Note:
questa storia partecipa all'iniziativa del Babbo Natale Segreto,
indetta da Mari Lace e Sia sul forum di Feriscelapenna.
A
Frei ♥
I giorni da cani sono finiti (e Persefone ha i capelli rossi)
La verità è che quella è davvero una
brutta giornata.
Prima Atsumu sbaglia quattro servizi di fila, e di conseguenza
l’allenamento del primo pomeriggio sfocia in una tragedia.
Poi, sotto la doccia, mentre tenta di godersi il suo momento di
autocommiserazione, la caldaia della palestra smette di funzionare e
Atsumu è costretto a sciacquare via lo shampoo dai capelli
con l’acqua ghiacciata, le labbra livide e serrate per il
gelo di dicembre. Più tardi ancora, dopo essere sfuggito
all’ibernazione, decide di tornare a casa a piedi, rifiutando
il passaggio di Bokuto perché vuole camminare sotto le
nuvole gravide di pioggia ascoltando la playlist ‘canzoni
tristi su cui piangere alle tre di notte, taylor’s
version’ (Atsumu vuole soffrire per bene, vuole sentirsi il
vero protagonista del suo mondo che si sbriciola).
Quindi si incammina con le guance illuminate dalle decorazioni
natalizie che lampeggiano, ma neanche cento metri dopo una macchina gli
inzuppa di acqua sporca il cappotto nuovo passando a tutta
velocità sopra una pozza. Atsumu bestemmia, poi solleva il
dito medio verso il conducente ma l’auto è
già lontana e il suo insulto s’accascia e muore
insoddisfatto sul marciapiede. A lui non rimane altro che una folata di
vento che lo fa rabbrividire e i calzini umidi e i piedi congelati e il
cappotto punteggiato da macchie e il bisogno impellente di uccidere
qualcuno che però purtroppo non può soddisfare,
perciò vaffanculo alle lucine e vaffanculo pure al Natale.
Per di più fa un freddo micidiale, l’inverno
è piombato come un’incudine appesantendo le tegole
e le vite di tutti, e inverno significa tanta umidità, e
tanta umidità significa che non importa quante ore lui
trascorra davanti allo specchio ogni singola mattina armato di gel e
spazzola, i capelli finiranno per gonfiarsi e arricciarsi alle punte
come meduse impossessate.
Ciliegina sulla torta, suo fratello non è né a
casa né al ristorante: me
ne vado una settimana in vacanza, ha detto tre giorni
prima, con Keiji. Non
mi chiamare neanche se stai per morire. Perciò
Atsumu non può neanche correre a lagnarsi da lui e
rifocillarsi grazie agli onigiri che prepara.
Insomma, quella è davvero (davvero davvero davvero) una
brutta, bruttissima giornata.
Non appena arriva a casa, si sfila scarpe e cappotto, poi getta i
calzini fradici nella cesta dei panni sporchi che lui e Bokuto
condividono (Sakusa ne ha una personale ma nessuno sa dove si trovi,
Bokuto e Atsumu l’hanno cercata ovunque senza successo), poi
si lava le mani e osserva il suo riflesso allo specchio. Pensa che la
mestizia e la spossatezza gli conferiscono un’aria
affascinante, da giovane bellissimo e dannato. Se ne compiace e solleva
il mento, poi il ricordo dei servizi finiti contro la rete torna a
pungerlo bruciante e Atsumu fugge dal bagno per rifugiarsi nella sua
stanza. Si spoglia, si infila il pigiama blu ornato da stampi di mucche
che sorridono (sì, è un pigiama orribile, ma
è soffice e caldo ed è un regalo di suo fratello
e Atsumu è disgustosamente sentimentale quando si tratta di
queste cose) e infine si butta sul letto come un cadavere, troppo
distrutto persino per esalare un gemito.
Vittima della parte più pessimista e catastrofica della sua
essenza, Atsumu fissa a occhi sbarrati il soffitto e pensa che no, lui non
può farcela. Non si alzerà mai più da
quel materasso, rimarrà immobile a morire di stenti cucito
alle lenzuola e poi si trasformerà in una mummia e dopo
ancora diventerà uno spirito vendicativo che
renderà la vita di Sakusa e di suo fratello un vero e
proprio inferno. O forse si limiterà a perseguitare Osamu e
basta, per Sakusa c’è già Bokuto che
è un supplizio iperattivo in carne ed ossa.
Atsumu adora Bokuto, sia chiaro, o per lo meno lo adora per mezza
giornata, ma la sua scarsa organizzazione e il suo disordine non si
incastrano bene con la germofobia di Sakusa e la sua ossessione per la
pulizia. Bokuto però si impegna, ci mette il cuore in quella
convivenza, prima di fare l’albero di Natale in cucina ha
persino chiesto il permesso (approvato,
ha detto Sakusa dopo qualche istante di ponderazione, ma fallo lontano dal frigo)
e la sua sincera bontà rappresenta l’unico motivo
per cui Sakusa non gli ha piantato un coltello da cucina nella schiena
per poi lanciare tutte le sue cose dalla finestra.
Tornando ad Atsumu perché è lui il protagonista
di questa storia, sfortunatamente per tutti noi: in
quell’istante desidera che il soffitto gli crolli addosso,
anela la venuta di qualcuno (una divinità, il messia, un
killer inviato dai servizi segreti, stocazzo, andrebbe bene chiunque,
davvero) che ponga fine a quella sofferenza indicibile che è
l’esistenza.
Voglio morire,
sussurra al soffitto con pathos - e lo sa, quelle saranno le sue
ultime, ultimissime parole. E poi: voglio mangiarmi una cazzo di
pizza.
Quindi smette di fissare il soffitto e agguanta il telefono, digita con
disperazione febbrile il numero che trova su internet, parla con una
voce gentile, riattacca e aspetta che giunga il fattorino portandogli
la serotonina fra le braccia dentro un cartone rettangolare. Pregusta
già il momento in cui manderà la foto a suo
fratello, dicendogli: la
vedi questa pizza da asporto molla e probabilmente pre congelata?
È cento volte più buona della roba che cucini tu.
Buona vacanza.
Sì, beh, forse Atsumu non vuole una pizza, forse Atsumu
vuole solo infastidire suo fratello, ma va bene, chissenefrega, se lo
merita.
Il citofono squilla. Atsumu balza in piedi con un’energia che
ben poco si addice al sopracitato cadavere in cui si voleva
trasformare. Bokuto si affaccia dalla stanza incuriosito e Atsumu
soffia un ‘è per me!’. Spera solo che
Bokuto non voglia assaggiarla, perché Atsumu ha una fame
epica ma non riesce a dire di no a Bokuto, o almeno non da quando ha
piazzato i regali per lui e per Sakusa sotto l’albero - ''li avevo pronti da mesi,''
aveva detto tutto orgoglioso.
Atsumu pensa che lui i regali li deve ancora comprare,
dopodiché spalanca la porta e pensa: minchia.
Poi smette di pensare.
Qualche dio dopotutto deve essersi sorbito i suoi piagnistei,
poiché non appena incontra lo sguardo del fattorino, senza
neanche il tempo di sbattere le ciglia, Atsumu viene ferito a morte.
''Ciao,'' cinguetta il tipo che l’ha appena ucciso. Atsumu
percepisce la macchia di sangue che si allarga sul petto, che gli
impregna i vestiti, riesce quasi a sentirne l’odore
metallico. ''Una pizza al formaggio, giusto?''
E invece no, sbagliato. Perché non c’è
niente di giusto, non nella pizza e soprattutto non nel tizio che
gliela sta porgendo. È troppo luminoso. È tipo
un’apparizione, qualcosa di troppo splendido per essere
reale, con i capelli rossi che si curvano dietro le orecchie e le
lentiggini spolverate sulla faccia e gli occhi che riflettono le luci
intrecciate alle ringhiere dei balconi come rampicanti.
Atsumu si sente in trappola. È su un ring e sta perdendo,
barcolla disorientato perché quello che ha incassato
è un pugno dritto sul naso che sta per mandarlo al tappeto.
Fingiti morto come gli
opossum, bisbiglia una voce nel suo cervello, una voce che
somiglia insopportabilmente a quella di suo fratello. Fingiti morto e aspetta che vada
via.
Il tizio lo guarda. Atsumu lo guarda. Il tizio inclina la nuca, inarca
le sopracciglia e lo guarda più attentamente. Atsumu non ha
la più pallida idea di cosa debba dire e quindi se ne esce
con un intelligentissimo e perspicace ''eh?''.
''Una pizza al formaggio,'' ripete l’altro, e solleva
leggermente il cartone della pizza come per mostrargliela. ''Qualcuno
che abita qui ha ordinato una pizza al formaggio. Forse ho sbagliato
indirizzo?''
Oh no,
pensa Atsumu. Sei
assolutamente all’indirizzo giusto, davanti al ragazzo
giusto. Dovresti baciarmi.
Però Atsumu si tiene quella considerazione per sé
e scuote la testa.
''No, scusa,'' dice, arraffando la prima scusa plausibile che gli viene
in mente. ''È che mi sono addormentato e quindi sono ancora
mezzo confuso.''
Il tizio luminoso sorride. ''Infatti hai i segni del cuscino sulla
guancia.''
Atsumu d’istinto si porta una mano sul viso e prova a
percepire sotto i polpastrelli i minuscoli solchi scavati dalla federa.
''L’altra guancia,'' specifica l’altro, e si indica
con l’indice lo zigomo destro.
Un tepore che non ha niente a che vedere con dicembre gli avvolge le
ossa. Atsumu pensa che quel tizio deve senz’altro essere la
personificazione della primavera e poi pensa che la primavera
è bellissima. Poi il tizio si schiarisce la gola e Atsumu
ricorda che non può rimanere impietrito a fissarlo
trasognato, ma deve pagarlo per permettergli di tornare a lavoro e
soprattutto deve pagarlo prima che gli tiri davvero un pugno in faccia,
visto che Atsumu si è improvvisamente trasformato in un
bradipo lento e per giunta incapace di snocciolare frasi minime dotate
di una coerenza di significato.
''Okay,'' dice. ''Grazie. Cioè, ti devo pagare. Ottocento
yen, giusto?''
''Giusto,'' conferma l’altro. Atsumu gli porge le monete
offrendo una generosa mancia (se potesse gli darebbe tutto il suo cuore
impacchettato per Natale), poi prende la pizza, il cartone tiepido gli
riscalda il palmo, e l’altro si infila i soldi nel marsupio
tintinnante.
''Grazie mille,'' gli dice contento. ''E buona cena!''
Poi si infila il casco e lo saluta agitando il braccio.
Atsumu, sentendosi come se stesse fluttuando in un sogno, distaccato
dal suo corpo e dalla realtà circostante, la tipica
sensazione che si sperimenta dopo aver vissuto momenti ad alta
intensità, rientra in casa e si avvia verso la propria
stanza.
''Oh!'' esclama Bokuto, affacciandosi dalla cucina e annusando
l’aria estasiato. ''Hai preso la pizza! Me ne dai una fetta?''
Atsumu lo fissa come se il mondo fosse finito. Bokuto ricambia lo
sguardo interessato tentando di capire come mai
all’improvviso Atsumu appaia così provato. Atsumu
ripensa al fattorino e ai suoi capelli rossi e al modo in cui i suoi
occhi brillavano di sole e melassa pure se fuori era buio e si sente un
po’ come il maestro Shifu di Kung Fu Panda, ovvero molto
saggio e molto esaurito. Bokuto continua a fissarlo tentando di
comprendere l’immensità di quello che ha appena
vissuto. Infine Atsumu gli porge tutto il cartone.
''Mangiala tu,'' gli dice, melodrammatico. ''Io vado ad ammazzarmi.''
Quindi si volta e si chiude nella sua stanza, la faccia spiaccicata sul
cuscino. Ora però non pensa all’allenamento che
è stato un fiasco o al cappotto sporco, bensì a
quelle poche parole sconnesse che ha pronunciato. Pensa a quanto debba
essere sembrato stupido, proprio lui, lui che ha sempre la battuta
pronta e sagace e il sorriso affascinante da sfoderare come
un’arma micidiale. E invece la sua è stata una
prestazione penosa e miserabile.
Poi osserva la manica del pigiama: blu, con gli stampini delle mucche
che sorridono spiaccicate sul tessuto come pois.
Schiaccia più forte la faccia contro il cuscino e spera di
soffocare.
*
Meno di una settimana più tardi, Atsumu di pizza ne ordina
un’altra. E non perché quella sia una brutta
giornata, ma perché vuole rimediare alla figuraccia di
qualche giorno addietro. E perché vuole incontrare ancora la
personificazione della primavera. E poi perché vuole una
pizza al formaggio, visto che la sua l’ha ceduta tutta a
Bokuto l’ultima volta. Perciò Atsumu digita il
numero, al telefono risponde la medesima voce gentile che si segna il
suo nome e la sua via e poi riattacca. Quindi si siede, dondola un
po’ facendo cigolare le molle del materasso, infine si alza e
si guarda allo specchio.
Quella sera, Atsumu splende come mille soli sovrapposti tutti insieme.
Deve cancellare l’onta del pigiama con le mucche, della sua
incapacità di spiccicare due parole di filato. Atsumu
sorride al proprio riflesso e se nelle retini non gli si fosse
marchiata a fuoco l’immagine ramata di quel tizio, Atsumu si
innamorerebbe di se stesso. Prova e riprova il sorriso più
affascinante di cui dispone, l’arma più letale che
possiede insieme al servizio dai nove metri, si arruffa un
po’ i capelli e poi li appiattisce di nuovo come prima. Si
controlla la camicia, la spiegazza un pochino - Atsumu deve essere
vestito considerando il perfetto equilibrio fra eleganza e
casualità, vuole mostrarsi per quello che è
davvero, e cioè un potenziale modello che invece di fare il
modello ha scelto di fare il pallavolista che ogni tanto si ricorda di
aprire qualche libro e di dare mezzo esame di economia ogni sei mesi.
Il campanello tintinna. Atsumu in un baleno si fionda fuori dalla sua
stanza. Questa volta è Sakusa ad affacciarsi sul corridoio,
e Atsumu grida un ‘è per me!’. Sakusa
sbuffa e come una tartaruga che ritrae la testa nel carapace torna
nella sua camera.
''Ciao,'' cinguetta il ragazzo, non appena Atsumu apre la
porta. Una nuvoletta a forma di medusa gli sfugge dalle
labbra, disperdendosi nella notte.
Effettivamente fa un freddo polare, ma Atsumu non lo sente.
''Ciao,'' esclama Atsumu, a voce troppo alta e troppo strozzata.
''Cioè, ciao,'' dice di nuovo, con un tono più
normale, poi si rende conto che ha detto ciao due volte e questo
già ha intaccato rovinosamente il suo piano di conquista.
Il tipo lo fissa, poi esala una risata dolce che gli fa pensare ai
rumori dei soffioni che sbocciano. Ovviamente Atsumu non ha la
più pallida idea di che rumore facciano i soffioni quando
sbocciano, ma in quel momento non è che sia nel pieno delle
sue facoltà mentali (neanche nel minimo, a voler essere
sinceri).
''Che c’è?'' domanda Atsumu, visto che il tipo non
smette di ridere. Dovrebbe sentirsi imbarazzato perché
è palese che stia ridendo di lui, e forse un po’
in imbarazzo ci si sente anche, ma non può fare a meno di
ghignare in risposta perché se riesce a farlo ridere
così può solo complimentarsi con se stesso e
darsi una pacca sulla spalla perché si tratta indubbiamente
di un successo.
''È che sei divertente, Miya-san.''
''Posso fare di meglio,'' gli risponde Atsumu. Potrebbe raccontargli la
barzelletta del cane e dell’ostrica, per esempio. Poi
registra il Miya-san. Si concede un istante per crogiolarsi stupito e
beato (commosso?) nella sua voce che lo pronuncia, poi si acciglia.
''Come fai a sapere il mio nome?''
''Ce l’ho scritto insieme all’indirizzo,'' risponde
l’altro. ''È Miya Atsumu, giusto?''
''Giusto,'' dice Atsumu. ''Però ora devi dirmi il tuo.
Cioè, visto che tu sai il mio, mi sembra più che
giusto che anche io conosca il tuo.''
Shouyou sorride radioso.
Uccidetemi, pensa
Atsumu. Uccidetemi
adesso.
E poi: ti prego,
baciami.
E poi: ti prego,
sposami. Sono bravo a letto, non te ne pentirai.
''È Hinata. Hinata Shouyou.''
Atsumu si rigira quel nome in testa. Suona bene, scivola sulla lingua
come miele. Trova che gli si addica alla perfezione.
''Quanti anni hai?''
''Ventidue. Perché?''
''Sei più piccolo di me,'' ghigna Atsumu. ''Shouyou-kun,
quindi. Mi piace.''
L’altro sorride. ''Anche a me piace il tuo, Atsumu-san.''
Oh.
Oh.
OH.
Atsumu sente il rumore di uno scoppio. Mille spari che fanno sussultare
il vuoto sovrapposti l’uno all’altro. È
la scarica di una mitraglietta, o forse è semplicemente il
suo cuore che palpita febbrile per spaccare le costole che lo
ingabbiano. Cioè, sente proprio qualcosa dentro,
nell’animo, che lo fa tremare come una foglia e poi
disgregare. È come se fosse esplosa una cristalliera dentro
la pancia, e poi c’è un rintocco che assomiglia a
una campana di vetro, la nota di un pianoforte gigantesco che
riecheggia dell’universo. È disarmante,
è spettacolare, è…
''Miya,'' ringhia Sakusa alle sue spalle. ''Puoi almeno socchiudere la
porta? Stai facendo entrare il gelo.''
E il gelo entra davvero, è una sferzata in pieno viso,
coltelli che flagellano. Niente più cristalliera che si
polverizza, niente più spari che rimbombano nel petto e
nelle orecchie. Shouyou lo fissa con la sua pizza e Atsumu si ricorda
che deve pagare.
Estrae le monete dalla tasca (lascia una mancia generosa, anche questa
volta), Shouyou lo ringrazia con un cinguettio da cinciallegra, poi lo
guarda con intensità e Atsumu si domanda se non
annegherà in quelle iridi fatte di sole e melassa.
''Spero che ordinerai altre pizze, Atsumu-san.''
Dal tono di voce sembra più una minaccia, e Atsumu con un
brivido annuisce, un po’ spiazzato. Certo, Shouyou potrebbe
averlo detto solo per le mance, ma a una doppia lettura è
impossibile non sperare che quella frase esprima un desiderio di
rivederlo, giusto?
Osserva la primavera infilarsi il casco e poi salire sullo scooter.
Atsumu si sente come se stesse rotolando in un campo di girasoli. Poi
indietreggia, chiude la porta e sospira felice.
''Però,'' dice Bokuto, a un soffio dal suo orecchio.
''È proprio carino.''
Atsumu, che non l’ha udito avvicinarsi, sobbalza.
''Troppo carino,'' specifica Sakusa dietro Bokuto che sghignazza. ''Ed
educato. Decisamente fuori dalla tua portata. E probabilmente
è già impegnato.''
''Ma vaffanculo,'' risponde Atsumu stizzito. ''Nessuno è
fuori dalla mia portata. Sono io quello a essere fuori portata per
tutti.''
''Tu sei fuori come un balcone e basta,'' risponde Sakusa.
''Mi dai un pezzo di pizza?'' domanda Bokuto, ammiccando al cartone
tiepido che Atsumu stringe sottobraccio.
Dio, Atsumu li odia.
*
La sesta volta in cui Atsumu sta per ordinare di nuovo la pizza in
neanche due settimane, Sakusa gli afferra il telefono dalle mani
nonostante il terrore dei germi e si mette a urlare.
Atsumu rimane talmente interdetto da non riuscire a pronunciare neanche
una parola. Bokuto, sentendo Sakusa urlare, sgambetta nel piccolo
salone e si mette a ululare insieme a lui.
Poi Sakusa finisce di urlare e inizia a sbuffare come un treno.
''Devi smetterla di mangiare pizza,'' dice. ''Non mangi altro da
giorni.''
''DEVI SMETTERLA DI MANGIARE PIZZA,'' ripete Bokuto come un pappagallo,
iniziando a correre intorno al tavolo. ''NON MANGI ALTRO DA GIORNI.''
Poi inizia a fare beatboxing.
Atsumu pensa che il Natale faccia molto male
all’iperattività di Bokuto. E di conseguenza pensa
che faccia anche molto male anche a Sakusa.
''Poi perdiamo le partite e la colpa sarà solo tua,''
continua Sakusa isterico, tentando di ignorare Bokuto. ''Colpa tua e
dell'alimentazione decisamente poco indicata che hai iniziato a
seguire.''
''POI PERDIAMO LE PARTITE E LA COL-
Sakusa gli molla una gomitata sulla bocca dello stomaco e Bokuto,
soldato valoroso, si accascia a terra e muore. Atsumu, in quel momento,
si sente la persona più normale tra di loro, il che
significa molto considerando che lui ordina le camicie
nell’armadio per ordine cromatico e che il suo primo pensiero
del mattino è stato: ma
se mi mangio uno scontrino, poi le parole e i prezzi che ci sono
scritti sopra mi iniziano a spuntare sotto la pelle tipo i tatuaggi?
''Perciò smettila,'' continua Sakusa. ''Da oggi in poi solo
spinaci, per cena.''
Atsumu sgrana gli occhi. Infine si scioglie in un sorriso. ''Oh, Omi
Omi!'' esclama, portandosi le mani al cuore e intrecciandole. ''Sei
preoccupato per me?''
Sakusa gli rivolge la stessa espressione disgustata che rivolge agli
insetti che trova fuori casa. Anzi no, gli rivolge la stessa occhiata
folle che rivolge ai ragni che sta per ammazzare con la pantofola
stretta in mano, prima che Bokuto si metta in mezzo facendo scudo ai
ragni con il proprio corpo perché ''sono innocenti, non hanno
fatto niente di male! A te piacerebbe morire spappolato?!''
Quindi Sakusa si sente in colpa e abbassa la ciabatta, permettendo a
Bokuto di liberare i ragni fuori dalla finestra - ''ma se rientrano in casa,''
minaccia assassino, ''li
secco tutti con l’insetticida.''
I ragni non rientrano mai. Sono molto intelligenti, loro.
''Giuro che è l’ultima volta,'' continua Atsumu.
Sakusa stringe gli occhi. Bokuto torna in vita, si rialza dal pavimento
e riprende a fare beatboxing.
''Almeno fatti dare il numero di telefono,'' gli dice Sakusa con un
sospiro. ''Così mettiamo fine a questa situazione ridicola.''
Scandisce la parola r-i-d-i-c-o-l-a lettera per lettera. Sakusa
è incredibilmente bravo a scandire le parole, pensa Atsumu
mentre annuisce e si riprende il cellulare.
Digita il numero della pizzeria, parla con la stessa voce gentile di
sempre, ordina la stessa pizza al formaggio perché
è la più economica, fornisce nome e cognome e
indirizzo, la voce gentile ringrazia e Atsumu riattacca.
Quindi Atsumu sgambetta come un capriolo e corre davanti allo specchio:
si sistema i capelli, si guarda i pantaloni che dei, gli fasciano cosce
e sedere a meraviglia, e aspetta.
Finalmente il campanello squilla, Atsumu trotta in corridoio e Sakusa e
Bokuto si affacciano curiosi dalla cucina.
''Potete lasciarmi un po’ di privacy?'' soffia Atsumu, una
mano sulla maniglia. ''Almeno stasera.''
I due si nascondono dietro la parete e Atsumu scuote la testa
sospirando, quindi si ricompone e apre la porta sfoderando il suo
sorriso migliore.
E poi,
''Oh,'' dice Atsumu, l’entusiasmo che si sgonfia, il fastidio
che scintilla. Se fosse un cane, uggiolerebbe sconsolato. ''Ma tu non
sei Shouyou-kun.''
Il tizio decisamente non è Shouyou-kun: per cominciare
è alto (è persino più alto di lui, e
questo lo rende particolarmente nervoso), poi ha degli occhi blu che lo
trafiggono e i capelli lisci come seta che gli incorniciano il viso
regolare.
''Beh, no,'' risponde. ''Sono Kageyama.''
''E Shouyou-kun dov’é?''
''Hinata,''
risponde l’altro, sottolineando il suo nome in un modo che ad
Atsumu non piace, ''oggi ha il giorno libero.''
Il mondo gli crolla addosso e l’inverno piomba sul suo viso
con furia.
''Capisco,'' dice, annegando in un mare di delusione.
Poi Atsumu lo guarda torvo. Kageyama gli rivolge la stessa espressione
diffidente, e infine gli allunga il cartone con la pizza.
''Mi puoi pagare?'' domanda, senza mezzi termini. ''Devo tornare a
lavoro.''
Atsumu lo guarda ancora più storto. Staranno insieme? Che
Sakusa abbia ragione? Che Shouyou-kun sia davvero impegnato con
qualcuno?
''Mi puoi pagare?'' ripete Kageyama, alzando la voce.
Giusto, pensa Atsumu. Ho pure buttato ottocento yen.
Quindi estrae le monete dalle tasche e gliele porge - ovviamente senza
mancia. Kageyama se le ficca nel marsupio e poi lo fissa sospettoso. Ha
l’aria di uno che stia per dire qualcosa, ma poi cambia idea
perché si volta senza aggiungere nulla accendendo lo scooter.
In quel momento, alcune gocce di pioggia iniziano a picchiettare
sull’asfalto. Atsumu rimane all’ingresso
abbandonato a se stesso, con Exile
di Taylor Swift feat Bon Iver che gli riecheggia nella testa mentre si
inzuppa di freddo.
''Perché sei così melodrammatico?'' sbotta Sakusa
da dietro la sua schiena, mentre Bokuto lo afferra per il colletto
della maglia costringendolo a rientrare dentro casa. ''E
perché tu gli stai accarezzando il sedere?''
''È un gesto di affetto,'' dice Bokuto, continuando ad
affibbiargli pacche tiepide sulla chiappa. ''E poi è
gommoso. Tipo una palla antistress. Dovresti provare.''
Sakusa sospira e si arrende. Atsumu un po’ lo ammira,
perché qualunque altra persona sarebbe già
fuggita da quella casa.
Bokuto indossa un cerchietto rosso e pacchiano con due corna di renna
che tintinnano al più piccolo movimento. Sì,
decisamente, il Natale a Bokuto fa male.
Vanno in cucina, Atsumu cede il cartone della sua pizza esalando un
flebile lamento da moribondo, poi rimane catatonico a fissare il
pavimento.
Bokuto mangia la pizza in silenzio, ne offre una fetta a Sakusa che
rifiuta con sdegno, ne offre una fetta ad Atsumu che scuote la testa
travolto dalla tristezza e dal grigiore della vita. Infine, esausto,
dopo essersi rinfrancato con un po’ di tè verde
come se avesse duecento anni, si alza dalla sedia e strascica i piedi
fino alla sua stanza, come una volpe zuppa di acqua con la coda moscia
fra le gambe. Vuole solo buttarsi sul letto e abbandonarsi a quel
sentimento struggente, perdersi in quell’oblio di
autocommiserazione fino all’alba successiva.
Il suo riflesso lo coglie non appena chiude la porta. Atsumu vede
tratteggiati sul suo viso i contorni della delusione di chi credeva di
avere in mano l’universo intero che poi si è
dissolto come fumo. Poi si guarda i pantaloni.
Quei pantaloni che gli fasciano cosce e sedere così bene.
''Almeno,'' dice gongolando, l’orgoglio che torna a
sbocciare sulle guance, ''sono un fottuto schianto.''
*
Sakusa è seduto sul divano a fare cruciverba. Ogni tanto
borbotta qualche definizione, poi si colpisce il ginocchio rabbioso e
grida ‘questa parola non ci entra!’. Bokuto
è accucciato vicino all’albero di Natale e
canticchia Jingle bells deformando tutte le parole - non che Atsumu
sappia quali siano le originali, comunque - mentre sistema le nuove
palline argentate che gli ha comprato Akaashi. Non appena Atsumu si
avvicina al frigo, Bokuto balza verso di lui e gli infila il cerchietto
con le corna di renna sulla testa.
''Ecco,'' dice soddisfatto. ''Così sembri molto meno morto.''
Bokuto sorride raggiante e torna al suo albero. Atsumu pensa al
cerchietto che si impiastriccia con i suoi capelli pieni di gel,
capelli che ha impiegato tre ore a modellare. Quindi si apre una
lattina di coca-cola ammutolito mentre pensa a quanti anni di galera
gli toccherebbero se uccidesse Bokuto seduta stante. Poi
però pensa che no, in realtà gli vuole bene, non
lo farebbe mai, ma quella notte potrebbe - per sbaglio,
s’intende - bucargli una ruota della macchina. O forse due.
Poi pensa a suo fratello, a suo fratello che sta insieme ad Akaashi, e
si chiede perché Osamu sì e lui no. Atsumu
è più bello e pure più simpatico. E
poi Osamu è quello che all’amore non ci ha mai
creduto mentre Atsumu, nel pieno della sua saggezza, è
quello che gli ha sempre risposto testardo che il mondo è
pieno di menzogne ma che l’amore è una delle poche
cose vere. Quindi non è affatto giusto, che Osamu
sì e Atsumu no.
Poi pensa a dove diamine Sakusa possa nascondere la sua cesta personale
di panni sporchi, non riesce a capacitarsi di come in due anni non
l’abbiano mai trovata. Poi pensa a Shouyou e ha voglia di
mettersi a piangere.
Atsumu ovviamente non piange, limitandosi a bere la propria coca-cola
direttamente dalla lattina. Tenta di gustarla piano, un piccolo sorso
alla volta, visto che se ne concede una di rado, esclusivamente nei
pomeriggi particolarmente bui della sua vita in cui necessita una dose
extra di zuccheri.
Il campanello suona all’improvviso. Sakusa non alza neanche
gli occhi dalle parole crociate. Allora Atsumu guarda Bokuto che
però si è incastrato nelle lucine di Natale.
Quindi sbuffa, e si avvia verso l’ingresso.
''Ciao,'' cinguetta Shouyou, non appena Atsumu apre la porta. Ha gli
occhi che inglobano la luce dei lampioni.
Atsumu si sbrodola addosso un po’ della propria coca-cola,
giusto per non farci mancare nulla. Poi si pulisce il mento borbottando
qualcosa come ‘blwweewe’, poi lo fissa, poi sbatte
le palpebre un paio di volte. Quando realizza che no, non sta sognando,
gli sorride a sua volta un po’ spaesato.
''Ciao,'' risponde. ''Ho ordinato una pizza per sbaglio?'' gli domanda,
fissando Shouyou e il cartone in mano.
''L’ho ordinata io!'' gli urla Bokuto dalla cucina. Atsumu
è tentato di correre da lui e di baciarlo in bocca: oh dei,
l’amicizia.
Atsumu torna a concentrarsi su Shouyou, che fissa la lattina.
''Ne vuoi un po’?'' gli domanda Atsumu.
Shouyou sgrana gli occhi e annuisce. Atsumu gli porge la lattina, e
Shouyou fa un sorso.
Quando gliela restituisce ovviamente Atsumu beve quel che resta.
Cioè, è pur sempre un bacio indiretto, e Atsumu
non è mica un fesso.
Shouyou sorride, o meglio ghigna, e sul viso gli balugina
un’espressione furba.
''Che c’è?'' domanda Atsumu, ricambiando il
sorriso.
''Niente,'' risponde, con un tono innocente che non inganna nessuno. E
poi: ''Kageyama mi ha detto che hai chiesto di me.''
Atsumu si irrigidisce per un istante, poi si impone di ostentare
un’espressione morbida e sciolta. ''Ah sì,
l’ho incontrato l’altra volta. È il tuo
ragazzo?''
Shouyou esala una risata cristallina, le pozzanghere per strada
sembrano ridere con lui. ''No, no,'' dice, scuotendo la testa. ''Non
è il mio ragazzo. Non ce l’ho proprio un ragazzo.
Cioè, nel caso te lo stessi chiedendo.''
Ma certo che se lo stava chiedendo. Atsumu si sforza di non sorridere
raggiante, ed ecco il tappeto rosso che si srotola sotto i suoi piedi
indicandogli la strada per il successo.
È tempo di
flirtare, pensa. Ora
o mai più.
''Come fai a essere così carino e a non stare con nessuno?''
''Ho standard alti,'' replica l’altro serafico, con un
sorriso sagace. ''E tu? Stai con qualcuno?''
''Nah,'' risponde Atsumu. ''Ho standard più alti dei tuoi.''
''Ah sì?'' Shouyou si avvicina di un passo. Atsumu scorge le
gocce di pioggia punteggiargli le guance. Ha voglia di lambirle via col
pollice. ''Tipo quali?''
Tipo il dio della
primavera, pensa incantato. Capelli rossi e lentiggini.
Occhi grandi, pieni di luce pure quando è buio. Giuro che ti
bacio, uno di questi giorni.
''Scusate.''
Atsumu sussulta. Bokuto lo osserva supplicante da dietro la sua spalla.
''Cioè, non è che voglia intromettermi, davvero,
ma ho tanta, tantissima fame,'' dice, ammiccando alla pizza.
Atsumu ha voglia di dare fuoco al palazzo con i suoi coinquilini
dentro. Poi di prendere Shouyou per mano e portarlo a mangiare pesce in
un ristorante stellato, se avesse abbastanza soldi. Vaffanculo
all’amicizia.
Shouyou ride, gli porge la pizza e Bokuto paga.
Prima di infilarsi il casco, Shouyou gli rivolge un sorriso persino
più letale dei suoi e sussurra: ''carino il cerchietto.''
Atsumu si porta una mano in testa e tocca le corna di renna con le
campanelle.
Ripensandoci, ha voglia di dare fuoco al palazzo e poi di buttarcisi
dentro.
*
Shouyou non aspetta che Atsumu ordini l’ennesima pizza per
rivederlo, sinceramente ne ha abbastanza. Flirtare sopra uno zerbino
giallo e arancione è stato divertente e per certi versi
affascinante, ma Shouyou è troppo impaziente ed egoista per
permettersi di attendere ancora. Quindi, dopo essersi preso una serata
libera dalla pizzeria, parcheggia lo scooter fuori dalla casa di Atsumu
e suona al campanello.
''Ciao,'' cinguetta Shouyou, scoprendo i denti in un sorriso raggiante
e un po’ predatorio non appena Atsumu spalanca la porta. Ha
dei glitter spiaccicati su una guancia e un rotolo di nastro argentato
in una mano.
''Ciao,'' risponde Atsumu dopo qualche istante, fissandolo con gli
occhi spalancati. Shouyou pensa che sia bellissimo. Non ha la
più pallida idea del perché uno come Atsumu si
sia preso una sbandata per uno come lui, dato che Shouyou si
è sempre presentato in divisa da lavoro e umido di freddo e
di pioggia, ma ehi, Shouyou non è uno che si ferma a
riflettere troppo su ciò che gli capita, preferisce vivere
al meglio l’occasione.
''Vuoi entrare?'' gli domanda Atsumu. ''Stavamo facendo dei
pacchetti,'' spiega poi, sollevando il nastro che stringe fra le mani.
''Vuoi aiutarci?'' E dopo ancora: ''perché sei qui?''
C’è qualcosa di teneramente sbagliato
nell’ordine delle domande, quindi Shouyou sorride.
Ha voglia di baciargli la punta del naso e poi di leccargli via la
porporina dalla faccia. Shouyou, Dio lo benedica, è quel
tipo di ragazzo che riesce a fare entrambe le cose.
''Sono qui perché così tu puoi finire di parlarmi
dei tuoi standard, e io se ci rientro posso chiederti un appuntamento.''
''Ci rientri,'' gli dice subito Atsumu. ''Quindi sì a
qualunque appuntamento.''
Shouyou è raggiante. Atsumu è raggiante uguale,
poi si sposta per lasciarlo entrare.
Più tardi, Shouyou si innamorerà di Bokuto che
tenterà di insegnargli a cantare Jingle Bells a furia di
beatboxing e Bokuto si innamorerà di lui. Poi si
innamorerà di Osamu, il fratello di Atsumu, che si trova
lì per aiutare a fare i pacchetti e che ha cucinato onigiri
per tutti (''è mille volte più squisito della
pizza da noi,'' esclamerà Shouyou trasognato, assaggiandone
uno. ''È mille volte più squisito di qualunque
cosa abbia mai mangiato!''), e Osamu (''testa di cazzo,''
soffierà Atsumu) si innamorerà di lui. Poi si
innamorerà anche di Sakusa, che gli rivelerà il
luogo segreto in cui tiene nascosta la cesta dei panni sporchi che
Bokuto e Atsumu non sono mai riusciti a trovare dopo due anni di
convivenza, e Sakusa si innamorerà di lui non appena Shouyou
gli dirà che a lui le parole crociate piacciono
moltissimissimo e che il disinfettante all’aloe vera
è il migliore.
Ma di Atsumu si innamorerà un po’ di
più. Andrà in camera sua e riderà
delle camicie organizzate per ordine cromatico, poi si
lascerà travolgere dalle sue mani affusolate che gli
accarezzano la schiena, e annegherà nella curva elegante del
suo collo che sembra essere stata fatta di proposito per accogliere la
forma del suo viso, e soprattutto nel modo in cui lo bacia.
Quanto ad Atsumu… Beh, anche Atsumu si innamorerà
di lui, ovvio.
Ma questa è un’altra storia, e la racconteremo
un’altra volta.
Note:
Frei, mi dispiace. Se vuoi tirarmi pomodori in faccia… beh,
non sai dove trovarmi, ma virtualmente puoi anche lanciarmi addosso un
camion, perciò sì insomma fai pure ti prometto
che rimarrò immobile e non fuggirò per farmi
colpire!!!
Sei una delle autrici più brave e brillanti che
io conosca e sono grata ogni giorno per le tue splendide storie (le
AtsuHina in particolare, ovvio haha!). Ti meritavi mille volte di
meglio, ma spero che comunque questa cosina stupida ti abbia strappato
un sorriso. Spero che continuerai a scrivere anche questo anno e a
graziare occhi e animo con i tuoi testi! (se hai notato i riferimenti a
Taylor Swift... GOOD JOB!)
Tanti auguri anche a Sara, + 21! Non so se stai effettivamente leggendo questa storia ma ti auguro che passerai una bellissima giornata, ci conosciamo poco ma sei meravigliosa! ♥
E grazie di cuore a tutt* voi per essere giunti alla fine di questa cosa
(bruttissima, ma mi sono divertita!) e buone feste! ♥
(La parte in cui Atsumu si domanda se mangiare uno scontrino
provocherà la comparsa sulla pelle di ciò che lo
scontrino riporta… beh, è accaduto davvero. Anni
fa - ma non troppi, era comunque il liceo - ero con una mia amica
finché lei perplessa alza lo sguardo su di me e mi dice: ma
secondo te, se mi mangio lo scontrino sotto la pelle mi compare tutta
la roba che c’è scritta sopra? Era seria, e non
era né fatta né ubriaca, giuro. Adios).
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