Destino

di Roveru no Fujoshi
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La prima volta che si sono incrociati non si sono accorti della presenza l’uno dell’altra. Era alle 14:03, del giorno 05 febbraio 2017, alla stazione ferroviaria del centro città, sul Binario 3.
Due mesi dopo, tra un dialogo e una birra alla spina, un’amica in comune li aveva fatti conoscere e scoprirono di avere condiviso lo stesso treno che aveva fatto tre ore di ritardo. Bastò quello a unirli.
Talmente tanto che ormai vivevano nella stessa casa.
“Ti piacerebbe uscire con me, questa sera?” chiese lui, un giorno.
Lei lo guardò confusa “Siamo già usciti ieri, non ricordi?”
Lui era arrossito di colpo. Non si era aspettato una domanda simile, ma almeno poteva arrivare dritto al dunque “Non intendo come amici...”
“Spiegati meglio.”
“Mi piacerebbe uscire con te come… come qualcosa di più che amici...”
“Intendi forse come migliori amici?”
Lui tossì per coprire l’imbarazzo “Di più...”
A quel punto, arrossì anche lei, dopo avere capito. Ma si ricompose subito “Va bene, mi farebbe molto piacere.”
E così, quella sera, parlarono per la prima volta di qualcosa di nuovo.
Una relazione.
“Il destino ci ha dato chiari segni” disse lui con un sorriso allegro, mentre beveva un sorso di vino.
Lei ridacchiò: "Tu pensi sempre che sia il destino a regolare le vite di tutti” soffiò sul suo caffè “Sei uguale a quando ti ho conosciuto. Superstizioso e fedele a chiunque. Ma questa cosa di te mi pace molto. E in un certo senso mi diverte.”
Lui fece un broncio scherzoso “Io non sono superstizioso.”
Poi scoppiarono a ridere entrambi.
“Anche tu sei rimasta uguale. Hai lo stesso fascino e lo stesso carisma di un tempo.”
Con un sorso di caffè, lei lo guardava con attenzione. Non aveva mai pensato di vederlo in quel modo, ma le sue parole le stavano mostrando un nuovo lato di lui.
“Dimmi un po’...” esclamò a un tratto “Sono curiosa. Da quanto ti piaccio?”
Lui si grattò la nuca, abbassando il suo bicchiere “Tu mi sei sempre piaciuta. Non sarei un tuo amico, altrimenti...” venne interrotto dal dito di lei, che gli coprì la bocca “Non fregarmi, signorino. Sai benissimo di cosa parlo.”
“Credo… da quando sei entrata nella mia porta di casa con i tuoi bagagli e ho capito che avresti vissuto con me per molto tempo.”
“Dovevo restare una settimana. Ci hai messo poco per vedere qualcosa di più?”
“Non proprio. All’inizio eri qui solo perché vivo vicino alla tua università, ma quando hai lasciato gli studi e sei rimasta con me perché lo volevi veramente...” non riuscì a terminare la frase e si coprì la faccia.
“E non ti è passato neanche per l’anticamera del cervello di dirmelo?”
“Per un ragazzo non è facile spiegare i propri sentimenti… e poi non era il momento giusto.”
Lei rise di nuovo “Fammi indovinare, hai aspettato oggi a dirmelo perché è l’anniversario del giorno in cui ci siamo conosciuti, vero?”
“Porta bene” disse lui in modo inaspettatamente serio.
Ma lei rideva ancora “Anche l’orario in cui mi hai chiesto di uscire coincideva. Sei incredibile!”
“Quindi… ci stai?”
Lei bevve un altro sorso di caffè in silenzio.
Lui restò in attesa. Muoveva le gambe sempre più velocemente.
“Ma sì...”
Lui si bloccò di colpo.
“Perché no?” disse lei.
 
Erano le 14:03, del 15 febbraio 2022, alla stazione ferroviaria del centro città, sul Binario 3.
Il treno era in ritardo da quasi tre ore.
Non aveva idea di come approcciarla. Era passato così tanto tempo che aveva quasi dimenticato anche la sua faccia. Infatti non l’aveva riconosciuta subito.
Aveva anche cambiato taglio di capelli.
Mosse due passi verso di lei, poi si bloccò e tornò indietro di altri due passi.
Si bloccò di nuovo e fece di nuovo due passi verso di lei.
Poi si bloccò ancora.
Si schiaffeggiò ripetutamente le guance con entrambe le mani, cercando di infondersi coraggio. Così prese un respiro profondo.
“Ciao...”
Lei si voltò e le si illuminò il viso “Ma… non vale dovevo farti una sorpresa.”
Le rivolse un sorriso affettuoso “Stai tranquilla, l’hai fatta eccome. Come mai sei tornata? Credevo che avresti studiato per cinque anni.”
“Ho capito che non mi piaceva il clima troppo caldo di quelle parti. Se dovevo lavorare in un luogo così arido per tutta la vita, sarei impazzita.”
Calò il silenzio. Si guardarono intorno per un po’.
“Ti chiedo scusa” disse lui all’improvviso.
“Perché? Sono stata io a smettere di chiamarti. Non trovavo mai il tempo e ho finito per rovinare tutto.”
“Almeno hai… ecco…” lui alzò la testa, guardando una nuvola a caso “hai trovato qualcuno che ti rendesse felice?”
“No.”
Lui riabbassò la testa di scatto “Sei stata secca.”
“Io ho quasi chiuso con te per colpa mia, era quindi mia responsabilità restare sola fino a quando non avessi trovato un momento per venire a trovarti.”
“E alla fine hai lasciato tutto.”
“Certo... ”
“E sei tornata oggi.”
Le scappò una risatina “Chiamalo caso… o destino.”
A lui uscì il sorriso più grande che avesse mai fatto.
“Quindi possiamo ricominciare?”
“Ma sì…” disse lei con un'alzata di spalle e un sorriso “perché no?”
Lui si girò dall’altra parte e tirò un pugno verso l’alto con un’esultazione silenziosa.
Due secondi dopo, però, spalancò gli occhi e aprì la bocca in un gemito.
“Aspetta...” si portò le mani in avanti “Quindi eravamo in pausa?”
Lei lo guardò interrogativa “Credevo fosse evidente… Perché?”
Lui arrossì e distolse lo sguardo “Nulla di serio...”
Invece, lei diventò seria “Tommaso Antonio Pozzi, figlio di tua madre e tuo padre… Quante?”
Lui si scrocchiò il collo con disinvoltura e si grattò il mento. Guardò poi di nuovo in alto prendendo un forte respiro profondo e infine chiuse gli occhi in un sospiro “... Parecchie.”




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