NEXT LEVEL: KOZMO

di nekochan95
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L'orologio ticchettava. 

Ore 6:57.

Emma era distesa sul divano con il piede sinistro poggiato sul ginocchio opposto, con esso sosteneva il ritmo delle lancette dell'orologio appeso al muro e attendeva, impaziente, che si facessero le 7.

Passarono tre minuti e suonò la sveglia impostata nel cellulare. 

I suoi grandi occhi castani avrebbero dovuto aprirsi in quell'istante, o qualche secondo dopo, ma le notti insonni non erano una novità all'interno del suo loft.

Ripresasi dopo essersi persa all'interno della melodia della sveglia, si alzò dal divano in cui aveva passato le ultime quattro ore e preparò la colazione della domenica : yogurt, mix di frutta secca e muesli al cioccolato, in tazza.

Come ogni domenica, l'ansia le scorreva nelle vene.

Iniziò a prepararsi.

Jeans modello slouchy e maglioncino lilla in vita: i suoi preferiti. 

Sneakers nuove ai piedi, rossetto nude con finitura rigorosamente matte ed uscì di casa.

Prese l'auto e mise in moto per raggiungere la residenza dei Logan.

Impiegava circa trentacinque minuti per arrivare; era un breve viaggio che intraprendeva due volte a settimana, ogni fine settimana.

Le piaceva guidare, seppur molto vigile ed attenta alla guida, si abbandonò ai suoi pensieri. Era una sognatrice. Un'inguaribile romantica. Una ragazza che cercava di ricavare il meglio da ogni situazione o, almeno, provava con tutta se stessa.

Squillò il cellulare.

"Em!! Hai dormito stanotte? O meglio, stamattina?"

"Mi fai una domanda, ma sai già la risposta. No, sono già in moto. Ti parlo dalla mia piccola ultra-tech"

"Immaginavo. Sta' attenta alla strada. Ok? Io andrò a pranzo con Jaime. Credo sia totalmente cotto."

"Lui? Non tu? Mi raccomando a te, non comportarti troppo da Hayley, affrontala passo dopo passo."

"Ok, mamma. Ti voglio bene, mandami un messaggio appena arrivi."

"Lo farò, ti voglio bene anch'io", riattaccò.

 

(...)

 

Hayley e Jesse erano nella loro cucina, seduti sopra gli sgabelli della penisola intenti a fare colazione: pancakes con burro e sciroppo d'acero, spremuta d'arancia ad accompagnare.

"Stava andando dai Logan?" chiede Jesse alla sorella, sorseggiando la spremuta.

"Sì, anche stanotte non ha chiuso occhio. Abbiamo messaggiato fino alle 3 del mattino perché ero in ansia per l'appuntamento di oggi, ma poi sono crollata. Pensavo riuscisse a dormire anche lei, ma dovevo aspettarmelo." ribatte Hayley, servendo i pancakes al fratello.

"Praticamente riesce a dormire soltanto 4 notti a settimana, o soltanto a casa di Pete. Comunque, domani, in studio, cercherò di parlarle. Magari qualche volta potrebbe dormire qui da noi...", sospirò il ragazzo.

"Già chiesto più volte. Lo farà appena se la sentirà, non voglio insistere." replicò Hayley, alzando le spalle, rassegnata.

"Comunque sorellina, pancakes meravigliosi, ti amo, ma io scappo. Cià." continuò Jesse, mangiando l'ultimo boccone di corsa, baciando sulla guancia la sorella e dirigendosi verso la porta di casa.

"Cosa? Come? Ma dove stai andando così di fretta? Jesse!" urlò Hayley senza ricevere alcuna risposta.

 

(...)

 

Jesse indossò le cuffie, camminava accennando passi di danza, perdendosi dentro la sua musica. 

Aveva una figura snella, capelli biondo platino, lineamenti del viso delicati. Indossava spesso skinny jeans e maglie di qualche taglia più grande della sua, come a voler proteggere la sua anima fragile. 

Attraversò diversi isolati per giungere in città, arrivando davanti l'edificio della sua etichetta discografica.

Entrò e prese l'ascensore, dirigendosi al quinto piano, dove si trovava lo studio. 

Accese le luci, l'impianto del suono, il mixer, tastiera e synth e iniziò a comporre musica e a cantare. 

Dall'altra parte della parete in vetro, con le spalle al muro, AJ, Aaron Jay Lee, osserva meravigliato il collega. Si stupì di quanto potesse essere in gamba quel ragazzo, all'apparenza così fragile.

Fece qualche passo e azionò il microfono così da poter comunicare con la stanza adiacente.

"Jesse, non mi deludi mai". Disse pacatamente.

"Che? Ma che cazzo? Chi è?" , urlò Jesse, balzato in piedi per lo spavento.

"Suoniamo insieme da tre anni, idiota, e non riconosci la mia voce?! Aspetta che prendo le bacchette." Replicò l'amico. 

AJ prese le bacchette dalla loro custodia ed entrò nella saletta di registrazione.

"Bellissimo il giro di prima, perché non lo proponi ai ragazzi?" suggerì AJ, prendendo posto dietro la sua batteria. Sistemò e controllò ogni singolo pezzo affinché il suono fosse perfetto. 

"Devo ancora perfezionare, ma non sono sicuro, devo trovare l'ispirazione. Che ci fai qui?", chiese Jesse, incuriosito, cercando il suono desiderato, con lo sguardo rivolto verso l'altro.

"Dude, posso farti la stessa domanda", rispose AJ di rimando, accigliato. 

"Io vengo qui ogni giorno, anche le domeniche. Proprio per questo motivo, so che è strano che tu sia qui oggi. Non ci siamo mai incontrati.", fece notare il biondo, incuriosito, sedutosi per terra lasciando la tastiera. 

AJ rilassò il viso. La sua espressione mutò, lo sguardo perso nel vuoto. Rimase in silenzio per qualche secondo.

"Ehilà?!", ancora Jesse, preoccupato, scuotendo la mano per catturare l'attenzione.

"Devo partire. Voglio godermi questo posto più che posso.", accennò con un filo di voce.

I due rimasero in silenzio. Il respiro di Jesse si udiva chiaramente, le sue labbra si schiusero. Aggrottò le sopracciglia e fece un sospiro.

"Quando? Ma soprattutto, l'hai deciso stanotte mentre dormivi? Fino a ieri eravamo qui, tutti insieme, cazzo!", lamentò Jesse, che si alzò per raggiungere AJ. 

"No. Ci penso da settimane. I miei mi vogliono in azienda. Mi hanno detto che non mi avrebbero pagato più gli studi se avessi continuato ad andare dietro alle mie cazzate. Tu sai quanto poco ci credano al lavoro che stiamo facendo." rispose AJ con rassegnazione ed un velo di tristezza.

"Ma di cosa stai parlando? Prendiamo abbastanza per poter dipendere da noi stessi! Non può essere così, davvero, amico, non dirmi questo."

"Jess, tu vivi a casa dei tuoi. È normale pensarla così quando tutto ciò che guadagni ti rimane in tasca. Chiedilo a Pete, ad Emma, a T. I tuoi genitori ti adorano e ti sostengono. Ai miei genitori non importa che io sia già un adulto, che abbia un lavoro che mi dia soddisfazioni ogni attimo della mia fottuta vita, che mi renda felice anche quando non sto lavorando. A loro non importa, ma a me importa di loro.", replicò con voce rotta. 

I due ragazzi erano seduti a terra, con le spalle al muro, le gambe incrociate. Jesse poggiò la testa sulla spalla destra del suo migliore amico. Entrambi in silenzio.

"Mate, avresti dovuto parlarmene. Parlarne subito con gli altri ragazzi. Viviamo praticamente tutti insieme. Ti saremmo stati vicini sin da subito. Così è come un cordone ombelicale tagliato all'improvviso. Sarà dura senza di te, senza le tue cazzate, senza i tuoi fill. Non mi sento di dirti nulla, è la tua vita. Ma il nostro lavoro, il tuo lavoro... Non abbandonare ciò che sei. Sei un fottuto batterista. Il batterista migliore di questo fottutissimo mondo." Jesse, con le lacrime agli occhi, scosse con forza i capelli di AJ, come segno di amicizia. 

"Ti voglio bene fratello. Dai, andiamo a mangiare. Troppi feels per oggi", concluse AJ, ironicamente. 

 

(...)

 

"Chris? Dove sei? Non riesco a vederti!", sogghignò Emma, divertita.

"Chissà dove sarà!! Chris? Chris? Oh! Eccoti qui!". Emma prese in braccio il bambino dagli occhi grandi, che le sorrise di rimando. 

"Dai, conto di nuovo, tu nasconditi, ok?", scandì bene Emma, guardando Chris negli occhi e sorridendogli. 

"Uno, due, tre, quattro, cinque... Sto arrivando" 

Dietro di lei, il dolce suono dei passi del bambino che nascondeva il viso dietro le sue manine.

"Chris? Chris? Dove sei? Non ti vedo! Ti nascondi troppo bene!", disse la ragazza, fingendosi disperata. 

Una risatina si levò davanti a lei e Chris aprì le mani sorridendo e correndole incontro. 

" Siamo a casa!", dall'entrata si udirono le voci dei coniugi appena rientrati dal pranzo. 

"Bentornati! Ci siete mancati, vero Chris?", avanzò Emma con il bambino in braccio, gli baciò delicatamente la fronte e lo condusse tra le  braccia dei genitori. 

"Tutto bene? Ha fatto il bravo? Stasera rimani a cena, ovviamente. Preparo le lasagne e, solo per te, una deliziosa torta di mele", propose Alissa Logan, sorridendo e camminando verso la cucina con Chris in braccio ed Emma alla sua destra. 

"Tu mi vizi e vuoi farmi ingrassare. Ed io te lo concedo", rispose la ragazza, donando un sorriso a 32 denti.

 

(...)

 

Emma osservava Richard Logan intento ad intrattenere il piccolo Chris. 

Attendevano, nella living room, che fosse pronta la cena. La ragazza aveva già aiutato Alissa ad apparecchiare il tavolo e fatto cenare Chris poco prima, in modo tale che il piccolo non aspettasse troppo.

Aveva di fronte a sè un'immagine bellissima: un padre presente, attento, amabile ed una piccola creatura di due anni e mezzo, con grandi occhi castani, furbi e curiosi, un dolcissimo nasino all'insù, le fossette ai lati della bocca ogni volta che sorrideva e dei tenerissimi riccioli castani ad incorniciare tutta quella meraviglia.

Era felice: Chris, i signori Logan che amava con tutta se stessa. Si sentiva al sicuro, loro erano la sua casa, loro erano famiglia.

"Emma, come vanno le cose in agenzia?", chiese Richard, seduto a capotavola, mostrando interesse e versando l'acqua nei bicchieri di ogni commensale. 

"Benissimo. Stiamo quasi per terminare il nuovo album. Abbiamo tantissime idee, quindi stiamo cercando di dare vita alle migliori", replicò Emma, intenta a sorseggiare l'acqua.

"Sono contento. Non vedo l'ora che ricominciate con il tour. Così Chris può venire a vedervi."

Per qualche secondo si alzò un silenzio disturbante.

"Emma, io e Rich dobbiamo parlarti", intervenne Alissa, rompendo il silenzio e parlando pacatamente.

"Ditemi pure", rispose Emma indispettita, l'ansia iniziò a massacrarle lo stomaco.

"Richard ha avuto una promozione. Noi, da un lato, non possiamo che essere fieri di questo. Dall'altro siamo stati presi alla sprovvista e siamo dispiaciuti perché dovremo lasciare questa città", aggiunse la Signora, carezzando il dorso della mano di Emma.

Calò nuovamente il silenzio, la tensione era palpabile.

"È una cosa momentanea?", bisbigliò Emma, con lo sguardo perso nel vuoto.

"Non lo sappiamo. Ma non è una cosa che accadrà subito. Andremo via nel giro di un mese e mezzo o due. Tu puoi venire qui anche ogni giorno. Sarai sempre la benvenuta qui e anche in un'altra città. Puoi venire ogni volta che puoi. Noi ti amiamo, lo sai", la rassicurò Alissa, che si avvicinò per darle un caldo abbraccio materno.

Emma accennò sorriso e la cena continuò parlando del più e del meno.

"Vado a prendere la torta", annunciò Alissa, volgendo un sorriso alla sua ospite.

"Non vorrei essere scortese, però domattina devo alzarmi molto presto, quindi sarà meglio che io vada.", replicò Emma, cercando una scusa per andare via. 

"Sicura? Questa l'ho fatta per te! Mi dispiace che tu debba andare. Aspetta, portala a casa così domani farai colazione", aggiunse Alissa, recandosi in cucina per prendere ciò che le serviva affinché Emma portasse la torta con sé.

"Vi ringrazio. La cena era deliziosa. Dispiace anche a me andar via ma il dovere chiama...", disse Emma prendendo in mano la torta. "Date un altro bacio alla Bestiolina da parte mia. Grazie ancora per tutto, siete speciali", concluse la ragazza, abbracciando i padroni di casa e dirigendosi verso l'uscita.

"Grazie a te, ci vediamo presto. Sta attenta!", intonarono i signori Logan, salutando ancora la ragazza dal ciglio della porta.

 

(...)

 

Emma entrò in auto e attese qualche secondo prima di fare qualsiasi movimento. Era immobile. Il respiro era diventato sempre più pesante.

Aveva la testa tra le braccia, entrambe appoggiate sullo sterzo.

Accese la radio, scelse la playlist e sospirò. I suoi occhi erano sbarrati, un nodo le martoriava la gola. 

Mise in moto e iniziò a incamminarsi verso casa. 

Si perse nella musica che invase l'auto, la sentì penetrare nella sua anima. 

Sentì come se si fosse aperta una voragine dentro. Come se stesse perdendo la terra sotto i piedi.

Senza rendersene conto, cambiò il tragitto.

 

(...)

 

Parcheggiò l'auto, prese la busta con la torta, si assicurò di aver chiuso tutto.  A passo lento, si mosse verso un edificio. 

Un caleidoscopio di emozioni ebbe la meglio su di lei. Tremava, il suo stomaco sembrava prendere vita, ma non si fermò.

Prese l'ascensore e giunse al piano.

Lentamente camminò verso un appartamento, rimase immobile davanti alla porta per qualche secondo.

Appartamento 7.

L'orologio batteva circa le 23.

Sospirò. Sospirò più volte.

Poggiò la busta per terra e, con le dita tremanti, suonò il campanello. 

Dopo alcuni secondi la porta venne aperta. 

"Posso rimanere qui, stanotte?", la voce di Emma si ruppe in mille pezzi, proprio come aveva fatto prima il suo cuore, e si abbandonò tra le braccia di Pete. 

Pete la strinse in un abbraccio.

Rimasero qualche secondo così, l'uno nelle braccia dell'altro, in silenzio. Un silenzio fatto di mille parole non dette.

Pete strinse Emma più forte, le baciò i capelli.

"Che ci fai qui, a quest'ora? È successo qualcosa? Entra, dai."

Pete sciolse l'abbraccio e fece cenno di entrare in casa, prendendo la busta e chiudendo la porta dietro di sé. 

"Ti va una fetta di torta?", propose Emma, prendendo la busta dalla mano del suo migliore amico. 

"Mi dici che cosa succede? Di solito mi chiami prima, mi fai preoccupare così" , intervenne Pete, accarezzando la mano di Emma mentre serviva una fetta di torta. 

Rimasero in silenzio per qualche secondo.

"Se ne vanno...", disse Emma con un filo di voce, stringendo entrambi i pugni sul tavolo.

"Chi?", domanda il ragazzo, alzando un sopracciglio. 

"I Logan, la mia famiglia. Non capisco perché chiunque io ami decida di lasciarmi", rispose la ragazza, sedendosi sul divano, senza rivolgere lo sguardo verso Pete, che ascoltava attentamente. "Io non so come farò così...", continuò Emma, sforzandosi di trattenere le lacrime.

Pete prese posto vicino a lei, passandole un braccio attorno alle spalle. 

La strinse a sé. Emma poggiò la testa sul petto dell'amico.

"Em, non dire così. Ci sarà una ragione valida. E poi non voglio sentirti dire quelle cose. Perché io sono qui e questo è il mio posto, accanto a te. E sarà sempre così."

"Me lo prometti?"

"Me lo stai chiedendo sul serio?"

"Promettimelo."

"A che ti servono le parole quando hai i fatti?", disse Pete, mostrandole il tatuaggio che avevano fatto insieme, un sottile filo rosso indelebile sul polso, simbolo del loro legame inscindibile.

"Voglio sentirtelo dire: Te lo prometto", insistette Emma, sfidando Pete. Il suo tono era cambiato.

"Prometto sempre di esserti vicino. Te lo prometto."

"Ecco, bravo. Adesso va meglio." 

Si scambiarono sorrisi.

"Vale anche come promessa di nozze?"

"No, per quella devi lavorare di più."

"Prometto di proteggerti ogni secondo della mia vita, come il principe azzurro che sguaina la spada contro i nemici per difendere la sua amata, dolce principessa.", ironizzò Pete, portandosi la mano destra sul cuore.

"Vedi? È per questo che non hai una ragazza. Sei troppo romantico, il romanticismo è ormai superato."

"Forse non mi importa di avere una ragazza qualunque accanto, forse voglio avere la migliore per me.", lo sguardo di Pete si fece serio.

"Sono sicura che sarà la ragazza più fortunata al mondo, ad averti accanto. O la più sfortunata, perché dovrà vedersela con me", Emma colpì delicatamente Pete alla spalla. I due ripresero a mangiare la torta.

La serata continuò tra chiacchiere, sorrisi, musica, per poi addormentarsi uno accanto all'altro, stretti in un abbraccio.

 

(...)

 

"Ecco, adesso che siete tutti qui, devo parlarvi di una cosa.", iniziò AJ, rivolgendo lo sguardo verso Jesse. "Vi prego di non interrompermi".

Tutti i presenti in sala annuirono.

"Emma, Pete, Jesse, T, Ceo, Boss, grazie per tutto quello che avete fatto per me in questi ultimi tre anni. Grazie per avermi fatto crescere come persona e come musicista. Grazie per avermi fatto conoscere parte del mondo, per avermi buttato in mezzo alle folle. Grazie per aver dato un senso alla mia vita, per tutte le soddisfazioni che ho avuto, per i successi ottenuti. Purtroppo devo cedere il mio posto a qualcun altro", sputò AJ tutto d'un fiato, una lacrima rigava il suo viso.

In sala si alzarono voci contrariate. 

"Ragazzi, la famiglia chiama. Questo è quello che devo fare. I miei genitori vogliono che io torni in Corea per mandare avanti l'azienda. Papà è stanco e vuole lasciare il comando a me e ai miei fratelli. Questa decisione è stata ponderata a lungo, ma è la cosa più giusta che io possa fare. Spero possiate rispettare questa mia decisione.", concluse con voce spezzata. 

"Beh, mi hai colpito dritto in faccia. Dato che nessuno prende la parola... Non posso che dirti BUONA FORTUNA, AJ, ti auguro il meglio. Per ogni successo che raggiungerai, noi saremo sempre vicini a te per festeggiare", disse Boss, il loro manager, stringendo il ragazzo che finalmente lasciò libere le lacrime che da troppo tratteneva.

Tutti insieme, Emma, Pete, Jesse e Thomas, corsero verso il loro compagno di avventure e si strinsero in un abbraccio. Nessuno proferì parola, ma era tangibile l'affetto che legava i cinque ragazzi. 

"Nessuno prenderà mai il tuo posto nel nostro cuore", gli sussurrò Emma, con gli occhi pieni di lacrime, stringendolo in un abbraccio. 

 

(...)

 

"Dobbiamo trovare un sostituto al più presto", disse Pete, poggiando il mento sulle mani congiunte. "Ci siamo appena lasciati e tu pensi già ad un altro ragazzo?", ironizzò Jesse.

"Pete ha ragione. Abbiamo delle scadenze, non possiamo perdere molto tempo. AJ, da esperto, potrà aiutarci a scegliere il candidato migliore. Che ne pensi?", Thomas si rivolse ad AJ. 

"Assolutamente sì! Direi di promuovere una selezione, intanto, ho dei conoscenti abbastanza in gamba. Potremmo anche partire da domani stesso!", rispose di rimando AJ, iniziando a buttar giù qualche idea.

 

(...)

 

E' martedì, i ragazzi si erano riuniti nella sala conferenze per ascoltare i candidati. Insieme a loro anche il manager, il CEO e altri esperti del settore. Sul palco erano state sistemate una batteria acustica, una elettrica e l'impianto audio necessario. 

Emma, Pete, Jesse, AJ e Thomas avevano preso posto nella prima fila di poltrone, dietro di loro gli altri.

"Benvenuti. Noi siamo i Kozmo, come ben saprete, dato che siete qui proprio per noi. Io sono Emma e,  alla mia destra Pete, il chitarrista, Jesse, il tastierista, T, il bassista ed AJ, il nostro, quasi, ex batterista", esordì la cantante e leader della band. 

"Dietro di voi, potete notare due batterie, suonerete entrambe per due minuti ciascuna. Dall'impianto vi manderemo due tracce audio prive di percussioni e di voce, così da concentrarci solo su di voi", continuò Pete, scrutando ogni candidato e passando il microfono al vicino.

"Vi sarà chiesto anche di improvvisare, ma non abbiate paura. Unico consiglio che vi do è quello di non esagerare, di fare ciò che vi viene naturale, in modo tale da non sbagliare.", rassicurò Jesse.

"Io starò molto attento al modo in cui vi fonderete con la linea di basso, gli errori sono ammessi, ma dovete dimostrare di avere quella cosa in più degli altri.", fu il turno di T, che sorrise e passò il microfono all'ultimo dei compagni.

"Beh, io non ho molto da dirvi. Impegnatevi, divertitevi e divertiteci. Questo è uno dei mestieri più belli del mondo, quindi vedete di non fare casini.", concluse AJ, passando la parola al loro manager.

"Se nessuno vuole aggiungere altro, direi di cominciare... Siete tanti ed il tempo è prezioso. Quando sarete sul palco, sarà necessaria una piccola presentazione e, se lo riterranno necessario, risponderete alle domande dei ragazzi, così da conoscervi meglio. Avrete qualche secondo prima di iniziare, appena sarete pronti, fate un cenno e manderemo la traccia nelle cuffie. In bocca al lupo e date il meglio di voi", sentenziò Boss, facendo cenno ai candidati di accomodarsi sulle poltrone dell'area di sinistra.

 

(...)

 

"Sono Dan, ho 24 anni, nato e cresciuto qui e suono la batteria da quando ho quattro anni. Ho avuto diverse esperienze lavorative con diverse band, ma non ho mai avuto la possibilità di collaborare con quelle di un certo livello. Farò del mio meglio.", esordì il primo candidato.

"Beh, non ho altro da chiedere, hai detto tutto tu, quando vuoi comincia.", sorrise Emma, indossando le cuffie, seguita dagli altri presenti nella postazione principale.

Il ragazzo fece un respiro profondo, indossò le cuffie e annuì. Iniziò a suonare. 

La commissione ascoltò ogni singolo canditato con estrema cura. 

Si susseguirono diversi batteristi.

"Next! Tu sei il penultimo, quindi datti da fare!", esordì Boss.

"Mi chiamo Noah, ho 28 anni e credo che qualsiasi altra informazione sia inutile. Se permettete, inizierei".

Boss fece un cenno con la testa e il ragazzo iniziò a suonare.

"Mi piace questo ragazzo", sussurrò Emma rivolgendosi a Pete, lui rispose con un'occhiataccia.

L'ultimo ragazzo, timidamente avanzò e prese il posto al centro del palco. 

"Sono Max, ho 19 anni e, anche se ho poca esperienza, so che questo è ciò che desidero fare, quindi cercherò di dimostrarlo".

 

(...)

 

"Bene, ragazzi. Complimenti a tutti. Vi chiedo di lasciare la sala così la commissione può deliberare. Grazie", annunciò Boss, rivolgendosi ai candidati, indicandogli di attendere dietro le quinte. 

"Avete qualche preferenza? Solo in 3 mi hanno particolarmente colpito: Dan, Max e Noah. Che ne pensate?", continuò il manager, osservando la sua band. 

I ragazzi, alzandosi in piedi e voltandosi verso la commissione, confrontarono gli appunti presi e chiesero pareri agli esperti. 

"Direi che, per mio gusto personale, quello che si avvicina di più al mio modo di suonare è Noah. Ha totalmente abbracciato il basso. Il tocco era delicato ma deciso. Preciso su tutta linea anche quando ha improvvisato sulle parti che non conosceva. Non ha mai perso il concetto. Bravo. 10 punti su 10", affermò AJ con convinzione.

I presenti annuirono.

"Beh, anche Emma ha gradito, a quanto pare", bofonchiò Pete a voce alta, ricevendo una gomitata sul braccio ed uno sguardo infuocato dalla cantante.

"Se non avete altri dubbi e ciò che avete sentito e visto vi basta, possiamo richiamare i ragazzi per dare i risultati. Il ragazzo, ovviamente, sarà in prova per un po'. Qualora non dovesse reggere, abbiamo a disposizione altre due opzioni", aggiunse il CEO, alludendo agli altri due candidati, con il suo solito tono serioso. 

Emma prese parola e osservò i candidati che si erano appena disposti l'uno di fianco all'altro. Si fermò qualche secondo a contemplare la diversità di ogni ragazzo di fronte a lei. 

Lo sguardo, però, anche se per un millesimo di secondo, venne catturato da due occhi neri e profondi. 

Avvertì un brivido lungo la schiena, schiarì la voce.

"Creiamo un po' di suspence o andiamo dritto al sodo?", domandò a voce alta, rivolgendosi al compagno di avventure che aveva preso posto dietro la sua fidata compagna di vita: la batteria. 

Le bacchette carezzano insistentemente uno dei tamburi.

*rullo di tamburi*

"Bene, grazie AJ!", riprese Emma, sorridendo. "Vi ringrazio per l'attesa, per il tempo dedicatoci, per averci mostrato la vostra anima, il vostro talento. Purtroppo, però, abbiamo soltanto un posto vacante. Ci tengo a precisare che la scelta non ricade su chi abbia più talento, perché avete dimostrato tutti il vostro valore, ma ci siamo concentrati su chi fosse più affine al nostro AJ. Quindi,  Noah: complimenti, sei dei nostri! Grazie ancora a tutti", concluse spegnendo il microfono. 

Gli applausi si sostituirono alle parole della cantante.

Emma sapeva sempre cosa dire e come dire le cose. Ponderava bene le parole, affinché nessuno potesse sentirsi inferiore. Troppe volte si era trovata a doversi nascondere dal mondo per paura di giudizi troppo feroci, paragoni non richiesti, critiche distruttive. Sapeva bene quanto le parole potessero incidere negativamente sull'autostima di qualcuno. Dei più sensibili. 

Tuttavia aveva imparato, con tanta fatica, a mandare a fanculo tutto ciò che poteva mettersi tra lei ed il suo sogno. 

 

(...)

 

"Mi sono già presentato, ma mi scuso se sono sembrato leggermente altezzoso. Solo che mi sentivo in imbarazzo e volevo tagliare corto!", si scusò Noah, accennando un sorriso e portando timidamente una mano sulla nuca, rivolgendosi ai nuovi compagni di squadra.

"Sarai, diciamo, in prova per il primo mese... il tempo necessario per capire le dinamiche, per conoscere l'ambiente, per conoscere tutti noi e capire se, effettivamente, è il posto giusto per te. Dall'altro lato verrai messo alla prova più volte e questo serve a noi per capire se tu sia davvero all'altezza. Sono sicuro che ti troverai bene in mezzo a questa banda di idioti. Hai talento, ragazzo!", intervenne Boss, con tono scherzoso.

 

Qualcosa nell'aria sembrava voler cambiare…

*angolino buio dell'autrice* Ciao e grazie a chiunque abbia letto e sia arrivato sino a qui 🥺 Sono tornata a scrivere qui a distanza di 10 LUNGHISSIMI ANNI, con una storiella originale, la mia prima storia originale dopo alcune FF. Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità! Accetto volentieri critiche costruttive che possano aiutarmi a migliorare 🥰




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