when the party's over

di fleurdepecher
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when the party's over






Confusa, ferita, arrabbiata, era decisa ad uscire quella sera, a non farsi influenzare e provare ad essere felice, a distrarsi, almeno per quelle poche ore. 
Sembrava che il suo piano stesse funzionando. Tra la musica altissima e coinvolgente, le risate di quelle amiche che la trascinavano tra la folla per ballare, sembrava fosse tutto un po’ più facile. Almeno per quelle poche ore. 

Non riusciva però a sgrullarsi di dosso quell’indefinita sensazione di ovattato malessere. La sentiva alla bocca dello stomaco, ed era certa che non si trattasse dei cocktail bevuti, nonostante la tremenda qualità dell’alcol, o del caldo di metà luglio ampliato all’estremo dal ballare ininterrottamente. 
Era una sensazione che individuava, familiare, ma non conosceva. Non era in grado di farlo. 
Cercò con tutta se stessa di distrarsi e chiudere a chiave in un cassetto della sua mente questo oscuro mal di mare. 

Non era la prima volta che le capitava e sebbene percepisse il pericolo di questa azione, sembrava funzionare piuttosto bene. Anche se era come mettere un cerotto su una ferita che necessitava dei punti, riusciva a mantenere quest’illusione, a contenere l’emorragia. 

Ondeggiava sorridente, tra la folla, a ritmo delle hit estive. In quell’attimo, si sentiva alleggerita, finalmente, più libera. Avrebbe dovuto sentirsi già così quando poche sere prima aveva avuto un coraggio che prima aveva mai provato, quando era riuscita a lasciarlo. Sicura di sé come mai prima, perché aveva sempre temuto di rimanere sola, non amata, e invece c’era riuscita. Incredibilmente sorpresa della sua fermezza. Era certa che lui non l’avrebbe compresa, che non ne sarebbe stato in grado e così era stato. 
Quel momento così apparentemente importante, così veramente vuoto. 
Le parole poco importavano, quanto più il suo sguardo sbigottito, ferito, confuso. Un’incomprensione comprensibile, poiché nemmeno lei stessa riusciva a decifrarsi. 

Eppure c’era riuscita e per qualche minuto, sotto le colorate luci e immersa nella musica assordante, realizzava l’importanza di questa libertà. 

Venne trascinata via con violenza da questo suo momento quando incontrò i suoi occhi, così scuri, non più caldi, come apparivano nei suoi ricordi, sempre confusi e feriti sì, ma ora più freddi. 
A picchiare forte nei timpani non era più la musica altissima, ma il battito del suo cuore, così forte e vivido da invaderla e assordarla. Rimase immobile, statica e in subbuglio, impassibile al fracasso che si stava scatenando nella sua mente. 
Sapeva che non sarebbero riusciti a trascorrere una serata tranquilla, civilmente. Aveva percepito il pericolo appena l’aveva visto. Quella sensazione così spaventosamente simile a quando ti trovi difronte a un rischio reale e l’istinto ti suggerisce di fuggire, correre il più lontano possibile, metterti in salvo. 

Eppure lei rimaneva lì, pietrificata, col petto che le esplodeva, ma bloccata. 

Non serviva che lui pronunciasse granché per percepire quell’ondata di rabbia da lui proveniente che la stava assalendo. Cominciò a sentirsi così piccola, debole, persa. Voleva correre via, lontano, tornare a casa, chiamare le sue vere amiche, farsi aiutare da loro.

Tuttavia si ritrovò in qualche modo da sola con lui, lontani dalla gente e dalla musica. Non sapeva perché l’avesse seguito o perché non fosse in grado di scappare e continuò a non riuscirci quando lui cominciò ad urlarle addosso. 
Ferma lì, inerme, mentre lui le inveiva tutta la rabbia che aveva dentro. 
Ogni parola una pugnalata allo stomaco. 
Una crudeltà che non gli riconosceva, non credeva lui la stesse mostrando proprio a lei, non riusciva a comprendere come gli risultasse così facile distruggere una persona che sosteneva di amare.

Ogni colpo era doloroso quanto il precedente. 

Paralizzata da quella violenza, straziata da quelle parole, sbriciolata da esse, riuscì solo a trattenere il fiato in attesa che l’attacco finisse. Sperando di riuscire, almeno alla fine, a scappare via. 
Si fece forza, non abbastanza da difendersi, ma quanto bastava per non crollare del tutto. Si aiutò facendosi memoria di altri momenti infelici e complessi vissuti in passato, della resistenza che nonostante tutto aveva dimostrato di avere. 

Si ricordò soprattutto che difronte a questa violenza non si risponde, non si può. 

Così aspettò. 
Nel suo salato silenzio. 
Calde le lacrime scorrevano lungo le guance, giungevano alle sue labbra, scivolavano lungo il collo. 

Una volta assicuratosi che lei avesse recepito ogni insulto, che ogni sua parola l’avesse lacerata, così com’era apparso, scomparve, ritornando nella mischia. 

Un singhiozzo fragoroso spezzò quel suo insopportabile silenzio. 

Sentì l’ossigeno riempirle polmoni. 

Un pianto rumoroso e liberatorio. 

Finalmente riuscì a compiere un passo e poi molti altri ancora. Accelerando fuggì fermandosi solo fino a quando la musica alle sue spalle fu solo un flebile suono. 





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