Dangerous - Extra

di _Misaki_
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DANGEROUS
- Extra 1 -

Second Chance
 
 
 
 
Seoul.
8 anni prima della cattura di Ray.
 
Taeoh, appena ventitreenne, stava attraversando l’atrio di un alto grattacielo di vetro in cerca dei tabelloni dei risultati del test. Poche settimane prima aveva sostenuto l’esame per entrare a far parte della più prestigiosa agenzia privata di agenti segreti di Seoul, capitanata dalla misteriosa L, una donna di cui nessuno conosceva né il nome, né tantomeno il volto. Era il terzo anno di fila che ritentava e si era ripromesso che sarebbe stato anche l’ultimo. Partecipare all’esame aveva un certo costo, così come i corsi propedeutici organizzati dall’associazione, e la sua famiglia non navigava certo nell’oro. Aveva dovuto arrangiarsi da solo per imparare qualcosa sulle arti marziali che non fossero quel paio di mosse apprese alle lezioni di Taekwondo di quando era bambino. In più aveva già dato ai genitori il dispiacere di non aver continuato gli studi in università dopo il liceo, perciò si era ripromesso che, se avesse fallito di nuovo, avrebbe cercato un lavoro. Uno qualsiasi, da persona normale.
«Taeoh!» Si sentì chiamare. Era Daeju, un ragazzo un paio di anni più giovane di lui che aveva conosciuto l’anno prima durante l’esame e con il quale aveva stretto amicizia. «Hai già visto i risultati?»
«Non ancora, sto cercando di avvicinarmi al tabellone ma c’è una folla assurda!»
«Ho paura! E se non lo abbiamo passato?»
«Non lo so, non ci voglio pensare.»
«Guarda, vanno avanti!»
Alcuni dei partecipanti, dopo aver visto i risultati, stavano finalmente liberando il passaggio, così Taeoh e Daeju riuscirono a farsi largo tra la folla e arrivarono ai piedi del tabellone.
Taeoh fece scorrere gli occhi dall’alto verso il basso, percependo una dose di ansia che non credeva di aver mai provato prima in vita sua. Al primo posto in classifica c’era un certo Minho, che aveva superato l’esame con il punteggio massimo. Taeoh non poteva decisamente aspirare a tanto, ma sperò almeno di scorgere il proprio nome tra l’elenco delle venticinque reclute di quell’anno. Tra i promossi c’erano anche molte ragazze, alcune con nomi stranieri, come una certa Lizzy, che era arrivata diciassettesima. Taeoh finì di scorrere tutti e venticinque i nomi, ma, con sua grande delusione, tra i promossi non trovò né il proprio, né quello di Daeju.
«Non ci siamo, vero?» chiese quest’ultimo, che, molto meno coraggioso dell’amico, non aveva osato guardare.
«No, non ci siamo.» la voce del ragazzo lasciava trasparire una certa tristezza. Daeju trovò la forza di alzare gli occhi e di controllare almeno tra i nomi dei bocciati in che posizione si fosse collocato. La prima cosa che vide fu il nome di Taeoh, lì, al ventiseiesimo posto, subito sotto la linea nera in grassetto che divideva i promossi dai bocciati, con solo tre punti di scarto dall’ultimo selezionato. Se il destino era stato crudele, l’associazione lo era stata ancora di più pubblicando l’intera classifica. Il proprio nome, invece, si trovava più in basso, al trentaduesimo posto.
«Hyung[1], mi dispiace!» esclamò, terribilmente dispiaciuto per l’amico.
«Di che ti dispiaci?» Taeoh cercò di non farsi vedere triste e forzò un sorriso.
«Io posso riprovare l’anno prossimo, ma tu? Per così poco, poi.»
«Io per l’anno prossimo sarò già un uomo in carriera e avrò un sacco di soldi!» cercò di sdrammatizzare Taeoh. Non era il tipo da piangersi addosso, non in presenza degli altri, perlomeno.
«Ma, hyung! Sei sicuro che sia tutto a posto?»
«Mai stato meglio. Coraggio, Daeju, andiamo a premiarci con una bella bevuta! Abbiamo fatto del nostro meglio!»
«E-e va bene. Se lo dici tu.»
 
 
 
***
 
 
 
Qualche ora dopo, i due si trovavano in un bar nel quartiere dell’associazione e avevano già accumulato diverse bottiglie di shoju vuote sul tavolo. Come loro, anche molti altri partecipanti avevano avuto la stessa idea. Non conoscevano nessuno di nome, ma erano sicuri di averli incrociati almeno una volta al test scritto o a quello pratico. Se non altro ciò li faceva sentire meno soli. Daeju si era già ripreso e rideva e scherzava su qualsiasi cosa. Taeoh, al contrario, aveva un muso lungo che lasciava trasparire chiaramente tutta la sua delusone, ma si sforzava di tanto in tanto di sorridere per non pesare sulle spalle dell’amico.
A un certo punto, un uomo sulla trentina vestito interamente di nero, con un cappellino da baseball in testa e una mascherina a coprirgli il viso, si avvicinò al tavolo e richiamò la loro attenzione.
«Buonasera, ragazzi. Avete partecipato al test dell’associazione di L?»
«Sì, come più o meno chiunque qui.» sospirò Taeoh.
«Cos’è quel muso lungo? Come ti sei classificato?»
«Vuole ridere? Ventiseiesimo, per soli tre punti! Se non è sfortuna questa…» si era ripromesso di trattenersi, ma quell’uomo sconosciuto lo stava letteralmente istigando a lamentarsi.
«Non dispiacerti, è un ottimo risultato! Sai, non c’è mica solo l’associazione di L a questo mondo.»
«E che altro c’è, allora?» a parte il Servizio Nazionale di Intelligence coreana non gli risultava ci fosse altro, e se non era riuscito ad accedere a un’agenzia privata figuriamoci al settore pubblico. Mica poteva permettersi di spendere altri soldi e anni per studiare e sostenere i severissimi esami per entrare nelle forze dell’ordine. E poi, non era mai stato bravo a studiare.
«Beh, per esempio, potresti provare a sostenere il test d’ingresso per la mia nuova agenzia.» L’uomo passò a Taeoh il proprio biglietto da visita. Sul dorso c’era scritto il nome Ray Jung in caratteri occidentali, seguito da un numero di telefono e un indirizzo di Seoul.
«E quando sarebbe questo test? Non posso aspettare un altro anno.»
«Non dovrai aspettare molto, è domani stesso.»
«Domani?» gli occhi del ragazzo si illuminarono. Forse non tutto era venuto per nuocere, il destino gli aveva appena riservato un’altra occasione.
«Sì, domani pomeriggio alle quattro. All’indirizzo che trovi sul biglietto da visita.»
«Ci sarò!»
«Ti aspetto! Anzi, vi aspetto entrambi.»
«Grazie!» Taeoh si alzò e si inchinò educatamente per salutare il generoso uomo che gli aveva appena ridato un barlume di speranza.
«Taoeh! Hai sentito?» esclamò Daeju.
«Sì! È tutto vero? Dimmi che non sto sognando!»
«È tutto vero! Abbiamo un’altra chance!»
«Evvai! Brindiamo alla fortuna!»
«No, aspetta, dobbiamo essere in forma domani, forse non dovremmo bere.»
«Hai ragione, non dobbiamo bere. Andiamo subito a letto! Ci vediamo domani mattina per allenarci prima della prova!»
«Agli ordini, Hyung
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Seoul, 15:45 PM
 
Il giorno seguente, Taeoh e Daeju si presentarono all’indirizzo segnato sul biglietto da visita che aveva dato loro quell’uomo misterioso di nome Ray. Si trattava di una palestra di arti marziali un po’ scalcagnata in una viuzza secondaria di Seoul. Neanche a dirlo, tra i presenti c’erano più o meno tutti i partecipanti dell’esame per l’agenzia di L che avevano ricevuto un esito negativo il giorno precedente.
«Taeoh, ma che hai fatto ai capelli?» esclamò Daeju allarmato, notando una bella testa rasata al posto del ciuffo tinto di castano che era solito portare l’amico.
«Ehm, ecco, diciamo che mio padre non l’ha presa troppo bene la bocciatura di ieri.»
«E ti ha ridotto così?»
«Già, chiamala punizione.»
«Non ci posso credere, che peccato!»
«Ricresceranno, ma quando usciamo da qui ricordami di passare a comprare un cappello per nasconderli, è imbarazzante andare in giro così.»
«Ci credo!»
Allo scoccare delle quattro in punto, Ray fece la propria apparizione in palestra, zittendo con la sua sola presenza chiunque fosse intento a chiacchierare, Taeoh e Daeju compresi.
«Buongiorno, ragazzi e ragazze. Come vi ho già accennato, l’esame che state per sostenere è per accedere a una nuovissima agenzia di investigazioni e spionaggio che aprirò io stesso e che spero in un paio di anni diventerà persino migliore di quella di L!» anche questa volta era interamente vestito di nero, ma non aveva nulla a coprirgli il capo. Il suo aspetto era piuttosto giovanile, ma lo sguardo era severo e di stazza superava abbondantemente il metro e ottanta. «Per accelerare un tantino il procedimento, non ci sarà nessun test scritto. Vi chiedo solo di registrarvi attraverso i moduli che troverete a questo banco. Una volta raccolti i vostri dati, creerò la scaletta per un torneo. I cinque vincitori saranno i fortunati.»
Alle sue parole qualche partecipante sbuffò qualcosa sul fatto che fosse poco professionale e decise di abbandonare il campo. Taeoh e Daeju si guardarono negli occhi. Anche a loro non convinceva più di tanto la situazione, ma l’opportunità era troppo ghiotta per non lasciarsi tentare. Ad essere onesto, Daeju, da bravo fifone qual era, sarebbe voluto scappare a gambe levate vista la mole di concorrenti col fisico da body builder o, peggio ancora, con la faccia da criminale, presenti all’appello, ma la determinazione negli occhi del suo amico gli impedì di deluderlo rinunciando. Così i due si misero in fila al banchetto indicato da Ray e registrarono i propri dati.
 
 
 
 
***
 
 
 
Diverse ore dopo, si era ancora ben lontani dalla fine. Taeoh e Daeju avevano vinto il primo scontro, ma erano ancora in attesa di poter procedere con il girone successivo. Molti partecipanti se ne erano già andati, stanchi dell’attesa, e di fare una pausa per cena non si era minimamente accennato, ma nulla avrebbe fermato Taeoh e la sua voglia di arrivare tra i primi cinque e prendersi quel posto che tanto desiderava.
Verso le dieci di sera, finalmente, i partecipanti erano stati ridotti a una quindicina e mancavano gli ultimi tre turni di incontri. Forse ce l’avrebbero fatta a finire prima che fosse notte fonda.
«Ehi, hai visto quello lì che paura?» chiese Daeju, riferendosi a uno dei due partecipanti in quel momento coinvolto in uno scontro.
«Chi, il tizio bassino tinto di biondo?»
«Sì, finora li ha massacrati tutti di botte! Per me anche questo finisce in ospedale!»
«State parlando di Dawon?» si intromise una voce alle loro spalle. I due si girarono per scorgere un tizio baffuto dagli occhi sottili rivolgere loro uno sguardo beffardo.
«Chi?» chiese Taeoh.
«Yang Dawon, il tizio biondo.»
«Ah, si chiama così?»
«Sì, siamo dello stesso anno. Era in una scuola vicino alla mia e già dalle medie aveva una pessima reputazione. Una volta ha pestato un gruppo di bulletti della mia classe perché ci stavano provando con la sua ragazza. Uno di loro è rimasto zoppo.»
«Che!?» esclamò Daeju. «Spero proprio non mi capiti come avversario!»
«Eppure dal fisico non lo avrei mai detto.» puntualizzò Taeoh.
«Pensalo, ma non dirlo, se ti sente sei nei guai.»
«Comunque, tu saresti?»
«Mi chiamo Jiho.»
«Piacere, io sono Taeoh e lui è Daeju.»
«Piacere!» disse anche Daeju.
«Quanti anni hai? Io ventitré e lui ventuno.»
«Ah, allora siamo quasi coetanei, ne faccio ventiquattro tra un paio di mesi.»
«Davvero?» chiese perplesso Taeoh.
«Sì, perché?»
«Niente, è solo che… pensavo avessi più di trent’anni.»
«Come ti permetti!?»
«Scusa, saranno i baffi…»
«Cos’hai contro i miei baffi?! E poi parli proprio tu che sembri un teppistello da quattro soldi con quella testa pelata che ti ritrovi!»
«Avanti i prossimi partecipanti! Song MinJoon! Lee Taeoh!» li interruppe la voce tuonante di Ray. L’avversario di Dawon era finito a terra con qualche dente rotto, trascinato lontano dal ring dai suoi amici, mentre il demone biondo aveva lasciato il campo ai prossimi partecipanti, sputando per terra sprezzante appena sceso dal ring.
«Mi dispiace ma è il mio turno, devo andare.» Taeoh ignorò l’insulto del ragazzo appena conosciuto e si affrettò a presentarsi all’appello. Nessuno gli avrebbe portato via questa opportunità, nemmeno quel teppista di Dawon se mai se lo fosse ritrovato davanti.
 
 
 
 
***
 
 
 
Tre settimane dopo.
 
«Avanti, branco di smidollati! Non mi sembra di avervi dato il permesso di sedervi a riprendere fiato!» urlò Ray ai cinque malcapitati. Alla fine, il torneo aveva decretato cinque vincitori, che erano entrati a pieno titolo nella sua squadra: un teppista di strada; un baffuto che dimostrava il doppio dei suoi anni; un tizio rasato dall’aspetto spaventoso ma dal cuore tenero; uno smidollato che aveva il solo vantaggio di essere alto quanto una pertica e, per finire, un idiota completo, per di più rumoroso quanto una scimmia urlante.
«Sì, boss.» esclamò Taeoh, rimettendosi subito in piedi, tra le occhiate di disapprovazione dei colleghi, ma lo sguardo giudicante di Ray costrinse anche tutti gli altri ad alzarsi.
«Stiamo tutti lavorando duramente per aprire questa agenzia, non solo voi. Vi sembra che io stia facendo pause? Perché a me non sembra! Yang Dawon, Jung Jiho, Lee Taeoh, Park Daeju, Bang Minki! Ricominciate subito ad allenarvi! Non c’è tempo da sprecare! Dormirete quando sarete morti!»
Volenti o nolenti, i cinque dovettero seguire le istruzioni del loro nuovo insegnante e capo, impegnandosi in un allenamento che proseguì fino a notte fonda, quando i cinque, sudati e malconci, si concessero finalmente una doccia e un po’ di riposo.
«Ragazzi, io vado a prendermi qualcosa da mangiare al 7-eleven[2] qui in fondo alla via. Volete qualcosa?» chiese Daeju.
«Vengo con te!» esclamò Taeoh. A quel punto Dawon si avvicinò ai due a pugni stretti, come se volesse dare inizio a una rissa. Aveva due occhiaie nere molto marcate sotto agli occhi, cosa che lo rendeva ancora più spaventoso.
«Q-qualcosa non va?» provò a interpellarlo timidamente Daeju.
«Vengo anch’io. Non ne posso più di questa stupida palestra.» Dawon sorrise. Forse in fondo non era poi così cattivo come sembrava. «Jiho, Minki, ci siete anche voi? Se venite offro da bere a tutti!»
«Sììììì! Ci sono, hyung! Evviva! Festa!!!» si mise a urlare Minki, un po’ troppo su di giri.
«Ok, ok.» si unì anche Jiho.
I cinque ragazzi si recarono al 7-Eleven, presero diverse lattine di birra e del cibo pronto e ingurgitarono tutto quello che non avevano potuto mangiare durante il giorno a causa di Ray. A stomaco pieno e un po’ brilli, iniziarono improvvisamente a fare discorsi filosofici su come si sentivano finalmente ripagati dei loro sforzi grazie a questa opportunità e che non vedevano l’ora di iniziare a lavorare sul serio come spie. Già si immaginavano come sarebbe stato esaltante inseguire e arrestare i criminali, viaggiare in posti meravigliosi e alloggiare in hotel di lusso. Sempre che non avessero visto troppi film e che la vita da agente fosse ben diversa.
Dall’inizio di quella nuova avventura, il tempo trascorso insieme era servito anche a farli conoscere meglio e a renderli una squadra unita e coesa. Di Dawon si era scoperto che non fosse poi un teppista a tutti gli effetti, aveva solo un passato da bullo delle scuole, ma in fin dei conti non era altro che un ragazzo in cerca di realizzazione personale. Al di là delle sue abilità nelle arti marziali, aveva anche un talento a dir poco inaspettato: sapeva suonare il pianoforte. Dopotutto, chi lo avrebbe mai detto che uno scapestrato del genere venisse da una famiglia benestante e che avesse litigato con i genitori per non prendere in carico l’azienda di famiglia e partecipare alle selezioni prima di L e poi di Ray. Lo avevano praticamente cacciato di casa, ma lui non si era dato per vinto e aveva dimostrato loro che poteva farcela anche da solo.
Jiho, invece, sembrava avere due soli obiettivi nella vita: mantenere in salute la sua peluria facciale e conquistare donne. Giovani, mature, non gli importava, non faceva che vantare le sue conquiste e sfruttare ogni occasione possibile per andare a far festa in qualche night club. Spesso i ragazzi si chiedevano se non raccontasse solo bugie, perché sembrava impossibile che fosse un conquistatore seriale con quella faccia. Tra i cinque era anche quello più cinico e, si potrebbe dire, stronzo. Ci si poteva anche schierare con lui, ma era impossibile prevedere se ti avrebbe voltato le spalle pur di lasciare che Ray punisse te al posto suo. Della sua famiglia non parlava molto, era come se a loro non importasse molto di quel che faceva e viceversa.
Taeoh, dopo la serata in cui era stato pesantemente sgridato per non aver passato l’esame, non aveva avuto grandi occasioni di riconciliarsi con il padre. Già dal matrimonio di sua sorella maggiore, avvenuto un anno prima, aveva iniziato a percepire che qualcosa non andava e, proprio appena aveva iniziato a lavorare per Ray, i genitori avevano deciso di separarsi, perciò in casa c’era un clima molto teso e lui preferiva di gran lunga passare le giornate alla palestra di Ray anziché rincasare. Quando quest’ultimo aveva affittato un appartamento in cui sarebbero tutti andati a vivere, lui la trovò un’ottima soluzione. Forse al momento i suoi genitori non capivano, erano sempre irritati e non vedevano l’opportunità di buon occhio, ma quando l’associazione si sarebbe allargata e avrebbero finalmente incominciato a operare, sicuramente sarebbero stati fieri di lui.
Daeju non si era fatto molti problemi. Il padre era un uomo violento e aveva lasciato lui e i suoi due fratelli maggiori quando erano ancora erano piccoli, ma la madre li aveva sempre supportati in tutto, desiderio di diventare un agente e punire i mezzi criminali come suo padre compreso. In più si divertiva molto in compagnia di Taeoh, perciò anche lui si era trasferito di buon grado nel nuovo appartamento. La sua indole quieta lo aveva fatto appassionare all’informatica e si era messo a studicchiare qualcosa con il benestare di Ray. La presenza di un hacker nel gruppo non avrebbe certo guastato.
Infine, Minki sembrava solo un ragazzino scapestrato. Aveva lasciato la campagna per scoprire la vita della città si era iscritto all’università. I suoi genitori non sospettavano minimamente di cosa stesse facendo, anche se, a dire il vero, sembrava un po’ tonto, perciò non sarebbe stato così difficile capire che l’università era solo una scusa e che in realtà non la stava frequentando. Nessuno però aveva idea di quanto avrebbe portato avanti questa farsa.
«Ehi, fermo!» esclamò Dawon, vedendo che Minki, completamente ubriaco, si era messo a correre per strada e a urlare alle macchine. «Qualcuno vada a riprenderlo! Quello scemo si fa investire!»
«Ma lasciamolo investire quell’idiota.» rispose Jiho, intento a scambiarsi messaggi con qualche ragazza conosciuta sulle chat di incontri.
«Aish[3]! Certo che sei proprio stronzo!» non riuscì a trattenersi Taeoh. Il ragazzo si alzò e andò a recuperare Minki prima che si mettesse ad attraversare l’incrocio con il semaforo rosso.
«Non è compito mio salvare i deficienti. Comunque, è meglio rientrare. Domani ci aspetta un’altra giornata da incubo.»
«Già, Ray è davvero esigente.» si lamentò Daeju.
«Ma quando la aprirà questa benedetta agenzia? Ormai sono due settimane che facciamo solo allenamenti e di paga non se ne parla.» chiese Taeoh.
«Boh, spero presto perché a casa dai miei non ci posso mica tornare dopo il casino che ho fatto.» aggiunse Dawon.
 
 
 
 
***
 
 
8 anni dopo.
 
Dal giorno in cui si era venuta a formare la bizzarra squadra di Ray erano passati otto lunghi anni e più o meno nulla era andato come previsto. Mese dopo mese, l’uomo aveva racimolato seguaci in ogni dove, ma di mettere in piedi un’agenzia di servizi segreti non se ne era più parlato. Probabilmente ci aveva provato, ma, vista la concorrenza, aveva miseramente fallito e ora il suo business somigliava molto più a una mafia che a un ente per la sicurezza internazionale. Soldi sporchi, giri loschi e un sacco di odio nei confronti di L. Il perché poi, nessuno se lo sapeva spiegare. Giusto quella sera, mentre era comodamente seduto sul divano a guardare la televisione, Ray aveva fatto una sfuriata e aveva ordinato loro di uccidere le agenti di L che avevano incontrato all’asta di quadri, come se gli avessero fatto qualcosa di male. Dawon aveva raccontato che Ray una volta lavorava per L ed era stato cacciato per cattiva condotta. Chissà che diamine aveva combinato, se era vero, poi. Nessuno aveva idea di dove avesse raccolto quelle informazioni.
Quella sera, Taeoh non riusciva proprio a prendere sonno. A breve sarebbe dovuto partire per Cancún per uccidere delle persone che non gli avevano fatto proprio niente. Non ne poteva più di quella vita e non riusciva a capire se anche per gli altri fosse lo stesso o se per loro andasse bene continuare a vivere in quel modo. Persino Daeju, che credeva di conoscere così bene, non sembrava fregarsene molto. Forse lui non si rendeva conto di che tipo di lavoro fosse perché non lavorava spesso sul campo, se ne stava quasi sempre dietro lo schermo del suo computer. Taeoh, invece, già da tempo sentiva di essere rimasto incastrato in quella situazione. Quando se ne era reso conto era già troppo tardi e non aveva idea di come mandare a monte tutto e ricominciare daccapo. Per un attimo pensò che sarebbe stato quasi auspicabile che L leggesse i file nascosti in quella SD e che venisse ad arrestarli una volta per tutte, ma era abbastanza sicuro che non sarebbe successo e tantomeno Ray lo avrebbe lasciato in vita se gli avesse detto esplicitamente che voleva mollare. Anno dopo anno, quell’uomo non aveva fatto altro che incattivirsi e diventare sempre più avaro.
Taeoh si rigirò nel letto e sospirò rumorosamente. Era stanco di agire contro i propri ideali, di dover essere forte e di sentirsi solo. In momenti come quello avrebbe tanto voluto che qualcuno lo prendesse per mano e lo portasse furi da lì, lontano da una vita che gli era sempre stata stretta.
 
[1] Hyung è un termine coreano che può essere utilizzato da un ragazzo più piccolo per riferirsi a un ragazzo più grande con cui è in confidenza. Lett. “fratello maggiore”
[2] 7-Eleven: Catena di minimarket molto diffusa in Asia
[3] Aish: imprecazione.





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Eccomiii! I due extra promessi sono diventati tre nella stesura XD mi sa che questa storia non vuole proprio finire!
A presto!

Misa




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