Per Maqry,
sciogli il
fiocco di questa Kanej natalizia.
(Ma se il
nodo è troppo complicato, ci pensa Kaz.)
Bocca di vita
«Seguimi, Spettro.»
I passi di Inej scomparivano nel rumore di quelli trascinati al ritmo
del bastone sul pavimento. Kaz non aveva bisogno di voltare il capo per
sincerarsi che lei stesse camminando appena dietro, verso la porta all’ultimo piano
della Stecca.
Solo quando furono entrati nella stanza che lei – e nessun altro –
conosceva ormai quasi quanto lui, si voltò a guardarla: non aveva intenzione di
perdersi nessun frammento delle sue reazioni, aveva appreso da tempo che ogni
informazione spiata e dedotta e immagazzinata poteva tornare utile. Pure quelle
relative all’unica donna, l’unica minaccia in tutto il Barile che non sarebbe
mai stata per lui.
«Che cosa hai fatto, Kaz?»
C’era del vischio, appena oltre la soglia, e Inej si era fermata
proprio sotto.
Kaz la guardò negli occhi, scuri come i mille peccati della sua vita.
La mano strinse appena di più la testa di corvo sul bastone.
«Pare porti bene, ma io la fortuna non la aspetto, la pianifico e la
guadagno, la dispenso e l’amministro. L’unica fortuna che abbia mai avuto è
stato incrociare per la prima volta i passi più silenziosi di tutta Ketterdam,
ma investire su di te dopo è stata una mia scelta. Volere te non
è stato un caso al tavolo da gioco di un mazziere incapace. Io e te combattiamo
ogni giorno per la nostra fortuna, ma per stasera lascia che a combattere sia
soltanto io.» E concluse sfilandosi i guanti e tenendoli in una sola mano.
Lei non aveva mai avuto un tradizionale bacio sotto il vischio e lui
avrebbe fatto tutto quanto in suo potere per donarle quel momento, l’ennesimo
rubato insieme con una bambina da un accampamento Suli.
«Kaz, se non ti…»
Avrebbe voluto essere in grado di zittirla immediatamente con un palmo
sulla bocca, o con le sue labbra; baciarla e dare concretezza alle fantasie che
emergevano quando il presente si faceva più vivido e pressante degli incubi del
passato. Dovette accontentarsi di un cenno della mano nuda per farle intendere
senza parole che non c’era bisogno di protestare, per quel suo sconfinato altruismo.
Voleva fare questo per lei, avrebbe fatto questo per lei. Anche lottando
a mani nude contro il disgusto, la nausea, l’orrore – che non le appartenevano.
Ritenne che fosse più semplice iniziare dai capelli, tenersi ancora per
un po’ distante dalla sua pelle. Sostenendosi al bastone come un appiglio –
come se Inej, regina dell’equilibro, fosse la sua caduta libera – allungò un
braccio e li sciolse, piano, lasciandoli liberi di toccarle la nuca, le spalle,
il petto. I polpastrelli si fermarono a lato del collo: sotto di essi, un
pulsare ritmico, il segno inequivocabile di tanta vita che le scorreva in
corpo. Il cuore dei morti non batte.
La ragazza si fece perfettamente immobile, come sapeva essere sotto il
suo tocco, aspettando la sua prossima mossa.
Senza spostare le dita, Kaz si permise un passo in avanti: li separava
uno spazio sottile come il rametto verde sopra le loro teste così vicine. Il
respiro di Inej era a una prossimità struggente, appena più affrettato e
udibile del solito. Kaz agognava poterne sentire il tepore sulla bocca in ogni
momento in cui lo desiderava.
Avrebbe potuto stare a guardarla per ore, ma la minaccia più grande in
quel momento non era nei suoi occhi, così abbassò lo sguardo. Le labbra di Inej
erano rosse, sembravano calde, erano piene, sembravano morbide. Le labbra dei
morti non hanno colore.
La ragazza le schiuse, in un inconsapevole moto di anticipazione, e Kaz
pensò ch’era l’immagine più bella che un disgraziato come lui potesse mai
meritare. Aveva commesso con i suoi guanti gli orrori più grandi, sangue
versato rappreso dimenticato, ma sotto la sua mano il sangue di Inej al galoppo
era la dimostrazione che lei era lì con lui, che non erano sotto una massa
d’acqua gelida, che potevano respirare l’uno l’aria dell’altro.
Spostò le dita, e scivolarono sulla pelle liscia verso la destinazione
del suo sguardo. Con cautela le mosse verso l’alto, seguì la mandibola, arrivò
al mento. Ancora un centimetro e le avrebbe toccato il labbro inferiore.
Stava tremando.
Inej poteva vederlo, oltre che sentirlo nella pressione scattante delle
dita rigide sulla pelle. Kaz si impose di respirare a fondo e con continuità,
per non perdere la presa sul proprio corpo. Pur chiuso negli abiti che erano la
sua firma e la sua corazza, davanti a lei era nudo con le proprie fragilità, ma
aveva fiducia nel fatto che Inej le avrebbe accolte, consolate e mai sfruttate.
Lo sapeva con una consapevolezza incrollabile, l’unica fede che uno come lui
poteva permettersi, indegno dei santi a cui lei destinava la propria.
Combatté contro l’impulso di serrare gli occhi, perché dietro le
palpebre chiuse non poteva sperare di scampare ai soliti incubi, le immagini
del terrore l’avrebbero aggredito e picchiato e sbattuto più lontano di quanto
voleva essere. L’unico posto in cui desiderava lasciarsi andare non era in
fondo al mare di Ketterdam, era Inej.
Con un sovrumano sforzo di volontà le sfiorò il labbro. Era bellissimo.
Il respiro successivo gli uscì in un rantolo e ritirò di scatto la
mano.
In un moto di delusione lanciò a terra il contenuto dell’altra: il
bastone, un guanto, un altro, pezzi di lui, gettati come lei l’avrebbe buttato
via quando si sarebbe stancata di avere a che fare con il guscio di un uomo con
nulla di bello dentro da darle.
«Kaz» lo chiamò la voce in grado di strapparlo agli incubi, dolce,
tranquilla. Non la meritava, aveva saputo soltanto mostrarle l’ennesimo fallimento.
Come poteva, il bastardo del Barile, avere tanto successo e così poco? «Kaz»
ripeté, e il suo cuore – ibernato, ma ancora in grado di battere – lo costrinse
a ubbidire al richiamo e a tornare a guardarla.
«Grazie» gli disse allora. Gli sorrise con tutta la riconoscenza di cui
non era degno. Quanto più cadeva in basso, più lei lo tirava in equilibrio su
un filo teso; quanto più commetteva errori, più lei lo perdonava; quanto più si
odiava, più lei, incredibilmente, sembrava amarlo.
«Non ti muovere» gli ordinò Inej. Assecondarla, almeno in questo, era
facile: tutto ciò che era in grado di darle era vuota immobilità.
Lei si portò le dita alla bocca – quella bocca, la porta dei suoi
desideri e della sua dannazione – con un movimento pacato e ragionato. Le baciò
e il suono delle labbra sulla pelle lo investì con la forza delle onde più
crudeli. Le mosse verso di lui e d’improvviso comprese la ragione del suo
monito. Le posò sulla sua bocca in una pressione lievissima per un istante
brevissimo, sufficiente a fargli percepire che potevano scottare per lui. La
carne dei morti è gelida.
Inej non aveva smesso di guardarlo per tutto il tempo e se non fosse
stato solo un uomo impegnato a non perdere il controllo – se fosse stato un
uomo migliore, un uomo vero – forse sarebbe arrossito, perché anche lui avrebbe voluto
permettersi di bruciare per lei.
«Buon Natale, Kaz» sussurrò quella bocca.
Non l’avrebbe baciata quel giorno, ma non avrebbe smesso di provarci,
perché lei lo voleva ancora e lui era abituato a prendersi ciò che voleva con
tutte le armi necessarie.
Alzò gli occhi: il vischio aveva assistito al suo primo, fittizio
incontro con la bocca di Inej, ma si ripromise che nessun altro espediente
sarebbe stato necessario quando l’avrebbe avuta davvero.
«Buon Natale, Inej.»
Note:
Questa storia partecipa al Calendario
dell'avvento indetto da Coraline sul forum Ferisce più la penna con uno
dei prompt del giorno 6: “bocca”.
È anche la mia prima volta nel fandom di Sei
di corvi e non potevo non scrivere della mia OTP, con il pov del mio
personaggio preferito. Spero di aver reso giustizia alla sua complessità, in
una scena che include del contatto fisico.
Ho scritto di un’ambientazione natalizia e della
tradizione del bacio sotto il vischio, che non esistono nel Grishaverse, perciò
la storia si può considerare una Modern!AU. Nelle mie intenzioni, comunque, è
ambientata dopo la fine della duologia, cioè presuppone quei passi in avanti
che Kaz e Inej hanno fatto.
Grazie per aver letto e buone feste!
Legar