NdA
Ciao!
A quanto pare amo troppo farmi ispirare dalla musica mentre scrivo
ff, e oggi la mia musa è stata Rain, la canzone di Mika. I
mean, è
bellissima, sia in versione originale che acustica *.*.
Ascoltatevela, dovete.
Scherzi
a parte, faccio una piccola avvertenza: questa OS parla di un tema
delicato, ovvero il suicidio. Se non ve la sentite, meglio se non
leggete.
Per
chi invece è intenzionato a proseguire: buona lettura!
<3
Rain
Morty è stato fin da subito
condannato ad una
vita mediocre. Non ha mai imparato alcuna abilità che
servisse anche
al di fuori delle avventure. Nient’altro che lo rendesse un
membro
utile nella società, o abbastanza interessante da fare
venire voglia
a qualcuno di fare conversazione con lui.
Morty ha sempre più paura
che non potrebbe
lasciare altro al mondo che non sia polvere, di essere soltanto solo
un’altra anonima ombra il cui passaggio sulla terra non
avrebbe
significato nulla per nessuno. In lui il desiderio di non essere solo
uno dei tanti fili d’erba che niente fanno, e nulla hanno. Di
non
essere un individuo lì in quel mondo, in quella vita che non
ha
chiesto per l’egoismo di due persone che dovevano dimostrare
agli
altri, ma soprattutto a sé stessi, di amarsi ancora. Non
importa
quanto la loro prova vivente ne risenta.
Un’esistenza validata solo se
le sue parole
possono diventare capro espiatorio di tutti. I bulli a scuola, che
quel giorno hanno avuto la fantastica idea di gettargli addosso la
minestra in mensa, facendogli bruciare il petto; la sua famiglia, che
con indifferenza gli ha risposto “son cose che succedono" con
l’aggiunta di un “È colpa tua se ti fai
trattare così”.
Summer che gli ha voltato le spalle, Rick che è
semplicemente sé
stesso, per cui parlare di lui ci vorrebbe
un’infinità di tempo e
spazio.
Rick che, pur di tenerselo stretto,
l’ha
frammentato in così tanti pezzi che non li riesce
più a contare.
Rick che ogni tanto gli dà
l’illusione di
libertà, di poter fare qualcosa che non lo riguardi, e poi
meschinamente gliela porta via, facendolo ritornare al proprio posto:
baciare la terra dove il dio cammina.
Rick che è luce e ombra,
male e cura,
sbigottimento e gioia, tortura e amore torbido.
Rick che lo ha rinchiuso nella
mediocrità, senza
batter ciglio ai lamenti del giovane; nessun appartenete dolore
passava nel suo sguardo, incuria pulsava nel suo vecchio cuore
malandato.
Morty deve essere arrabbiato con lui,
odiare quel
vecchio sacco di ossa che puzza di sofferenza rinnegata, emozioni
addormentate; eppure non ci riesce, perché la rassegnazione
l’ha
fatta da padrone. Al contempo corroborante e sconcertante.
Tanto Morty è stupido,
mediocre, inutile. Lo è
sempre stato, lo diventa ogni giorno con parole sempre uguali.
Vuoto, perso, spreco di spazio e
ossigeno.
Cretino, troppo grasso, troppo magro, brutto, incapace di
socializzare e avere amici; non amato, o amato talmente male da
sentirsi spossato, distrutto. Soffocato dalle grandi mani della vita
che premevano con forza e rabbia sulla sua trachea, con il solo scopo
di sopprimerlo.
Morty è stanco di ogni parte
della vita,
soprattutto di sé stesso. Vuole dormire. Appisolarsi e non
svegliarsi mai più.
È
talmente tanto privo di qualunque linfa vitale che non vuole
più
sforzarsi a guardare a colori il suo mondo altresì grigio.
Nel voler
cercare l’umanità nelle persone, come la commessa
che continua a
masticare la sua gomma mentre passa sotto lo scanner le lamette da
barba. Il moro si limita a sospirare sommessamente, mentre guarda
fuori il cielo oscurato dalle nubi grigie, il clima che sicuramente
è
diventato umido e piovoso.
Gli ci mancava solo quello.
Piove dal cielo, piove dai suoi occhi.
Tutto si
allaga, le grondaie non pulite e ingombrante dalla spazzatura si
fanno pesanti. La mente crolla a terra, il cuore è
straripante,
Morty non ce la più. Deve farla finita.
Cammina verso casa, mentre dentro di
sé
assomiglia alle foglie che non riescono a stare a galla nell'acqua
piovana.
Appena rientrato, ad accoglierlo sono
le grida dei
suoi genitori. Litigano, litigano e litigano tirando fuori discorsi
vecchi e sepolti, avvenimenti che non hanno senso di star
lì.
Litigano solo per il gusto di farlo, perché non hanno mai
imparato a
fare altro.
Summer non si fa vedere,
così nemmeno Rick. Sono
partiti in una di quelle che Morty nella sua mente chiama
“Avventure
della vendetta", perché a Rick non va mai giù che
il ragazzo
voglia passare del tempo per sé e non partire per qualche
bizzarro
viaggio nello spazio, per questo suo nonno decide di portare con
sé
non lui ma sua sorella.
Morty pensa che se il suo piano
andrà bene,
almeno Rick non avrà più a che fare con dei
“no" difficili
da digerire.
Completamente fradicio, si dirige su di
sopra per
prepararsi un bagno caldo. Apre il rubinetto della vasca e inizia con
lo spogliarsi.
A Morty non sono mai piaciuti i
fantasmi e ne
riceve conferma ogni volta che si guarda allo specchio. Il suo corpo
è scarno, la carne mal nutrita e giallastra, lo sguardo
spento e i
suoi occhi sono appesantiti dalle scure occhiaie che ormai ha da
qualche mese. È un morto che cammina, errante senza scopo,
senza una
vera e propria via.
Tempo di odiare il proprio riflesso
allo specchio
e il bagno è pronto. Ora è il suo turno di
immergersi. L’acqua è
fastidiosamente piacevole e calda.
Gioca con la lametta, la fa volare
nell’aria
come da bambino faceva con gli aereoplanini, tergiversa
perché la
parte più ingenua di lui spera ancora in una manna dal
cielo, un
angelo custode che arrivi e lo salvi dalla sua pessima decisione. Non
succede nulla di tutto ciò.
Quel giorno si è
preannunciato e confermato come
l’ennesima replica di una settimana che non sarà
altro che il
susseguirsi di avvenimenti poco piacevoli, che come uno scalpello
avrebbe inciso nelle carni e nella psiche di Morty, lasciando un
segno, modificando irrimediabilmente una parte di lui.
Perchè
continuare a vivere, se alla fine tutto è uguale?
Perchè illudersi
in un cambiamento che non arriverà mai?
Dà un’occhiata al
polso della mano sinistra,
vede una vena apparire verdognola per via del suo incarnato
giallastro, per poi chiedersi se quella è
l’arteria. Se fosse più
bravo in biologia, se avesse le stesse conoscenze che ha Rick,
sicuramente lo saprebbe. Morty immagina di sì, e con la
lametta
inizia a tracciare il taglio, senza farlo realmente. Deve essere
netto, pensa. Tutto deve essere breve e indolore.
Sta ancora tergiversando nella speranza
di qualche
salvatore che arrivi proprio in quel momento, spera che la fredda
lametta sulla pelle venga strappata via da qualcuno che gli ricordi
che lo ama, che la sua vita vale. Non succede nulla di tutto
ciò,
ovviamente, e Morty ammattisce.
Stupido, stupido, stupido!
Si urla addosso e fa il primo taglio.
Poi il
secondo, il terzo, il quarto. Dà dolore, secco e crudo,
Morty
trattiene un piagnucolio; dà soddisfazione che non ha nulla
di sano
in corpo.
Fa lo stesso con l’altro
polso, il dolore
raddoppia, ma se questo è il prezzo da pagare per essere
veramente
libero, così sia. Chiude gli occhi e si lascia in ammollo
nell’acqua
sporca del suo stesso sangue che ora gli bagna la pelle.
A mai più, è
l’unico messaggio che vuole lasciare alla sua famiglia.
Asciutto.
La prima cosa che sente è
l’asciutto, poi
arriva il morbido e infine il calore.
È sdraiato su qualcosa di
morbido e non è più
nudo. Sente la stoffa della maglietta sul suo petto, i pantaloni
della tuta che riscaldano la carne delle gambe, perfino i soffici
calzini ai piedi. Ormai fa buio e Morty ha una sensazione
ingombrante, come se qualcosa di caldo stesse sopra di lui e un altro
peso gli stesse accanto. La prima, si accorge, è una
coperta, ma
qualcosa gli sta affianco e non capisce. Si guarda intorno alla
ricerca di indizi, ma è buio e vede poco e niente.
Se questo è
l’inferno, allora assomiglia
parecchio alla sua cameretta di notte.
Sente i polmoni esplodere alla ricerca
d’aria,
il cuore martellare impazzito per pompare il sangue, alla ricerca di
vita. Il suo corpo grida la sua brama di vivere. La sua mente
è
delusa, affranta, incredula e si tormenta; si domanda
cos’è
successo, cosa ha fermato l’emorragia, chi gli ha bendato i
polsi,
perché ha deciso di salvarlo e di dare importanza alla sua
vita. Chi
l’ha rivestito, restituendogli dignità e cure?
Forse non è solo nella sua
mente, infatti dalla
gola gli esce un rantolo grezzo, secco e sommessamente gracchiante.
Il peso caldo affianco a lui si sposta
leggermente
e Morty spalanca le palpebre, apprendendo con sgomento che in
realtà
c’era un qualcuno lì. Trema,
iniziando a percepire il
corpo estraneo vicino al proprio, il sospiro profondo che fa chi
è
accanto a lui.
“Brutta merdina", lo dice tra
i denti, che
Morty percepisce così vicini che ha paura di venire morso.
La voce è
rozza, gutturale. Non ha bisogno di presentazioni, e il
riconoscimento non tranquillizza Morty, per nulla.
Trema ancora, così Rick lo
stringe accanto a sé.
Il viso dell’uomo è vicino e Morty percepisce
dell’umido. Non è
la solita disgustosa bava, non ha una consistenza viscosa. No,
è
bagnato e caldo.
Lacrime.
Rick ha pianto — o magari lo
fa ancora, in
silenzio — abbandonatosi alla sua umanità; Morty
è confuso e
schiude le labbra, ma è lo scienziato a parlare ancora.
“Bastardo egoista, stronzo
del cazzo, coglione
che non sei altro".
Sono i classici insulti di Rick, quelli
che fanno
male e lacerano come sempre.
Eppure mentirebbe se dicesse che non
prova un
certo piacere. Morty in qualche modo sa che ha toccato un tasto
dolente con Rick; dà la stessa soddisfazione
dell’infilare la lama
nella carne. Morty è finalmente riuscito a tagliare qualcosa
dentro
Rick e gode alla vista del sangue, del prodotto ultimo delle sue
gesta.
Perché è successo
tutto questo è una domanda
che si vogliono rivolgere entrambi, ma solo Morty ha il coraggio di
dire il motivo.
"È colpa tua, Rick", dice,
il cuore
sulle labbra.
È un’accusa
diretta, senza tentativi di
tergiversare o balbettii a farlo inciampare tra le parole.
Non è vero, o almeno
è falso in parte. Sarebbe
bello che ad ogni problema susseguisse una linea dritta, con
già
scritta una risposta, una ragione. Se solo esistesse una tabella con
su scritte cause, risoluzioni.
L’intelligenza emotiva di Morty
però gli fa vedere che la linea non è dritta, per
nulla; è un
enorme scarabocchio che si intreccia sempre più su se
stesso, con
mille sbocchi: non c’è solo una ragione, non
c’è solo Rick. Suo
nonno, Morty lo sa, è solo il capro espiatorio.
Non è stato
lui a creare il vuoto dentro Morty, ha solo aiutato a scavare.
Il silenzio incombe e per un attimo
Morty si
pente, poi si ricorda quando un Rick ubriaco e in piena voglia di
distribuire massime di vita gli ha asserito: “M-meglio
s-se ti
penti di ciò che hai fatto, che-che di quello che non hai
fatto.
Anzi, non-non pentirti e basta”.
Morty non si pente più, o
almeno prova a non
farlo. Tanto è inutile, come piangere sul latte versato, le
parole
sono state lanciate all’aria, ora devono solo essere raccolte.
Rick lo artiglia per un braccio, preme
sulla
carne, protegge e possiede, feroce e struggente. Strofina il naso
sulla guancia di Morty, le sue lacrime si fondono con quelle del
moro.
Per un’intelligenza emotiva
sarebbe stupido
addossarsi tutte le colpe, perché non è possibile
che al dolore ci
sia solo una causa, ma Rick da quel punto di vista potrebbe essere
considerato ingenuo ed egocentrico, perciò risponde: "Lo so".
Non è una scusa, ma almeno
un’ammissione di
colpa, un accollarsi anche di qualcosa che non gli appartiene. Con
Rick è davvero un gran passo avanti, è raro come
qualche gemma
preziosa. Morty potrebbe farsi accecare dalla bellezza di quella
pietra, rimirarla e sciogliersi nelle belle e precarie sensazioni che
prova, eppure non sarebbe altro che il semplice raccogliere le
briciole. Se il quattordicenne deve restare a forza nel mondo dei
vivi, non lo farebbe sicuramente per dei premi con le stesse
dimensioni di una pulce.
"Non farlo mai più. Cazzo,
Morty, se ci-ci
riprovi… non hai pensato al nonno, eh? No, brutta merdina,
tu - tu
non pensi mai, e-e tocca sempre a me tirarti fuori dai guai. Non
rifarlo mai più, cazzo, mi senti?".
Morty non risponde, non promette nulla.
Se ha
imparato qualcosina con Rick, è che a volte è
meglio segregate
certe cose nel proprio cuore e non dirle. Il vecchio Morty
probabilmente avrebbe pigolato un “Ti voglio bene", avrebbe
guardato Rick con i suoi dolcissimi ed enormi occhi marroni, scuri
come la notte, e avrebbe ricevuto in premio un bacio sulle labbra.
Non si sente più simile al vecchio sé, ma una
parte di lui vorrebbe
abbracciare Rick, ritrovare la vita nel calore del suo corpo,
perdersi e fondersi. Ma non può più permettersi
di farlo. Non vuole
concedere a suo nonno il lusso di controllare non solo la sua vita,
ma perfino la sua morte.
Rick non deve prendere più
nulla da lui.
"Non pensavo saresti stato capace di
farlo",
è un sussurro; la voce è velata, quasi cheta.
Morty non l’ha mai
sentito parlare così sottile, come se le parole faticassero
ad
uscire. Forse è anche in preda alle allucinazioni uditive,
pensa,
perché ha sentito un "Mi dispiace" così basso che
sembrava impercettibile. Un’altra paracusia ancora,
probabilmente:
“così tanto, così -”.
Le parole muoiono in gola e Morty non
lo sprona a
continuare. Non servono parole, per curare il macello nei loro cuori.
Nessuna sgridata, nessuna ammissione di colpa, nessuna supplica di
perdono a metà cambierà il passato,
riuscirà ad impedire a Morty
di provare a togliersi la vita nella vasca da bagno dei suoi.
Un vaso di vetro rotto non
può essere rimesso a
posto con del semplice scotch. La voragine che è in Morty
non può
venire riparata così rapidamente.
Il silenzio diventa in quel momento la
miglior
medicina, il tempo il loro aiutante smemorato, per iniziare a
ignorare. Morty sente il rumore del proprio battito e del respiro di
Rick. Sembrano sincronizzarsi.
È quasi bello.
Morty si accoccola ancora di
più a Rick,
finalmente arriva il bacio sulla guancia.
È dolce, triste.
È l’indugiare
sulla pelle del viso di Morty che
fa fare clic nel ragazzo. Anche lui inizia a
piangere, non è
timido nel farlo o silenzioso. Singhiozza fragorosamente e non gliene
importa nulla. Voleva morire ma è ancora vivo, respira, il
cuore
continua a battere. Rick l’ha salvato dal suo potere
decisionale,
l’ha costretto a vivere, a stare di nuovo accanto a lui,
volente o
meno. Rick è uno stronzo. Lo stesso prezzo di merda che ora
si sente
morire dentro ogni volta che abbassa lo sguardo verso gli esili polsi
fasciati di Morty, che appena ha visto il corpo pallido del moro
nella vasca da bagno l’ha subito preso in braccio, e
finalmente il
sangue che gli ha sporcato i vestiti l’ha fatto rabbrividire,
venire i conati di vomito per la colpa. Rick che
ha urlato
la una rabbia, svuotando tutta l’aria nei polmoni, che ha
pianto,
nascondendosi nel buio di una stanza e concedendo a una sola persona
il privilegio di vedere la sua umanità.
Rick, quello stronzo che gli sta
accanto, stanco
tanto quanto lui, se non di più.
Tra loro vittima e carnefice diventano
ruoli
interscambiabili che convivono in un’unica dolorosa
realtà. Niente
è giusto, o sbagliato; non c’è bianco o
nero, solo un miliardo di
colori che se mischiati formano il grigio; esistono solo il dolore e
l’illusione.
La realizzazione gli fa venire voglia
di
sprofondare sottoterra e al col tempo è straordinariamente
l’unica
cosa che lo calma. I suoi singhiozzi rallentano,
c’è una nuova
musicalità nel suo pianto. Piano. Pianissimo. Un respiro,
seguito da
altrettanti altri, fa alzare e abbassare il petto di Morty, che non
sente più il battito aggressivo del suo cuore schernirlo
perché
ancora in vita.
Non può farci più
nulla. Il mondo è teatro di
soprusi e sopraffazione, ma Morty è solo un insignificante
filo
d’erba, che il vento ogni tanto si diverte a spostare di qua
e di
là. Riassicurante.
Pace, beatitudine.
Finalmente le percepisce, e non ha
nemmeno dovuto
morire davvero per farlo.
Rick inizia a scompigliargli i ricci
simili a
morbide nuvole, le dita delle sue mani che sfiorano quelle del moro,
bacia e annusa la sua giovane pelle. Lo culla e in sottofondo ci sono
solo i loro respiri e la pioggia, che non li abbandona ancora.
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