Parole tra i ghiacci

di Najara
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Caminetto
 
Vi era un rumore. Qualcosa che una parte di lei riconosceva e che al contempo non riusciva a comprendere. La testa le pesava terribilmente, ma era al caldo: era in un nero limbo, caldo, morbido e accogliente.
Morte. La sua mente sobbalzò estraendola con forza dal suo buio sogno e assieme alla mente anche il corpo reagì. Spalancò gli occhi, per un secondo il poterlo fare, il semplice sentire il suo corpo reagire, la portò alle lacrime e provò sincera gioia nel sentirle mentre calde rigavano il suo volto: era viva.
Poi, finalmente, i suoi occhi diedero un senso al rumore, era coricata su un pavimento in legno, davanti a lei, in un caminetto, un allegro fuoco scoppiettava, non appena lo vide il rumore ebbe senso e lei percepì anche l’odore della resina nell’aria. Mentre pian piano le consapevolezze la raggiungevano notò di essere nuda e strinse le coperte contro il corpo, mentre i suoi occhi ruotavano alla ricerca di qualcosa di familiare. Perché non si trovava nell’infermeria della base? O in un lettino d’ospedale? Dov’erano tutti?
Il caminetto ignorava i suoi turbamenti e lei, dopo essersi guardata attorno inutilmente, tornò a posare lo sguardo sulle fiamme. Pochi istanti e i suoi occhi si fecero pesanti. Aveva sonno, ma era al sicuro? Il fuoco caldo e gioioso sembrò risponderle. Si rilassò tra le coperte e chiuse gli occhi, addormentandosi.
Una figura si avvicinò, lanciò un rapido sguardo alla sagoma addormentata e annuì, aggiungendo poi un pezzo di legno all’allegro caminetto.




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