamente le spalle per sfuggire al suo tocco: «No, lasciami stare!» sbraitai, prendendo a camminare verso l'entrata della mia scuola.

Sbuffò molto sonoramente e mi si piazzò davanti per tagliarmi la strada. «Dai, Nina, era uno scherzo, perché sei così permalosa? Neanche avessi insultato te...»

«No, infatti. Invece io in questo momento ho in mente una marea di insulti che potrei riservarti, ma so che a breve mi passerà, quindi penso ti convenga andartene prima che dica qualcosa di cui potrei pentirmi già fra dieci minuti» dissi tutto d'un fiato e a denti stretti.

Emise un mezzo sorriso. «Oh, quanto sei dolce, si vede proprio che ci tieni a me, ma ti prometto che non mi offendo. Su, sono curioso, cosa ti sta frullando in mente?»

«Che faresti certamente carriera come circense, dato che fare il pagliaccio ti viene benissimo» replicai con sdegno. Invece che prendersela, si mise a ridere sguaiatamente, divertito da quella che mal interpretò come una battuta invece che come un'offesa.

Comunque non riuscii più a trattenermi e presi a ridere a mia volta, contagiata dalla sua risata. A un certo punto mi bloccai, ricorrendo a tutte le mie forze, ma mi bastò incrociare il suo sguardo per ricominciare.

«E comunque, tornando al discorso di prima, se pensi di saperne più di me sul sesso e cose del genere, allora perché non ti vai a leggere l'educazione sessuale per scoprire se hai ragione?» fece sarcastico, aggiungendo poi un'altra risata.

L'aveva buttata sullo scherzo, ma in realtà, oltre a farmi imbestialire, mi aveva anche fornito una buona idea. Incredibilmente, grazie a quel pallone gonfiato, forse avevo trovato il modo per aiutare Benedetta.

 





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