19.
Tela di ragno
Lo
guardai ancora una volta.
Era
spiegazzato, unto ed emanava un tanfo rancido. Era stato abbandonato per terra
da qualcuno che forse gli aveva dato un’occhiata, lo aveva trovato divertente,
poi lo aveva appallottolato e gettato a terra. Dopodiché era stato calpestato, io
ero stato calpestato, nell’indifferenza generale, quando ormai quel volantino
aveva generato risatine e chiacchiere.
Ecco,
quelle, soprattutto. Chiacchiere che si erano rincorse alla velocità della luce
e che non avevano impedito alle persone di farsi un’idea sbagliata di me. E
quell’idea se l’era fatta pure il professore, che da dietro quegli occhiali mi
aveva detto che “Signor Hayworth, sa, non vorrei essere sgradevole… “ - e sì
che lo era stato - “ma credo che potrebbe aver problemi con la sua borsa di
studio”.
Fanculo
a tutti. Fanculo allo stronzo che aveva stampato quel volantino, che era un
fotomontaggio e si vedeva da lontano un chilometro, ma a chi interessava?
Nathan Hayworth che si fa fare un pompino da un uomo era abbastanza per avere
qualcosa di cui chiacchierare per tutta la settimana. Poi nessuno se ne sarebbe
più ricordato, ma io avevo gli occhi della gente incollati addosso, i loro
parlottii dietro le spalle e la sensazione di essere osservato più del solito,
e non perché ero carino.
Qualcuno
mi passava accanto e mi diceva di succhiarglielo. Io rispondevo a tono, ma le
risate di quei branchi mi sotterravano. Cercai di diventare invisibile, ma dopo
l’ennesimo tipo che mi indicava il suo pacco non ce la feci più e, lontano da
tutti, aspirai una sigaretta dopo l’altra in tempo record.
Sobbalzavo
a ogni fruscio, convinto che fosse qualcuno nascosto dietro un cespuglio
immaginario, pronto a spaventarmi col suo fringuello all’aria e una serie di
frasi impronunciabili come corredo.
Io
avevo una sigaretta accesa in mano e pensai che, nel peggiore dei casi, avrei
potuto fargli passare la voglia spengendogliela direttamente sul suo affare; ed
ero così convinto di quell’idea che ogni volta che finivo di fumarne una
sentivo subito il bisogno di accenderne un’altra.
Poi
quei fruscii divennero più reali. Mi voltai, ma non c’era nessun cespuglio nei
dintorni, né qualunque altro arbusto che potesse produrre quel rumore.
Continuai a scrutare il paesaggio alle mie spalle, a tenere gli occhi fissi sul
muro che faceva angolo, senza mai sbattere le palpebre, per catturare ogni
minimo movimento. Trattenni il respiro e con una mano scacciai il fumo che mi
offuscava la vista. Ascoltai un sassolino rotolare e mi irrigidii. Spostai
rapidamente lo sguardo sui ciottoli del vialetto, ma nessuno si era mosso:
erano ben saldati. L’aria era immobile, così come lo era il mio respiro, che
tornò regolare solo dopo che mi fui accertato che lì, dietro di me, non c’era
proprio nessuno. Ricontrollai ancora da destra a sinistra, da sinistra a destra,
senza muovere un passo. Sentii la sigaretta perdere peso e mi accorsi che
l’avevo lasciata lì a consumarsi, esattamente lo stesso gioco che la paura
stava facendo con me. Non mi andava più di fumarla… Non mi andava nemmeno più
di star dietro a quello stupido seminario. Sarei potuto sparire una settimana o
due, e tornare in tempo per l’inizio delle lezioni. Oppure, avrei potuto
prendere davvero in considerazione l’idea di Nelly e non tornare mai più.
«Nathan?»
Puntai
la sigaretta come un’arma. Mi ero voltato senza neanche accorgermene, ma lì
davanti a me c’era soltanto l’ameba, SteveMerda, che mi fissava
spaventato. Abbassai la sigaretta e mi guardai intorno, maledicendo la mia
stupidità per aver abbassato la guardia in quel modo.
«Sono
da solo, non ti preoccupare.»
Io
lo fissai. I suoi occhi mi sembrarono sinceri, così come la sua preoccupazione.
«Che
vuoi?»
Lui
fece spallucce e si avvicinò un po’. Poi lo guardai ancora e mi domandai che
cosa avessero fatto quei due. Lui e Alan, ovviamente. Era venuto ancora una
volta a sputarmi in faccia la realtà?
«Volevo
solo sapere come stavi. Ho visto i volantini, che carognata.»
La
sigaretta era ormai un mozzicone, ma non riuscivo a sbarazzarmene. Sarebbe
stata la mia arma se Steve avesse mentito sul fatto di essere solo - ma io lo
sapevo, in fondo, che lo era.
«Sei
stato tu?»
Le
labbra mi si erano mosse da sole. Non ero stato io a parlare, o almeno non
l’avevo fatto consciamente. Volevo solo delle risposte, dare un volto a chi mi
aveva fatto quello sgambetto mortale.
«Ma
ti pare? Non dire cazzate. Non avrei motivo di fare una cosa del genere.»
«Ah,
no? Ti ricordi cosa mi hai detto l’ultima volta? Se qualcuno scoprisse il
tuo segreto...»
Lui
si avvicinò a bocca aperta.
«Nathan,
non scherzare. È vero, l’ho detto, ma non lo avrei mai fatto, e di certo non in
questo modo! Credi che io sia così stronzo?»
La
mia alzata di sopracciglia rispose per me.
«È
una cazzata e lo sai pure tu.», continuò.
«Senti,
hai qualcosa di interessante da dirmi o sei venuto qui solo per consolarmi?»
Steve
incrociò le braccia. Tirò le labbra da una parte e scosse il capo.
«Tu
non pensi mai che qualcuno possa essere dalla tua parte, vero? Piuttosto, io mi
preoccuperei di cercare i responsabili. Questa merda è stata ben architettata,
è qualcuno che ti conosce e anche molto bene. L’uni era piena di questi
volantini. Perché non fai una denuncia?»
Mi
scappò un risolino.
«E
contro chi? L’aria fritta?»
Steve
si avvicinò ancora di più, come a voler sussurrare qualcosa.
«Sono
sicuro che se capita nelle mani giuste, questa denuncia passerà avanti a
qualsiasi sparatoria tra afroamericani. Cervelli spappolati, morti per le
strade, e chi se ne importa? Se Nathan fa una denuncia passa avanti a tutto,
dico bene?»
Gli
mostrai il dito medio.
«Fottiti.»
«Ah
sì? Vieni con me?»
«Fanculo.»
Lui
ridacchiò e, dopo tutta la merda di quella giornata, la sua risata mi parve
l’ultimo barlume di speranza a cui aggrapparmi. La mia fiducia nell’umanità era
ormai persa, ma Steve era l’unico, in quel momento, a non farmi provare il
desiderio di rinnegare la mia appartenenza al genere umano.
«Ma
dai, sappiamo entrambi che quello che ho detto è vero. Vacci.»
Soffiai
con un sorriso e mi domandai come stesse andando tra loro. Forse non così bene,
se mi diceva quelle cose. In ogni caso non sarei passato avanti a nessuno, non
ce n’era motivo: Alan non aveva mai avuto occhi per me - giusto qualche
occhiata ogni tanto -, e ora che c’era Steve era del tutto improbabile. Era
un’ostinazione degli stupidi continuare a credere che le cose tra me e lui
potessero andare in un’altra direzione, e il fatto che Steve girasse il dito
nella piaga non era d’aiuto.
«Io
vado, ma tu falla questa denuncia, ok? Così li fai cacare un po’ addosso.»
«Sì,
e io ci faccio la figura dell’imbecille.»
Steve
cominciò ad allontanarsi. Mi fece “ciao” con la mano e io ricambiai sventolando
il volantino nella mano sinistra, perché nella destra tenevo ciò che rimaneva
della mia sigaretta. A ogni passo, Steve diventava man mano più piccolo, mentre
il pensiero di incontrare Alan si rafforzava sempre più. Ci ripensai e mi resi
conto che quella di Steve non era una cattiva idea. Magari, mettendo di mezzo
gli avvocati, sarei pure riuscito a spillare qualche soldino all’università per
non aver vigilato a sufficienza su quei volantini, che erano veramente sparsi
ovunque ed era improbabile che nessun addetto li avesse notati.
Mi
frugai le mani e mi sentii soddisfatto: avevo finalmente deciso la mia prossima
meta.
A
metà strada mi ricordai che io e Alan non ci vedevamo da quella famosa
telefonata. Io gli avevo detto che non era stato molto carino da parte sua
spifferare tutto a Steve, che ne aveva subito approfittato. Lui non mi aveva
più richiamato da allora e questo mi fece sprofondare nello sconforto. Poi però
pensai che andavo a fare una denuncia a un poliziotto, non a un amico, e che
lui, anche solo per dovere professionale, non si sarebbe certo tirato indietro.
Arrivai
alla centrale e chiesi di lui alla segreteria. Mi fecero accomodare su una
poltroncina scomoda e diedi nuovamente un’occhiata a quel volantino. Davvero
Steve non c’entrava niente? A me era parso sincero, ma non spettava a me dirlo.
Davanti
a me c’era un via vai continuo di agenti, rigorosamente in coppia, che
attraversavano il corridoio con un caffè in mano; uno di questi venne urtato da
uno sbarbatello che correva dalla parte opposta rispetto a loro, con un foglio
ben stretto tra le dita, da consegnare a chissà quale superiore. Dietro si
lasciava solo gli sguardi attoniti dei colleghi, che commentavano con un’alzata
di spalle, per poi scuotere la testa. In sottofondo, si sentiva lo squillare
continuo dei telefoni, come quello gestito dalla segretaria che mi aveva fatto
accomodare. Si mise la cornetta tra guancia e spalla, poi afferrò una penna, ma
non scrisse niente; alzò gli occhi nella mia direzione, annuì e poi riattaccò
con un sorriso. Come previsto, la donna venne verso di me e, con fare affabile
e cortese, mi comunicò che l’agente Scottfield era pronto per ricevermi.
Lo
immaginai dietro la sua scrivania, a gestire scartoffie, e poi alzare il
telefono per dire che poteva ricevermi. Mi sembrò molto professionale e per
certi versi piuttosto affascinante.
Seguii
la segretaria per un lungo corridoio, costellato da porte a vetri di agenti e
ispettori, fino a che non ci fermammo davanti a quella che immaginai essere di
Alan e Ash.
La
segretaria bussò un paio di volte e sentire la voce di Alan mi fece perdere un
colpo; ma fu nel momento in cui si aprì la porta che mi sentii veramente
piccolo, nel ripensare a come mi ero comportato. Entrai nella stanza e
ringraziai la segretaria, poi i nostri sguardi si incontrarono. Lui lo abbassò
subito e non riuscii a capire se fosse un fattore negativo o meno. Riordinò un
paio di fogli e per un attimo ebbi come l’impressione che non volesse
guardarmi.
Poi,
quando ormai non c’erano più penne o gomme da rimettere nel portapenne, mi
diede una rapida occhiata e mi fece cenno di sedermi alla sua scrivania.
«Che
hai combinato stavolta?»
Dal
suo volto uscì un sorriso, ma sembrava molto tirato. Immaginai che avesse molto
da fare e che forse la mia richiesta di vederlo era stata più un impiccio che
altro.
Ash,
intanto, lo raggiunse alla scrivania.
Con
un filo di imbarazzo, porsi il volantino ad Alan; ma proprio nel momento in cui
finì tra le sue mani, mi affrettai a dire: «È un fotomontaggio!»
E
per quanto fosse vero, era comunque strano vedere la propria faccia in un corpo
che non era il proprio, a fare cose che, be’, di certo non avrei stampato su un
volantino.
Alan
fece una rapida alzata di sopracciglia, un gesto che poteva significare tutto e
niente: sorpresa e stupore, ma non necessariamente rivolti verso il deplorevole
gesto, quanto più a ciò che stava vedendo. Io però avevo stima di lui e sapevo
che se stava fissando quel volantino non era per via di quello che c’era sopra,
ma solo perché stava cercando di verificare qualcosa. E ancora, pur non essendo
davvero io quello nella foto, un po’ mi sembrò di esserlo e mi sentii nudo di
fronte agli occhi scrutatori di Alan.
Dopo
una manciata di interminabili secondi, posò il volantino sulla scrivania e
annuì.
«Sì,
anche a me pare un fotomontaggio. Basta vedere l’attaccatura del collo» e lo
indicò in quell’immagine in bianco e nero, dove era maggiore lo stacco tra il
mio viso e quel corpo.
Alan
osservò ancora un po’ la foto e poi proseguì con le sue considerazioni.
«Sembra
un’azione fatta con lo specifico intento di colpirti. C’è qualcuno che potrebbe
avere un buon motivo per fare questo? Qualche nemico?»
Ci
pensai un attimo.
«Be’,
ogni tanto mi scontro con Steve, ma...»
«“Steve”
chi?»
Quella
domanda mi lasciò di stucco. Erano pure usciti insieme!
Specificai
di chi stavo parlando, ma il viso di Alan non tradì alcuna emozione. Forse non
era stata una grande uscita.
«Comunque,
dicevo... Steve ogni tanto mi stuzzica, ma oggi mi ha giurato che lui non
c’entra nulla e mi è parso sincero. Non è quel tipo di persona.»
Ash
batteva rapido i tasti al computer, riportando tutto ciò che stavo dicendo.
«Quindi
tu e lui avete parlato di questo.»
«Sì,
poco fa. È stato lui a consigliarmi di venire qui.»
Le
dita di Ash continuavano a battere i tasti.
«E
cosa ti fa pensare che lui non c’entri nulla?»
Il
tono della sua voce era molto diverso da quello che usava di solito con me. Se
in genere era amichevole e quasi dolce in certi momenti, ora era molto
professionale, senza la minima sbavatura emotiva. Mi sembrava di avere di
fronte uno sconosciuto, ma sapevo che era solo un’impressione, o almeno era ciò
che speravo.
«Non
ho delle prove, se è questo che intendi. È una sensazione, mi è sembrato
sincero, tutto qua.»
Alan
annuì e tornò a guardarmi. Forse, in quel momento, avrei voluto che fosse meno
distante, ma sapevo che stava solo rispettando il protocollo.
«Ci
sono altre persone di cui potresti dubitare?»
Sospirai.
In realtà, una persona c’era, ma non poteva essere stata. Ormai eravamo
distanti anni luce, non ci sarebbe stato motivo. Eppure, mi tornò in mente
l’armadio che si scrocchiava le dita delle mani e il ghigno sulla sua faccia.
«Nathan?»
Quella
chiamata mi fece sobbalzare appena.
«Eh?
Be’, ecco...»
Mi
guardai le dita. Poi i miei occhi si piantarono nuovamente in quelli di Alan,
che non aveva intenzione di mollarmi un attimo, e mi mise in soggezione.
«Un’altra
persona ci sarebbe, ma non credo sia possibile che sia stato lui.»
«E
perché?»
«Perché
lui crede che sia etero e, come hai detto tu, questa cosa è stata fatta per
colpirmi, quindi è una persona che ha in mano qualcosa di più di un sospetto.»
«Parlamene
comunque.»
Era
impossibile che lui c’entrasse qualcosa; ma avrei parlato, perché la mia
esitazione poteva sembrare ciò che non era, come un tentativo di copertura.
«È
una storia un po’ lunga. Provo a partire dall’inizio.»
Alan
annuì e incrociò le mani, sulle quali poi poggiò il mento.
«Prego.»
«Stavo
pensando a Ryan. Il ragazzo che abbiamo visto anche alla festa, ricordi? Ecco,
lui. Mercoledì pomeriggio l’ho incontrato per caso al McDonald in cui volevo
tornare, come ti avevo detto. Lì mi ha minacciato e mi ha detto di smammare,
altrimenti me ne sarei pentito. Io non ho fiatato e ho fatto come mi ha detto,
uscendo subito dal locale.»
Alan
annuì, sciolse le mani e con la destra cominciò a giocherellare con una penna.
«Perché
sei tornano in quel locale?»
«È
lì che avevo trovato quel bigliettino. Quello con tutte quelle parole messe a
caso, ricordi? Non mi piace quel posto e sono quasi certo che lì ci sia un giro
di droga. Così, giusto per dirvelo. Anche se lo sapete già, credo.»
Alan
sospirò, mentre Ash si affrettava a digitare tutto.
«Sì,
quel posto è preceduto dalla sua fama. Perché Ryan voleva che tu te ne
andassi?»
«Immagino
che fosse perché avevo cominciato a fare domande su chi fossero gli
spacciatori.»
Alan
annuì ancora e, per la prima volta, distolse il suo sguardo dal mio, intento a
pensare; ma si trattò di una manciata di secondi, perché poi tornò subito a
guardarmi.
«Perché
ti interessa così tanto quel posto?»
«Perché
voglio sapere chi è che rifornisce Ryan e Harvey.»
«Harvey?»
La
sensazione di essere nudo divenne più reale. Ero andato lì per parlare di uno
stupido volantino, non per sciorinare i fatti miei alla polizia. Mi pentii di
aver tirato in ballo Ryan, perché se gli avessero trovato la droga in casa
avrebbe passato guai belli grossi. Ero stato un cretino.
«Cosa
c’entra Harvey? Puoi rispondere?»
Avevo
cercato di ignorare le sensazioni che quel nome mi suscitava, ma da quel
momento non ci riuscii più. Ripensai a quello che era successo due giorni prima
e la sola idea mi sconquassò lo stomaco.
«Anche
Harvey è in questo giro.» Lo dissi con un filo di voce, come se me ne
vergognassi, ma le dita di Ash battevano tutto, registravano ogni mia parola.
«Sniffa cocaina.»
Alan
lasciò cadere per un attimo la sua maschera algida e si mostrò dispiaciuto,
anche se forse non era così tanto sorpreso. Io abbassai subito lo sguardo al
pensiero di quanto ci ero andato vicino e fui attratto dalle pellicine
morsicchiate intorno al mio pollice.
«Che
rapporto c’è tra Ryan e Harvey?»
Anche
se dispiaciuto, Alan non si lasciò impietosire e continuò a fare domande,
passandomi sopra come un carro armato. D’altronde, era il suo lavoro e lo stava
facendo in modo impeccabile.
«Be’,
so che si conoscono. Li ho visti un giorno fuori dall’università che
parlottavano tra loro. Ryan non mi aveva mai detto di conoscerlo, ma è normale,
visto che non poteva sapere che Harvey è un’amicizia in comune.»
Alan
annuì ancora.
«Come
definiresti il rapporto di amicizia tra i due?»
«Non
è superficiale, direi. Mi sembrava che si conoscessero piuttosto bene, ma non
potrei dirlo con certezza.»
Alan
mollò la penna e incrociò di nuovo le mani, stavolta lasciandole sul tavolo.
Arricciò le labbra pensoso, mentre il suo sguardo si perdeva nel vuoto tra lui
e la scrivania. Poi rinvenne, come se si fosse risvegliato all’improvviso.
«Nell’ambiente
universitario, chi è a conoscenza del fatto che sei omosessuale?»
«Steve.
E poi...» Ci pensai un attimo. «Nessun altro, o quantomeno non gliel’ho detto
io.»
«Azzardo
un’ipotesi: Ryan cerca un modo per metterti paura o allontanarti dal locale, ma
non sa come fare; parla per caso con Harvey e scopre che sei gay, non la prende
bene e decide di fartela pagare diffondendo quelle voci. Che ne pensi? Mi rendo
conto che sia uno scenario molto azzardato, ma non sarebbe così improbabile.»
Io
lo fissai. La verità era che l’ipotesi di Alan non era così fuori dal mondo.
Ryan e Harvey stavano confabulando qualcosa e poi chissà cosa potevano essersi
detti sotto l’effetto di droghe. E poi c’era sempre da considerare il fatto che
aveva sbattuto fuori Harvey dalla mia vita. Certo, se quell’ipotesi fosse stata
vera sarebbe stata una pugnalata in pieno petto. Gettai un’occhiata al
volantino e mi sentii colmo di vergogna. Sopra c’era proprio una brutta
immagine, volgare e che non mi rappresentava per niente, come se tutta la mia
persona fosse stata ridotta a poco più di un pompino. L’autore di quella
bravata non credeva certo che Nathan Hayworth potesse essere qualcosa di più,
come - giusto per fare un esempio - un essere umano con pregi, difetti e
qualche sogno nel cassetto. No, io ero solo la mia sessualità sbagliata e non
meritavo di essere altro.
«Aspettate
un attimo», esordì Ash, che interruppe così il suo battere frenetico sui tasti
del computer.
«Che
c’è?»
«Se
veramente credi che il movente sia quello omofobico, allora potrebbe essere
stato chiunque. Basta che qualcuno lo abbia scoperto e che abbia deciso di
stampare i volantini per una ritorsione personale.»
Io
aspettai la reazione di Alan. L’osservazione di Ash era giusta e da una parte
mi rincuorò. Alan si mordicchiò un labbro e gli occhi si mossero da una parte
all’altra, come se stessero rincorrendo un’idea. Sperai per un attimo che non
l’acciuffasse mai; purtroppo, dovetti ricredermi l’istante successivo.
Alzò
lo sguardo verso di me.
«Quanti
erano, questi volantini? Sapresti quantificare?»
Emisi
un mugolio pensoso. Io ne avevo visti solo una ventina al massimo, ma Steve
aveva detto che l’università ne era zeppa.
«Immagino
che siano qualche centinaio.»
«Ecco,
appunto», rispose Alan, poi prese il volantino e indicò la foto. «Questo
fotomontaggio è stato fatto di fretta, ma porta comunque via un po’ di tempo,
oltre al fatto che per stampare una così alta quantità di volantini è
necessario andare in copisteria.»
Sentii
l’apprensione crescermi dentro.
«E
quindi?»
«E
quindi non spenderei tempo e soldi solo per mettere in giro qualche voce. Chi
l’ha fatto voleva colpirti e aveva dei buoni motivi per farlo. Non ci vuole
molto a capire che è un fotomontaggio, è vero, ma sembra quasi che ci fosse una
certa fretta nel mettere in giro queste voci.»
Ripensai
a Ryan, con in sottofondo il rumore secco dei tasti che riportavano ogni nostra
affermazione, e a come mi aveva minacciato quel pomeriggio al locale. Mi aveva
detto di andare via e lo avevo fatto, ma forse per lui non era abbastanza.
Forse si era consultato col capo o addirittura con Waitch e lui gli aveva
suggerito di rincarare la dose. Era allo stesso tempo assurdo e probabile, ma
soprattutto inquietante.
«Nathan?
Che ne pensi?»
«Eh?
Ah... Non lo so. Da una parte potrebbe avere senso.»
«Mi
confermi che Ryan e Harvey si conoscono?»
«Sì,
confermo.»
«Dove
posso trovare Harvey?»
Cominciai
a sudare freddo - be’, in realtà cominciai a sudare caldo. Le ascelle mi
si bagnarono alla velocità della luce e mi sembrava di essere diventato una
stufa vivente. Il ricordo di quello che avevo quasi fatto due giorni prima mi
riempì della stessa rabbia che mi aveva colto dopo che Harvey se n’era andato.
Mi rimisi a posto sulla sedia, poi mi grattai, e l’attimo successivo mi resi
conto che mi stavo innervosendo. Alan non mi toglieva gli occhi di dosso e
guardare Ash non aiutava.
«Nathan?
Dov’è Harvey?»
Avevo
la gola secca. Pensare a lui mi metteva a disagio.
«Non
lo so.»
Ash
continuava a battere a tastiera e quel cicaleccio di lettere cominciò a darmi
sui nervi.
«Come
sarebbe?»
Feci
scorrere il mio sguardo da uno all’altro, entrambi stupiti e in attesa di una
risposta. Non volevo dire ad Alan quello che era successo tra noi, perché
sapevo di essere migliore di tutta quella storia, così dissi le prime parole
che mi vennero in mente che non fossero troppo compromettenti.
«Sarebbe
che l’ho sbattuto fuori dalla mia vita e sarà meglio che non si faccia più
vedere, se non vuole passare dei guai.»
Alan
sembrava sorpreso. Gli spuntò sul volto un sorriso interrogativo.
«Cioè?
Che è successo tra voi due?»
La
gola era ancora secca. Ero andato lì per un stupido volantino e invece -
cavolo! - eravamo infilati a parlare di Harvey.
«Non
mi va di parlarne e non mi sembra che c’entri qualcosa.»
Alan
non tradì alcuna emozione e attese qualche secondo, ma io non avevo intenzione
di parlare.
«Come
preferisci, ma al contrario se avete litigato forse potrebbe esserci un nesso
con i volantini. Sicuro che non vuoi dire niente?»
Tic
tic-tic tic, e Ash non la smetteva di scrivere. Doveva riportare proprio ogni
cosa? Ogni singola cosa? Mi stava facendo impazzire.
E
poi non è che avevamo litigato. Per Harvey provavo un misto di emozioni
capeggiate da schifo e fastidio, dopo quello che era accaduto due giorni prima.
«Mah,
che ti devo dire. È una testa di cazzo che pippa cocaina da mattina a sera.
Probabilmente con questa storia della droga si è spinto un po’ oltre e ho come
l’impressione che si sia infilato in qualche casino. Ho addirittura pensato che
anche lui c’entrasse qualcosa con la rapina.»
Ryan,
infatti, era uno dei rapinatori. E se l’altro fosse stato Harvey? Non ci avevo
davvero fatto caso quel giorno e nemmeno ci avevo ripensato in quelli
successivi. Se solo avessi prestato un po’ più d’attenzione...! Mi sforzai di
ricordare, ma non mi veniva in mente niente.
Mi
resi conto che Ash aveva smesso di scrivere. Quell’odioso e monotono sottofondo
aveva finalmente lasciato spazio al silenzio. Alzai gli occhi e notai che Alan
e Ash si stavano guardando, ma non dissero niente.
Alan,
poi, tornò a fissarmi con la sua solita espressione tirata e molto, molto
professionale.
«Va
bene, Nathan, puoi andare. Ti terremo aggiornati sul volantino e anche su
Harvey.»
Ash
diede alla stampa tutto ciò che aveva scritto e mi fecero firmare il documento
con le dichiarazioni rilasciate durante l’interrogatorio.
Alan
mi accompagnò alla porta e poi, probabilmente a causa della mia espressione
smarrita, decise di scortarmi fino all’ingresso.
«Grazie
di tutto. Aspetto vostre notizie, allora.»
«Sì,
ti faremo sapere non appena sapremo qualcosa.»
Lui
mi fissava in modo strano, con quell’espressione di chi ti sta guardando e al
contempo sta pensando un miliardo di cose sul tuo conto. Mi domandai cosa gli
ronzasse in testa, cosa ci fosse dietro a quegli occhi così pensosi, nei quali
lessi un accenno di dispiacere.
Pensai
in quel momento che le nostre incomprensioni erano solo frutto della mia
immaturità, una stupidata che avremmo potuto evitare, che stare con lui mi
piaceva e che avrei voluto passare del tempo insieme.
«Senti,
Alan... Sei libero questo fine settimana?»
Mi
uscì così, senza pensare. Avevo bisogno di sentire di nuovo i miei ventun anni
e poi mi accorsi che desideravo davvero fare pace con Alan, perché in un certo
senso mi mancava.
Dalla
sua espressione, capii che non se l’aspettava e che lo avevo colto di sorpresa.
Tutta la sua professionalità andò a farsi benedire, per lasciare spazio a due
occhi appena spalancati.
«...
Cioè, non fraintendere! Volevo solo passare un po’ di tempo con te, come due
amici. E volevo anche approfittarne per scusarmi con te per tutta quella storia
di Steve. Mi dispiace, sono stato un cretino.»
Lui
si lasciò scappare una risatina imbarazzata e abbassò lo sguardo per un attimo.
«Tranquillo,
è acqua passata. E per l’uscita non ci sono problemi. Ma perché non ci vediamo
martedì sera? Mercoledì ho il giorno di recupero.»
In
realtà, non ero così sicuro che glielo avessi chiesto per pura amicizia, ma non
importava: ero felice che lui avesse accettato e che non avesse proposto di
invitare qualcun altro o che non mi avesse mandato a fanculo per tutta la
storia del messaggio. In quel momento, lui era l’unica persona con cui volevo
stare, l’unico a cui volevo soffiare un po’ di fumo in faccia per vedergli
arricciare il naso. E sapere che per lui la nostra incomprensione era acqua
passata era segno che era la persona matura che tanto stimavo.
«Sì,
mi sembra un’ottima idea. Perfetto. Allora ci risentiamo per martedì, ok?»
Osservai
quei suoi occhi nocciola e per un attimo li trovai affascinanti.
«Va
bene. Ciao, Nathan.»
«Bye
bye.»
Lo
salutai e uscii dalla centrale, ma dal nulla sentii sensazioni negative che cominciavano
ad arrampicarsi sul mio corpo. La prima riguardava proprio Alan e il fantasma
di Oliver che cominciò ad aleggiarmi davanti agli occhi. Per la prima volta,
cominciai a prendere in considerazione l’ipotesi che Alan avrebbe potuto non
staccarsene mai. Io con lui stavo bene e non avevo particolari mire, ma chi
poteva dirlo? Non mi sarebbe dispiaciuto se le cose avessero preso una piega
diversa, ma non avevo davvero mai fatto i conti col suo ex, che lui considerava
ancora il suo ragazzo. Per non parlare di Steve, anche se francamente non
credevo a una loro possibile evoluzione.
L’altro
pensiero riguardava l’interrogatorio appena concluso. Ripensai a ciò che avevo
detto e mi augurai di non aver messo né Ryan né Harvey nei guai - di Harvey
forse me ne sarebbe importato un po’ meno. Avevo parlato tanto, forse pure
troppo, ma il problema è che non sapevo quanto avessi davvero rivelato. Alan mi
aveva scrutato per tutto il tempo con quegli occhi magnetici e per molte cose
non me l’ero sentita di mentire.
Gli
avevo detto tutto, perché di lui mi fidavo. Il punto era: a che prezzo?
Angolo
autrice
Salve
a tutti!
A
quanto pare, qualcuno ha preso di mira Nathan! Forse ha pestato i piedi alle
persone sbagliate? Chissà, chissà.
Intanto
però cerca di fare ammenda con Alan, è già qualcosa :D E Steve per una volta si
è comportato bene ^__^
Per
quanto riguarda la revisione, vi annuncio che finalmente è terminata! Ora posso
partire con la scrittura degli ultimi tre capitoli. Confesso che la revisione
del capitolo 30 è stata un mezzo dramma, ho cancellato e riscritto non so
quante volte. Però almeno ho finito!
A
giovedì prossimo, allora, e come sempre grazie per il supporto <3
holls