Io l'amore non so che cos'è

di Carme93
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[Prompt1: condividere i vestiti]
 
Capitolo primo
 
 
Non fratelli
 
 
Si passò una mano sul volto stanco e sfogliò il vocabolario trattenendo a stento uno sbadiglio. Forse era la stanchezza, ma quella versione di Virgilio lo stava veramente mettendo in difficoltà. Si stiracchiò e lanciò un’occhiata alla sveglia sul comodino: mancavano una decina di minuti alla mezzanotte. Doveva concludere o il giorno dopo avrebbe avuto l’aspetto di uno zombie. Certo, Giulia l’avrebbe trovato divertente, in quanto adorava quel genere di film, ma lui no.
Ebbe la tentazione di scriverle, ma subito gli sovvenne che avevano discusso solo qualche ora prima: non accadeva facilmente, tanto che le volte che litigavano si potevano contare su una mano. Si era organizzata per uscire con alcune compagne di classe e avrebbe voluto che lui l’accompagnasse ben sapendo che non ci fosse alcuna possibilità: aveva troppi compiti, non avrebbe avuto il permesso e suo padre era di turno quella notte quindi non poteva nemmeno lasciare solo il fratellino.
Giulia, di solito, era molto paziente con lui e non lo costringeva mai a fare qualcosa che proprio non voleva, eppure, per qualche motivo, quel pomeriggio si era impuntata e avevano finito per discutere.
Sospirò e riprese in mano la penna ben deciso a completare i compiti velocemente: in fondo gli mancavano solo due versi e non avrebbe dovuto preoccuparsi di ripetere la letteratura, perché quasi sicuramente sarebbe stato interrogato in greco.
Si costrinse a concentrarsi e concluse nel giro di un quarto d’ora. Proprio mentre stava sistemando lo zaino per il giorno dopo, squillò il cellulare facendolo sobbalzare. Quando non lo usava lo teneva in corridoio, così corse a rispondere prima che svegliasse il fratello. Con il cuore in gola – suo padre non chiamava quando era al lavoro e a quell’ora non potevano essere un call center – costatò che era Giulia e ciò lo innervosì non poco: perché lo chiamava? Non poteva sapere che era sveglio e di solito gli scriveva su WhatsApp.
«Pronto» sbuffò non riuscendo a mantenere il tono basso e aspettandosi uno dei suoi stupidi scherzi.
«Criii».
Il suo nome risuonò acuto, ma la voce era strana, non quella consueta dell’amica.
«Che c’è?» le chiese nuovamente preoccupato.
«Mi vieni a prendere?».
Ancora una volta il tono era strascicato e sembrava quasi stesse masticando le parole prima di buttarle fuori. La domanda stessa, però, fu sufficiente per lasciar perplesso il ragazzo.
«Cosa? Dove dovrei venire a prenderti?».
«Vieni, Cri».
Alla fine comprese: «Hai bevuto?».
«Mi gira la testa e fa freddo, vieni?» ripeté la ragazza, leggermente più lucida.
«Va bene».
Quelle due parole gli uscirono di bocca con una semplicità allucinante, di cui, sicuramente, si sarebbe pentito.
La chiamata s’interruppe.
«Chi era?».
«Giulia» rispose atono senza nemmeno voltarsi verso il fratello, Marco.
Cristiano Negri è un ragazzo di diciotto anni, compiuti da poco, solitamente assennato e responsabile, ma quella sera il suo cervello gli rimandava soltanto l’immagine della sua migliore amica da sola di notte, ubriaca, fuori da un locale frequentato da ragazzi ubriachi quanto e più di lei. Un incubo!
«Devo andare a prenderla».
«E come?» chiese sorpreso Marco.
«Con la macchina» rispose come se fosse ovvio. Il ragazzino sgranò gli occhi e fece per replicare, ma Cristiano lo zittì. «È importante, non posso lasciarla sola. Torno subito, ok? Stai solo per un poco?».
«Certo» replicò.
Cristiano annuì distrattamente, s’impossessò delle chiavi nello svuotasche all’ingresso e prese il primo giubbotto che gli capitò tra le mani. Scese velocemente le scale e raggiunse la macchina del padre parcheggiata di fronte all’edificio. Con il cuore in gola al pensiero di Giulia e quello che le sarebbe potuto accadere, impiegò cinque minuti ad avviare correttamente la macchina e altri dieci a uscire dal parcheggio.
Per fortuna, per strada non c’era quasi nessuno, così raggiunse la zona del locale senza troppe difficoltà. A un certo punto, scorse un posto di blocco e la piena consapevolezza di quello che stava facendo lo colpì in pieno. Preso dal panico, decise di svoltare alla prima possibilità, in modo da non rischiare di essere fermato. Nel farlo allungò una mano verso il cruscotto e si assicurò che vi fosse il suo foglio rosa. Suo padre aveva deciso che l’avrebbero tenuto in macchina, così che non vi fosse il rischio che gli venisse l’idea di guidare con qualche amico sconsiderato. Se suo padre avesse saputo che aveva preso la loro macchina da solo, l’avrebbe ucciso.
Ormai, però, l’aveva combinata grossa e non gli restava che recuperare Giulia e tornarsene a casa.
Parcheggiò in una traversa vicino al locale e andò a cercarla a piedi. Rispetto ad altre zone della città, quella era più caotica: la musica a volume medio alto risuonava lungo la via principale e vi erano crocchi agitati di ragazzi visibilmente brilli. Si fece largo alla ricerca dell’amica, provò anche a chiamarla ma rispose la segreteria telefonica.
Cristiano, sempre più inquieto, si pizzicò sperando che fosse solo un incubo e di essersi addormentato sul canto dell’Eneide, ma costatò a malincuore di essere veramente sveglio. Così si spinse fino al locale, laddove vi era ancora più confusione. Si chiese se dovesse cercarla anche all’interno, ma si costrinse a riflettere: al telefono la musica si sentiva, ma non troppo forte, quindi Giulia doveva trovarsi all’esterno e a una certa distanza.
A forza di spintoni riuscì a superare la folla radunata all’ingresso e a procedere lungo il marciapiede fino in fondo alla discesa. Qui la situazione era leggermente più calma, perché vi erano delle pizzerie e dei bar, i cui proprietari avevano chiarito di non voler disturbi da parte degli avventori del pub, specialmente nel fine settimana.
Fu qui che scorse l’amica, abbandonata su una panchina di pietra e intenta a osservare il cielo. Colto da una furia improvvisa, le si avvicinò.
«Sei impazzita?» sbottò a voce più alta di quanto avrebbe voluto.
Giulia gli rivolse uno sguardo vacuo e ridacchiò: «Hai visto che bel cielo stellato?».
Cristiano si morse il labbro inferiore pur di non rispondere a sproposito e si sedette sul bordo della panchina. «Stai bene?».
«Sì» rispose lei ridacchiando ancora.
«Sei ubriaca» l’accusò.
«Un pochino… Vieni vicino a me… guarda le stelle…».
A malincuore Cristiano non riuscì a trattenere un sorrisetto: era sempre la solita Giulia. Sospirò e le sussurrò: «Andiamo a casa?».
«E guardiamo insieme le stelle?».
«No, andiamo a letto» replicò Cristiano aiutandola ad alzarsi.
«Sei cattivo» si lagnò lei, appoggiandosi a lui.
Aspetta che lo sappiano i nostri genitori e poi vediamo chi è cattivo, pensò terrorizzato Cristiano.
Dopo qualche passo, il ragazzo decise di fare il giro lungo, conscio che non sarebbe riuscito a sorreggere l’amica in mezzo alla confusione. A un certo punto, però, Giulia si divincolò e si piegò di lato per vomitare. In un primo momento Cristiano si tirò indietro, ma poi si costrinse a tenerle la testa come gli aveva insegnato il padre quando stava male il fratellino.
Alle fine tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e glielo porse perché si pulisse la bocca.
«Dove andiamo?» chiese lei, leggermente più lucida, attaccandosi nuovamente al suo braccio.
«A casa» rispose pazientemente Cristiano che, in quella situazione, aveva deciso di mettere da parte la propria rabbia.
Giulia rimase in silenzio finché non giunsero alla macchina e il ragazzo l’aiutò a sedersi dal lato del guidatore e le allacciò la cintura di sicurezza.
«Facciamooo qualcosaaa» gli strillò all’orecchio appena sedette accanto a lei.
Una zaffata di alcool lo colpì in pieno e s’irrigidì. Cristiano odiava quella puzza, perché gli ricordava il periodo successivo all’abbandono della madre: suo padre disperato beveva spesso dopo il lavoro e quando tornava a casa aveva proprio quel tanfo addosso.
Strinse la mano intorno alla chiave e spinse leggermente l’amica. «Smettila» sibilò.
«Daaai, non essere noiosooo… Le mie amiche dicono…».
«Non m’interessa» sbottò alzando la voce e tacitandola: Giulia non era abituata a vederlo arrabbiato.
Prese un bel respiro e inserì la chiave nel quadro. Giulia non era in sé, per questo si comportava in quel modo e lui, da buon amico, doveva aver pazienza. Mise in moto e procedette ancora più lentamente rispetto all’andata, perfettamente consapevole della responsabilità che si era assunto permettendo a un’altra persona di salire in macchina con lui; anche se la sua coscienza protestava ignorata da più di un’ora: dietro le sue azioni di quella notte, vi era solo avventatezza, altro che responsabilità.
Fortunatamente, giunsero a casa senza nessun impedimento. Giulia si era calmata ed era in dormiveglia. Cristiano la scosse, la guidò fino all’ingresso e poi lungo le scale. Giulia improvvisamente ebbe uno scoppio di risa che coinvolse anche Cristiano, che dovette tappare la sua bocca e quella dell’amica per non svegliare l’intero palazzo e soprattutto la sua vicina impicciona che sembrava aver come scopo nella vita seguire tutte le mosse di Cristiano e riferirle a suo padre. E non per scherzo! Non che a suo padre piacesse, anzi la trovava profondamente snervante e indiscreta, ma in questo caso Cristiano sapeva di non avere scuse.
Con il cuore in gola, raggiunse il proprio appartamento e spinse dentro Giulia bruscamente. Solo allora tirò un sospiro di sollievo.
«Siete tornati!» strillò Marco che si era sdraiato sul divano per attenderli.
«Perché non sei andato a letto?» replicò Cristiano accorgendosi di star tremando e di essere molto stanco.
«Ero preoccupato» rispose Marco come se fosse ovvio. «Che cos’ha Giulia?».
«Ha bevuto» borbottò Cristiano accompagnando l’amica nella propria stanza, seguito da Marco.
Giulia si stravaccò sul letto mezz’addormentata e Marco si pose accanto a lei scrutandola con occhio critico.
Cristiano recuperò il cellulare e cercò su Google il modo migliore per curare una sbornia, sentendosi in colpa a lasciarla in quelle condizioni – sebbene una parte più cattiva di lui gli suggerisse di spostarla sul divano e fregarsene. Si passò una mano tra i capelli e sospirò: era arrabbiato, ma le voleva anche troppo bene.
Lesse velocemente alcune pagine e, conscio di non poter fare molto, andò a prendere dell’acqua in cucina, poi la svegliò e l’aiutò a bere. In seguito, l’accompagnò in bagno e le sciacquò il viso nonostante le sue rimostranze.
«Ora andiamo a dormire» la rassicurò.
Ritornando in camera, però, si rese conto che il giubbotto dell’amica era umido – in tarda serata aveva piovigginato – e che si era anche macchiata i jeans quando aveva dato di stomaco. Prese un pigiama pulito dal cassetto, ma completamente incerto su come comportarsi: anche se era la sua migliore amica, quasi una sorella, era comunque una donna. Nervoso la scosse e la svegliò, in quanto si stava riassopendo.
«Dai, cambiati, per favore».
Lei mugugnò qualcosa, ma sembrò capire, così Cristiano la lasciò sola con la scusa di accompagnare Marco a letto. Quando tornò in camera Giulia aveva indossato il suo pigiama e già dormiva.
Faceva un certo effetto vederla in quel modo. Le si avvicinò, la spostò leggermente in modo che potesse appoggiare la testa sul cuscino e fece molta fatica per coprirla. Allora le si sedette accanto e sorrise: era così dolce nel pigiama troppo grande, sembrava più piccola e innocente.
Trovò il coraggio di accarezzarle una guancia, sicuro che non se la sarebbe presa, ma in quel momento uno strano rumore, basso e continuo, riempì la stanza. Impiegò qualche minuto a rendersi conto che era la vibrazione del cellulare di Giulia, fino a quel momento conservato nella sua borsetta. Lo prese e vide che aveva una decina di chiamate perse dalla madre e altrettanti messaggi.
«Sei proprio una pazza irresponsabile» sbottò rivolto a Giulia che, però, continuò a dormire tranquillamente.
Facendo ricorso a tutto il suo coraggio, richiamò la madre della sua migliore amica, nonché sua ex insegnante. La conversazione fu complessa e imbarazzante, ma alla fine la donna si tranquillizzò, poiché si fidava di Cristiano. Il ragazzo si sentì in colpa ripensando a quello che aveva fatto quella sera e come la stessa professoressa Marchetti non sarebbe stata contenta nello scoprire che aveva guidato la macchina da solo e su lunga distanza. Era stata una fortuna che non l’avessero arrestato!
Deglutì e, dopo aver riposto il cellulare, si sdraiò accanto all’amica. Nonostante la terribile serata e la rabbia che provava nei suoi confronti, Cristiano non poté fare a meno di addormentarsi pensando che Giulia non sarebbe mai stata una sorella per lui. 




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