Cronache dal fronte

di Quasar93
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Era passato quasi un mese da quando Gintoki, Katsura e Takasugi avevano subito una sconfitta devastante dove avevano perso circa la metà dei propri uomini nonché Shuichi, un ragazzino molto giovane che seguiva Gintoki ovunque, la cui unica sfortuna era stata essere un’anima buona nel posto sbagliato al momento sbagliato. La guerra non era il posto per un pacifista.
Da allora i tre ragazzi avevano ottenuto nuove truppe, l’esercito si era riorganizzato per fornire a loro e agli altri comandanti coinvolti in quella battaglia nuovi uomini dai plotoni più numerosi e, inoltre, erano arrivate parecchie nuove reclute. Purtroppo, nonostante questo, i numeri complessivi dell’esercito non erano ancora sufficienti e quindi il loro distaccamento aveva deciso di chiamare davvero dei rinforzi da Tosa, dove si diceva ci fosse un grande conquistatore noto come il Drago di Katsurahama.
Questo comandante sarebbe arrivato a giorni ormai e la fazione dell’esercito di Gintoki, Katsura e Takasugi si era già spostata sulla costa e accampata vicino alla spiaggia appositamente per attendere i rinforzi che sarebbero arrivati via mare. Nonostante il clima generale nell’accampamento fosse tendenzialmente allegro e carico di aspettative lo stesso non si poteva dire di Gintoki.
“Tsk, cos’hanno da cantare sempre i soldati? Ormai sono due giorni che vanno avanti” si lamentò il ragazzo coi capelli argentati, la sua tipica espressione da pesce morto vagamente distorta dal nervoso, mentre si infilava il mignolo della mano sinistra nel naso.
“Cantano perché sono allegri, l’arrivo dei rinforzi domani o al massimo dopo domani li ha tirati su di morale. Di questi tempi, è tutto fuorché un male” puntualizzò Katsura, dicendo ad alta voce una cosa che Gintoki non solo sapeva benissimo, ma si era già sentito dire diverse volte negli scorsi giorni.
In tutta risposta il samurai coi capelli argentati sbuffò ancora. Era steso su un fianco sull’erba e si puntellava la testa con la mano destra mentre con la sinistra, dopo aver finito di esplorare l’interno della sua narice, si apprestava a lanciarne il contenuto addosso a Takasugi che fumava tranquillo lì vicino.
“Non ci pensare neanche” lo fulminò questi con lo sguardo, come se gli avesse letto nel pensiero.
Gintoki era così di cattivo umore che, una volta scoperto, non tentò nemmeno di provocare l’amico, lanciò la caccola altrove e si lamentò di nuovo del rumore che facevano i soldati con le loro canzoni.
“Certo che questa storia dei rinforzi non ti va proprio giù. Non che la tua compagnia normalmente sia particolarmente piacevole, ma in questi giorni ti stai impegnando a essere più insopportabile di Zura che insiste a correggerci sul suo nome!” sbottò Takasugi, stanco di sopportare le costanti lamentele dell’amico.
“non sono Zura, sono Katsura”
“Ecco vedi?” continuò, indicando il ragazzo coi capelli lunghi, ma di nuovo Gintoki non colse l’occasione di lanciarsi in un litigio rissoso con l’amico.
“Per quanto l’esempio di Bakasugi sia totalmente insensato nonché privo di fondamento logico devo concordare con lui, ultimamente sei davvero pesante Gintoki” commentò diretto Katsura “cosa dovremmo fare secondo te? Tornare in battaglia senza uomini? Non è la prima volta che ci mandano altre truppe, davvero non riesco a capire quale sia il tuo problema questa volta” concluse, aprendo gli occhi che fino a quel momento aveva tenuto chiusi per rilassarsi e fissando l’amico. Il suo tono era calmo, non era arrabbiato, soltanto genuinamente confuso.
Gintoki, capendo che il tono della conversazione stava lentamente scivolando da ironico a serio, si alzò a sedere e ricambiò lo sguardo degli amici cercando di mantenere la sua solita espressione annoiata ma senza riuscirci benissimo e quella punta di profondo fastidio, rabbia quasi, che si intravedeva dietro le iridi rosse non sfuggì agli amici che lo conoscevano da sempre.
“Il mio problema è che le altre volte ci avevano mandato soltanto degli uomini. Qui ci stanno mandando un comandante, come noi. È come se ci stessero dicendo che… Che quello che è successo è colpa nostra, che non siamo stati bravi abbastanza…” si fermò un attimo di parlare e, senza accorgersene, strinse i pugni così forte da farsi male. L’atmosfera tra di loro era cambiata così velocemente che per un attimo nessuno disse nulla, perplessi dal repentino cambio di toni. Inoltre nessuno degli altri due se la sentiva di contraddirlo, dopotutto come lui anche loro si sentivano responsabili dell’accaduto e si erano a loro volta chiesti le stesse cose dell’amico. Così a parlare fu di nuovo Gintoki.
“Lo sapete che ha la nostra età?” disse quasi come se non gli importasse, ricomponendosi un po’ e nascondendosi di nuovo dietro all’espressione da pesce morto.
“no, non ne avevo idea” rispose Katsura, guardandolo con interesse, così come Takasugi.
“me l’ha detto quello stoccafisso di Eiji qualche giorno fa. Proprio per questo il suo plotone farà squadra con noi. Non saremo più un trio, ma una squadra di quattro” concluse secco Gintoki, sputando finalmente fuori il rospo che lo stava rendendo così insopportabile.
“E così era questo che ti rendeva fastidioso oltre il limite del sopportabile?” lo fulminò Takasugi, assottigliando gli occhi così tanto che a malapena riusciva a vederlo e sottolineando il concetto colpendolo alla spalla con un pugno.
“Tutti ci sentiamo responsabili di quella sconfitta, Gintoki, ma non è respingendo i rinforzi che andrà meglio. Non penso ci stiano accusando di nulla. Semplicemente una squadra di quattro comandanti e relative truppe ha più possibilità di vittoria di una di tre. Salvo nelle operazioni congiunte dove c’erano altri gruppi il nostro ce l’ha sempre fatta per il rotto della cuffia, forse è un bene che questo nuovo comandante diventi dei nostri” commentò razionale come sempre Katsura, giusto un attimo prima di colpire Gintoki sulla spalla dove non l’aveva colpito Takasugi “e questo è per esserti tenuto l’informazione per te tutto questo tempo”
Gintoki si massaggiò le zone colpite e sbuffò ancora.
“Si può sapere cos’altro hai, primadonna?” lo affrontò ancora Takasugi, determinato a risolvere quel problema in un modo o nell’altro, mentre la possibilità di uccidere Gintoki stava salendo nella sua lista mentale delle possibili soluzioni.
“È nato a Tosa. È il rampollo di una nota famiglia di mercanti e viene qui con la fama di ‘grande conquistatore’ ma non conosciamo storie su di lui… Alla meglio sarà un figlio di papà viziato, alla peggio un peso da portarci dietro in battaglia. E non voglio un’altra persona che non è pronta alla guerra sulla coscienza. Il campo di battaglia non è posto per mercanti figli di papà”
Il riferimento a Shuichi non passò inosservato e di nuovo un silenzio pesante calò sul trio di amici, che si guardarono senza dire nulla.
“Vedrai che non sarà così. Porta con sé molti uomini ed equipaggiamenti, non sarà un totale sprovveduto” cercò di suonare convincente Katsura e stava per aggiungere altro ma poi notò Takasugi che gli faceva segno di no con la testa da dietro Gintoki.
“Hai ragione, Gintoki” disse quindi improvvisamente il comandante del Kiheitai, lasciando a bocca aperta gli altri due “mi secca ammetterlo, ma anche il mio orgoglio è rimasto ferito quando ho saputo che avevano chiamato addirittura un altro comandante e ora che tu mi hai detto che farà squadra con noi una parte di me è così furiosa che vorrei alzarmi e colpirti fortissimo”
“Ehy, aspetta, io cosa c’entro?” chiese improvvisamente spaventato Gintoki, indietreggiando visibilmente.
“Tu c’entri sempre. Comunque, nonostante questo, ha ragione anche Zura, ne abbiamo bisogno. E sono sicuro che non morirà come Shuichi, non ne abbiamo sentito parlare ma non vuol dire che non sia un abile spadaccino. E, se mi conoscete almeno un po’, sapete quanto mi sta costando dire queste parole”
Gintoki e Katsura annuirono, Takasugi aveva ragione. Per una volta era stato lui a portare nella conversazione un punto di vista intermedio, rubando il ruolo di mediatore a Katsura.
“Detto questo. Non esiste che facciamo amicizia con quello là” concluse, incrociando le braccia, e tornando a un comportamento che più gli si addiceva.
“Decisamente. Un figlio di papà non ha niente a che spartire con noi. Combatteremo insieme, ma poi starà alla larga dalle nostre scorte di sakè”
“E non gli diremo quando andremo al quartiere dei piaceri”
“Certo che no. Non esiste proprio che beviamo e andiamo a donne con un mercante”
Gintoki e Takasugi continuarono per qualche minuto su questi toni, esasperando il povero Katsura, già provato dal non essere stato lui a risolvere il conflitto precedente.
 “…Ragazzi. Era questo il problema? Non volete fare amicizia con una persona nuova?” chiese esitante, ricevendo in tutta risposta soltanto un “Taci Zura” urlato all’unisono da entrambi.
 
Il giorno dopo i tre ragazzi con alcuni dei loro uomini erano in piedi sulla spiaggia, la nave dei rinforzi ormai si vedeva chiaramente. Siccome il nuovo arrivato sarebbe stato in squadra con loro avevano dato a loro il compito di accoglierlo e fargli le dovute presentazioni.
Katsura aveva impiegato diversi minuti a cercare di convincere gli altri due ad essere quanto meno gentili ma non era sicuro di essere riuscito nel suo intento.
 
“Quindi è quello il famoso generale del Mare del Sud, il Drago di Katsurahama, Sakamoto Tatsuma?” chiese Takasugi, osservando il ragazzo in piedi sulla prua della nave.
“Non sono Katsurahama, sono Katsura” rispose l’amico, in modo totalmente inutile.
“Non stavo parlando di te!” sbuffò Takasugi, ormai così abituato alle idiozie dell’amico da non prendersela neanche “a differenza tua almeno ha un’espressione intelligente”
“Non sono un’espressione intelligente, sono Katsura”
“Ma chi ti vuole” lo riprese ancora Takasugi, sta volta trattenendo l’impulso di colpirlo.
“Non mi piace” esordì Gintoki, arrivando all’improvviso alle spalle degli altri e avvicinandosi al duo con il mignolo infilato nel proprio orecchio sinistro e sproloquiando ancora su quanto non andasse d’accordo coi figli dei nobili, per poi posizionarsi di fianco a Takasugi e guardarlo con la faccia di chi vuole attaccare briga.
“E poi di bambocci cresciuti nella bambagia, convinti di essere chissà cosa, mi basta già il figlio più grande di una qualche famiglia di samurai. O meglio diciamo il piccoletto di questa famiglia” ghignò e lanciò un’occhiata a Takasugi per vedere l’effetto delle sue parole, ghignando ancora di più quando vide che l’amico si stava innervosendo. Poi tornò a guardare la nave.
“Tanto anche quella nave sarà il giocattolo nuovo che gli ha comprato il papà. Mi ricorda un certo nanetto che fa il gran generale coi soldatini di legno che gli ha regalato il papà. Lasciatelo dire, se voi altri riuscite a farvi strada nella vita è perché il vostro papino la strada ve la compra. Ce la fate solo perché il vostro papà è un pezzo grosso”
Takasugi aveva ascoltato il monologo sconclusionato di Gintoki con crescente disappunto, mentre la vena che gli pulsava sulla tempia era sempre più vicina ad esplodere.
“Chi è che avrebbe dei pezzi di legno come soldati?” rispose, cercando di contenere l’istinto omicida che covava verso l’amico “E poi io sono già stato diseredato quindi che…”
“Ehhhh?? Ma guarda che io non parlavo affatto di te!” commentò fingendosi sorpreso Gintoki “Takasugi-kun, credevi che la tua fosse una famiglia ricca?” continuò a prenderlo in giro, facendo una smorfia dietro l’altra e usando perfino un onorifico per rivolgersi all’amico con un tono di voce assurdo “Cioè fammi capire, ti stai dando del bamboccio da solo?” sghignazzò ancora, facendo esplodere definitivamente il leader del Kiheitai che si mise a prenderlo a calci senza troppe cerimonie.
“Insomma la volte smettere voi due??” li riprese a quel punto Katsura, prima che iniziasse uno spettacolo a cui aveva già assistito innumerevoli volte.
“E poi io non sono un bamboccio, sono Katsura!” aggiunse poi, senza nessun motivo apparente, se non forse che anche lui era nato nobile.
“Ma vuoi tacere tu? Cosa c’entri!” lo sgridò Takasugi, senza smettere di colpire Gintoki.
Il nuovo arrivato nel frattempo era sceso della nave e, salito su una scialuppa, si stava dirigendo verso la spiaggia dove il trio battibeccava allegramente. Per qualche motivo era scuro in volto e si teneva una mano sul viso.
“Ehi ma cosa… “ iniziò Gintoki, e Takasugi gli andò subito dietro.
“Cos’ha da ridere quello là?”
Lo guardarono entrambi assottigliano gli occhi, indispettiti dal pensiero che l’ultimo arrivato potesse ridere di loro e delle loro truppe.
“Ehi tu! Non prendere in giro Takasugi-kun!” riprese allora a fare l’idiota Gintoki, nell’unico modo di gestire i conflitti che conosceva e senza perdere l’occasione di farsi beffe dell’amico.
“Guarda che il problema non sono io, sei tu che ci fai prendere in giro” rispose a tono l’altro, concludendo proprio nel momento in cui la scialuppa del Drago di Katsurahama approdava a riva. Il ragazzo non disse nulla e rimase in piedi sulla scialuppa guardando dritto davanti a se. Sovrastava gli altri di circa un metro e questo, unito alla sua impassibilità, mandò ancora più in bestia i due samurai.
“Ehi bastardo!” lo apostrofò Gintoki “che hai da ghignare tanto? Cos’ha Takasugi-kun di tanto ridicolo? Che si chiami così nonostante sia basso? Perché Taka vuole dire alto e lui è un nano?”
“Sei tu che stai ridendo di me” sbraitò il comandante del Kiheitai, senza essere minimamente calcolato dall’amico, troppo preso nel tentare di provocare il nuovo arrivato.
“Ehi, perché continui a ignorarci? Se ci prendi in giro agiremo da veri Joi e ti espelleremo dal paese!” nessuna reazione, anzi, l’altro sembrava soltanto ridere sotto i baffi.
“Ti ho detto di non ridere!” continuò Gintoki, sempre più infastidito, per poi rivolgersi all’amico “Takasugi-kun? Dici che questo qui merita una punizione esemplare?”
Il samurai coi capelli argentati continuava a fare l’idiota, ma iniziava quasi a preoccuparsi seriamente.
Cos’ha questo qui? Non reagisce per niente alle mie provocazioni
Pensò, sorpreso e iniziando a sentirsi vagamente a disagio
Anzi, nemmeno ci guarda! Fissa il campo di battaglia e ride. Questo deve essere uno davvero forte. Forse abbiamo davanti uno straordinario talent-
Gintoki non fece in tempo a finire il proprio pensiero che Sakamoto Tatsuma aprì finalmente bocca, solo per vomitare in faccia violentemente sia a lui che a Takasugi.
“Ahm, scusatemi. Soffro il mal di mare e mi è venuta la nausea, quindi fissavo l’orizzonte e non ho fatto caso a voi. Ma voi... chi siete?” disse infine, sconvolto e pallido come un lenzuolo.
“E punizione sia!” gridarono i due samurai feriti nell’orgoglio, sfilando le katana dall’obi e picchiandolo senza sfoderarle.
Dopo che Gintoki e Takasugi si furono ripuliti Sakamoto aveva tentato ripetutamente di scusarsi e tentare di instaurare un dialogo con loro, ottenendo solo di essere ignorato o minacciato di subire un’altra punizione. Non importava quante volte ci provasse, quei due avevano alzato un muro invalicabile. E lui che avrebbe tanto voluto fare amicizia con quei giovani comandanti di cui aveva tanto sentito parlare!

*****



Dall’arrivo di Tatsuma Sakamoto erano trascorsi alcuni giorni, dove i soldati e gli ufficiali avevano riorganizzato le truppe e ora, per la prima volta da quella devastante sconfitta, l’esercito si stava preparando ad affrontare una grande battaglia: la riconquista di un importante forte situato in un punto strategico. Fino a quel momento infatti avevano combattuto solo in guerriglie di poco conto, attendendo i rinforzi prima di partire all’attacco.
Durante quei giorni Sakamoto aveva provato più volte a scusarsi e ad attaccare bottone con gli altri tre comandanti della sua età, nonché i suoi futuri compagni di battaglia, ma aveva trovato solo un muro di indifferenza e cattiverie assortite da parte di Gintoki e Takasugi e qualche scusa e pacca sulla spalla comprensiva da parte di Katsura che comunque, dovendo scegliere, era rimasto sì in posizione neutra ma in compagnia dei suoi amici di sempre.
 
Finalmente era arrivata la fatidica sera prima della battaglia e tutti i soldati non di guardia si stavano preparando per la guerra. C’era chi si riposava, chi affilava la spada e chi si allenava da solo o con qualche compagno. Alcuni dei soldati avevano ripreso a cantare per esorcizzare la paura, rallegrando l’accampamento con le loro canzoni sugli eroi della guerra.
Gintoki, Takasugi e Katsura, come sempre invece, si erano trovati un loro posticino dove bere tranquilli. Era un po’ come se fosse il loro rito propiziatorio prima della battaglia e nessuno a parte loro doveva essere presente, nemmeno i loro uomini più fidati.
Sakamoto però, ignaro di questa tradizione, l’aveva vista come un’occasione di riprovare a fare amicizia con quelli che era sicuro sarebbero diventati i suoi nuovi amici, e così seguì i tre ragazzi prima alla loro scorta segreta di sakè e poi al posto in cui avevano deciso di passare la serata. Aspettò tranquillo che accendessero il fuoco e che si sedessero attorno al falò e poi, come se fosse la cosa più naturale del mondo, si sedette in mezzo a loro, proprio tra Takasugi e Gintoki.
“HAHAHAh allora ragazzi, come va?” si annunciò a voce altissima, ridendo da solo.
Gintoki e Takasugi processarono davvero la sua presenza solo in quel momento e si voltarono contemporaneamente nella sua direzione con un’espressione al limite tra l’adirato e l’esasperato.
“Cosa ci fai tu qui, mercante da due soldi? E devi per forza parlare a voce così alta?” lo apostrofò subito Takasugi, allontanandosi leggermente.
“Già… Questo è il nostro posto. Nessuno può venire a bere qui” continuò Gintoki, facendo l’opposto di Takasugi e avvicinandosi per guardarlo minacciosamente a decisamente troppi pochi centimetri dalla faccia. Per qualche motivo il suo gesto sortì l’effetto opposto a quello desiderato e Sakamoto scoppiò di nuovo a ridere a volume spropositato, facendo allontanare anche Gintoki nel vano tentativo di salvare almeno uno dei due timpani.
“Siete dei ragazzi divertenti! Dai, diventiamo amici! Siamo solo partiti col piede sbagliato!” disse ancora, imperturbabile, Sakamoto, come se le parole dei due ragazzi non l’avessero neanche sfiorato.
“No” si limitarono a dire secchi e all’unisono Gintoki e Takasugi, girandosi per dare le spalle al drago di Katsurahama che era seduto in mezzo a loro.
“Sakamoto-san, hai già compiuto un’impresa epocale, far andare d’accordo tra di loro questi due. Per stasera dovresti essere soddisfatto” sghignazzò Katsura, non troppo disturbato dalla presenza dell’altro ragazzo e decisamente più divertito dalle reazioni degli altri due, che lo stavano guardando in tralice anche in quel momento.
“HAHAHA niente onorifici per favore, chiamami solo Tatsuma” sorrise solare il ragazzo, che non sembrava minimamente offeso dal comportamento dei suoi coetanei.
“Ma perché ti sei ostinato che dobbiamo diventare per forza amici?” chiese seccato Gintoki, rifilandogli la versione esasperata del suo sguardo da pesce morto.
“Bhè perché vedi… A me la guerra in fondo non piace” rispose incredibilmente serio Sakamoto, il cui cambio rapido di tono attirò immediatamente l’attenzione di tutti e tre i ragazzi che lo fissarono nei suoi grandi occhi blu, improvvisamente più profondi di quanto non lo fossero mai stati fino a quel momento.
“so che per il momento è il posto dove devo essere, penso di poter dare man forte a voi comandanti e di poter aiutare tante persone sguainando la mia spada sul campo di battaglia ma… Non è a questo luogo che appartengo. Non mi piace uccidere a sangue freddo, anche se per una giusta causa. Ovviamente, quando devo, non esito a farlo. La guerra non ti lascia molta scelta il più delle volte. Così cerco almeno di tirarci fuori qualcosa di buono no? Una bevuta tra amici, uno scherzo in licenza. Penso che saranno queste piccole cose a salvarci a lungo andare” concluse, sfoderando un sorriso a labbra strette velato di tristezza, salvo poi scuotersi e ritornare a ridere.
“Bhè, ho parlato di divertirsi e poi sono stato io a tirare fuori quel discorso deprimente. Allora, facciamo amicizia?” chiese di nuovo, senza rendersi conto che nessuno degli altri tre lo aveva seguito nel nuovo repentino cambio di umore. Se ne accorse quando non gli arrivò nessuna battuta acida da Gintoki e Takasugi e nessuna pacca sulle spalle da Katsura.
“…ragazzi?” chiese, ingenuamente confuso.
Senza dire nulla Gintoki e Takasugi si alzarono e se ne andarono, senza scambiarsi una parola, diretti chissà dove con una delle bottiglie di sakè. Katsura invece rimase al suo posto, pronto a rispondere alle domande che sicuramente Tatsuma gli avrebbe rivolto. Dopotutto per quanto rumoroso e molesto non si meritava quel trattamento e, per quanto il ragazzo coi capelli lunghi condividesse in parte il pensiero degli amici non se l’era sentita di lasciarlo lì senza nemmeno una spiegazione.
“Zura… ma cosa…” chiese infatti il drago di Katsurahama, perplesso più per la mancanza di insulti che per altro e con ancora un’eloquente espressione interrogativa stampata in faccia.
“Non sono Zura, sono Katsura. Sakamoto-san, se ne sono andati così per via di quello che hai detto”
“Tatsuma” lo corresse a sua volta, senza cambiare espressione.
“Saka… Tatsuma, vedi il problema è che hai detto davanti a loro di essere fondamentalmente un pacifista” iniziò a spiegare Katsura, con gli occhi socchiusi e il suo solito tono tranquillo.
“E perché sarebbe un problema?” chiese ancora Sakamoto, sempre più confuso.
“Vedi noi… Gintoki soprattutto… Ha appena perso qualcuno coi tuoi stessi ideali. Un ragazzo, troppo giovane per arruolarsi ma che in qualche modo era finito nella sua unità. Non voleva uccidere, proprio come te. Ma il campo di battaglia non perdona. È morto tra le sue braccia. E Takasugi bhè... Per quanto faccia di tutto per dimostrare l’esatto opposto tiene molto a Gintoki, non vuole più vederlo stare a quel modo. E, se devo essere sincero, nemmeno io” fece una pausa e si soffermò un attimo ad osservare Sakamoto. La sua espressione era indecifrabile, era ancora confuso ma in parte forse… risentito?
“Se non ti dispiace ora andrò a cercarli. Buona notte Tatsuma” concluse quindi velocemente per poi prendere congedo, alzandosi. Per quanto non fosse contento di aver risposto seccamente a una persona tutto sommato gentile era molto più preoccupato che quei due si ubriacassero sriamente la sera prima di una battaglia di quella portata.
“Zura fermati! Io… Non intendevo questo. Ho già combattuto, so com’è il campo di battaglia, conosco la guerra!”
Katsura non gli rispose, ma gli rivolse un’occhiata eloquente di cui Sakamoto comprese immediatamente il significato, rattristandosi appena. Dopotutto era molto più sveglio di quanto desse a vedere.
 “So cosa pensate, che sia comandante solo grazie ai soldi di mio padre. Bhè non è così, ve lo dimostrerò!” rispose alla tacita accusa del samurai coi capelli lunghi, passando nel corso della stessa frase dalla delusione alla tristezza a uno sprazzo di entusiasmo finale che grondava sicurezza di sé da tutti i pori.
Katsura sorrise, in fondo in fondo quel ragazzo iniziava a piacergli.
“Staremo a vedere” commentò soltanto, per poi congedarsi davvero e andare alla ricerca dei suoi amici.
 
******
 
La battaglia infuriava già da diverse ore.
Le unità dei quatto ragazzi se la stavano cavando alla grande e ormai erano praticamente riusciti a far battere il nemico in ritirata. Alla fine questa battaglia si era rivelata una sorta di test della loro nuova formazione a quattro siccome gli altri plotoni presenti stavano facendo quasi solo da supporto. Pareva che tutto stesse andando nel verso giusto, nonostante fossero da soli il nemico ormai era quasi sconfitto. Tre dei quattro comandanti si trovavano ora al limite estremo del fronte, ben oltre l’obbiettivo ma intenzionati a far capire al nemico che non c’era modo di riprovare a prendersi il forte mentre Katsura stava consolidando le linee difensive e coordinando l’occupazione dell’edificio appena riconquistato.
 
Quel giorno Gintoki e Takasugi avevano combattuto fianco a fianco come mai fino a quel momento. Nessuno dei due lo aveva ammesso né lo avrebbe mai ammesso da lì in avanti ma il fantasma della precedente sconfitta pesava su di loro come un macigno, insieme al terrore di perdere uno dei loro più cari amici. Lo stesso fardello pesava anche su Katsura che, anche se gestiva le operazioni nelle retrovie, non mancava di tenere d’occhio quelle due mine vaganti note anche come ‘ i suoi migliori amici’.
Non che prima dell’ultima battaglia non avessero avuto paura di morire, certo, ma l’idea di morire effettivamente e davvero sul campo di battaglia gli era sempre sembrata lontana, sicuri di sé e delle proprie abilità fino a che quell’ultima sconfitta gli aveva insegnato che, purtroppo, non era così.
Inoltre tutti e tre avevano tenuto strettamente d’occhio Tatsuma Sakamoto e, chi prima chi dopo, avevano dovuto ammettere a loro stessi che con la spada sapeva il fatto suo. Ciò non di meno si erano tutti preoccupati di non finire a combattere schiena contro schiena con lui e di mantenere comunque una certa distanza. Poteva anche essere bravino a tirare di scherma, ma questo non voleva certo dire che ora potevano essere amici. Era soltanto un peso in meno, ecco tutto, ma non gli avrebbero affidato la loro vita al fronte come facevano tra di loro. Avevano già chi gli guardava le spalle e per quanto li riguardava potevano benissimo continuare a essere il trio che erano sempre stati, semplicemente con un aiuto occasionale in più.
 
Proprio in quel momento Sakamoto, che si era posizionato casualmente davanti al punto in cui stavano combattendo Gintoki e Takasugi, si destreggiò in una manovra tanto complessa quanto armoniosa e abbatté da solo quattro nemici. Poi, sempre casualmente, si girò a vedere le reazioni degli altri due.
Takasugi stava tenendo fermo un nemico in un confronto di lama e Sakamoto lo vide girare subito lo sguardo come per dar a vedere che non lo stesse affatto guardando mentre Gintoki non aveva visto per davvero, troppo impegnato a gestire un gruppetto di nemici ostinati che l’avevano preso di mira.
Lo Shiroyasha ne abbatté un paio senza troppi problemi, ma poi uno lo prese alle spalle e lo colpì di netto a una gamba, facendolo crollare in ginocchio. Anche da quella posizione Gintoki riuscì a abbattere un altro paio di nemici ma altri, accorgendosi che c’era un generale ferito, stavano accorrendo nella sua direzione.
“Merda!” gridò Gintoki “ma non si stavano ritirando questi??” imprecò ancora e, nonostante fosse in posizione di netto svantaggio, riuscì ad abbattere un altro nemico, strisciando qua e là in ginocchio e trincerandosi dietro la spada quando serviva.
Takasugi lo vide quasi subito e scattò nella sua direzione, ma i nemici che stava affrontando gli bloccarono la strada.
“Gintoki, razza di idiota! Azzardati a morire qui e verrò all’inferno solo per picchiarti” gli urlò, sovrastando il rumore metallico delle spade che cozzavano tra loro.
“Non preoccuparti, non finirò mai all’inferno prima di un nano come te!” gridò Gintoki in risposta, stampandosi in faccia un ghigno non troppo convinto. Stava usando la propria spada per difendersi alla meno peggio, appoggiando la lama sull’avambraccio sinistro e parando la maggior parte dei colpi, ma ormai era in quella posizione da un po’ e non c’erano più spiragli per contrattaccare. Inoltre iniziava a sentire il peso dei colpi nemici, che sembravano volerlo schiacciare sempre più verso il suolo.
“Sarà il caso, non esiste che tu te ne vada da vincitore” gridò ancora Takasugi, riferendosi alla loro sfida di duelli personale, cercando di mantenere un tono divertito mentre tagliava con foga tutto ciò che lo separava dall’amico.
“Oh, Bakasugi, ma questo succederà a prescindere!” ghignò ancora Gintoki, respingendo l’ennesimo attacco nemico.
“Quasi quasi ti lascio lì!”
Era incredibile come quei due riuscissero a scherzare a un soffio dalla morte. Sakamoto si ritrovò a chiedersi se per caso la morte fosse stata al loro fianco fin da prima della guerra, da un tempo così lungo che ormai non notavano nemmeno più la sua falce sospesa sopra le loro teste. Poi un altro pensiero attraversò la sua mente. No, non è che non avevano paura di morire. Si fidavano l’uno dell’altro al punto che la sola idea di avere un amico che gli guarda le spalle bastava a dargli forza. Potevano disperarsi, ma sceglievano di prendersi in giro perché sapevano che l’altro era lì. Dovevano decisamente diventare amici.
Proprio in quel momento uno dei nemici sfondò la guardia di Gintoki e lo colpì in affondo. Fortunatamente lo Shiroyasha lo vide in tempo e si spostò quel tanto che bastava per essere colpito al fianco e non in un punto vitale. Ciò nonostante si sentì svenire, aveva già perso davvero troppo sangue dalle vecchie ferite e questa stava imbrattando di rosso le sue vesti bianche.
“Cazzo…” mugugnò, cercando di farsi forza con tutte le energie che aveva per restare vigile e mantenere un minimo di guardia.
Vide Takasugi urlare qualcosa e correre nella sua direzione, non riusciva più a sentirlo e lo vedeva vagamente sfuocato. Il comandante del Kiheitai l’aveva quasi raggiunto quando un nemico gli si parò davanti, bloccandogli la strada. Gintoki, in ultimo disperato tentativo di non svenire, si strinse con la mano la ferita che aveva al fianco provocandosi abbastanza dolore da rimanere sveglio e, stava per trincerarsi di nuovo dietro la spada quando tutti i nemici attorno a lui caddero a terra feriti o morti. Alzò stupito lo sguardo e vide una figura in haori blu troneggiare di fronte a lui.
“eh-eh” ghignò soddisfatto Sakamoto, certo che, dopo quella prodezza, i ragazzi avrebbero finalmente riconosciuto la sua forza. Dopotutto aveva salvato niente meno che lo Shiroyasha in persona da una situazione disperata! Forse finalmente anche lui avrebbe avuto degli amici fortissimi su cui contare. Attese giusto qualche secondo e poi si girò, guardando Gintoki che ora era seduto a terra sfinito a qualche passo da lui.
“Ce la fai ad alzarti?” gli chiese, sorridendo solare, mentre anche Takasugi, che si era liberato, li aveva raggiunti posizionandosi diffidente al fianco di Gintoki.
“Certo” gli rispose secco il samurai coi capelli argentati, piuttosto seccato dall’essere stato salvato dal nuovo arrivato. Provò ad alzarsi, ma la gamba che l’aveva costretto a terra poco prima ancora non ne voleva sapere di collaborare e ricadde subito al suolo.
“Sicuro?”
“Certo” ripeté, rifilando a Sakamoto la versione seccata del suo sguardo da pesce morto e lanciando poi un’inequivocabile occhiata a Takasugi mentre gli sussurrava a denti stretti ‘tirami su, svelto’. Takasugi capì al volo e lo sollevò immediatamente da terra passandogli un braccio attorno alla vita e uno sulle spalle. Il fatto che Takasugi l’avesse aiutato al primo colpo, velocemente e senza lamentarsi o prenderlo in giro era indicativo di quanto avessero deciso di fare gruppo contro il nuovo arrivato. Se Katsura li avesse visti si sarebbe messo a ridere e poi li avrebbe colpiti con un pugno al centro della testa, non necessariamente in quest’ordine.
“Ma…” iniziò Sakamoto, sconfortato dal comportamento degli altri due. Dopotutto l’aveva appena salvato, perché dovevano essere così cattivi con lui? Poi scosse la testa, non si sarebbe fatto demoralizzare.
“… davvero, se vi serve una mano sono qui. Sono sicuro che lui si stia dissanguando parecchio da quelle ferite, posso dargli un’occhiata se volete. Ormai i nemici si sono ritirati, questi dovevano essere gli ultimi” chiese, in un tono comunque insolitamente basso e poco energico.
“non mi sto dissanguando, sto benissimo” brontolò Gintoki, mentendo spudoratamente mentre respingeva con tutte le sue forze l’ennesimo capogiro, stringendosi inconsciamente più forte a Takasugi.
“E lui è più basso di te, potrei portarti io più agevolmente” puntualizzò ancora Sakamoto.
“Davvero, sto benissimo”
“Ma se stai imprecando a ogni passo!”
“Non è ver- ahia cazzo!” si contraddisse nel giro di un secondo, era scivolato e Takasugi l’aveva stretto forte per non farlo cadere, finendo per spingere sulla ferita ancora aperta.
“E va bene, ora basta” disse Katsura, comparso all’improvviso alle spalle del trio.
“…Zura?” chiese interrogativo Gintoki.
“non sono Zura, sono Katsura. I nemici si sono ritirati, non li inseguiremo. Ci basta aver preso l’avamposto poco dietro di voi” spiegò rispondendo alla domanda inespressa degli amici.
“Stanno già montando il campo lì dentro. Takasugi, sei quello più in forma, fai un giro qui intorno e occupati di eventuali nemici rimasti. Sakamoto, porta Gintoki in infermeria. Io farò un giro a cercare gli altri uomini dispersi più avanti e riporterò tutti a casa” concluse perentorio in un tono che non lasciava spazio a repliche. Era stanco dalla battaglia e non aveva di certo voglia di assistere a quel teatrino un’ennesima volta. Il suo sguardo era chiaro, era come se stesse urlando a gran voce a tutti ‘comportatevi da adulti una buona volta’.
Takasugi e Gintoki sospirarono, conoscevano bene l’amico e non provarono nemmeno a opporsi. Il comandante del Kiheitai lasciò l’altro tra le braccia di Sakamoto e partì per la missione che gli aveva assegnato Katsura, allontanandosi con quest’ultimo.
“Fa sempre così?” chiese Sakamoto, ritrovando il sorriso, divertito al pensiero che una sola frase del ragazzo coi capelli lunghi avesse sortito un tale effetto su quelle due mine vaganti.
Sulle prime Gintoki non rispose, e non lo fece neanche mentre Sakamoto lo afferrava nello stesso modo in cui lo stava tenendo Takasugi né mentre si incamminarono verso l’infermeria.
Camminarono per un po’ in quel modo, ma la gamba di Gintoki lo reggeva sempre meno e ormai più che zoppicare si stava trascinando appoggiato a Sakamoto. Il drago di Katsurahama se ne accorse e, senza aspettare o chiedere il permesso, lo sollevò di peso e se lo caricò sulla schiena tipo zainetto.
“Ehi ma che fai? Ce la faccio a camminare” sbraitò Gintoki.
“No, non è vero. E visto che comunque ti stavo portando di peso almeno lasciami essere comodo”
“Nessuno ti ha mai chiesto niente!” ringhiò ancora, ma poi tacque un attimo. Si stava comportando come Takasugi.
Tutta questa storia della sconfitta, di Shuichi, dei rinforzi… Forse aveva perso di vista la realtà. Forse il ragazzo che lo stava portando sulla schiena non era un antagonista venuto a metterlo in cattiva luce, né qualcuno pronto a ricordargli costantemente che era lì solo perché loro avevano fallito. Forse era davvero solo un ragazzo come loro, che cercava di divertirsi come poteva in mezzo a quell’assurda carneficina.
“Grazie per prima” disse quindi improvvisamente, senza ovviamente mettere Sakamoto al corrente di tutto il filo di pensieri che l’aveva portato fin lì. Ma a lui non parve importare, si mise a ridere col suo solito volume di voce decisamente troppo alto e allegro.
“Non c’è di chè, Kintoki!”
“Ehy! Guarda che quello non è il mio nome. Ma per niente proprio. Io mi chiamo Gintoki!”
“Certo, Kintoki, e io cos’ho detto?”
“Gintoki. Con Gin di argento. Non Kintoki hai capito? Non sono un coglione!”
“HAHAHAHHAHAH ok Mantoki, ci starò attento!”
“Gintoki ho detto! Gintoki. Gin – Toki. E poi non puoi fare questa gag sbagliando un nome, abbiamo già Zura per quello. Non fa ridere se diventa una cosa che facciamo tutti. Mi stai ascoltando? Sakamoto?”
Ma ormai l’altro ragazzo era partito per la tangente, e per quanto Gintoki gli stesse urlando nelle orecchie lui rideva così forte da non sentirlo. Il primo passo era fatto.
Gintoki, dal canto suo, si chiese se dargli finalmente il beneficio del dubbio non fosse stato un errore madornale.
 
*****
 
Il forte che avevano conquistato era molto grande e diviso in vari edifici.
Nella magione c’era così tanto spazio che sia i quattro plotoni dei giovani comandanti che il gruppo del generale Enji, con ai suoi ordini altri tre plotoni e relativi comandanti, ci stavano largamente.
Non appena furono arrivati al campo, in pieno pomeriggio, Katsura era immediatamente andato alla riunione strategica con Enji e gli altri comandanti, a nome di tutti e quattro i membri della sua squadra. Gintoki era stato portato in infermeria da Sakamoto, che poi era sparito chissà dove e anche Takasugi, finito il giro di perlustrazione, era andato a farsi medicare qualche ferita.
Non appena la riunione fu terminata, qualche ora dopo, il samurai coi capelli lunghi cercò gli amici ma nell’ospedale da campo non ce n’era traccia. Katsura interrogò quindi il medico, che gli disse che siccome i due samurai non erano feriti gravemente li aveva rattoppati velocemente e mandati a riposare nei loro alloggi. Dopo essersi fatto dire dove li avevano stanziati per la notte li raggiunse e notò che avevano sistemato la stanza che gli avevano assegnati con solo tre futon, nonostante fosse stato deciso che i 4 comandanti della loro squadra avrebbero dormito assieme. Gintoki era steso su uno di essi, sul fianco. Vicino a lui c’era una stampella ma, a parte questo e sembrava in forma. Takasugi era lì accanto, seduto sul suo futon, e stava accordando lo shamisen. Entrambi indossavano solo uno yukata leggero che, aprendosi sul petto, rivelava le diverse fasciature che avevano sul corpo. I due, neanche a dirlo, stavano bisticciando animatamente tra di loro e, non appena Katsura captò il nome di Sakamoto, fece finta di non sentire e di non essere neanche entrato. Scivolò fuori e si chiuse le porte scorrevoli alle spalle, con tutta l’intenzione di andare a sua volta a lavarsi, cambiarsi e medicarsi le ferite superficiali che aveva.
Se inizialmente Sakamoto Tatsuma li aveva fatti avvicinare come mai prima d’ora, facendoli addirittura andare apertamente d’accordo, non voleva sapere cosa sarebbe successo ora che evidentemente avevano sviluppato opinioni diverse sull’argomento.
 
“Non sto dicendo che dobbiamo fare amicizia con lui” disse seccato Gintoki, rotolandosi annoiato più vicino a Takasugi, afferrando il lembo di una delle sue fasciature e tirandolo per infastidirlo. Takasugi gli colpì la mano con uno schiaffo, decisamente infastidito dal comportamento molesto dell’amico.
“Stai dicendo esattamente questo” grugnì, riprendendo ad accordare il suo strumento.
“No Bakasugi, per l’ennesima volta. Sto solo dicendo che forse siamo stati troppo duri con lui” continuò il samurai coi capelli argentati, afferrando di nuovo il lembo di tessuto e tirandolo ancora.
“la vuoi smettere di toccarmi?”
“Tecnicamente non ti sto toccando”
“ma stai toccando qualcosa di attaccato al mio corpo. Vai via, se ti annoi vai a disturbare il tuo nuovo amico” asserì secco Takasugi, colpendo di nuovo la mano di Gintoki “e lasciami accordare lo shamisen”
“Per l’ennesima volta, non siamo amici. Ma devi ammettere che su campo ci sa fare. L’hai visto anche tu, non negarlo”
“Si bhè, e allora?” confermò finalmente Takasugi, fingendo nonchalance.
Gintoki si rotolò ancora un po’ sul futon e si scaccolò come se niente fosse, attaccando la caccola allo shamisen di Takasugi che sbiancò per la rabbia. L’altro non ci fece nemmeno caso e continuò con il suo discorso.
“E allora sto dicendo che possiamo dargliela una possibilità”
“L’unica possibilità che c’è al momento è la tua morte, Gintoki. Togli quella schifezza dal mio shamisen ORA”
Gintoki gli fece il verso e si rimise comodo sul suo futon, ignorando le proteste dell’amico.
“Perché sei così restio a dargli una chance? Se quel giorno, alla Shoka Sonjuku, non avessi fatto lo stesso con te ora non saremmo qui” disse improvvisamente serio Gintoki, guardando Takasugi coi suoi grandi occhi cremisi, più vividi del solito seppur incorniciati nella sua espressione da pesce morto.
Takasugi non sapeva come rispondere. L’amico l’aveva preso alla sprovvista con quell’affermazione. Quindi, come sempre, quando Takasugi non sapeva quali emozioni stava provando o perché le stava provando, si arrabbiò.
“Ti sei bevuto il cervello? Non è lontanamente la stessa cosa!”
“E’ esattamente la stessa cosa”
Senza rendersene conto si erano avvicinati e si stavano mettendo le mani addosso.
“Dillo di nuovo se hai il coraggio!” gridò Takasugi, spiaccicando le mani in faccia a Gintoki, rendendo il suo viso una smorfia. Il samurai coi capelli d’argento, dal canto suo, gli stava tirando i capelli con una mano mentre con l’altra cercava di liberarsi.
“E’ eshattamente la shtessha cosha” biascicò l’altro, cercando di parlare mentre il ragazzo coi capelli viola gli premeva le mani sulla bocca.
Poi, improvvisamente, una risata fragorosa ruppe il silenzio, seguita da un veloce colpo di tosse volto ad attirare l’attenzione. Gintoki e Takasugi, mezzi aggrovigliati dalla loro rissa, si fermarono e si voltarono. Sulla porta c’era Sakamoto e con lui Katsura.
“Potevate dirmelo che siete così intimi, non avrei insistito tanto HAAHAHAHA” li prese in giro il ragazzo con la voce possente, scatenando immediatamente un ‘non siamo intimi!” urlato in coro dai due samurai che si staccarono alla velocità della luce.
“Sistematevi quegli yukata, dobbiamo andare in un posto, vi piacerà” disse serafico Katsura, che si era a sua volta sistemato e indossava uno yukata leggero verde sul quale ricadevano sciolti i capelli che di solito portava legati, segno che qualsiasi cosa dovessero fare non aveva niente a che vedere con l’esercito. Anche Sakamoto era vestito informale, indossava uno yukata marrone rossiccio e sorrideva così tanto che Takasugi si chiese se gli fosse venuta una paresi facciale.
“Io con quello là non ci vengo, e tu, Zura, sei un traditore” brontolò Takasugi, riprendendo per l’ennesima volta la sua attività di accordare lo shamisen ignorando i presenti.
“Non sono Zura, sono Kat-” lo corresse l’amico, ma prima che potesse finire Gintoki gli stava già parlando sopra.
“Suvvia Bakasugi, almeno andiamo a vedere”
“No” rispose secco.
“Te ne pentirai sicuramente se rimarrai qui HAHAHAHA” cercò di convincerlo anche Sakamoto, ricevendo in cambio solo un’occhiata gelida e tagliente.
“Bhè fai come vuoi, oh basso amico mio. Io vado a vedere. Zura è vestito da persona normale e sai che capita raramente. Qualsiasi cosa abbiano organizzato mi sembra valga la pena di dare almeno un’occhiata” sorrise pigro il samurai coi capelli argentati e Katsura, mentre lo correggeva per l’ennesima volta sull’uso corretto del suo nome, lo aiutò a mettersi in piedi e gli passò la stampella.
“Fa come vuoi” sputò fuori Takasugi, con un tono apparentemente neutro ma che Gintoki interpretò alla perfezione come ‘sono molto offeso che la nostra amicizia sia stata messa sullo stesso piano di un’ipotetica relazione con questo mercante da due soldi rumoroso, e ora mi pianti pure qui per andare a fare i kamisama solo sanno cosa con lui e quell’altro traditore coi capelli lunghi. Non voglio diventare un amico di serie b né sono sicuro di essere pronto a far entrare un’altra persona ma non ti parlerò di questa mia paura neanche tra mille anni, dovessero amputarmi la lingua. Quindi fottiti’. Un osservatore esterno potrebbe pensare che Gintoki avesse azzardato quest’interpretazione, ma il ragazzo conosceva così bene Takasugi, essendoci cresciuto insieme negli ultimi 8 anni, che in realtà aveva indovinato con un’accuratezza superiore al 95%. Il 5% in dubbio era riferito alla quantità di insulti finale. Ma questo non voleva dire che fosse d’accordo o che non reputasse tali timori stupidi e infondati. Quindi finì di alzarsi con l’aiuto di Katsura e si diresse fuori dai loro alloggi senza più dire una parola, convinto che prima o poi l’amico li avrebbe raggiunti. Tanto parlargliene non sarebbe servito a nulla, le amicizie e le simpatie non si costruiscono spiegandole. Quando avrebbe avuto voglia di mettere da parte il suo orgoglio e di conoscere effettivamente il nuovo arrivato avrebbe avuto poi modo di decidere da sé se davvero non gli piaceva o se era tutta una posa.
“Dici che il vostro amico ci raggiungerà?” chiese Sakamoto, contrariato dal non essere riuscito a coinvolgerli tutti, distraendo Gintoki dai suoi pensieri.
“Arriverà. Ha solo bisogno del suo tempo” commentò vago Gintoki, zoppicando al seguito degli altri due.
 
Il trio raggiunse il cortile interno di un gruppo di case che erano state adibite a dormitorio dei soldati, abbastanza lontano dagli appartamenti del generale Enji e abbastanza grande da ospitare chiunque fosse in grado di reggersi sulle sue gambe e volenteroso di festeggiare la vittoria.
Lo spiazzo era illuminato da diversi falò di varie dimensioni, alcuni soldati stavano strimpellando e cantando canzoni allegre e in tutti gli angoli c’erano truppe che bevevano e mangiavano. La quantità e la qualità del sakè era insolita per loro, specie a così poco tempo da una sconfitta. Gintoki si girò sorpreso verso Sakamoto che gongolò soddisfatto dondolandosi avanti e indietro sui piedi, capendo in pieno quale fosse la perplessità del ragazzo.
“Bhè vedi, ho organizzato tutto io HAHAH essere un mercante ha anche i suoi vantaggi. Prendetelo come un mio ringraziamento per avermi accolto tra di voi HAHAHHA”
Gintoki sorrise, quel ragazzo iniziava a stargli effettivamente simpatico. E questa simpatia non fece che aumentare quando gli disse che per loro quattro aveva tenuto da parte una selezione speciale.
“…peccato che alla fine saremo solo in tre” concluse, mentre si sedevano attorno a uno dei falò, leggermente intristito dalla cosa.
Gintoki allora gli mise una mano sulla spalla e gli parlò gentilmente, forse per la prima volta da quando si conoscevano.
“Non devi dare peso ai comportamenti di Takasugi. È fatto così. Ci conosciamo da quando abbiamo circa 10 anni e da quando ci siamo visti la prima volta prima che ci parlassimo davvero è passato almeno un mese, forse di più, in cui l’unica cosa ad avere un dialogo erano le nostre spade di legno” disse, sorridendo nostalgico al pensiero degli allenamenti alla Shoka Sonjuku “Zura lo conosce anche da prima, non so come fosse andata tra loro, ma immagino in maniera simile”
Katsura annuì, mentre correggeva Gintoki sul suo nome.
“Non serve neanche che ti dica che non ha avuto una vita facile finora, chi di noi l’ha avuta?”
Fu il turno di Sakamoto di annuire e poi, per scacciare l’atmosfera triste che si stava creando, tirò fuori una bottiglia di sakè pregiato.
“Bhè, mentre lo aspettiamo direi di cominciare, questa festa non aspetterà un mese per rivolgerci la parola HAHAHA”
Anche Gintoki e Katsura risero, sapendo quanto Takasugi si sarebbe divertito a bere con loro e immaginandolo invece da solo in camera a strimpellare con quel coso infernale.
 
Erano passate alcune ore dall’inizio dei festeggiamenti e ormai Gintoki, Katsura e Sakamoto, così come quasi tutti i soldati, erano abbastanza ubriachi.
Avevano passato quel tempo raccontandosi storie sulla loro vita e sulle battaglie affrontate fino a quel momento e ridendo insieme. Ogni tanto si univano ai canti e ai balli dei soldati e qualcuno aveva anche iniziato a suonare un po’ di musica d’accompagnamento. Takasugi non si era visto per tutta la sera ma, nonostante Sakamoto di tanto in tanto se ne preoccupasse Gintoki e Katsura erano abbastanza tranquilli al riguardo e gli intimavano di avere pazienza.
 
A un certo punto, non sapevano bene nemmeno loro come, Sakamoto e Gintoki erano finiti al centro dello spiazzo più grande. Il samurai coi capelli d’argento si reggeva con un braccio a Sakamoto e con l’altro alla stampella, riuscendo in qualche modo a rimanere in piedi nonostante fosse zoppo e ubriaco. L’altro era oltre ogni limite della decenza e stava ridendo da così tanto tempo che era un miracolo non si fosse soffocato. Le risate erano alternate solo da una canzone che i due stavano cercando di mettere insieme mentre un soldato gli suonava l’accompagnamento.
“N-no no no Tatsuma, no. Deve essere più tipo...” Gintoki si schiarì la voce e intonò “Di SadaSada tra un millennio e più ancor si parlerà non certo per le sue virtù né per la sua bontà. Col culo al caldo se ne sta e con gli amanto a patteggiar, quel buono a nulla fa, tutti quanti guerreggiar!”
“HAHAHAHAH mi piace Kintoki! Mi piace” gridò Sakamoto, per poi andargli dietro, sullo stesso ritmo.
“fenomeno d'incapacità, nei libri di storia lui sarà, SadaSada shogun fasullo della terra!”
“Bravo Tatsuma, hai preso il ritmo!” rise Gintoki, bevendo da una bottiglia che gli stava passando un soldato. Le truppe a loro volta ripresero la frase di Sakamoto cantando a gran voce mentre chi suonava teneva il ritmo che stavano costruendo.
Proprio in quel momento arrivò Katsura, portando un fantoccio che raffigurava lo Shogun e iniziando a farlo ballare in modo ridicolo, per poi aggiungere a sua volta una frase alla canzone.
“Sul trono sta seduto là, lui gioca a fare il re, neanche sa di far pietà, ridicolo com'è!”
“HAHAHH bravo Zura, bravo!” gridò Tatsuma, ridendo a crepapelle del fantoccio e di Katsura stesso, visibilmente ubriaco.
“ma quando gli amanto se ne andran, il comodo suo più non farà, va' via, shogun fasullo della terra! va' via, shogun fasullo della terra!” gridò Gintoki, scivolando a sedere accanto al fantoccio e infilandosi dentro i suoi vestiti. Katsura l’aveva imbottito per farlo sembrare grasso e ora Gintoki si dondolava cantando con quell’imbottitura addosso, fingendo di essere SadaSada, mentre Katsura con un bastone cercava di colpirlo, ridendo.
“ci tartassa con la guerra e ci porta tutto via, ma un giorno lui si pentirà di ogni azione sua” cantò ancora a voce altissima Sakamoto, mentre anche lui insieme a Katsura interpretava i ribelli joi che cercavano di cacciare e picchiare SadaSada-Gintoki. I soldati gli andavano dietro cantando e suonando, apprezzando parecchio la canzone che i tre comandanti stavano mettendo insieme.
“E fino a che con noi joishishi, un esercito ci sarà, i terreni che ci ruba, scomparire si vedrà. Neanche avrà tempo di dir "bah" che seppuku dovrà fa” concluse in calando Gintoki, inginocchiandosi ignorando il male alle gambe. Afferrò la stampella che era ancora nei paraggi e, mimando la canzone, finse di fare Seppuku, lasciando che la parte più’ lunga dell’ausilio gli scivolasse al fianco, collassando poi al suolo.
Tutti si fermarono un attimo di cantare per scoppiare a ridere fragorosamente e poi ripresero col ritornello, in coro.
“SadaSada shogun fasullo della terra!” gridarono, mentre ogni soldato iniziava ad aggiungere gli epiteti che gli venivano in mente, cantando a voce sempre più alta.
“Quell'avido, cupido”
“pavido, stupido!”
“zotico, lepido”
“stolido, trepido!”
“ladro, rapace ed incapace d'uno shogun fasullo della terraaaaa!”
La canzone finì tra le risa generali.
Sakamoto e Katsura si abbracciarono e barcollarono verso il falò lasciando Gintoki là dov’era, con ancora adosso i vestiti del fantoccio.
“Ehy! Ehy ragazzi! Ehy!” gridò, distraendosi ogni tanto per ridere quando gli tornava in mente la canzone. Era troppo ubriaco per preoccuparsi per troppo tempo consecutivamente.
“Ragazzi, non ce la faccio ad alzarmi da solo” chiese ancora, tentando di rimettersi in piedi ma scivolando ogni volta. Nelle sue condizioni era impossibile che riuscisse a mettersi in piedi con la stampella da solo. Stava per rinunciarci e dormire lì quando una mano entrò nel suo campo visivo. L’afferrò senza nemmeno guardare di chi fosse e passò il suo braccio sul suo collo per reggersi, mentre il suo soccorritore gli passava la stampella e lo aiutava a issarsi.
“In effetti, mi stavo perdendo uno spettacolo di alto livello” disse una ben nota voce ironica e tagliente. Solo in quel momento Gintoki alzò lo sguardo per mettere a fuoco Takasugi.
“Bakasugi! Sei venuto”
“Sapevo che voi due da soli non eravate affidabili. Bella canzone” sghignazzò, e fece per dirigersi dov’erano seduti a bere ancora Katsura e Sakamoto, senza commentare assolutamente il fatto che li avesse raggiunti solo diverse ore dopo né cos’avesse intenzione di fare da lì in avanti.
Gintoki allora piantò i piedi, per quanto possibile, frenando l’amico, e con la testa indicò un tronco vicino a un falò diverso da quello dov’erano seduti gli altri due. In un gesto di insolita magnanimità Takasugi lo accompagnò là e si sedettero vicini.
“Prima che tu possa dire qualsiasi cosa, Gintoki, no, non vuol dire che io abbia deciso di diventare suo amico”
“certo che no” disse ridendo Gintoki “però hai sentito la canzone. Da quanto sei qui?” chiese ancora, con l’ingenuità dell’ebrezza che lasciava che le parole scivolassero fuori dalle sue labbra senza davvero pensare.
Takasugi arrossì.
“Non da molto”
“Certo” acconsentì sorridendo Gintoki “Certo” ripetè, non essendo sicuro se la prima volta l’aveva detto o solo pensato.
“tsk” borbottò quindi Takasugi “cosa volevi dirmi?”
“Il fatto che io voglia fare amicizia con lui non vuol dire che tu o Katsura valiate in qualche modo meno per me ok? Non serve essere geloso, quello che abbiamo noi tre nessun mercante rumoroso ce lo porterà mai via. Non è di questo che si tratta”
Takasugi arrossì ancora, violentemente questa volta. Come poteva Gintoki scoprire così le sue carte? Poi lo guardò bene in faccia, era così oltre il limite della decenza che qualsiasi inibizione doveva essere andata da tempo.
“Da quando sei così interessato ai sentimenti tu?”
“Da quando qualcosa ti sconvolge al punto da non venire a bere con noi”
Takasugi a quel punto si alzò e se ne andò mollandolo lì. Gintoki ubriaco era una cosa, Gintoki ubriaco che tirava fuori discorsi che dovevano stare ben sepolti un’altra. E quella sera aveva già fatto uno sforzo enorme a venire a vedere la loro festa e a trovare anche la voglia di uscire allo scoperto. Poi ci ripensò, tornò indietro e si caricò l’amico, rimettendolo più o meno in piedi tra la sua spalla e la stampella.
“Sigh. Sono troppo sobrio per questo” si lamentò, mentre Gintoki sorrideva e ridacchiava con la faccia più ebete che gli avesse mai visto in faccia “una sola parola di quello che hai detto poco fa con gli altri e ti taglio la lingua e i mignoli, chiaro?”
Gintoki non gli rispose, così Takasugi si girò verso di lui e gli afferrò le guance con la mano libera, costringendolo a guardarlo in faccia.
“Chiaro?”
“chiuaru” biascicò il ragazzo coi capelli argentati, cercando di parlare con le guance spiaccicate dalla mano del comandante del Kiheitai e poi insieme raggiunsero gli amici, venendo accolti da una risata fragorosa e da copiose quantità di alcol.
 
Da quando Takasugi li aveva finalmente raggiunti era trascorso abbastanza tempo da far si che quasi tutti i soldati ormai fossero andati a dormire, lasciando svegli solo loro quattro e qualche uomo qua e là. Avevano ripreso da dove avevano lasciato bevendo e raccontando. Soprattutto Takasugi aveva bevuto tanto e in fretta, incapace di sopportare gli amici ebbri e più idioti del solito completamente sobrio.
In quel momento Gintoki era mezzo svenuto seduto a terra e con la schiena appoggiata a uno dei tronchi che erano attorno al falò, ormai morente. Katsura stava perlustrando la zona gridando di tanto in tanto “è l’una di notteee e tutto va beneee” nonostante non fosse l’una di notte e chiaramente non stesse andando tutto bene. Sakamoto aveva sottratto a Takasugi la pipa, sfilandogliela dalle mani in un momento di distrazione, e stava fumando chissà cosa con la testa appoggiata a quella di Gintoki. Takasugi, ormai in preda alla disperazione, finito il momento di euforia dell’alcol era scivolato in una sbronza triste che stava dimostrando al mondo suonando una melodia deprimente con lo shamisen, nonostante i diversi tentativi degli altri tre di buttarglielo nel falò una volta per tutti. Il momento peggiore fu quando iniziò ad accompagnare la musica con qualche sorta di testo poetico che canticchiava a mezza voce, troppo sbronzo per pronunciare frasi sensate.
Fu in quel momento che il generale Enji raggiunse il luogo della festa, svegliato da Katsura che era andato a gridare troppo vicino ai suoi alloggi.
“Sakata, Takasugi, Katsura, Sakamoto! Vengo a vedere cosa succede e cosa mi ritrovo? I miei comandanti che sono diventati quattro bifolchi canori e ubriachi oltre il limite della decenza. Sparite nei vostri alloggi prima che vi degradi a sguatteri” gridò, fuori dalla grazia divina, scatenando solo le risate dei ragazzi, che lì per lì non stavano realizzando che il giorno dopo li avrebbe aspettati una sonora punizione.
“Nei vostri alloggi, adesso!” gridò ancora, ottenendo un pochino più di successo.
Katsura e Takasugi iniziarono a barcollare verso i loro alloggi, Gintoki, che non dava segni di vita, fu caricato sulle proprie spalle da Sakamoto che rischiò di cadere almeno tre volte solo nel tentativo di raggiungere i due compagni. Raggiunsero quindi la loro stanza e, nonostante ci fossero solo tre futon, collassarono tutti insieme ammucchiati l’uno sull’altro, troppo stanchi e ebbri per risolvere il problema.

****
 
Il giorno dopo, o per meglio dire, circa quattro ore dopo che i quattro avevano raggiunto i loro alloggi, il generale Enji li svegliò rumorosamente comunicandogli che dovevano essere in linea nella piazza principale entro 10 minuti.
Il brusco risveglio in pieno hangover fu in qualche modo salvifico per Takasugi, di modo che non dovesse fare i conti col fatto che la sera prima si fosse effettivamente divertito insieme al nuovo arrivato, nonché col fatto che gli stava dormendo appoggiato sopra e che questi aveva addirittura osato fumare la sua amatissima pipa. Per gli altri invece fu come essere presi in pieno da una mandria di tori imbufaliti. Si lamentarono e boccheggiarono per tutto il tempo necessario a cambiarsi d’abito mentre concentravano ogni loro energia residua nel non vomitarsi addosso.
 
Nel giro di 10 minuti per esserci in linea e vestiti erano in linea e vestiti.
Come ci fossero, d’altro canto, era un altro discorso.
Sakamoto era in piedi ma con lo sguardo fisso nel vuoto, quasi come se dormisse con gli occhi aperti. Le occhiaie così profonde che occupavano più posto dei veri e propri occhi sul suo viso stanco. Katsura stava dormendo in piedi e, abituato com’era a dormire con gli occhi aperti, faceva una certa impressione una volta che te ne rendevi effettivamente conto. Gintoki riusciva a rimanere dritto solo perché era appoggiato alla stampella con più peso di quello richiesto dalla sua ferita alla gamba, anche se di tanto in tanto si sbilanciava troppo e rischiava di cadere di faccia al suolo. Takasugi sembrava il più in forma, poche occhiaie e lo sguardo abbastanza vigile. A tradirlo solo la giacca indossata al contrario, un piccolo e trascurabile dettaglio. L’unica cosa che riusciva a dissimulare vagamente le loro condizioni era che tutto il resto dei loro soldati, schierati dietro di loro, erano messi più o meno allo stesso modo. O peggio.
Davanti a loro troneggiava il generale Enji, solo.
“Sakata, Katsura, Takasugi, Sakamoto. Oggi le mie truppe se ne andranno e io con loro. Oggi avrebbe dovuto essere un giorno di festa, perché sapete cosa vuol dire il nostro indirizzamento verso altre aree? Che voi quattro, a seguito delle vostre gesta in battaglia, sareste stati nominati generali dei vostri plotoni. In pratica era come se lo foste già ma questa promozione significa che sareste diventati indipendenti da me o da chiunque altro nelle vostre decisioni strategiche se non per operazioni congiunte. D’altro canto…”
I quattro ragazzi si sentirono mancare. Non vedevano loro che questo giorno arrivasse e ora erano a malapena nelle condizioni di reggersi in piedi! Avrebbero dovuto saperlo che i loro festeggiamenti prima o poi gli sarebbero costati caro. Katsura specialmente non vedeva l’ora di poter prendere in mano le riunioni strategiche per poter attuare i suoi piani, che riteneva notevolmente più efficienti e soprattutto sicuri di quelli dei Enji e degli altri generali stagionati.
Deglutirono a vuoto, almeno i tre che erano effettivamente svegli, quando Enji parlò di nuovo.
“…per vostra fortuna siete davvero bravi con la spada e, soprattutto, in questo momento nell’esercito siamo davvero in pochi, quindi vi promuoveremo lo stesso e faremo finta che il vostro comportamento disonorevole della scorsa notte venga dimenticato” in quell’istante tutti i soldati esplosero in un grido di gioia che risuonò in tutto l’accampamento.
“Silenzio!” gridò Enji con austerità, placando immediatamente la folla.
“Ma, come primo compito da generali, passerete i prossimi giorni a pulire i bagni dei soldati, l’accampamento e raccogliere ogni traccia organica e non della vostra bravata di ieri sera. Rimarrò qui per sincerarmene. Chiaro?”
I quattro ragazzi si inchinarono in segno di rispetto e gratitudine (una gomitata di Takasugi alla bocca dello stomaco di Zura sortì l’effetto desiderato) e rimasero a testa bassa finchè Enji non si ritirò nei suoi appartamenti e i soldati non si furono dispersi gridando eccitati all’idea che i loro amati comandanti avessero avuto una promozione. Non era un segreto che si fidassero di loro più che di chiunque altro ai piani alti.
Quando alzarono la testa e si guardarono non poterono fare a meno di abbracciarsi contenti, svegliando solo in quel momento Katsura che non capì cosa stesse succedendo. Poi, non appena si resero conto di cosa stessero facendo si staccarono velocemente, soprattutto Takasugi che fece due passi indietro.
Sul viso di tutti e quattro però era stampato un sorriso.
Non lo sapevano ancora, ma quella notte era stata l’inizio dell’era dei Quattro Re Celesti, l’inizio di un’amicizia che sarebbe sopravvissuta a fatti inenarrabili, di una famiglia con un legame indissolubile che nemmeno la guerra avrebbe mai distrutto del tutto.
 
 
Bonus Scene:
 
“Dai ammettilo adesso siamo amici!” chiese Sakamoto, mentre con una pala raccoglieva una pila di vomito da dietro una baracca.
“No” rispose Takasugi, impegnato nello stesso compito.
“Dai Bakasugi, daiiii”
“No. E non chiamarmi così” sbuffò ancora, tentato di lanciare la pala piena di vomito di soldato in faccia a Sakamoto”
“Ma se ieri sera ci siamo divertiti tanto” disse ridendo Tatsuma, per poi avere un capogiro residuo di hangover e vomitare a sua volta dove avevano appena pulito.
“Ma allora lo fai apposta! È la terza volta stamattina, non finiremo mai”
“Eh eh, scusa Bakasugi”
“Ti ho detto di non chiamarmi così! E comunque non mi sono divertito, ieri sono venuto solo per evitare che vi intossicaste troppo”
“Certo, come no” rise ancora Sakamoto, per poi vomitare l’ennesima volta.
“Sigh. Perché a me?”
“Gli amici si aiutano nei momenti di difficoltà sai?”
“Va bene una morte caritatevole? Prometto di essere veloce”
“Daiiii in fondo saresti triste se morissi”
“No”
“Almeno un pochino”
“No”
“AHHAHA sei proprio una sagoma bakasugi”
“…sigh”
Takasugi ormai sconsolato si girò cercando con lo sguardo gli altri due, nella speranza di ricevere man forte, ma li vide parlottare tra loro ridendo, segno che avevano sentito tutto ma che non avevano intenzione di intervenire. A conferma di questo si erano anche spostati a pulire più in là, con un’espressione fin troppo soddisfatta stampata in faccia.
 
“Quindi alla fine gli piace eh?” chiese Katsura, che aveva iniziato a ripulire una zona abbastanza lontana da Takasugi e Tatsuma da non essere sentiti.
“Già” sorrise Gintoki, mentre caricava sulla pala rifiuti organici non meglio specificati che iniziavano a puzzare sotto il sole “direi che gli sta decisamente simpatico”




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