Parole tra i ghiacci

di Najara
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Cioccolata
 
“Cos’hai detto?”  Chiese lei, sorpresa nel sentire quel nome.
“Le esperienze di morte possono darci una nuova prospettiva, se Beth è importante…”
“No, no, il nome!” Boris la guardò sorpreso dalla sua improvvisa agitazione.
“Anguta?” Provò alzando un sopracciglio.
“Come sai questo nome?” Insistette lei, il cuore che batteva veloce.
“Al campo Inuit ci hanno raccontato di questa loro divinità: Anguta, uno psicopompo che guida le anime tra il mondo dei vivi e quello dei morti.”
Sarah sentì un brivido correrle lungo la schiena. Era possibile?
“Io…” Balbettò. Doveva essere pallida, perché Boris si alzò e le posò la mano sulla fronte, ma non era la febbre che l’aveva tenuta a letto in quei giorni ad essersi ripresentata, era il ricordo, preciso di quello che aveva… visto? Immaginato?
“Non volevo turbarti.” Affermò allora l’uomo guardandola preoccupato, poi si alzò e si affaccendò accanto ad un fornellino, aprì qualche bustina e poco dopo l’aroma della cioccolata riempiva l’aria.
“Mia nonna diceva sempre: non c’è nessun spavento che la cioccolata non possa scacciare! O forse era Harry Potter… non importa.” Le passò la cioccolata e lei ne bevve un sorso. Era dolce, calda, cremosa e scacciò il freddo.
“Potrei aver avuto un’allucinazione, fuori, nella tempesta?” Chiese, cercando di aggrapparsi alla parte di lei che era la scienziata.
“Oppure hai avuto quella che si chiama un’esperienza di premorte. In ogni caso sei qui e sei al sicuro.”
“Una seconda possibilità.” Mormorò e sorriso, mentre il suo cuore si scaldava sorseggiò la cioccolata.




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