Sulla riva

di AliceDaQuelPaese
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Le mani dell’uomo armeggiarono con l’ultimo bottone della camicia della donna. «Dai. Cazzo, dai!»

Lei socchiuse gli occhi e lo bloccò.

«Dai, ho quasi fatto».

Le mani della donna si strinsero sulle sue dita.

«Dai. Devi toglierla. Devi togliere ‘sta cosa bagnata. Stai congelando».

Cercò di alzarsi, ma una fitta alla gamba la fermò.

«Sei ferita. Lasciami fare». La sua voce era incerta, quasi febbrile. «Fidati, cazzo. Sono io». Ritornò sul bottone. Lei lo fermò di nuovo.

«E no! Eddai! Lasciami…» Deglutì cercando di fermare le lacrime, ma non ci riuscì. «Lasciami fare. Ti prego». Le spinse via le mani. Liberò il bottone dall’asola e le tolse la camicia. «Fatto». Le porse un maglione.

«Meglio se togli il reggiseno». Aggiunse. «È bagnato». Distolse lo sguardo.

Lei obbedì e indossò il maglione.

«Perché sono così zuppa?»

«Siamo finiti in acqua». Sciolse il nodo della cravatta. «C’è stato un botto. Il treno ha – non so –». Sbottonò la camicia. «... deragliato, credo, e noi siamo finiti in acqua. Era gelata».

Tirò fuori un maglione dalla valigia. «Ho sentito l’acqua bruciare nei polmoni».

Si sfilò la camicia dalla testa. «Credo di essere morto».

Piegò con estrema cura la camicia bagnata. «Morto! Capisci? Ero morto».

Si infilò il maglione. «Se non ci fossi stata tu…»

«Io? E come…?»

«Ah, non lo so come hai fatto. Ma l’hai fatto. Un attimo prima ero morto e un attimo dopo ero là, sulla riva. Inzuppato d’acqua. E di paura. Ma vivo».

Prese un paio di pantaloni dalla valigia. «Eri sopra di me. Pesante e bagnata. E fredda». Tirò ancora su col naso e si alzò in piedi. «Voltati».

«Cosa?»

Aprì la fibbia della cintura. «Mi devo togliere ‘sti cosi. Sono bagnato sino alle mutande».

I loro occhi si incrociarono «No! Non guardarmi così. Ho dovuto spogliarti. Eri fradicia. Fradic…!» Un singhiozzo gli ruppe la voce. «Fredda. Gelata. Ma viva. Ti usciva un fumetto dalla bocca». Si toccò le labbra. «Un fuoco fatuo». Una lacrima disegnò una striscia umida accanto al suo naso.

«Smetti di fissarmi. Ho freddo. Dai, voltati. Per favore, smetti di fissarmi. Devo… Aaah! Cazzo! Fa’ come ti pare!» Si voltò e in un colpo solo rimase nudo dalla cintola in giù. «Non mi guardare il culo, cazzo! Non mi guardare il c…!»

«Ho chiuso gli occhi! Ho chiuso gli occhi».

«Grazie». Si tirò su i pantaloni.

Riaprì gli occhi e lo osservò infilare delle calze. «Ho freddo».

Le si inginocchiò accanto e l’abbracciò con delicatezza. Le massaggiò la schiena in cerchi concentrici, cercando di scaldarla. «Ti devo la vita».

«Non ricordo nulla». Continuava a tremare. «Sono ferita?»

«Sì, ma non credo sia grave. Cioè, non lo so. Non sono un medico. Sono un attore, cazzo. Ti ho fasciato con la mia camicia in Sea Island. Comunque, hai smesso di sanguinare. La tua ferita è fasciata in bende di pregiato cotone egiziano».

«Come una mummia?»

«Ho detto cotone, mica lino». Le accarezzò la nuca. «Come cazzo hai fatto a tirarci fuori da là con quel coso di ferro piantato nella gamba, io proprio non me lo so spiegare, ma l’hai fatto».

«Ho freddo».

«Anch’io». Prese un altro maglione e lo legò sulle spalle della donna. Le avvolse i capelli con un altro maglione.

«Perché hai una valigia?»

«L’ho trovata qui».

«Sembra la tua valigia».

«È la mia valigia. C’era dentro la mia camicia migliore».

«E come ci è arrivata qui?»

«Non lo so».

«Ho freddo».

«Stai iniziando a diventare monotona». Sorrise.

«È la situazione che è monotona».

Lui vuotò l’intero contenuto della valigia e la usò come cuscino per la testa di lei. «Va meglio?»

«Sto più comoda. Ma…»

«Ma hai freddo».

«Che dialoghi scontati».

La coprì con tutti gli abiti che aveva, avvolgendo con cura i piedi. «Non sono molti. Era solo una notte».

«Son tanti maglioni per una notte sola». Aggiunse continuando a tremare. «Ho ancora…»

«Freddo? Mi sembra di averla già sentita, questa battuta. Pessima sceneggiatura ‘sto film».

Lei sorrise.

Lui prese un giaccone da terra e lo aprì, glielo stese sopra come una coperta, poi ci si infilò sotto e l’abbracciò. «Di più non riesco a fare».

«Sto già meglio». Mentì.

L’uomo l’abbracciò più forte, alitando sul suo collo.

«Sei il bue o l’asinello?»

«L’agnello. Decisamente l’agnello. Sull’altare della sfiga».

Gli cinse la vita e si rannicchiò contro il suo petto. «Non avere paura».

«Non ho paura. Sono già morto. Credo più o meno mezz’ora fa».

Lei sollevò il viso e lo guardò. «Ma siamo vivi».

«È vero». Si accorse in quel momento che il petto della donna premeva contro il suo. Si ritrovò a pensare che, prima dei suoi occhi verdi, era stato il suo seno a colpirlo. Non riusciva a smettere di guardarlo. Lei l’aveva smascherato con una risata. Si ritrovò a pensare che sarebbe stato bello perdersi in quel seno e scomparire per un po’, dentro quella risata.

«Ehi! A che pensi?»

«A niente. Io…» Non poteva dirglielo. Si accorse di avere un’erezione. «Oddio. Scusa. Scusa. È del tutto involontaria. Scusa. Scusa». Non sapeva se smettere di stringerla. Nel dubbio, non lo fece. «Scusa». Sussurrò ancora.

«Oddio. È così strano».

«Trovi che questo sia strano?»

«Be’, sì». Abbassò la voce. «Lo è». Si strinse di più a lui. «Ho freddo». Le sue mani gelate si insinuarono sotto il maglione di lui che trasalì. «Scusa, sono gelata e tu sei così caldo».

Lui fece lo stesso dentro il maglione di lei.

«Anche le tue mani sono calde». Sospirò.

«Hai ragione. È strano».

«Però non è male. Voglio dire… erezione a parte».

«Freddo a parte».

«Disastro ferroviario a parte».

Lui rise e le poggiò le labbra sul collo. «Sei calda qui».

Lei provò un brivido, non di freddo. «È strano, ma funziona».

«Sì». Le baciò il collo e quel contatto le scaldò il basso ventre. Salì a baciarle l’orecchio e qualcos’altro si sciolse dentro di lei. Le sue mani risalirono la schiena di lui sino alle spalle. «È una pessima sceneggiatura se adesso vira al porno».

Una lacrima si fece strada dall’occhio di lei verso l’orecchio. Lui asciugò la lacrima con le labbra. Le baciò gli occhi.

«Non puoi morire di nuovo, vero?».

«No. Non credo. Non due volte nello stesso giorno».

«Meno male». Sentì una lacrima non sua bagnarle il viso. «Dev’essere un film tedesco». Cercò di scherzare. «Piangono per ogni cosa, nei film tedeschi».

«Pessima sceneggiatura, comunque. Però l’attrice c’ha un davanzale…!»

«E l’attore un discreto pacco. Ma involontario».

«Ma no! È una roba svedese. Ora si mettono a scopare in mezzo alla neve».

«Cosè? Una nuova categoria di Youporn? Snow sex?»

«Sex in Lapponia».

Risero e si strinsero di più.

«Ma il disastro ferroviario che c’azzecca?»

«Fa trama. Sennò è pornografia».

«Giusto». Le baciò il naso gelato.

«Al caldo di una sauna, è pornografia».

«Cos’ha una sauna che non va? Una caldissima sauna calda?» La sua mano scese dentro i pantaloni di lei.

«Prima il collo, poi l’orecchio, gli occhi e adesso mi tocchi il culo?»

«Posso fare entrambe le cose insieme». Scherzò lui baciandole il collo e accarezzandole una natica.

«Somiglia sempre più ad un sogno erotico questa cosa, lo sai?»

«Già. Se proprio dobbiamo morire facciamolo in modo divertente».

«Disse il bungee-jumpingista con la corda lunga».

«Trovi sia lunga?»

Lei rise molto forte. “Un po’ troppo”. Pensò lui, ma non diede peso alla cosa. Quella era la risata che ricordava. Dopo le tette, ovviamente, che continuavano a premere sul suo petto. Pensò che aveva voglia di baciarle, ma c’era troppo freddo per metterle a nudo. Avrebbe voluto almeno accarezzarle.

«Be’… fallo, no?»

«Cosa?»

Lei sfilò una mano dal maglione, prese quella dell’uomo e la guidò sotto i vestiti, sul suo seno. Sospirò al contatto con le dita calde.

«Pessima sceneggiatura, ma…» Le baciò nuovamente il collo, mentre la sua mano aderiva al seno freddo. «L’attrice è così bella».

Lei sorrise e lui poggiò le labbra sul suo sorriso.

Chiuse gli occhi, mentre la lingua dell’uomo si faceva strada ad esplorare la sua bocca. Si accorse di non avere più tanto freddo.

Lui premette il suo bacino contro quello di lei.

«Se lo tiri fuori, te lo ghiacci».

«Ne varrebbe la pena». La baciò ancora, mentre le sue dita accarezzavano un capezzolo che si era irrigidito. Spostò la mano dalla natica alla pancia, accarezzandola con dei piccoli cerchi concentrici attorno all’ombelico.

Lei tentò di muoversi. Una fitta alla gamba glielo impedì. Emise un lamento.

«Che fai?»

«Ho avuto una pessima idea. Aspetta, forse ne ho una migliore…» La sua mano scivolò sul rigonfiamento dei pantaloni dell’uomo.

«Se tutte le pessime idee fossero così». Sospirò lui nel suo orecchio.

Lei rise ancora.

L’uomo scese con la mano dentro i pantaloni della donna.

«Hai delle mani così calde».

Lui scivolò più giù. «E tu sei molto bagnata».

«Dal fiume?»

«Fammi controllare». Andò ancora più a fondo.

Lei emise un altro piccolo lamento, ma non era la gamba.

«Ti ho fatto male?» Chiese continuando a farsi strada dentro di lei.

Lei lo guardò negli occhi. «No. Sì!»

«No o sì?» Si finse preoccupato, mentre continuava a penetrarla.

Lei gemette ancora.

Lui rise.

Anche lei rise.

Le baciò quella risata. Decise che se fosse uscito vivo da là, avrebbe fatto di tutto per portarla su un letto vero e leccarla ovunque, per poi possederla in ogni posizione. “Se mai uscirò vivo da qua”. Una lacrima scivolò sul suo viso.

«Non devi avere paura. Sei già morto, ricordi?»

«Ma sono vivo».

«Adesso devi solo svegliarti».

«Cosa?»

«Devi svegliarti. Svegliati, Valerio».

«Cosa?»

«Svegliati, Valerio. Svegliati! Svegliati, ti prego. Valerio, svegliati. Svegliati!»

L’uomo sentì un crack sul torace. Una lama di dolore gli attraversò il petto.

Riaprì gli occhi e si tirò su di scatto, inspirando l’aria con la bocca.

La donna su di lui fece un balzo indietro e lo chiamò per nome.

Attorno a loro il rumore del traffico, l’odore dei gas di scarico, sulla pelle il sole di agosto.

«Sei vivo!»

Cercò di afferrarla, ma il dolore al petto glielo impedì.

Lei si girò di scatto. «Ehi! Centodiciotto! Ehi! È vivo!»

Si voltò di nuovo verso di lui. «Sei vivo».

Due uomini in divisa arancione spostarono la donna quasi di peso.

«Avevo ragione. È vivo». La sua voce si fece sempre più lontana.

«Può dirmi il suo nome?» Gli chiese uno dei due uomini arancione, mentre gli infilava al dito una pinza colorata che faceva bip-bip.

Rispose. Gli fecero altre domande. Disse loro che voleva parlare con la donna, ma quelli continuavano con le loro manovre.

Lo portarono via in ambulanza.

Seppe poi di essere stato investito da qualcuno che era scappato. Seppe che era arrivata una donna e non se n’era mai andata: gli aveva praticato un massaggio cardiaco, sino all’arrivo dei paramedici. Seppe che non erano riusciti a rianimarlo e l’avevano coperto con un telo. Seppe che la donna l’aveva percosso, da morto, e gli aveva rotto lo sterno.

Quella violenza aveva rimesso in moto il suo cuore.

Seppe che non l’avrebbe più scordata, quella donna, anche se nessuno aveva saputo dirgli chi era.





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