Walk of Life - Growing

di Kimando714
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CAPITOLO 7 - LONDON RAIN



 
 
Non potrei addormentarmi meglio se c'è
Il rumore della pioggia fuori e dentro di me
Punto e a capo si riparte come sempre direi
Sputtanando le ansie se ci riesco
E ci penso a tormentarmi già abbastanza
L'odore dell'acqua sulla strada passa

Urlo tanto, mi dispiace, certe notti lo vorrei
stare altrove, più lontano da questa blu London rain [1]

 
La sensazione di umido e freddo pungente attanagliò Alessio, la stessa percezione che lo stava accompagnando sin dalle prime ore di quella mattina. Si strinse maggiormente nella giacca a vento, pentendosi amaramente di essersi scordato i guanti: trascinare la valigia con le mani esposte al gelo di fine inverno gli sembrava una delle peggiori torture.
Alzò gli occhi al cielo mentre continuava a camminare, Alice che lo precedeva di poco e che si muoveva con passi altrettanto lenti, come a voler allungare la durata di quel piccolo tragitto a piedi. Era ancora plumbeo, il cielo sopra Londra, carico di nuvole grigie che minacciavano da un momento all’altro di ricominciare a piovere. Aveva smesso da appena qualche minuto, e Alessio riusciva quasi a trovare famigliare l’odore della pioggia caduta sul cemento umido: erano anni che non metteva piede in quella città, ma poco sembrava essere cambiato. Si sentiva sempre allo stesso modo: bagnato dalla pioggia, infreddolito, e tremendamente affascinato da quei paesaggi grigi e velatamente cupi che lo circondavano.
Quando quella mattina erano atterrati a Heathrow l’atmosfera era più tetra di quanto ricordasse: pioveva, a tratti sembrava quasi tempestasse, e Alessio si era ritrovato a sbattere i denti per il freddo appena sceso dalla scaletta dell’aereo, tentando di non mollare la presa sul proprio ombrello, nonostante il vento. Aveva rimpianto immensamente Venezia, dove sembrava che la primavera avesse anticipato il suo arrivo, con le sue giornate calde delle ultime settimane.
Lì in Inghilterra, invece, non c’era nulla per cui sentirsi anche solo vagamente felice: era in ansia, c’era troppo gelo, aveva piovuto come aveva visto poche volte in vita sua. E c’era qualcosa, nonostante tutto, che lo spingeva a trovare Londra intrigante e seducente allo stesso tempo: era il fascino tipico inglese che subiva da sempre, sin da quando aveva per la prima volta messo piede in quella terra straniera, quasi dieci anni prima in gita scolastica. Londra lo stremava e gli faceva perdere la testa, come se fosse possibile e naturale unire sensazioni a tratti antitetiche.
Nella mezz’ora che avevano passato in metropolitana non aveva staccato gli occhi dai finestrini. Vedeva poco, colpa delle gocce di pioggia che cadevano sulla superficie di vetro, ma non era riuscito a farci nulla: era stato come un qualcosa di magnetico, come se ciò che gli stava intorno lo avesse costretto a tenere lo sguardo fisso verso quel paesaggio lugubre e unico.
Anche in quel momento, mentre si allontanava sempre di più dalla stazione di Kensington Olympia, seguendo Alice che si muoveva a passo sicuro in quelle vie eleganti e austere, Alessio non poteva fare a meno di osservare ciò che gli si presentava alla vista.
Era intuibile che la famiglia di Alice non doveva passarsela male economicamente anche solo tenendo conto del quartiere in cui erano finiti: Kensington appariva come un’isola per ricchi rifugiatisi lontani dai quartieri più degradati dell’East End. L’atmosfera sembrava essersi fermata alla fine dell’Ottocento, con tutte quelle case vittoriane costruite l’una accanto all’altra. Grandi, eleganti, maestose e bianche: case adatte solamente alla borghesia benestante della città.
-Ci siamo quasi- lo distrasse Alice, voltandosi verso di lui velocemente e lanciandogli un sorriso incoraggiante. Sembrava anche lei un po’ in ansia, e ad Alessio parve davvero insolito: vedere Alice così, lei che non si agitava nemmeno nelle situazioni più critiche, non poteva certo farlo stare più tranquillo e a suo agio.
Alessio tirò un lungo sospiro, mentre imboccavano Holland Road: erano quasi arrivati, e sentiva il cuore cominciare a battere sempre più velocemente, e non per la fatica o per la stanchezza che cominciava a provare. Teneva gli occhi fissi su Alice, più avanti di lui di qualche passo, registrando ogni minimo movimento più lento degli altri; non seppe quanta strada avessero percorso ancora, quando Alice finalmente si fermò di fronte ad una villetta dai mattoni rossi e gli infissi bianchi tinteggiati da poco.
Gli incuteva un po’ di terrore, quel posto: in una qualsiasi altra situazione avrebbe trovato quella zona di Londra davvero graziosa ed elegante, ma in quel momento non poteva fare a meno di vedere quella casa solamente come un’austera abitazione per ricchi borghesi inglesi. Un posto in cui lui non si sarebbe mai sentito a suo agio e che non sarebbe mai riuscito a considerare come casa sua.
Provò a scorgere qualche movimento all’interno dell’edificio, aguzzando lo sguardo e guardando all’interno delle alte finestre che davano sulla strada: non riuscì a notare nulla, a parte le pesanti tende beige che nascondevano ogni cosa si celasse oltre i vetri.
-Da quando mio padre ha ottenuto il trasferimento a Londra i miei genitori si trattano davvero bene- commentò Alice, voltandosi verso Alessio, e poggiandogli una mano sulla spalla – Non agitarti: la mia famiglia si è arricchita parecchio negli ultimi quindici anni, ma rimarranno sempre degli scousers guardati con diffidenza dai southner di Londra. Non pensare di non essere all’altezza-.
Era proprio quello il problema: sentirsi all’altezza. Per quanto ci stesse provando, Alessio si sentiva tutto, tranne che preparato ad un passo del genere e adatto a quel posto.
Aveva rimandato quel momento per anni, nonostante Alice avesse insistito più volte per portarlo a Londra a conoscere la sua famiglia; ora, dopo un mese di convivenza, non aveva più potuto inventare ulteriori scuse. Non aveva idea di come sarebbe andata, di come sarebbe stato far la conoscenza di Ashley e Michael Bennington. Sapeva solo che cominciava a sentirsi estremamente agitato, e che ogni parola d’inglese che conosceva sembrava sfuggirgli completamente.
Già si immaginava a balbettare qualcosa in italiano, rendendosi incomprensibile a chiunque tranne che ad Alice, proprio perché non avrebbe saputo trovare la traduzione in inglese. Problema che non aveva mai vissuto in vita sua e che, per la prima volta in quel momento, sembrava comparire nella situazione meno adatta di tutte.
-Sei sicura che dobbiamo proprio entrare?- borbottò Alessio, sentendosi ridicolo, ma sperando davvero in una risposta negativa. Alice lo guardò dolcemente, trattenendosi a stento dal ridere:
-Sure we have to come in. E poi tra poco ricomincerà a piovere-.
Alessio sospirò di nuovo, con rassegnazione. Strinse più forte il manico della valigia, aspettando qualche attimo, prima di accennare a qualche lento passo di nuovo dietro ad Alice. Lei non ci aveva pensato più di tanto: era scattata in avanti, percorrendo gli scalini che portavano alla porta d’ingresso reggendo la propria valigia, e infine suonando il campanello. Alessio, rimasto uno scalino più giù rispetto ad Alice, continuava a fissare la grande porta verniciata di marrone scuro, contando silenziosamente i secondi che passavano; dubitava di essersi sentito più agitato di così in vita sua.
Aveva passato i giorni precedenti alla partenza a chiedere ogni consiglio possibile a Caterina, Nicola, Giulia e Filippo su come affrontare per la prima volta i suoceri, ma ora come ora sembrava che la sua memoria avesse cancellato ogni loro singola parola. Cominciava a sentirsi in trappola, in una gabbia costruita dalla sua stessa ansia.
Quando finalmente la porta si aprì, Alessio sentì distintamente il cuore iniziare a battere ancora più forte. Gli sembrava in procinto di scoppiare da un momento all’altro.
-Oh, you’re here, at last!- Andy comparì nel campo visivo di Alessio, e ciò gli fece tirare un sospiro di sollievo: l’incontro con i genitori di Alice sembrava essere rimandato ancora di qualche minuto.
Alice si limitò a guardarlo male, prima di sciogliersi in un sorriso luminoso e abbracciando il fratello minore. Alessio rimase in disparte, in attesa che quell’abbraccio terminasse. Non era la prima volta che incontrava Andrew – che Alice aveva sempre e solo nominato come Andy, che in un qualche modo sembrava adattarsi meglio al suo viso pulito e dai tratti ancora fanciulleschi-, e anche se dal suo ultimo viaggio in Italia era passato un bel po’ di tempo si accorse di ricordarsi bene i tratti del suo volto. Era straordinariamente somigliante ad Alice, anche nei capelli rossi e nei grandi occhi verdi, ed era anche l’unico della famiglia Bennington che Alessio conoscesse già prima di quel momento. In un certo senso si sentì rassicurato nel ritrovare un’altra faccia famigliare in quel posto sconosciuto.
-Non pensavo davvero ci saresti stato anche tu- gli disse Alice, una volta sciolto l’abbraccio, parlando in inglese. Alessio si sentì rincuorato nel rendersi conto che aveva capito senza fatica ciò che aveva detto, a dispetto dell’agitazione.
-Ti avevo promesso che sarei venuto qui in questi giorni- le rispose sorridente il fratello. Andy viveva ancora a Liverpool: se ne era andato da Londra per tornare e poter studiare nell’università della sua città natale, e non sembrava minimamente pentito di quella scelta.
-E tu mantieni sempre le promesse- completò Alice, scuotendo il capo, ma sorridendo allegra.
Andy annuì, prima di spostare lo sguardo oltre le spalle di Alice, venendo a contatto con le iridi azzurre di Alessio:
-It’s a pleasure to meet you again, Alessio!- gli disse con la solita gentilezza che lo caratterizzava. Alessio sorrise appena, a tratti divertito dal suono piuttosto ridicolo e stridente che assumeva il suo nome pronunciato con il marcato accento britannico di Andy. Si sarebbe messo a ridere, se solo fosse stato più rilassato.
-Come ti senti?- gli chiese di nuovo Andy, scendendo di un paio di gradini per ritrovarsi di fronte a lui. Alessio gli fu grato per la sua affabilità: immaginava stesse cercando di renderlo più tranquillo, ma la verità era che, sentendosi rivolgere quella domanda diretta, non poté fare a meno di sentirsi ancor più agitato.
-Direi che mi sento molto calmo- ironizzò, concentrandosi sulla sua pronuncia. Sia Alice che Andy risero appena, in una risata che, per qualche attimo, smorzò appena la tensione che si respirava.
-Andrà ottimamente, stai tranquillo- cercò di tranquillizzarlo a sua volta Andy – Piacerai anche a loro-.
Alessio si ritrovò ad annuire, silenziosamente: per quanto Alice ed Andy stessero cercando di farlo sentire meno fuori posto possibile, continuava a sentirsi di troppo. La netta sensazione che sarebbe andata negativamente non sembrava volerlo abbandonare nemmeno un secondo.
Passarono pochi attimi, prima che Andy spezzasse di nuovo il silenzio, con la domanda fatidica che Alessio aveva sperato tanto non arrivasse così in fretta:
-Entriamo?-.
Meno di un minuto dopo stavano già percorrendo lo stretto corridoio d’ingresso della casa. Alice lasciò la propria valigia ai piedi delle scale che portavano al piano superiore, ed Alessio la imitò, incapace di aprire bocca per chiederle se fosse l’idea migliore lasciarle lì.
Sentiva la gola secca, il respiro che cominciava a farsi affannato e che non riusciva a regolarizzare: era una delle rare volte in cui si sentiva davvero nel panico. Era chiaro che non era preparato: come avrebbe dovuto presentarsi ai genitori di Alice? Sorridente e baldanzoso, talmente sicuro di sé da sembrare arrogante? Dubitava ci sarebbe riuscito, anche volendo.
Temeva di apparire troppo esitante, impacciato e intimidito. Tutto ciò che non era.
Andy li anticipò di qualche attimo, avviandosi verso il salotto dove, a quanto pareva, i genitori di Alice li stavano attendendo; Alessio fece per seguirlo, seppur riluttante, prima di essere bloccato da Alice:
-Qualunque cosa ti diranno, nel bene e nel male, non cambierà nulla di quel che io penso di te. Ricordatelo sempre-.
L’aveva guardato con sguardo fermo, come per assicurarsi che Alessio recepisse fino in fondo il messaggio. Aveva sussurrato, le parole in italiano meno perfette del solito.
Alice si sporse verso di lui per un bacio fugace, prima di sorridergli un’ultima volta, prenderlo per mano e trascinandolo verso il salotto.
Alessio tirò un lungo sospiro, prima di entrare nella stanza: il bacio e le parole di Alice l’avevano tranquillizzato almeno un po’. Aveva ancora il suo profumo nelle narici e il sapore delle sue labbra sulle proprie, quando Alice varcò la soglia del salotto, con lui al seguito.
Alessio si costrinse a guardarsi intorno, spaesato per la grandezza della sala in cui erano appena entrati – e per l’opulenza che vi regnava-; non gli ci volle molto, in ogni caso, per individuare quelli che dovevano essere i coniugi Bennington.
Si erano appena alzati dal divano di pelle che si trovava in fondo alla stanza, accanto a dove si trovava in piedi Andy. Ad una prima occhiata, Alessio non poté fare a meno di notare una incredibile somiglianza tra Ashley Bennington ed Alice: era lo stesso viso di Alice, ovale e delicato, solo con più rughe e con qualche lentiggine sulle gote, incorniciato da capelli biondi e soffici che le arrivavano fino alle spalle e che le davano un’aria quasi regale. Michael, invece, dava più l’impressione di essere un vecchio rugbista irlandese: capelli rossi un po’ radi, viso perfettamente rasato, il corpo magro e massiccio allo stesso tempo.
Alessio fece qualche altro passo in avanti, cercando di stendere le labbra in un sorriso di convenienza. Stava cominciando a sudare freddo, e mantenere un’apparenza di calma e tranquillità esteriore cominciava ad essere piuttosto difficile.
Avrebbe dovuto improvvisare come meglio poteva.
 


Il sapore caldo e leggermente aspro del the caldo che Alessio aveva appena finito di bere aveva avuto il potere di calmarlo almeno un po’. Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando era entrato in quella stanza. Sapeva solo che, dopo le iniziali presentazioni, lui ed Alice si erano accomodati sull’altro divano del salotto, di fianco a quello dove se ne stavano Ashley e Michael. Andy era rimasto poco, giusto il tempo di vedere come si stava evolvendo la situazione nei primi minuti; doveva aver ritenuto che non ci fosse nulla da preoccuparsi, e così se ne era andato altrove, con la scusa di dover scrivere un essay per un corso.
In fin dei conti, anche Alessio, analizzando oggettivamente la situazione, non vi avrebbe trovato nulla di strano: aveva rischiato di balbettare e sbagliare le parole in inglese solo all’inizio. Poi, quando era riuscito a recuperare almeno un po’ di razionalità, tutto aveva iniziato ad andare meglio: riusciva a rispondere alle domande che gli venivano poste senza incertezze e senza doversi bloccare troppe volte per pensare alla traduzione.
Anche i sorrisi che gli rivolgeva Alice ogni tanto, durante le brevi pause di silenzio, gli confermavano tacitamente quelle sue sensazioni: doveva sentirsi tranquilla anche lei, ora che tutto sembrava essersi finalmente appianato.
Ashley, una volta che il ghiaccio sembrava essersi rotto, si era allontanata per alcuni minuti per preparare del the, ed ora che era finito ad Alessio non sarebbe dispiaciuto berne ancora: sentiva la gola secca, e il calore del liquido ambrato era riuscito a scaldarlo e a farlo sentire meno insicuro.
Sentiva spesso e volentieri la sensazione degli occhi chiari e piccoli di Michael indagare la sua figura: non avrebbe saputo definire se quella potesse essere una cosa positiva o no, ma non poteva fare a meno di ignorare il sentirsi osservato da quell’uomo dai modi piuttosto freddi e duri.
Forse era solo un giudizio frettoloso, ma Alice – e nemmeno Andy - non sembrava assomigliargli per niente caratterialmente: suo padre sembrava una persona burbera, riservata e poco propensa all’affabilità che contraddistingueva la figlia. Ashley, al contrario, gli dava l’impressione di una persona timidamente gentile ed ospitale: non parlava molto, lasciando molto più spazio ad Alice e Michael, ma non aveva risparmiato gesti cortesi ad Alessio. Si rese conto che, se non ci fosse stata la figura di Michael lì presente, si sarebbe sentito decisamente più a suo agio e meno sotto esame.
-Alice ci ha detto che studi ancora- Ashley prese la parola dopo alcuni minuti di silenzio, durante i quali nessuno dei presenti aveva cercato di tirar fuori un nuovo argomento di cui parlare.
-Sì, è esatto- rispose prontamente Alessio, contento che non gli fosse stata rivolta una domanda troppo ardua – Se tutto va bene il prossimo anno dovrei laurearmi e finire definitivamente l’università-.
-In cosa hai intenzione di laurearti?- intervenne Michael, piuttosto bruscamente, e puntando nuovamente gli occhi indagatori su Alessio.
-Sono alla facoltà di informatica-.
Michael annuì con aria pensosa, e Alessio ebbe la brutta sensazione che la conversazione stesse prendendo una piega negativa: non c’era nulla che glielo facesse supporre con certezza, ma non aveva potuto fare a meno di notare un cipiglio infastidito nello sguardo dell’uomo che si trovava seduto di fronte.
-Al giorno d’oggi ci sono molti giovani che cercano di emergere in quel campo- continuò lui, con un tono calmo e distaccato che Alessio avrebbe davvero attribuito a qualunque banchiere, come era Michael – Ci vuole fortuna e talento per cavalcare l’onda del successo e distinguersi dalla massa-.
-Ho degli obiettivi che voglio raggiungere. E ho le idee chiare in questo- si ritrovò a replicare Alessio, con più veemenza di quella che avrebbe voluto. Cominciava a sentirsi infastidito, oltre che sottovalutato e giudicato da quello che non era altro che uno sconosciuto.
-Quindi pensi di potercela fare-.
Quella di Michael non fu una domanda, ma una semplice affermazione; una specie di implicita provocazione che ad Alessio fece salire prepotentemente il nervoso.
-Non penso, lo so per certo- Alessio si morse il labbro, sforzandosi di tenere lo sguardo fisso su Michael: non gli importava molto di sembrare presuntuoso, in quel momento – Non perché credo di essere particolarmente talentuoso, solo perché quando mi prefisso di raggiungere qualcosa faccio tutto quel che posso per riuscire nel mio intento-.
Michael si ritrovò ad annuire, l’aria di sufficienza ancora dipinta in volto:
-Ostinato, a quanto pare. E forse troppo sicuro di te, ma a volte l’arroganza fa la differenza tra le persone di successo e coloro che rimarranno sempre nel mucchio-.
-Non mi considero arrogante, solo molto motivato-.
Alessio si torturò le mani, ben consapevole di essersi forse spinto troppo in là. Non sapeva se dover prendere quelle ultime parole di Michael come un complimento o come una condanna, e non sapeva nemmeno se anche in quel momento fosse apparso troppo supponente.
-Immagino che una volta laureato ti trasferirai qui in Gran Bretagna. E poi Alice dovrebbe tornare a vivere qui, prima o poi- riprese Michael, lo stesso tono posato e freddo di prima.
Alice dovette sentirsi presa ingiustamente in causa, perché riservò un’occhiata contrariata al padre:
-Papà, io non ... -.
-Non ho la minima intenzione di allontanarmi dall’Italia-.
Alessio non lasciò nemmeno il tempo ad Alice di finire, e a nulla gli era servito cercare di trattenersi dal dire quelle parole. Era stato più forte di lui, quasi naturale mettere le cose in chiaro da subito.
Il viso di Michael si irrigidì maggiormente, ed anche Ashley sembrò avvertire la tensione del momento: rimanendo ancora in silenzio, spostò lo sguardo dal marito, alla figlia, ad Alessio.
Michael non si scompose minimamente, anche se un’incrinatura di rabbia poteva essere colta nella voce:
-Nel vostro Paese non c’è spazio per i giovani, e nel campo del progresso informatico non siete nemmeno poi così tanto bravi come vorresti farci credere-.
-Proprio per questo voglio rimanere. Se nessuno cerca di migliorare l’Italia, allora non cambierà mai nulla-.
-Gli ideali non hanno mai portato a nulla di buono, ragazzo-.
Di fronte allo sguardo severo e di biasimo dell’uomo, ad Alessio venne del tutto naturale ricambiare con un sorriso beffardo:
-Ma senza ideali si muore in ogni caso-.
 
*
 
Stava ricominciando a piovere, lentamente: piccole gocce di pioggia avevano ripreso a scendere da qualche minuto, silenziose e quasi impercettibili come ogni volta che precedevano un temporale che stentava ad avviarsi.
Westminster era caotica e confusionaria come Alessio la ricordava. Nonostante il tempo pessimo, era fortemente convinto che in giro ci fossero più turisti che londinesi. In ogni angolo c’erano persone con in mano macchine fotografiche, cartine geografiche o intente solamente a guardarsi intorno attentamente.
Lui, invece, se ne aggirava apparentemente quieto, senza nemmeno distogliere lo sguardo da davanti a sé, la mano destra riparata dal guanto di lana che teneva l’ombrello aperto sopra la sua testa.
Alice gli camminava a fianco, stringendosi a lui per ripararsi meglio sotto l’ombrello e, probabilmente, anche per sconfiggere almeno un po’ il freddo che regnava in quella giornata.
Il giorno prima, dopo quella discussione con Michael, non era decollata nemmeno la sera: la cena era stata particolarmente silenziosa, con Alice che aveva cercato di portare ogni discussione lontana da qualsiasi argomento spinoso, finendo così per parlare prevalentemente solo con sua madre. Alessio non aveva quasi aperto bocca, anche se le diverse occhiate d’astio che Michael gli aveva riservato lo avevano spinto quasi definitivamente ad andarsene da quella casa e prendere il primo aereo per l’Italia.
Alla fine era rimasto, seppur a malincuore, sollevato dall’idea che a Londra ci avrebbero passato solo un altro giorno.
Quella mattina si era svegliato di malumore, ma si era consolato  sapendo che mancasse poco alla ripartenza sua e di Alice: non vedeva l’ora che giungesse l’indomani, quando avrebbero lasciato quella maledetta villetta vittoriana di Kensington per prendere il treno alla volta di Liverpool.
Per il momento, però, avrebbe dovuto sopportare quel posto ancora per un po’: era solo pomeriggio, e per quanto lui ed Alice avessero già passato diverso tempo in giro per la città, non mancava più molto all’ora di rientrare. Un ultimo sforzo prima di lasciarsi tutto alle spalle.
Nemmeno Alice sembrava passarsela bene: anche lei era taciturna da quella mattina, poco sorridente e pensierosa come Alessio l’aveva vista poche volte. Si chiedeva se fosse più arrabbiata con lui o con suo padre: era adirata per la sua presuntuosità di fronte ai suoi genitori, o si sentiva abbattuta per il fatto che le sue scelte di vita non andassero a genio a coloro che più di tutti dovevano volere il suo bene? Alessio non aveva fatto parola sull’argomento, anche se cominciava a chiedersi che le stesse passando per la testa. Cominciava a sopportare poco quel silenzio teso.
Iniziò a piovere di più, proprio mentre si accingevano a passare sopra il Tamigi attraversando il Westminster Bridge. Il London Eye, sulla sponda opposta, era ancora in funzione: probabilmente però, se avesse iniziato a piovere ancor di più, in molti avrebbero dovuto rinunciare a vedere Londra da una delle cabine della ruota panoramica.
Si lasciarono ben presto alle spalle l’Houses of Parliament e il Big Ben, sempre più vicini all’altra sponda del fiume; avanzare camminando sul marciapiede di quel ponte, in quel momento, era alquanto arduo: le troppe persone con gli ombrelli aperti finivano per rallentarsi tra di loro, costringendo tutti a mantenere un passo troppo lento.
-Dovremo cercare un posto al chiuso dove restare per un po’- disse Alice improvvisamente, rompendo quella tregua di silenzio che si era prolungata per diverso tempo – Tra poco inizierà a piovere più forte-.
La previsione di Alice si rivelò giusta: fecero appena in tempo ad entrare nel McDonald’s che si trovava in un’ala della County Hall, prima che la pioggia iniziasse ad intensificarsi. In pochi minuti, quando loro già si trovavano seduti ad un tavolo del fast food, iniziò un vero e proprio temporale.
-Potremmo anche restare qui per cena- parlò distrattamente Alice, aprendo con fare casuale il menu che si trovava sopra il tavolino dov’erano seduti – Non sappiamo nemmeno quando finirà di piovere così forte-.
-Non vuoi tornare a casa? Era da tanto che non vedevi la tua famiglia- Alessio si morse il labbro inferiore: era ben contento all’idea di rimanere più tempo possibile lontano dai Bennington, ma allo stesso tempo non poteva fare a meno di sentirsi in colpa verso Alice. Non avrebbe voluto costringerla a non vedere i suoi genitori solo per causa sua.
-Per me va bene anche se restiamo qua-.
Alice aveva parlato con tono indifferente, nulla che lasciasse presagire davvero che tutto andasse bene. Alessio strinse i pugni sul tavolo, incapace di trattenersi ulteriormente:
-A tuo padre non piaccio-.
Alice tirò un lungo sospiro, gli occhi puntati in una direzione oltre le spalle di Alessio:
-Solo perché la pensate in maniera diversa non per forza non devi piacergli-.
-Non è solo quello- sbuffò lui, ben consapevole di star addentrandosi in un terreno piuttosto ostile – Parlava dell’Italia e degli italiani come se fossimo dei pezzenti! Non sono un dannato patriottico fissato con la propria nazionalità, ma non voglio che qualcuno mi consideri inferiore solo perché sono non sono inglese e perché voglio rimanere a vivere nel mio Paese-.
Alice spostò finalmente gli occhi su di lui: non vi era rabbia nel suo sguardo, e Alessio non seppe se definirlo come un segno negativo o almeno in parte positivo.
-È di mio padre che stai parlando. Calmati-.
-Può anche essere il re in persona, la sostanza non cambia- borbottò ancora una volta Alessio: non riusciva a lasciare perdere così facilmente, anche se lo sguardo gelido di Alice avrebbe dovuto spingerlo a non aggiungere altro che potesse rendere la situazione ancora peggiore.
Alice non disse nulla per diversi secondi, incrociando le mani al petto e guardando altrove. Sembrava indecisa se continuare quella discussione o lasciare perdere definitivamente. Anche Alessio se ne rimase zitto: cominciava a pentirsi di quel che aveva detto. Non era sua intenzione litigare con Alice perché aveva da ridire sui suoi genitori, ma allo stesso tempo non voleva nemmeno fare finta che andasse tutto bene.
-Cosa dovrei fare, quindi? Dare ragione a te o a lui?- replicò infine Alice, scostandosi con un gesto secco una ciocca di capelli rossi che le era finita in viso.
-Non ti ho chiesto di schierarti, so che non sarebbe facile- cercò di correggere il tiro Alessio, sperando che potesse bastare per stemperare almeno in parte la tensione. Cominciava a sentirsi in colpa: probabilmente nemmeno lui avrebbe reagito bene nel sentire parlare così di sua madre.
Vide Alice annuire, gli occhi meno severi di prima. Con un po’ di esitazione Alessio avvicinò una mano a quella di Alice poggiata sotto il tavolo, carezzandone il dorso con il pollice in gesti lenti e appena accennati; era l’unico modo che gli era venuto in mente per chiederle tacitamente scusa. Alice non scostò la mano, ed Alessio lo reputò un segno d’incoraggiamento.
-I tuoi genitori preferirebbero saperti qui, anziché in Italia- mormorò lui, con una punta di malinconia.
-Sì, forse, ma stiamo parlando della mia vita, non della loro-.
-E probabilmente ti vorrebbero anche fidanzata ad un inglese-.
-Hai qualcos’altro da obiettare?- Alice lo guardò per qualche attimo con un sorriso esasperato, prima di tornare seria in viso – Ok, ci sei rimasto male, lo capisco. Anche io mi sento ... Incompresa, perché speravo e pensavo che le cose sarebbero andate bene. Ma i miei genitori possono sempre cambiare idea, e lo faranno quando ti conosceranno meglio-.
-Sempre se vorranno farlo- Alessio sbuffò piano, rassegnato: invidiava non poco l’ottimismo che contraddistingueva Alice la maggior parte delle volte.
Alice gli strinse la mano nella sua, la presa gentile e forte allo stesso tempo. Alessio si costrinse ad alzare lo sguardo verso di lei, in attesa.
-Anche se non dovesse succedere, la loro opinione non deve cambiare le cose tra noi. Io sto bene in Italia, non voglio tornare a vivere qui. E sto bene con te, and that’s all-.
Alessio non disse nulla, accennando solo un sorriso malinconico. Il senso di colpa nei confronti di Alice cominciava a diminuire, ma la voglia di trovarsi il più lontano possibile da quel posto sembrava non volersene andare.
Ancora sperava di lasciarsi alle spalle il prima possibile Londra, i suoi edifici grigi e la pioggia che continuava a cadere.
 
*
 
Liverpool I left you, said goodbye to Madryn Street
I always followed my heart and I never missed a beat
Destiny was calling, I just couldn't stick around
Liverpool I left you, but I never let you down [2]
 
Il colore del cielo sopra Londra, la mattina del 23 marzo, non differiva da quello dei giorni precedenti: era il solito cielo plumbeo che ad Alessio cominciava a mettere tristezza, una sorta di malinconia che mitigava sempre più il suo già cattivo umore.
Erano solo le sette e mezza quando lui ed Alice erano partiti dalla stazione di Euston: ci sarebbero volute quasi tre ore per arrivare a Liverpool, e partire quanto prima era parsa una soluzione quasi obbligatoria.
I suoi sforzi nel provare a dormire durante il viaggio non sembravano star sortendo alcun risultato, se non il fatto che Alessio non stava proprio chiudendo occhio. Sentiva il capo di Alice, seduta accanto a lui, poggiato sulla sua spalla: si era addormentata ancora prima di arrivare anche solo a Stafford, e benché la stanchezza fosse parecchia, per lui il sonno sembrava solo un lontano desiderio.
L’ambiente esterno si stava facendo sempre più campestre e rurale, case isolate che sembravano perse in mezzo alla brughiera – solo in prossimità delle stazioni dove il treno doveva fermarsi la civiltà sembrava recuperare piede. Lo osservò scorrere fuori dal finestrino, mentre la pioggia mattutina si faceva sempre più sottile e debole, fino a scomparire del tutto a mano a mano che il treno si inoltrava nelle regioni del nord dell’Inghilterra.
La luce cominciò a diffondersi sempre più solamente dopo un’abbondante mezz’ora di viaggio, eppure il sole non fece capolino dietro la solida coltre di nubi scure che riempivano il cielo. Si preannunciava un’altra giornata di pioggia, fredda e scura come le precedenti.
Quando raggiunsero a Liverpool, due ore e mezza dopo, ad Alessio sembrò di essere arrivato in una dimensione completamente diversa da quella di Londra: Liverpool era meno maestosa, più piccola e vivibile, più vicina al suo modo di vivere.
Ritornare nella sua città natale dopo anni di assenza doveva aver giovato un bel po’ ad Alice: Alessio la teneva osservata sin da poco prima di scendere dal treno, e anche in quel momento, appena fuori dalla Central Station della città, aveva lo stesso sguardo luminoso e gioioso che aveva assunto appena svegliatasi e accortasi di essere arrivata a casa. Sembrava una bambina che aveva appena ricevuto in regalo il giocattolo che aveva tanto richiesto.
-Fa così strano essere di nuovo qui- mormorò Alice, fermandosi sul marciapiede, la Central Station appena dietro le sue spalle – È un’emozione unica-.
-Mi stai dicendo che stai per metterti a piangere dalla felicità? Non lo hai fatto nemmeno quando sono venuto a vivere con te- la prese in giro Alessio, trattenendo a stento una risata dopo uno sguardo fulminante di Alice.
-Ti sentiresti così anche tu, se dopo anni vissuti all’estero tornassi in Italia. Ti accorgi di quanto ti manchi casa tua solo dopo essertene andato-.
Alessio si ritrovò ad annuire, inconsciamente. Non metteva in dubbio che Alice avesse ragione: era sicuro che anche lui, per quanto Villaborghese non gli fosse mai particolarmente piaciuta, si sarebbe emozionato allo stesso modo nel ritornare là dopo troppi anni di assenza.
“Non c’è dolore più grande della perdita della terra natia”.
-So che abbiamo le valigie con noi, e che forse sarebbe meglio andare subito in albergo- riprese Alice, a tratti esitante – Ma prima c’è un posto in cui vorrei andare. Voglio farti vedere una cosa-.
-Dove mi porti?-.
-Let time run its course- sorrise Alice, timidamente – Lo scoprirai presto-.
Alessio si affidò completamente a lei, di nuovo, come un moderno Dante che seguiva fedelmente il suo Virgilio tra i fumi dell’inferno.
Presero l’autobus per arrivare al luogo dove Alice lo stava portando. Pur non essendo per niente pratico di Liverpool, ad Alessio ci volle poco per capire che si stavano dirigendo vero le zone di periferia: l’autobus si stava allontanando sempre più dal centro della città, lasciandosi alle spalle il traffico ed addentrandosi sempre più nelle aree prettamente residenziali.
Alice, in piedi accanto a lui, teneva lo sguardo fisso fuori dal finestrino: Alessio la vide tenere un sorriso accennato per tutto il viaggio, un sorriso che sapeva più di malinconia e tacita sofferenza.
Arrivarono a destinazione dopo un tempo che Alessio non avrebbe saputo quantificare. Sceso dall’autobus, tirandosi dietro la valigia, si fermò qualche attimo per guardarsi intorno: si trovavano davvero in una zona lontana dal centro, e  la prima sensazione che provò fu quella di trovarsi in un quartiere povero, degradato.
I palazzi che si trovavano lungo quella via apparivano vecchi, alcuni addirittura decadenti; quelle case a schiera dai mattoni rossi, dall’aspetto spartano e sgraziato, gli ricordavano un po’ i vecchi film ambientati negli anni ’70, quando nel nord dell’Inghilterra la maggior parte delle persone lavorava ancora nelle miniere.
-Hai per caso intenzione di uccidermi e per farlo hai deciso di portarmi in un posto abbastanza isolato e mal frequentato?- cercò di ironizzare Alessio, prima che Alice ricominciasse a camminare.
-Nulla di tutto ciò- gli sorrise lei, paziente – Siamo quasi arrivati-.
Alice riprese ad avanzare, trascinandosi dietro la valigia; procedeva con passo sicuro, segno che doveva conoscere bene il posto in cui si trovavano.
Nonostante i dubbi iniziali, Alessio la seguì. Non molti metri dopo Alice si accinse a svoltare a sinistra, in una via perpendicolare, più stretta e con una zona verde che costeggiava il marciapiede disastrato.
Più si addentravano in quel quartiere, più Alessio sentiva crescere la sensazione di abbandono e decadimento. D’altro canto, tutte le periferie delle grandi città inglesi dovevano apparire così: trascurate, con l’asfalto delle strade ormai ceduto, le tipiche case dai mattoni rossi abitate da famiglie di operai e impiegati.
Alice imboccò una via ancor più piccola dopo pochi metri, Alessio che continuava a seguirla domandandosi dove stessero andando a finire. Era ormai palese che stesse cercando una casa: non sembrava esserci altro, in quella zona cupa e grigia.
Non passarono molti altri minuti, quando Alice finalmente si bloccò, davanti ad una piccola casa che faceva angolo ad un incrocio. Rimase ferma davanti al muretto di mattoni che delimitava il piccolo giardino dell’abitazione, il sorriso malinconico che si stava facendo più visibile e gli occhi che – Alessio ci avrebbe giurato- sembrava più lucidi del solito.
-Va tutto bene?- le chiese lui, avvicinandosi a sua volta, e posandole una mano sulla spalla, come per scuoterla. Alice annuì silenziosamente, prima di passarsi una mano sul viso.
-È  da tanto tempo che non venivo qui a Toxteth - mormorò, la voce più rauca e bassa – Questa è la vecchia casa dove abitavamo. La mia prima casa: ho abitato qui fino a quando avevo otto anni circa-.
-Qui? Sul serio?- esclamò Alessio, spalancando gli occhi, incredulo. La casa che era stata della famiglia di Alice lì a Liverpool e quella in cui abitavano i suoi genitori a Londra non erano minimamente paragonabili: la prima sembrava solo la brutta copia da famiglia proletaria della seconda.
Un po’ si ritrovò ad ammirare Michael Bennington: era innegabile che potesse annoverarsi tra coloro che ce l’avevano fatta, che erano emersi e avevano fatto carriera. Aveva vinto, almeno da quel lato. E se, per quanto riguardava se stesso, i soldi potevano interessargli relativamente, non poteva non ammettere che immaginarsi allo stesso livello, in una carriera che avanzava a gonfie vele, gli dava una certa vena d’eccitazione.
“Chissà se ci riuscirò davvero anche io”.
-Mio padre non ha sempre lavorato in banca- spiegò Alice, voltandosi per un attimo verso Alessio – E poi ci ha messo un po’ a fare carriera. Vivevamo qui, poi quando ha iniziato a guadagnare bene ci siamo spostati ad Allerton-.
-Un altro quartiere?-.
-Sì, un quartiere benestante e tranquillo della città- Alice sbuffò piano tra sé – Ad Allerton non c’erano poveracci, non c’erano piccoli delinquenti e spacciatori che giravano per le strade la notte. Al massimo si poteva trovare solo qualche ricco borghese posh-.
-Da come ne parli ti doveva piacere molto, quel posto- rise appena Alessio, stringendola un po’ di più a sé.
-Sono rimasta più legata a Toxteth, nonostante tutto- sospirò Alice, la voce appena udibile – Ci sono le mie radici, qui-.
Alessio annuì piano: capiva ciò che voleva dire Alice. In un certo senso capiva anche quell’attaccamento al luogo in cui aveva passato la sua infanzia. Poteva essere un posto orrendo, pericoloso e fatiscente, ma sarebbe stato sempre la sua prima casa. Avrebbe fatto parte di lei sempre.
-D’altro canto nessuno di noi sceglie dove nascere. Nessuno di noi sceglie a quali luoghi rimanere legati-.
Alice non rispose, e ad Alessio andò bene così: era sicuro che stesse pensando la stessa cosa, mentre osservava per un’ultima volta quella vecchia casa dai mattoni rossi e il tetto spiovente.
 
*
 
We used to walk Mancunian Way
We used to swagger, we used to sway
Up until the lights took us away
Do you know what you meant to me? [3]
 
Il tempo che avevano avuto a disposizione per visitare il centro di Liverpool era stato troppo poco: ad Alessio avrebbe fatto piacere rimanere almeno un giorno in più, piuttosto che andarsene già il giorno dopo.
Alice aveva cercato di fargli vedere più cose possibili della sua città, pur con il poco tempo a disposizione. Dopo aver lasciato le valigie nel piccolo bed & breakfast, dove avevano prenotato per quella notte, avevano passeggiato per tutto il centro di Liverpool, passando davanti al Bluecoat – il palazzo più antico del centro storico- e arrivando fino all’Albert Dock poco prima che la sera cominciasse a scendere, lasciando le acque del Mersey illuminate soltanto dalle luce delle imbarcazioni e dai lampioni delle strade. Ad Alessio, di fronte a quella vista, era tornata in mente Venezia: l’atmosfera che si respirava lì era la stessa che c’era ogni sera al molo vicino piazza San Marco. Solamente, il cielo nuvoloso inglese dava un tocco più lugubre al tutto.
L’ultima visita alla città, prima di tornare nella loro stanza, era stata riservata al Cavern Club: Alessio, nel varcare la soglia di quello storico locale, aveva sentito il proprio cuore accelerare, in una sorta di emozione primordiale. Tra quei muri di mattoni rossi, dove risuonava la musica di una band che suonava proprio quella sera, gli sembrava di essere tornato un po’ agli anni Sessanta, quando gli stessi Beatles avevano dato spettacolo lì dentro.
A quell’atmosfera ci stava pensando anche quella mattina, mentre lui ed Alice stavano varcando la soglia della Lime Street Station. Pur essendo rimasto per pochissimo, sentiva già un moto di nostalgia mentre dava un ultimo sguardo a quella città, prima di lasciarla. Non aveva alcuna voglia di muoversi da lì, ma non aveva altra scelta: un impegno già li aspettava per mezzogiorno.
Non ci sarebbe voluto molto, in treno, da Liverpool a Manchester.
 


Un’ora dopo, nemmeno il tempo di rischiare di prendere sonno durante il viaggio, erano a destinazione.
-Dovremo prendere il tram per arrivano all’Old Trafford- lo avvertì Alice, non appena furono usciti dalla stazione di Piccadilly. Non sembrava entusiasta di trovarsi a Manchester: come aveva cercato di spiegare ad Alessio durante il viaggio in treno, non aveva mai provato grande simpatia per i Mancunians, le loro fabbriche e il loro pessimo accento. Non che Alessio si sentisse molto in vena di darle torto: era mattina presto, e l’aria di Manchester era ancor più fredda di quella che si respirava a Liverpool o a Londra. La nebbia sembrava avvolgere tutta la città, in un effetto che lo fece sentire quasi a casa: gli ricordava terribilmente la stessa nebbia che si poteva trovare quasi ogni giorno durante l’inverno in certe zone del Veneto.
-Sei già stata qui, prima di adesso?- le chiese Alessio, mentre svoltavano l’angolo per raggiungere il capolinea della linea del tram che avrebbero dovuto prendere.
-Sì, per mia sfortuna-.
-Andate davvero d’accordo voi di Liverpool con i Mancunians- rise lui, già pronto ad un eventuale sguardo torvo da parte di Alice, che non tardò ad arrivare:
-Aspetta di sentirli parlare tra di loro, e comincerai a non sopportarli anche tu-.
Alessio rise ancor di più, non fermandosi affatto nemmeno quando Alice provò a farlo smettere dandogli una leggera pacca sulla spalla.
Cominciava a pensare che, in realtà, l’aria di Manchester lo rendesse più di buonumore di quanto si sarebbe potuto aspettare.
 
*
 
-Come on, Reds, come on!-.
La voce di Alice si perse in mezzo al coro di alcuni tifosi del Liverpool, qualche fila sopra lei ed Alessio sulle gradinate: avevano iniziato ad intonare le prime parole di You’ll never walk alone, e ci vollero pochi attimi prima che al canto si aggiungessero molti altri tifosi dei Reds.
Alessio cominciava a sentire girare la testa: l’Old Trafford era davvero enorme, delle tribune infinite che accerchiavano il campo d’erba dove si stavano fronteggiando il Manchester United e il Liverpool, che aveva sbloccato il temporaneo pareggio solo da pochi minuti.
Non era abituato a posti così maestosi, né a degli schiamazzi così forti da dover urlare per farsi sentire da Alice. In fin dei conti, però, era piacevole: non era mai stato un grande tifoso di calcio – non ai livelli di Nicola, Pietro o Caterina-, ma fino a quel momento poteva affermare con una certa tranquillità di non essersi annoiato. La partita risultava veloce e combattuta, con più di un’occasione da parte di entrambe le squadre di poter fare gol.
Continuò a seguire un’azione dal fondo dei giocatori del Manchester; dopo un calcio d’angolo del Liverpool andato a vuoto, il possesso palla risultava ora dello United. I passaggi dei giocatori dalle magliette rosse erano veloci e precisi, e furono davvero rapidi nell’arrivare nell’area di rigore del Liverpool: la porta era scoperta come non mai, solamente due difensori contro altri due attaccanti.
Un secondo dopo, tra la tensione delle tribune, Rooney provò il tiro: la palla finì oltre le spalle del portiere, andando a finire in rete e segnando il pareggio dello United.
Il boato che scoppiò tra i tifosi dei Red Devils fu ancor più forte di quello che aveva accompagnato il primo gol; tra l’entusiasmo generale, anche Alessio si lasciò andare a qualche gesto di entusiasmo a favore del Manchester United.
Si voltò subito verso Alice, sentendosi osservato: l’occhiataccia malevola che gli stava lanciando non faceva presagire nulla di buono.
-Si può sapere perché festeggi? Hanno segnato i nostri avversari, non il Liverpool!-.
-Ma io sono super partes, quindi posso permettermi il lusso di poter festeggiare entrambe le squadre se segnano- cercò di giustificarsi Alessio, un sorriso innocente che cercava di ammorbidire lo sguardo torvo di Alice – E poi mi piace il Manchester-.
-Disse colui che di calcio non si era mai interessato prima d’ora-.
-Quando mi avevi convinto ad accompagnarti qui per la partita dovevi mettere in conto anche questo rischio- rise Alessio, divertito da quel battibecco con Alice. Si sporse verso di lei, scoccandole un veloce bacio sulla guancia: anche se non si girò, la vide visibilmente più rilassata, mentre accennava un sorriso altrettanto compiaciuto.
 


La nebbia pomeridiana sembrava essersi infine diradata: all’ora di cena, con il buio già calato sulla città e con i soli lampioni a rischiarare le strade di Manchester, non vi era più nessuna foschia a disturbare la visuale.
Alla sera la città sembrava più ospitale di quanto non era apparsa inizialmente. C’erano ancora diversi turisti incuriositi da quella atmosfera serale vivace e grigia allo stesso tempo, e c’erano anche parecchi ragazzi che sembravano vagare in cerca di un qualche pub dove passare in compagnia le ultime ore della giornata. Anche ad Alessio non sarebbe dispiaciuto infilarsi dentro al primo pub carino trovato per strada: faceva davvero freddo, e non avrebbe disdegnato l’idea di passare la serata al caldo, davanti ad una pinta di birra irlandese accompagnata dai vecchi successi degli Oasis, degli Smiths o degli Suede.
Avevano appena finito di cenare in un piccolo locale vicino alla stazione di Piccadilly: era stato il primo posto che avevano trovato non appena tornati in centro città, subito dopo aver lasciato lo stadio. Ora che si trovavano in giro per le vie di Manchester l’idea di trovare un buon pub non poteva dispiacere nemmeno ad Alice: aveva tutta l’intenzione di festeggiare alla grande la vittoria del Liverpool, che si era infine imposto sullo United con un’altra rete.
Imboccarono una piccola via che seguiva il corso del Rochdale Canal, dove i numerosi locali aperti sembravano essere frequentati da parecchia gente. Ad Alessio ci volle poco per capire che genere di locali fossero: le numerose bandiere arcobaleno sventolanti dalle finestre dei palazzi lasciavano pochi dubbi su che posto fosse quello.
-Lo sai dove stiamo andando, vero?- gli domandò Alice proprio in quel momento, come se gli avesse appena letto il pensiero.
-In una strada dove ci sono parecchi locali LGBT?- replicò Alessio, a cui non serviva certo la conferma di Alice per capire di avere ragione.
-Ovviamente. Questa è Canal Street, il gay village di Manchester -.
-Oh, non avevo mai messo piede in un gay village, prima d’ora-.
Alessio si guardò intorno incuriosito, ma non poté comunque trattenersi dall’arrossire quando, appena lui ed Alice furono davanti a diversi tavoli del primo locale, alcuni ragazzi puntarono lo sguardo su di lui. Cercò di ignorarli quando uno di loro, lo sguardo malizioso, ammiccò proprio nella sua direzione.
-Sembra che tu piaccia parecchio, da queste parti- lo prese in giro Alice, dandogli una leggera gomitata.
-Nulla vieta loro di guardare- borbottò Alessio, passandosi una mano sul viso. Sentiva ancora le guance bruciare, imbarazzato e un po’ disabituato a quel genere di sguardi da parte di altri uomini. Non era certo una sensazione nuova, così come non lo sarebbe stata baciare un altro uomo, ma era da tempo che non gli capitava di farci caso.
-Quindi ... – Alice si interruppe subito, mordendosi le labbra con fare impacciato. Sembrava aver cambiato subito idea, ma era già troppo tardi per rimangiarsi quel suo abbozzo di frase poco convinto.
-Quindi?- la incalzò Alessio, voltandosi verso di lei.
Stavano proseguendo lungo Canal Street, che sembrava affollarsi sempre di più. Alessio sentiva distintamente il rimbombo della musica da discoteca proveniente da alcuni locali, mentre si guardava intorno con gli occhi abbagliati dalle luci delle insegne colorate.
-Niente. Era una domanda stupida- cercò di sminuire Alice, abbozzando un sorriso che non servì a convincere maggiormente Alessio.
-Non ti costa nulla dirmela comunque-.
Alice tirò un lungo sospiro, prima di lanciargli una veloce occhiata. Era arrossita anche lei, insolitamente in difficoltà. Sembrava in cerca di una scappatoia che non riusciva a trovare.
-Mi stavo solo chiedendo quando avessi capito di essere pansessuale-.
Alice abbassò lo sguardo per alcuni secondi, prima di prendere coraggio e voltarsi verso di lui. Sembrava più a disagio di quanto non fosse mai sembrata, le poche altre volte che l’argomento era stato toccato. Alessio la guardò stranito e a tratti incuriosito.
-Ero al liceo- rispose infine dopo qualche secondo, accigliato, cercando di ricordare – Ho cominciato a provare interessante un ragazzo della mia classe. Avevo una cotta per lui-.
Erano passati dieci anni ormai, calcolò velocemente. Un tempo sufficiente per dimenticarsi persino il nome del diretto interessato.
-E te ne sei accorto così?-.
-Sì, fondamentalmente- Alessio si morse il labbro inferiore, perché se da una parte aveva dimenticato il nome del ragazzo, dall’altra quel che aveva provato, o almeno il ricordo, non se ne era mai andato del tutto – Non mi sono mai fatto troppi problemi, nemmeno all’inizio … Mi piaceva e basta. Un ragazzo, una ragazza, chiunque … Non fa alcuna differenza per me-.
-Pensavo te ne fossi reso conto quando hai baciato Pietro-.
Alessio rimase in silenzio disorientato: non si era aspettato del tutto che Alice si potesse ricordare di un dettaglio simile, un racconto tirato fuori per puro caso forse più di un anno fa ad una festa con i loro amici, da brilli. Era l’ultima cosa a cui desiderava pensare, il bacio che c’era stato con Pietro, in quel momento.
Per un attimo odiò profondamente che Alice sapesse di quell’episodio.
-No, quello è venuto molto dopo- disse più seccamente di quel che si aspettava lui stesso – E poi comunque quando è successo con lui era solo per uno stupido gioco. Non era nulla di serio-.
“Anche se poi le cose si sono incasinate dopo quella volta”.
-E poi non mi era nemmeno piaciuto, perché era solo un bacio dato per scherzo- tentò di minimizzare ancora, la voce che si faceva più calibrata, attento a scegliere le parole giuste, per rendersi poi conto che forse non erano così perfette. Gli sembrò quasi di aver sottinteso che, se non fosse stato dato con leggerezza, e senza reale intenzione, avrebbe considerato quel bacio in tutt’altro modo.
E forse era esattamente così, perché ricordava fin troppo bene i dubbi che lo avevano attanagliato dopo che era successo.
Era già l’ennesima mezza verità che si ritrovava a dover rifilare ad Alice, e cominciava a sentirsi in imbarazzo e in colpa verso di lei. Ma d’altro canto, non aveva altre scelte: come avrebbe potuto reagire se le avesse detto tutto quel che gli stava passando per la testa, probabilmente il contrario di quel che si sarebbe voluta sentirsi dire? Non poteva dirle che, dopo quel bacio, aveva rimuginato sull’accaduto per giorni interi. Non poteva nemmeno dirle che, sforzandosi e chiudendo gli occhi, tornando a quella sera d’estate con il pensiero, forse sarebbe perfino riuscito a ricordare il sapore delle labbra di Pietro e la sensazione del suo respiro sul suo viso.
Non avrebbe nemmeno potuto dirle tante altre cose, sottili e quasi invisibili, che c’erano state con Pietro, e che faticava lui stesso a comprendere e ad ammettere.
Sarebbe stato troppo difficile per entrambi, in quel momento, stare a sentire delle parole del genere.
-Non sei mai stato con un ragazzo?- gli chiese ancora Alice.
Alessio scosse il capo:
-In una relazione seria? No, non è mai capitato-.
“Finora”.
-E non hai nemmeno mai pensato che un giorno potresti … -.
-Innamorarmi e stare con un uomo?-.
Alice annuì, mentre proseguivano a camminare lentamente, la folla di ragazzi che percorrevano Canal Street che li attorniava e che sembrava più distante che mai da loro. Alessio sospirò a fondo, per una volta deciso a non cercare scappatoie o risposte facili:
-Potrebbe. Non si può mai sapere dalla vita-.
Si accorse subito dell’impercettibile cambio di espressione di Alice: appariva più spenta ora, triste a tratti, e Alessio intuì piuttosto facilmente che doveva essere per quel che aveva appena detto. Ipotizzare di avere una storia con qualcun altro dava per scontato che la storia con lei dovesse finire in un qualche modo.
E d’altro canto, per quanto ad Alice potesse non piacere la cosa, era una delle tante opzioni che potevano accadere nel futuro. Sarebbe stato solo inutile e illusorio indorarle la pillola. La vita era troppo imprevedibile e precaria per sapere cosa sarebbe successo anche solo il giorno dopo.
-Dici?- gli chiese infine, con un filo di voce. Alice cominciava a guardarlo quasi con timore, come se temesse di vederlo allontanarsi da lei da un momento all’altro, improvvisamente. Forse solo per un attimo, a quello sguardo, Alessio si sentì quasi in colpa, ma non demorse.
-Se mi innamoro di qualcuno il fatto che quel qualcuno sia una donna o un uomo o qualcuno che non si rispecchia in nessuna delle due categorie non ha alcuna importanza per me- ripeté, guardando fisso davanti a sé – Se dovesse succedere con un uomo mi innamorerei e basta. Il problema sarebbe più di chi ci sta intorno, immagino-.
“E anche mio di ritorno”.
Alice tacque, dopo aver fatto un impercettibile cenno con il capo. Alessio le lanciò un’occhiata inquisitoria: avrebbe tanto voluto sapere che le stava passando per la testa in quel momento. Si era forse sentita delusa dalle sue risposte? Si sentiva in pericolo, al pensiero che lui potesse innamorarsi di qualcun altro?
Ancora una volta si rese conto di aver agito nel modo migliore, non esternandole i suoi pensieri su Pietro: probabilmente sarebbe stato già troppo anche solo doverle fare accettare i suoi dubbi su di lui.
-Perché tutte queste domande?- la sua domanda spezzò il silenzio dopo diversi minuti. Avevano già percorso gran parte di Canal Street, e Alessio si perse nel guardare le luci dei locali riflettersi nelle acque del Rochdale mentre aspettava una risposta da Alice.
-Just curiosity-.
-Piuttosto singolare, come curiosità-.
Alessio si morse il labbro, pentendosi subito per essersi lasciato sfuggire quel commento seccato. Non aveva voglia di rovinare quella giornata, né tantomeno di litigare con Alice per una sciocchezza simile. Ormai, però, aveva parlato, e non poteva fare finta di ignorare lo sguardo gelido che Alice gli aveva appena rivolto:
-A volte sei così indecifrabile e distante che sì, a volte mi sorgono certe curiosità singolari-.
Non aggiunse altro, e Alessio rimase a sua volta in silenzio, consapevole che Alice non fosse del tutto in torto. La discussione sembrava finita lì, e Alessio era sicuro che non sarebbe mai più ripresa, non su quell’argomento, non in quella maniera.
Era meglio così: sapeva che certe risposte non sarebbe mai riuscito a trovarle lui stesso. Aveva davvero ragione Alice: alle volte anche lui non poteva fare a meno di considerarsi davvero indecifrabile.
 
*
 
L’odore della pioggia sembrava sovrastare qualsiasi altro effluvio che si poteva trovare per le strade di Manchester: non vi era il solito odore di smog, di gas di scarico delle auto che scorrazzavano. Non si riusciva a percepire nemmeno l’odore di vecchio che si respirava nelle vie più antiche della città.
C’era solo l’odore umido e pungente della pioggia che continuava a scendere, come da una settimana a quella parte, bagnando l’asfalto e rendendolo lucido.
Alessio aveva mal sopportato quella pioggia per tutti quei giorni; aveva sperato anche solo in poche ore di sole, senza che il cielo fosse per forza oscurato dalle nuvole plumbee che l’avevano accompagnato lungo quel viaggio. In quel momento, invece, sentiva per la prima volta di non provare il desiderio di essere altrove. Sarebbe rimasto lì, ancora qualche ora, in quell’ambiente grigio e cupo che non poteva fare a meno di associare all’Inghilterra. L’Inghilterra che aveva conosciuto e vissuto in quell’ultima settimana.
Avrebbe voluto ritornare un’ultima volta a Londra, passeggiare lungo le sue vie ordinate ed eleganti, tenendo un ombrello in mano per ripararsi dalle gocce di pioggia che avrebbero continuato a cadere.
Ora che mancava poco alla partenza, ora che il tragitto verso l’aeroporto di Manchester stava finendo, sentiva lo stomaco stringersi sempre più in una morsa di muta sofferenza. Era possibile affezionarsi così in fretta ad un luogo angusto e primordiale come poteva esserlo per certi lati l’Inghilterra?
Appoggiò la fronte contro il finestrino del treno, chiudendo gli occhi: si immaginò di essere ancora a Londra, in quella stessa giornata piovosa. Si rivide passeggiare lungo il Westminster Bridge, l’Houses of Parliament e il Big Ben sotto i suoi occhi.
Gli sembrava davvero di essere di nuovo lì, e sforzandosi avrebbe anche potuto ricordarsi del rumore d’auto in sottofondo, del ticchettio leggero della pioggia, e della profonda malinconia che lo stava pervadendo. Non provava più il senso di ingiustizia e rabbia che aveva provato qualche giorno prima: sentiva solo l’odore della pioggia che cadeva sull’asfalto.
Sorrise appena, mentre apriva piano gli occhi, ancora quell’ultima grigia immagine stampata negli occhi.
 
 


 

[1] Giaime - "London rain"
[2] Ringo Starr - "Liverpool 8"
[3] Take That - "Mancunian Way"
Il copyright dei brani appartiene esclusivamente ai rispettivi cantanti/ band e autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
"This is England"! Ebbene sì, C'era stato un piccolo indizio alcuni capitoli fa che anticipava questo viaggio, e per questa volta gli eventi narrati hanno preso luogo fuori dall’Italia!
La prima tappa è stata Londra, città dove attualmente vivono i genitori di Alice, il cui primo incontro tra loro ed Alessio non sembra essere andato troppo bene…
Con Liverpool, invece,  è proprio Alice, in un certo senso, ad essere la protagonista: abbiamo scoperto qualcosa di più sul suo passato, in particolare sulla sua infanzia, decisamente molto diversa dalla vita che sta facendo ora. Ve lo sareste aspettati?
E poi infine Manchester, dove i nostri due protagonisti si sono fermati per un evento calcistico (da tifosa non poteva mancare qualche riferimento al calcio inglese - G.), e dove hanno avuto interessanti conversazioni. Tra le strade di Manchester, e in particolar modo percorrendo Canal Street, che si dimostra la location adatta, Alessio e Alice parlano apertamente della pansessualità del primo. Alessio si apre senza particolari freni o timori con Alice, la quale coglie la palla al balzo per riportare a galla certi ricordi, come il bacio scambiato, anche se per gioco, tra Alessio e Pietro un po' di tempo prima. Chissà a che porterà questo riportare a galla certi ricordi …
Piccola curiosità: questo capitolo sarà l'ultimo capitolo ambientato al di fuori dell'Italia prima del 18° capitolo della terza parte (che conta ben 40 pagine LOL). Fino a quel momento resteremo ancora in Italia!
Nel frattempo vi diamo appuntamento a mercoledì 8 dicembre per un nuovo capitolo, di nuovo tra le calli veneziane!
 
Kiara & Greyjoy




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