Ombre nelle Tenebre

di Puffardella
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CAPITOLO 4
Il parroco di Mestrieri

Il mattino seguente, Davide si svegliò con un feroce mal di testa, la gola riarsa e una sete indescrivibile, come gli era già capitato altre volte negli ultimi giorni. Si mise a sedere sul letto, bevve un lungo sorso d’acqua e si massaggiò le tempie. Non si poteva certo dire che la prima notte nella nuova casa fosse stata tranquilla. Prima l’incubo con la madre e quel raccapricciante quadro, poi l’episodio del bambino che vagava da solo nel parco, in piena notte e con la nebbia.
O aveva sognato anche quello?
Si ricordò della foto e afferrò il cellulare sul comodino.
«Merda...» alitò nel constatare che la foto l’aveva scattata per davvero, a dimostrazione che forse no, non lo aveva sognato: il bambino esisteva. E se esisteva, lui aveva rinunciato a cercarlo.
Con quel pensiero in testa si precipitò al piano di sotto, aprì la porta d’ingresso e si affacciò sulla via. La nebbia aveva iniziato a diradarsi e un pallido raggio di sole scendeva obliquo sul pozzo, illuminandolo di una luce algida. Le strade continuavano ad essere assurdamente vuote e silenziose, la chiesa aveva le luci spente e il portone serrato.
Sembrava tutto nella normalità, per quanto la definizione di “normalità” sembrasse del tutto fuori luogo messa in relazione con un posto anormale come quello.
Davide si chiese per l’ennesima volta cosa dovesse fare, se fosse il caso o meno di contattare le forze dell’ordine. Alla fine decise, anche stavolta, che non lo avrebbe fatto. A giudicare dalla quiete del posto nessuno sembrava preoccuparsi di un bambino scomparso, di sicuro nessuno sembrava cercarlo, e questo poteva significare una sola cosa: il bambino, ammesso che esistesse, era al sicuro con le persone che lo amavano. Sì, cercò di convincersi Davide, era sicuramente così. Il bambino stava bene e lui aveva mille altre cose di cui occuparsi quel giorno che continuare a rimuginare su quella faccenda.
Non ancora del tutto convinto, prese un profondo respiro e si richiuse la porta alle spalle.

 
«Mi faccia capire bene: se le avessi chiesto di svuotarmi una cantina a Milano sarebbe venuto, ma non a Mestrieri... Giusto?» osservò Davide stringendo il cellulare più del necessario e muovendosi con nervosismo tra i giocattoli della curiosa camera per bambini che si trovava nella mansarda, dove aveva deciso di installare il suo laboratorio.
«Le sto dicendo che farebbe meglio a rivolgersi ad un’impresa di traslochi di un’altra provincia, meglio ancora se di un altro comune» le rispose l’uomo al telefono.
«La sua è la quarta impresa che contatto oggi, e da tutte e quattro ho ricevuto la stessa risposta.»
«Cosa vuole che le dica? La nostra è una piccola impresa, ci occupiamo di traslochi e non di smaltimento...»
«Strano perché nel vostro sito, che in questo momento ho proprio dinanzi agli occhi, dite di occuparvi anche di smaltimento oltre che di...» Davide lasciò la frase in sospeso. Guardò il display del cellulare, basito. Il tizio aveva interrotto la comunicazione all’improvviso, mostrandosi maleducato oltre che poco professionale.
«Maledetto idiota!» imprecò indignato.
In quel preciso istante, il suono del campanello fece sentire per la prima volta la sua voce e Davide, colto di sorpresa, trasalì. Non aspettava visite e gli sembrava strano che qualche vicino, della cui esistenza aveva iniziato a dubitare, avesse deciso di andare a fare la sua conoscenza.
Strano ma, dopotutto, non impossibile.
Scese le scale a rotta di collo ed ebbe modo di stupirsi anche di più quando, dietro la porta, trovò un uomo anziano con indosso un abito talare.
«Salve. Sono padre Umberto, il parroco di Mestrieri» si presentò l’uomo, sorridendo amabilmente.
«S... salve...» balbettò Davide. Si prese del tempo per riprendersi dalla stupore e poi si presentò a sua volta, porgendo la mano al suo ospite: «Davide Ferraresi, mi sono trasferito qui ieri...»
«Oh, so chi è lei» disse il parroco, stringendogli la mano con una insospettabile presa vigorosa. «Walter ci aveva messi al corrente circa la sua intenzione di lasciare in eredità la casa ai suoi pronipoti...»
«Capisco...» disse Davide, anche se in realtà di tutta quella faccenda non aveva ancora capito un bel niente. «Posso offrirle qualcosa da bere, padre? Un caffè? Un thè?» aggiunse dopo un po’ per puro senso di dovere, sperando tuttavia in un rifiuto. Era nel pieno di una piccola emergenza, quello non era un buon momento per ricevere ospiti.
«Un caffè lo prenderei molto volentieri, figliolo» rispose invece il religioso. Davide si sforzò di sorridere mentre gli faceva spazio per farlo entrare.
«Se posso permettermi, mi sorprende che il signor Iotti abbia parlato di me e dei miei fratelli. Non lo abbiamo mai incontrato, fino a qualche mese fa non sapevamo nemmeno della sua esistenza...» disse conducendo il parroco nella cucina, dove lo invitò ad accomodarsi su una delle sedie intorno al tavolo.
Prese da una vetrinetta una tazzina di porcellana e, dopo avervi versato del caffè ancora caldo, la porse al suo inaspettato ospite per prendere poi posto di fronte a lui, sulla cassapanca posta sotto il largo finestrone che si affacciava sulla veranda in giardino.
«Walter conosceva bene vostra madre, so che ogni tanto si scrivevano. Qualche volta lei vi citava nelle sue lettere, è così che è venuto a conoscenza della vostra esistenza» rispose il parroco studiandolo di sottecchi come a voler valutare la sua reazione, mentre sorseggiava il suo caffè.
«Come le sembra il paese? Immagino si sentirà spaesato in una piccola comunità come questa...» chiese a sua volta dopo un po’.
«A dire il vero, un po’ sì. Mestrieri sembra un luogo disabitato.»
«E in parte lo è. Questo paese sta morendo. Fino a qualche anno fa era una cittadina tutto sommato fiorente. Dopo l’ultima alluvione, però, molti hanno deciso di trasferirsi altrove, soprattutto i giovani. Sono rimasti solo gli anziani, che rimangono ancorati alla loro terra e alle loro abitudini nonostante le avversità. Gente diffidente con gli sconosciuti ma, posso garantirglielo, molto generosa e solidale tra di loro. Sono sicuro che si mostreranno più amichevoli anche nei suoi confronti una volta che l’avranno conosciuta meglio.»
«Alluvione?» ripeté Davide, sconcertato.
«Sì. Il Po ha il brutto vizio di esondare. Prima della costruzione degli argini capitava spesso che allagasse il paese.»
Davide non ne era a conoscenza e ora si sentiva uno stupido per non aver fatto ricerche più approfondite sulla zona. Forse era per questo che la casa aveva sul mercato un valore inferiore rispetto a quello effettivo, rifletté.
«E... ora?» indagò preoccupato.
«Finora gli argini reggono bene, non ci sono state più alluvioni da quando sono stati costruiti, circa quindici anni fa.»
«Questa è una buona notizia» trasse un sospiro di sollievo Davide. Un problema in meno al quale pensare, dato che quel posto si stava rivelando una miniera di seccature.
Padre Umberto sorrise con condiscendenza, notando forse il suo disappunto. «Vedo che è solo. I suoi fratelli non sono venuti con lei?»
«No, ho rilevato io la casa, ora è di mia esclusiva proprietà.»
«Capisco» disse il parroco bevendo un altro sorso di caffè. «Di che cosa si occupa, se mi è consentito chiedere?»
«Sono un restauratore di libri» rispose Davide, che tornò a farsi ansioso. Quella domanda lo aveva bruscamente riportato alla seccante questione della quale si stava occupando prima dell’arrivo del parroco. Represse a stento il forte impulso di controllare l’ora per non sembrare scortese e non dare l’impressione al suo ospite che fosse indesiderato, anche se in parte era così.
Aveva delle scadenze di lavoro da rispettare e, per tanto, urgenza di ristabilire al più presto il suo laboratorio. A tal proposito bisognava sgombrare la mansarda per fare spazio alle sue attrezzature, il problema era che non riusciva a trovare un’impresa di trasporti disposta a prendersi l’incarico.
«Restauratore di libri? È una notizia fantastica, qui potrebbe tornarci utile. Sa, tra le alluvioni e l’umidità, sono molti i libri che avrebbero bisogno di una sistemata.»
«Già, se solo riuscissi a riavere le mie attrezzature...» brontolò Davide, e stavolta cedette all’impulso di dare una sbirciata all’orologio. Imprecò mentalmente quando si rese conto che era quasi l’ora di pranzo. La mattina era trascorsa e lui non aveva ancora concluso granché.
Il messaggio, seppur lanciato involontariamente, arrivò al parroco, perché finì di bere il suo caffè, posò la tazzina sul piattino e si alzò in piedi.
«Bene, la lascio alle sue faccende, immagino sia molto occupato col trasloco. Ero venuto solo per darle queste» disse frugandosi nel borsello che teneva a tracolla e tirando fuori un mazzo di chiavi, che gli porse.
Davide guardò il mazzo perplesso.
«Sono della casa. Le aveva Lidia, la donna delle pulizie che aiutava Walter nelle faccende domestiche. Prima di morire, Walter le aveva chiesto di continuare a prendersi cura della casa e del giardino fino al vostro arrivo. E, a tal proposito, Lidia mi ha chiesto di farle sapere che è disposta a continuare a lavorare per lei se pensa che una mano possa servirle. Anzi, ne sarebbe onorata.»
«Beh, un aiuto mi farebbe comodo» ammise Davide, che ora si spiegava il perché avesse trovato la casa pulita e in ordine.
«Bene, glielo riferirò, le farà senz’altro piacere...» disse il parroco avviandosi verso l’uscita. Si fermò davanti alla porta, si voltò di nuovo verso di lui e aggiunse: «Quasi dimenticavo: stasera darò una cena in onore di un caro amico, un uomo piuttosto importante da queste parti. Discende da una delle famiglie più nobili e antiche di Mestrieri ed è tornato da poco da uno dei suoi viaggi d’affari. Ci saranno anche il sindaco e la sua famiglia, e pochi altri intimi. Avrei piacere se si unisse a noi.»
«Stasera?» ripeté Davide per guadagnare tempo e riflettere sopra quella strana richiesta. Non che non si sentisse lusingato dell’invito, ma gli pareva comunque come minimo bizzarro. Perché invitare un estraneo ad una cena che aveva tutto il sapore di una rimpatriata? Probabilmente, rifletté in ultimo, quello era solo un altro dei tanti strambi modi di comportarsi di quella stramba gente.
«Sì. Nella canonica della chiesa di S.Eusebio in Piazza Grande, che è l’altra piazza di Mestrieri. Alle otto. Ci sarà?»
«Molto volentieri» assicurò Davide costringendosi nuovamente a sorridere e infilandosi le mani in tasca per mascherare il disagio. Nel farlo, venne a contatto con la fredda plastica della scocca del cellulare e si ricordò all’improvviso della foto che aveva scattato all’interno della chiesa appena una manciata di ore prima. Quasi stava dimenticandosi di parlarne col parroco, eppure chi meglio di lui sarebbe stato in grado di fare luce in merito a ciò che aveva visto, o credeva di aver visto, quella notte?
«Padre, posso farle una domanda?» disse quindi prima che il parroco aprisse la porta.
«Certamente.»
«Prima ha detto che i giovani del paese se ne sono andati quasi tutti. Qualcuno però immagino sia rimasto. Forse qualcuno con bambini piccoli...»
«Non mi risulta. Le coppie più giovani si sono trasferite da tempo. Sono almeno cinque o sei anni che non si vedono più bambini da queste parti, tanto è vero che il sindaco pensava di far smantellare il parco giochi...»
«Però questa notte c’era un bambino nel parco. Un bambino di non più di sei anni» lo interruppe Davide.
Il parroco schiuse le labbra e rimase un lungo istante attonito. «Un bambino di sei anni?» gli fece eco, chiaramente disorientato.
«Sì. Era da solo, sull’altalena. Quando mi ha visto è fuggito in direzione della chiesa e ci si è nascosto dentro.»
«Nascosto in chiesa? Di notte? Figliolo, di notte la chiesa non rimane mai aperta. Sicuro che non stesse sognando?»
Come risposta, Davide estrasse dalla tasca dei pantaloni il cellulare, cercò la foto e gliela mostrò.
«Questa l’ho scattata la scorsa notte. Come le dicevo, le luci della chiesa erano accese e il portone aperto.»
Padre Umberto annaspò un attimo, come colto da un’improvvisa insicurezza.
«Potrebbe essere stata Lidia» farfugliò infine grattandosi il capo.
Davide aggrottò la fronte. «La donna delle pulizie?»
«Sì. È una brava donna, una delle parrocchiane più devote che abbia mai avuto la fortuna di avere. Una volta alla settimana viene a dare una rinfrescata alla chiesa. Di solito lo fa al mattino, prima dell’alba. Si vede che ieri ha preferito farlo di notte.»
«E il bambino?»
Il parroco si strinse nelle spalle. «Lidia è rimasta vedova da poco. Qualche volta la figlia, che si è trasferita in città dopo essersi sposata, le lascia il piccolo a dormire da lei. Sa, è un bambino un po’ problematico. È capace di svegliarsi di notte e piangere per ore, senza alcuna ragione apparente. Lidia potrebbe esserselo portato dietro, forse ha deciso di anticipare le pulizie alla chiesa proprio a causa sua. La chiamerò più tardi e glielo chiederò.»
«Sì, per favore, lo faccia. Mi sentirei più tranquillo.»
«Sono sicuro che non c’è nulla di cui preoccuparsi. Mestrieri è una piccola comunità, le notizie fanno presto a circolare, soprattutto quelle brutte, e nessuno stamattina parlava di un bambino disperso» cercò di confortarlo il parroco. Poi si congedò porgendogli la mano.
«A stasera, figliolo.»
«A stasera, padre.»
Rimasto solo, Daviderimase un po’ sulla porta d’ingresso a riflettere sulle parole del parroco. Le sue gli erano sembrate solo un mucchio di scemenze, giustificazioni ridicole e davvero poco credibili per nascondere qualcosa, ma che cosa?
Scosse la testa e sospirò pesantemente.
«Qui sono tutti pazzi» concluse infine.

                                                      ****

Padre Umberto entrò nello studio, elegantemente arredato con mobili antichi, della Casa Vecchia, l’unica ala della corte rinascimentale che apparteneva ancora alla famiglia dei Manferrati, il cui primigenio, il marchese Cornelio, aveva contribuito allo sviluppo economico e sociale di Mestrieri e di molti dei paesi limitrofi, almeno sette secoli prima.
Victor Manferrati, il padrone di casa, se ne stava affacciato alla finestra che dava sul giardino. La terra intorno al possedimento, in realtà, si estendeva ben oltre i confini del giardino e includeva parte della golena boscosa.
Alto, col portamento elegante, in un sobrio completo blu antracite che richiamava il colore dei suoi occhi, l’uomo trasse un profondo respiro quando il parroco fece il suo ingresso nella sala.
«Verrà?» gli chiese, continuando a guardare fuori dalla finestra.
«Sì, ha accettato l’invito, anche se non ne sembrava affatto contento. Mi sembra così fragile, Victor... Sei sicuro di quello che fai?»
Victor si decise a girarsi dalla sua parte e lo penetrò con uno sguardo profondo, intenso. «Abbiamo altra scelta?» chiese.
Il parroco cercò il contatto, attraverso la stoffa, del crocifisso che portava al collo. «No...» alitò sconfortato. Poi aggiunse: «Dice di aver visto Ludovico al parco, la notte scorsa.»
«Ne sono al corrente» fu l’asciutta replica.
«Credevo avessi incaricato Sebastiano di sorvegliarlo...»
«Tutti voi avete l’obbligo e la responsabilità di sorvegliarlo in mia assenza, compreso tu!» ringhiò il padrone di casa, i cui occhi si erano fatti ancora più scuri e feroci.
Il parroco, intimidito, retrocedette di mezzo passo.
Victor si passò una mano tra i folti capelli castani, appena screziati di bianco, e sospirò per darsi una calmata. «Perdonami, Umberto. Ludovico diventa sempre più... ingestibile. Io stesso non riesco più a controllarlo, non posso farvene una colpa. Ecco perché dobbiamo intervenire al più presto.»
«Spero solo che tutto questo non ci si ritorca contro...» alitò affranto il sacerdote.
Victor tornò a guardare al di là dei vetri lo spettacolo dell’autunno che donava tinte ruggine e ocra al paesaggio.
La nebbia, che era scesa la sera prima e aveva iniziato a diradarsi alle prime luci dell’alba, aveva ormai definitivamente ceduto il passo ad un sole splendente, quasi abbacinante. Così raro in quel periodo dell’anno.
Victor lo interpretò come un buon segno.
«Me lo auguro anche io» proferì a bassa voce.

 




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