Un tremendo pasticcio

di Chiara PuroLuce
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«Che cazzo ci fai qua!»
 
«Oh, anche a me non fa piacere averti di nuovo davanti, men che meno in questo stato pietoso, ma cause di forze maggiore mi hanno costretta a passare qua. Dimmi, hai messo su peso?»
 
La sua ex fece per entrare, ma lui le bloccò il passaggio. Col cazzo che sarebbe entrata in casa sua. Ehi, un momento…
 
«Come diamine sai dove abito.»
 
«Ah, sì, credo sia scritto sui documenti del divorzio» poi fece ancora per scansarlo, ma lui s’impuntò. «Ma insomma, hai paura che la tua bella, vedendomi, scappi?»
 
«Nessuno ti ha invitata a entrare, Gianna. Se hai qualcosa da dirmi, puoi farlo benissimo anche da qui e vedi di fare in fretta.»
 
Tipico di lei, cercare di imporre la sua volontà con la forza, ma se pensava di avere ancora un qualche tipo di potere su di lui, si sbagliava di grosso.
 
«Non è un argomento da affrontare sulla porta, questo» insistette ancora la sua ex. «No, davvero, hai paura che possa farla fuggire di corsa? Sei serio? Ma pensi davvero che una che abbia il coraggio di stare con te, lo faccia?»
 
Si meritava una risposta piccata, ma la voce di Gemma proveniente dall’interno lo bloccò e galvanizzò.
 
«Amore dai, non fare il maleducato, non si lasciano le persone in attesa sulla porta, specie a un orario così inusuale e fastidioso» disse raggiungendolo e abbracciandolo alla vita e poi aggiunse guardando la sua ex. «Entri pure. Vuole un caffè? O forse un cappuccino. O un tè verde, sa, per sgonfiarsi. Io, personalmente, amo il latte con il cacao e i biscotti, stavo per andare a farlo proprio ora. Il movimento – in qualunque posizione lo si faccia – mette fame. Anche per lei è così?»
 
Bang. Colpita e affondata. Gemma era un genio Con una frase aveva steso l’ego di Gianna che non era riuscita a replicare niente di piccato se non un “grazie, un caffè senza zucchero lo prendo volentieri”, prima di seguirla. Come poteva non amarla. Gemma di nome e di fatto.
Si prese del tempo per mangiarsela con gli occhi e che Gianna guardasse pure.
Gemma aveva indossato l’unica camicia che lui possedeva – comprata per andare in tribunale alla firma del divorzio e mai più messa – che la copriva fino alle cosce e poi… oh, ma erano i suoi boxer quelli? Davvero? Sexy da morire. Chi l’avrebbe mai detto che i suoi indumenti su Gemma, la rendessero ancora più desiderabile? Non si era pettinata e con le labbra gonfie per i baci che le aveva dato, era una visione. Non vedeva l’ora che la megera se ne andasse per riprendere da dove erano stati interrotti, con nuove fantasie piccanti da esaudire.
 
«Oh, che maleducata» riprese lei bloccandosi a metà sala e chinandosi «lascio i pezzi in giro» disse poi prendendo il suo spolverino rosso e drappeggiandolo sul braccio «ammetto che alla mia età saltare addosso a un uomo come ho fatto ieri sera è… bè, inusuale, ma non sono riuscita a trattenermi.»
 
E poi lo guardò come se volesse riproporre la scena solo per la sua ex e la sua libido schizzò alle stelle. Ieri sera è? Furbastra. Cercò di risponderle con quello che voleva essere un sorriso di ringraziamento, ma dato il rossore che le invase il volto, era certo di avere sbagliato. Oh, bè, poco male.
 
«E dunque, che vuoi? Vedi da te che sono con una donna straordinaria – che a quanto pare non se l’è data a gambe vedendoti, il che è segno di grande intelligenza e maturità – e che ci stai rovinando la mattina» apostrofò l’ex moglie.
 
«Non ho intenzione di parlare se prima questa… donna, non se ne va. Non sono affari suoi quello che devo dirti» rispose lei guardando con disgusto l’altra.
 
«Decido io chi resta di diritto e chi va e tu rientri nella seconda categoria. Ti ricordo che è grazie a Gemma se sei entrata. Parla. Non ho segreti con lei.»
 
«Ehi, ehi, niente liti prima di colazione» intervenne Gemma con voce tranquilla. «Spero le piaccia forte e nero.»
 
Lui cercò di protestare, ma lei gli chiuse la bocca con un bacio rapido, prima di sparire in cucina.
 
«Non è fantastica?» Chiese alla sua ex.
 
«Se lo dici tu, io vedo solo che è piccola e grassa» rispose lei senza premurarsi di abbassare la voce.
 
Gemma non diede segno di avere sentito, ma lui doveva difenderla dal veleno di Gianna. Non poteva permettere a nessuno di offenderla, soprattutto in casa sua.
 
«È morbida e perfetta, sì e l’amo anche per questo. Oltre che per la sua personalità altruista e la sua risata contagiosa. Vedi, lei è così, spontanea e vera a differenza di qualcuno qua davanti a me» le rispose facendola sbuffare. «E ora parla e poi vedi di sparire prima che io abbia finito di dire la parola addio.»
 
Qualche minuto dopo, Gemma rientrò con un vassoio con sopra la tazzina per Gianna e le loro tazze, dei biscotti sfusi su un piatto e il rimanente del pacchetto sotto braccio, ma, invece di sedersi con loro, recuperò la sua e fece per dirigersi verso la camera.
 
«Gemma, non devi andartene perché c’è lei» le disse trattenendola per la mano e facendola girare verso di lui.
 
«Ha ragione lei, amore, non sono cose che devono interessarmi. Sicuramente vorrà parlati di Bruno e capisco da me che è un argomento delicato e privato. Ti aspetto in camera, così riprendiamo il discorso di prima» subito dopo gli scompigliò i capelli e lo baciò con più lentezza e passione. Poi guardò la sua ex e disse «Piacere di averla conosciuta, Gianna, mi spiace solo in queste condizioni» e se ne andò.
 
Per qualche minuto nessuno dei due fiatò, ed Ernesto fu tentato di trascinare per un braccio quella donna fuori di lì seduta stante e fiondarsi in camera dove avrebbe dimostrato a Gemma tutta la sua riconoscenza per essere stata… semplicemente se stessa.
 
«È vero? Vuoi parlarmi di Bruno?» Le chiese inzuppando un biscotto nel suo cappuccio e mangiandolo in un boccone.
 
Sapeva che quell’ atteggiamento urtava Gianna, ma non gliene importava nulla.
 
«Come sai, la settimana prossima rientrerà in Italia» esordì e quando lui annuì, continuò «bene, questa storia che vuole trasferire la sua residenza da te, non mi va giù. Specie ora che so chi ospiti a casa tua.»
 
«Bruno conosce Gemma e la stima molto, inoltre so che approva la nostra unione e ne è felice. È un ragazzo adulto e vaccinato, non è stupido e sappi che, a differenza tua, io, non gliela sbandiero sotto il naso e nemmeno lo umilio o sminuisco davanti a lei.»
 
«Ma come ti permetti…» saltò su lei, ma lui la bloccò.
 
«Cos’è, la verità fa male? Non sono io ad averlo sbattuto fuori casa di punto in bianco l’ultima volta che è tornato. Anzi, non l’hai fatto tu, ma il tuo giovane fidanzatino, una sua occhiata e Bruno si è ritrovato in mezzo a una strada. Meno male è riuscito a recuperare lo scooter. Hai il coraggio di negare?»
 
 
                                                                                                               ֎֎֎֎֎
 
 
Ma come si permetteva quel… quel… di giudicarla.
 
«Non parlare male di Scheggia.»
 
«Uh, che nome carino. Indica la velocità delle sue prestazioni che tanto ammiri?»
 
«Senti tu, non sono venuta qui per sentirlo insultare gratuitamente. Volevo solo che sapessi che io mi opporrò a questa vostra decisione. Non mi porterai via Bruno.»
 
«Ah, no? Lascia che ti dica come la vedo io. Bruno è maggiorenne e può decidere da solo cosa preferisce e tu non puoi opporti al suo volere. Tu odi perdere quello che lui rappresenta per te, ovvero – e qui dimmi se sbaglio – l’assegno mensile per il suo mantenimento. Assegno che è stato sospeso dal giudice in quanto Bruno – al momento della firma del nostro divorzio – risiedeva già a Londra e che verrà riattivato quando rimetterà piede in terra italica. Ora che sta per farlo… dinnnng, i tuoi occhi sono entrati in modalità Paperone e hai capito di avere commesso uno sbaglio a mandarlo via. Niente Bruno a casa tua, niente soldi. Casa tua, tze, casa mia, che fino a ora ti ho concesso di usare, anche se nostro figlio non vi risiedeva. Sono stato molto magnanimo con te, non trovi?»
 
«Magnanimo? Magnanimo?» Urlò lei. «Ma se è una catapecchia quella che tu chiami casa.»
 
«Allora vattene, dopotutto Bruno non vi risiederà più e tu perdi il diritto di abitazione. Trovati una reggia se preferisci. Non sarà difficile, per me, trovare qualcuno che vorrà vivere in quella catapecchia di 120mt quadrati su tre piani. Potrei affittarla o venderla senza problemi, ma questo sarà solo affare mio.»
 
«Tu… viscido… approfittatore di povere donne in disgrazia.»
 
«Parli di te? Stai facendo tutto da sola e comunque, hai quarantasette anni Gianna, rimboccati le maniche e vai a lavorare.»
 
Ma come osava. Come osava umiliarla così.
 
«È per vendetta che lo fai, vero? Perché io ti ho umiliato preferendoti uno più giovane. In realtà mi ami ancora, ma non vuoi ammettere che ti manco e allora te la spassi con la grassona.»
 
«Non so a chi ti riferisci. Non ho visto nessuna grassona nei paraggi. Se stai cercando di farmi cadere in qualche trappola per il tuo solito tornaconto, hai sbagliato a capire. E, ti prego, spegni il registratore del telefono. Idea tua, del tizio che ti scopi – e me ne stupirei assai – o del tuo avvocato? Sono curioso.»
 
Cosa? Come aveva fatto a capire che lo stava registrando. Era vero, il suo avvocato le aveva suggerito quella mossa. L’aveva messa in guardia sul rischio che correva ora che suo figlio le aveva detto che non sarebbe più rientrato a casa, ma che si sarebbe trasferito dal padre in pianta stabile. Niente assegno, niente casa. Il suo, era stato escluso in sede di separazione in quanto Ernesto aveva dimostrato che era avvenuta per colpa sua. Fino a quel momento aveva tirato avanti con i suoi risparmi, ma ora stavano finendo e lei non poteva lavorare, non poteva. Gianna non si sarebbe mai abbassata a tanto. Stava per rispondergli per le rime quando lui la precedette e continuò, facendola sbiancare...
 
«Ah, e ti avviso che non sarebbe comunque valido in sede legale. Sai, ho i miei dubbi che il giudice ti abbia dato il permesso di registrare questa conversazione e quindi hai commesso un reato, doppio, perché non mi hai nemmeno chiesto il permesso prima di iniziare. Errore, grave errore» le disse scuotendo ironicamente la testa prima di svuotare la sua tazza e pulirsi la bocca col braccio. «Ah, il profumo della disperazione, ti fa prendere decisioni avventate, vero?»
 
Dio, il suo ex era proprio un burino. Lo aveva sposato solo perché era di famiglia ricca e pensava di potere fare la bella vita con lui, ma così non era stato. Il meccanico. Ecco cosa amava fare. Tornava a casa sempre in condizioni penose e il peggio era che Bruno aveva ereditato non solo il suo fisico, ma anche la sua passione.
Aveva capito di essere stata ingannata pochi mesi dopo il matrimonio, quando lui si era rifiutato di spendere qualche milioncino di Lire per passare un mese a Dubai, preferendogli una settimana in un agriturismo, non si ricordava più neanche dove. Aveva iniziato a tradirlo dopo la nascita di Bruno. Era sempre stata brava a nascondere i suoi amanti e lui era troppo impegnato col lavoro o preso dal figlio, per accorgersene. Un solo errore. Un incontro casuale col suo attuale compagno – dannazione al suo orologio che si era fermato e non se ne era accorta – ed era andato tutto a puttane. La cosa assurda era che lui se ne era accorto già da un po’ e aveva raccolto delle prove per accusarla in tribunale, prove legali che il giudice aveva ritenuto valide.
 
«Non avrai mai Bruno e neanche la mia casa, sappilo» gli disse alzandosi di scatto.
 
«Tze, errori tre e quattro. E, visto che stai ancora registrando, chiedi conferma anche al tuo avvocato. A proposito, buongiorno signor Piazza, vedo che lavora ancora per la mia ex moglie, come sta?» Disse poi rivolto all’uomo. Poi tornò a concentrarsi su di lei. «Ti ripeto che nostro figlio è maggiorenne e sceglie lui. Ti ripeto anche che la casa è mia e mi è permesso tornarmene in possesso, cosa che ho intenzione di fare quanto prima. Buona giornata, ex moglie, e buona ricerca» le disse poi accompagnandola alla porta.
 
«Tu… la cosa non finisce qui, sappilo» urlò «avrai presto mie notizie e ti pentirai di tutto Di avermi portato via mio figlio, la mia casa e di… di…»
 
E poi, mentre stava per uscire, un bastone le piombò in faccia all’improvviso e le vennero le lacrime agli occhi per il dolore. Ma che cazzo… riuscì a visualizzare un vecchietto che si faceva strada nell’appartamento del suo ex. Cosa? E chi era adesso quello lì?
 
«Oh, Ernesto, proprio te cercavo. Che coincidenza fosse già aperta la porta. Ho bisogno della spesa settimanale, hai tempo?»
 
«Lei, bifolco rincitrullito» apostrofò l’uomo col cappello di lana e la vestaglia «stia attento a come muove quel bastone. Mi ha fatto male, sa?»
 
«Ernesto, caro ragazzo, hai detto qualcosa?»
 
«Io? No, veramente…» iniziò lui, ma lei lo bloccò.
 
«Sono stata io a parlare, vecchio. Mi ha preso in pieno in faccia, lo sa?»
 
«Uh, davvero? Può dimostrare che è stato il mio bastone a calare sulla sua testa, poco fa? Ha qualche foto che lo prova? E poi lei chi è? Non l’ho mai vista da queste parti.»
 
«Non importa chi sono, mi chieda subito scusa.»
 
«A una persona così maleducata con gli anziani che neanche si identifica? Se l’ho colpita, non l’ho fatto apposta. Sono vecchio, mezzo cieco e mezzo sordo, mica scemo. Se c’è qualcuno che deve scusarsi per la sua maleducazione quella è lei. Urlava così forte che persino io l’ho sentita poco fa minacciare Ernesto e anche Bruno, che considero come la mia famiglia. Cafona! Se ne vada e lasci in pace questi due cari ragazzi dal cuore d’oro» le disse prima di sbattere il bastone a terra più volte con fare minaccioso.
 
Quel tizio era svitato e pazzo. Ernesto lo stava guardando con un sorriso accondiscendente e… stupito? Era meglio togliere il disturbo e dopo un’ultima occhiataccia al suo ex, se ne andò.
 
«Se n’è andata? Ma chi era? Sicuramente una meretrice per andare in giro a quest’ora.»
 
«Ahahah, lei e le sue meretrici» sentì rispondergli «allora, questa spesa?»
 
Meretrice? A lei? Inaudito. Era andata a trovare Ernesto convinta di spuntarla e metterlo al palo e invece ci era finita lei. Burino sì, ma era sempre stato intelligente. Aveva voluto fare un azzardo, ma era finito male. Furbo lui, aveva iniziato a frequentare qualcuno solo dopo il divorzio e aveva convinto suo figlio a voltarle le spalle. E ora era lei a rischiare tutto. Che guaio. E aveva rimediato anche una bastonata in faccia da un vecchiaccio malefico. Neanche da lì poteva ricavarci soldi, quell’uomo non aveva ammesso di averlo fatto e non si era nemmeno identificato. No – a dispetto delle sue parole – era pronta a scommettere che nemmeno lui era stupido e che l’avesse presa in giro per tutto il tempo. Quella donna poi… l’aveva trattata con cortesia e gentilezza e non aveva preso le parti del suo amante, anzi, una volta intuito cosa volesse dal suo ex, si era defilata in un batter d’occhio, dannazione.
Doveva trovare qualcosa che giocasse a suo favore o veramente rischiava di finire sotto i ponti e Scheggia l’avrebbe lasciata. E lei senza di lui e la droga che le regalava giornalmente – e che iniziava a non bastarle più – non avrebbe più potuto vivere.
Doveva dire al suo avvocato di avviare delle indagini su Ernesto, era impossibile che non avesse uno scheletro nascosto su cui far leva per distruggerlo. Ne andava della sua vita e della sua sanità mentale.
 
 
                                                                                                              ֎֎֎֎֎
 
 
«Signor Brambilla, posso presentarle una persona?»
 
«Ma non è appena uscita? Gran maleducata, a proposito.»
 
«Lo è, ma non è colei che tengo farle conoscere. Quella là era la mia ex moglie che mi ha teso un agguato stamattina, pensando di farmi fesso. A proposito, è stato una forza, lasci che la ringrazi, non mi sono mai divertito tanto come poco fa. Ahahah.»
 
«Dovere, mio caro ragazzo, dovere. Allora… chi vuoi che conosca?»
 
«La donna che amo e che frequento.»
 
«Sei circondato da donne, Ernesto. La bruna riccioluta, la castana antipatica…»
 
«La riccioluta è la mia gemella, quante volte glielo devo dire. Quella di poco fa non la conti neanche, ma questa… oh, sì, lei sì.»
 
E poi, lasciando un attonito Brambilla da solo per qualche minuto, andò da Gemma, la baciò, le spiegò la situazione e le diede un paio dei suoi pantaloni a cui dovette fare i risvoltini.
Quella mattina iniziata così bene stava lentamente peggiorando e si sentiva in colpa nei confronti di Gemma che era arrivata lì pronta per lui e ora si ritrovava catapultata in situazioni che sfuggivano al suo controllo. Doveva odiarlo e non l’avrebbe biasimata se fosse scappata per poi fare dietrofront sulla loro neonata relazione. Ma lei lo sorprese ancora una volta quando si lisciò i capelli con le dita, gli sorrise e, prendendolo per mano, accettò di conoscere anche il suo vicino rompiscatole, ma tempestivo.
 
«Gemma, ti presento il signor…» ma lui lo precedette.
 
«Idelfonso Maria Brambilla, mia cara, per servirla. Bella donna, Ernesto e ha uno sguardo limpido e dolce. Lei mi piace. Piacere di conoscerla» e poi le fece il baciamano.
 
Eh? Questa poi. Quando si riprese, Ernesto guardò Gemma che era leggermente arrossita e si stava scusando per il suo abbigliamento poco consono mentre l’altro fingeva di non farci caso. Li lasciò parlare per qualche minuto, intanto che si dedicava a lavare le tazze della colazione e poi li raggiunse al tavolo.
 
«Bene, signor Brambilla, mi dia questa lista.»




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