Capitolo
2
Alla
Capsule Corporation…
Cercavo
di apparire impegnata, buttando lo sguardo qua e là dal
finestrino. Avevamo oltrepassato la città e, a quanto mi era
stato riferito prima di salire in macchina, arrivati a questo punto,
saremmo dovuti essere quasi giunti a destinazione. Di traffico,
ormai, non ce ne era più, e la maggior parte dei negozi
avevano la saracinesca abbassata.
“Hey,
cara, hai letto il messaggio? Sì, tutto bene, tranquilla. Non
dovrei metterci molto, comunque voi iniziate a mangiare, senza
problemi!”
Continuando
a tenere lo sguardo sul paesaggio, ascoltavo
curiosa la conversazione. Stava parlando con C18, era palese. “Che
cosa incredibile!” Pensai,
non riuscendo a trattenere un sorriso.
“Ah,
certo! Ti racconterò tutto al ritorno. Ciao tesoro.”
Lo
sentii concludere bisbigliando, forse con la speranza di non farsi
sentire.
“Sembri
una vera poliziotta, lo sai? Serena? Ci sei?”
Mi
voltai di soprassalto verso di lui, mi ero totalmente persa sulle
sfreccianti luci cittadine. La Città dell’Ovest era
veramente uno spettacolo di sera e quel non so che di futuristico la
rendeva incredibile. Per di più, sembrava che mi fossi
abituata visivamente
a quella surreale percezione,
non ci facevo praticamente più caso.
“A
che cosa stavi pensando?” Mi domandò ridendo.
“Scusami,
ero sopraffatta dal paesaggio. Dicevi?”
“Sembri
una vera poliziotta, vestita così!”
“Eh
grazie, mi hai dato una divisa!” “Beh,
con addosso questi abiti, è facile!” Sorrisi.
“Manco lavata, per giunta.” Avvicinai
un lembo del colletto al naso, riscontrando certezza nel dubbio.
“Toh!
Guarda un po’ davanti a te! Riconosci?”
La
mia bocca si spalancò esterrefatta. Il gigantesco complesso
della Capsule Corporation si ereggeva davanti ai miei occhi con
tutta la sua maestosità. L’ansia si rimpadronì di
me stessa, iniziando a realizzare che tra pochi attimi avrei
conosciuto la donna più famosa di questo mondo.
Avrei
dialogato con quella figura, che per certi versi, rappresentava una
parte della mia infanzia e adolescenza, ritenendola, paradossalmente,
un volto famigliare.
“E’
assurdo!” Guardavo incredula al di là dell’enorme
cancello.
“Sei
pronta? Vedrai che anche Bulma ti crederà!”
Cavolo,
a questo non ci avevo pensato! E se non l’avesse fatto? Si
sarebbe fidata di ciò che le avrei raccontato? Ma, più
che altro, ero pronta?
Molto probabilmente, non avrei incontrato solo lei, ma tutta la
combriccola. Tra poco, sarei stata davanti a Vegeta, Trunks e quasi
sicuramente anche la piccola Bra. Non avevo ancora ben chiara la
linea temporale dove fossi capitata, ma a secondo della presenza o
meno dell’ultima arrivata in casa, avrei avuto la risposta. E
se avessero avuto ospiti? E se avessero avuto quell’ospite?
Una mandria di cavalli imbizzarriti iniziò a trottare nel mio
petto. La mia pressione sanguigna schizzò alle stelle e le
guance avvamparono come legna nel braciere. “Oh
cazzo!”
Avvertii
lo sguardo di Crilin scrutarmi confuso. Percepivo di essere diventata
rosso fuoco e, quasi sicuramente, nel mondo reale, stavo per morire
nel sonno. “Ecco
l’ictus!”
“Calma,
non ti devi agitare, andrà tutto bene.”
Deglutii
nervosissima. Ovviamente, che poteva saperne lui? E di certo, avrebbe
dovuto continuare su questa strada. Lo lasciai credere e gli sorrisi.
Lo vidi riprendere il
telefono, scorrere il dito sullo schermo, e poi avvicinare
l’apparecchio all’orecchio.
“Hey,
Bulma! Apri il cancello? Perfetto, grazie!”
L’enorme
struttura in ferro battuto si spalancò davanti a noi. L’auto
riaccese i motori ed entrammo.
“Non
pensavo si parcheggiasse all’interno… Oddio, è
talmente grande che forse avrei dovuto…” Nonostante
il sole fosse tramontato già da un bel pezzo, l’esterno
della Capsule Corporation appariva perfettamente illuminato da
una miriade di lampioni e lampioncini di ogni genere. Parcheggiato il
veicolo, raggiungemmo a piedi il vialetto che conduceva all’entrata.
Camminavo, voltando il mio sguardo meravigliato in tutte le
direzioni.
“Attenta!”
Improvvisamente, una strattonata mi scongiurò da una
collisione certa.
“Per-me-so”
Un
androide stile Robin Williams robotico nell’ Uomo
Bicentenario mi
tagliò sfacciatamente la strada.
“Devi
avere tremila occhi, qui!” Mi suggerì divertito Crilin.
Gli sorrisi, alzando le sopracciglia in senso di costatazione e,
assieme, entrammo nell’edificio.
Un
enorme bancone sui toni del blu seguiva per intero la parete dinanzi
le grandi vetrate scorrevoli che aprivano sulla hall. Un distinto
uomo sulla quarantina risiedeva al di là dell’imponente
struttura, indaffarato a trascrivere dei documenti. Accortosi del
nostro arrivo, alzò gli occhi, sfilandosi gli occhiali.
“Signor
Crilin, buonasera. La signora Briefs mi ha riferito di dirle che
l’attende dove
lei sa.
La conosce già la procedura se non sbaglio.”
Mio
Dio, quell’impiegato era una macchinetta! Non credo respirasse
tra una parola e l’altra.
“S-salve!
Sì, s-so già tutto, grazie.”
“Ma
ancora lavorano a quest’ora?” Chiesi bisbigliando mentre
ci dirigevamo verso gli ascensori.
“E’
uno dei guardiani notturni. E’ un tipo strano, ma è una
brava persona.” Mi sorrise, premendo il pulsante per la
chiamata.
Le
porte si aprirono e dopo essere entrati, Crilin puntò il dito
sul tasto sotterranei.
Deglutii nervosa. Non sono mai
andata d’accordo con cantine e posti simili, mi hanno sempre
fatto una certa impressione! Pensare di sbucare in un luogo angusto,
mi crea agitazione.
“Tutto
bene?” Credo se ne fosse accorto.
“Ehm,
sì. Sotterranei?” Chiesi arricciando appena il naso.
“Più
o meno.”
Fece
l’occhiolino. Molto probabilmente, ripensando alle parole del
custode, doveva trattarsi di una copertura.
Il
campanellino che annunciava l’arrivo suonò e le porte si
aprirono. Sbucammo in una piccola stanzetta con un paio di scatoloni
poggiati in un angolo, illuminata fievolmente da una applique posta
sulla parete davanti. Crilin si avvicinò a quella luce e,
alzandosi in punta di piedi, premette qualcosa dietro il paralume. Un
improvviso rumore di ingranaggi cominciò a rimbombare e dopo
alcuni istanti, la parete di lato iniziò a calare, scoprendo
un lungo corridoio.
“Wow!”
Rimasi senza parole.
“Non
l’avresti mai detto, è?”
Scossi
la testa e timidamente lo seguii, fino a giungere dinanzi a un
imponente porta di metallo. Lo vidi accostarsi a un piccolo lettore
ottico, sottoporsi alla scannerizzazione della retina e digitare un
codice di cinque o sei cifre.
Immediatamente,
il portellone si aprì e un enorme laboratorio con svariati
computer e strumenti tecnologici d’ultima generazione si mostrò
ai nostri occhi. Una cosa del genere mi era capitata di vederla solo
nei film! Teste e braccia robotiche, ologrammi rappresentanti strani
prototipi, pile di microchip accatastati su delle mensole metalliche
e in un angolo, sopra a un ripiano, una dozzina di piccole scatole.
Una sensazione, dentro di me, mi suggerì di averle già
viste, così mi avvicinai, scoprendone una aperta. Spalancai
gli occhi dallo stupore: sei piccole capsule erano perfettamente
allineate, ognuna col proprio numero e colore. “Le
capsule Oplà!”
Pensai emozionata. Feci per toccarle, ma una squillante voce,
proveniente dal fondo dell’enorme ambiente, mi portò a
ritrarre immediatamente la mano.
“Crilin!”
“Oh
mio Dio!”
“Heylà,
Bulma!” L’amico alzò il volto in segno di saluto e
con le mani infilate nelle tasche del bomber, raggiunse la
scienziata. Sospirai e agitata, lo seguii.
“Cos’hai
tanto urgente da dirmi? Cosa è succ-“
La
giovane donna dai capelli turchini, bellissima col suo capello
sbarazzino e il lungo camice bianco, mutò improvvisamente
espressione, non riuscendo a terminare la frase. I nostri occhi si
erano incrociati e, constatando il suo alterato atteggiamento, non
era a conoscenza dei fatti e né, tanto meno, della mia
presenza.
Si avvicinò lesta al
povero Crilin, con uno sguardo carico di collera e stupore.
“Come
diavolo ti è venuto in mente di portare una tua collega in
questo posto!? Sei impazzito!?” Cercò di bisbigliare, ma
la furia le impediva di trattenere il volume. Senza contare, che non
riusciva a staccarmi gli occhi di dosso, e lo sguardo non sembrava
affatto essere benevolo. Sarei voluta scomparire.
L’amico
si grattò la testa imbarazzato. “Ma no, non è un
poliziotto. Indossa questa divisa perché era in pigiama!”
L’espressione
puntata su di me cambiò improvvisamente, diventando confusa.
“E’
una lunga storia, perché non ci sediamo? Dai, così
Serena ti racconterà tutto.”
E
così fu.
Ci accomodammo su un piccolo divano poco distante e provando a
essere più riassuntiva possibile, iniziai agitata a
raccontarle gli avvenimenti accaduti nelle ultime dodici ore. Il
volto di Bulma cambìò spesso espressione durante il
racconto: passò dallo scettico, al divertito, all’annoiato
e così via, ma non riuscii mai a leggere nei suoi occhi un
qualcosa che mi facesse pensare che mi stesse credendo. Mi stavo
sentendo incredibilmente sotto pressione.
“Quindi
mi vorresti dire” diede un tiro alla sigaretta “che tu
sai tutto di noi, perché nel tuo
mondo, noi siamo una specie di… Storia inventata? Ho capito
bene?” Sbatté scettica più volte le palpebre.
“Più
o meno, è così.” Confermai nervosissima.
Una
risata argentina scoppiò senza vergogna.
“Ma
che razza di scherzo è questo? Mi state prendendo in giro? Mi
stai prendendo in giro Crilin?” Dal tono di voce usato con
l’amico, stava decisamente iniziando a innervosirsi.
“No,
credimi Bulma, è tutto vero. Anch’io inizialmente non le
ho creduto! Prova a metterla alla prova. Falle qualche domanda!”
La
donna, si voltò nella mia direzione e mi scrutò
dall’alto verso il basso. “Ma sapresti tutto di noi, in
che senso?”
“N-nel
senso che conosco tutti i vostri avvenimenti.”
“Adesso
mi fingo morta.”
“O-ovviamente
non mi riferisco a cose private o intime, assolutamente!”
“Ma
magari! E’ già tanto che ci abbiano fatto intravedere un
bacio censurato e filler per giunta! Altro? Ma quando mai!”
“La
storia inizia da quando sei partita alla ricerca delle sfere del
drago e hai incontrato Goku. Lui possedeva quella dalle quattro
stelle…” Abbassai lo sguardo, attendendo una reazione.
Calò il silenzio e rialzando il volto,
vidi Bulma completamente esterrefatta.
“Giuro
che se gliel’hai detto tu e mi state prendendo in giro, ti
uccido!” Mostrò il pugno all’amico.
“Te
l’avevo detto! E’ incredibile, vero?”
“N-non
ha senso, è totalmente… Dio mio, non so che dire!”
Portò le mani sulle guance. “Ma, per esempio, se ti
chiedessi” Storse la bocca, cercando una domanda con la quale
potesse mettermi in crisi “Il primo desiderio espresso dal
drago Shenlong?”
“Toh,
questa neanch’io la so! Rispondi!” Mi spronò
Crilin, guardandomi divertito.
“Un
paio d-di mutandine da donna.” Sorrisi “Da Osc, scusate
Oolong!” “’sti
nomi sono un dramma, per me!”
La
mascella di Bulma toccò quasi il pavimento. “E’
inquietante. M-ma come può essere accaduta una cosa del
genere?”
Sospirai,
iniziando a grattare nervosamente la stoffa dei pantaloni sopra alle
cosce.
“Vi
racconterò tutto…”
Con
il mio ragazzo e un gruppo di amici avevamo deciso di recarci in una
di quelle fiere del fumetto, che ogni anno si svolge non molto
distante dalla mia città.
La
mattinata era praticamente volata, tra shopping, incontri importanti
e foto con incredibili cosplayer, l’ora di pranzo giunse in un
baleno.
La
fila per dei succulenti takoyaki sembrava non riuscire a smaltirsi e,
la pazienza, provocata soprattutto dalla fame, mi stava mettendo a
dura prova.
-Dio
mio, non ne posso più! Voglio mangiare!-
-Penso
che il commesso sia morto, non c’è altra spiegazione.-
-Che
palle!- Mi ero veramente spazientita. Tra un sospiro e l’altro,
il mio sguardo iniziò a vagare tra gli innumerevoli chioschi,
ma la mia attenzione venne ben presto rapita da un piccolo banchetto,
posto in disparte. Stranamente si andò a posare proprio lì.
In fin dei conti, sembrava essere uno di quei tanti chiromanti che
spesso si trovano poco distanti alle fermate della metro e mai, e
sottolineo mai, erano riusciti a suscitarmi interesse. Eppure, quel
signore barbuto, dall’aria pacifica e al contempo enigmatica,
emanava un non so ché di calamitico, come fosse stato in grado
di catturare i miei occhi, non lasciandoli più andare.
-Amore,
arrivo subito!- Avvertii l’impulso irrefrenabile di avvicinarmi
e, senza neanche attendere la risposta del mio ragazzo, lo raggiunsi.
-Finalmente.-
Mi accolse così, lasciandomi sbigottita. La mia bocca si
schiuse appena, ma non riuscii a parlare.
---Questa è
tua.- Sotto il mio sguardo perplesso, vidi porgermi una strana, ma
bellissima boccetta di vetro, grande pressappoco come un tubetto di
colla. --Quando la giornata sarà finita e
arriverà il momento di coricarti, pensa al tuo sogno
più assurdo e remoto. La tua testa dovrà viaggiare in
quel
mondo
fantastico. Io so qual è.
Funzionerà, solamente, se lo crederai davvero. Basterà
un piccolo sorso, per raggiungerlo ogni qualvolta tu vorrai.-
Non
so perché il mio cervello mi abbia indotto ad accettare il
regalo, ma quando lo afferrai, avvertii un senso di felicità.
-Puoi
andare.- Mi sorrise.
Annuii
confusa e indietreggiando appena di qualche passo, mi voltai,
tornando dal mio fidanzato.
-Che
stavi facendo?- Daniele aveva uno sguardo strano.
-S-sono
andata da quel- Mi girai per indicare, ma nulla era più
presente. Quello strano signore era sparito, portando con sé
tutto il baldacchino.
Sgranai gli occhi.
-Eri
impalata come un salame, in mezzo al nulla!- Sentii il mio ragazzo
ridere.
-E’
assurdo.- Allibita, andai subito a toccare la boccetta nella mia
tasca. Quella
era
ancora al suo posto.
-Dai,
finalmente tocca a noi! Ho una fame!-
Durante
il pomeriggio, riuscii a distrarmi. Facemmo ritorno dopo aver cenato
e, giunta finalmente a casa, entrai in camera distrutta, con la
voglia di struccarmi in fretta e furia e abbandonarmi nel mondo dei
sogni. -Sogni-
quel bisogno agognato riportò subito la mia mente allo strano
avvenimento del primo pomeriggio. Con il pigiama in dosso, aprii
l’anta dell’armadio, frugando nella tasca del cappotto
riposto poco prima. Quel regalo
c’era
ancora, portando con sé un’assurda e inspiegabile
tentazione.
Bere uno strano
liquido regalato da un inquietante e sconosciuto individuo, chi non
lo farebbe?
Io, che domande.
Ma, inspiegabilmente, lo feci.
Chiusi
gli occhi, focalizzai la mia mente su quel
posto
che fin da piccola avevo sempre immaginato prendesse realtà e
senza timore, portai la boccetta alla bocca.
-E’
acqua!- corrucciai lo sguardo disarmata.
Come
se ne fossi stata, quasi, delusa, poggiai il piccolo flaconcino di
vetro sul comodino e, sbadigliando, mi lasciai andare in un sonno
profondo…
“Ed
eccomi qua. Mi chiamo Serena e ho ventotto anni.”
Seguii
un lungo momento di silenzio. Su di me, i loro sguardi attoniti.
“Cara,
io n-non so che-“
“Ascoltatemi,
mi rendo conto che quello che ho raccontato possa sembrare assurdo,
ma non vi sto mentendo!” Mi alzai in piedi, iniziando a
camminare nervosamente davanti a loro. “Da dodici ore sono
rinchiusa in questo sogno. Ho vagato per la città a piedi
nudi, con il freddo e la fame. Sono stata costretta a rubare dei
vestiti che neanche sono riuscita a indossare perché inseguita
dalla polizia!” Bulma
incrociò lo sguardo di Crilin.
“E nonostante tutto, non potete capire
la gioia che sto provando in questo momento! La felicità di
avervi davanti!”
Ormai, ero un fiume in piena, le parole uscivano dalla mia bocca
senza pause. “Sono
vent’anni che vi adoro, vent’anni che sono innamorata di”
“Ecco la figura di
merda!”
“d-di voi!” Avvertii
una vampata di calore improvvisa sulle gote. Sputtanarmi così,
su due piedi, non mi pareva proprio il caso.
“Io sono
solo preoccupata per quello che mi sta accadendo. Non so che diavolo
ci fosse in quella dannata boccetta!” Ripresi contegno,
tornando a sedermi sul divano. “Potrei aver mandato giù
una droga o un veleno, a questo punto!” Portai la testa tra le
mani, sopraffatta dalla disperazione. “Io so solo una cosa…
Ora sono qui e molto probabilmente, sarà così anche
domani. Sono stanca e questa notte la passerò in strada…
E’ un incubo!” Non riuscii più a trattenere le
lacrime. Mi sentivo completamente inerme e abbandonata a me stessa.
Un
improvviso calore scaldò la mia mano.
“Ti
credo.”
Sgranai
gli occhi incredula.
“Non
mi sembri una persona in mala fede e poi, siamo onesti!” Girò
lo sguardo verso l’amico. “Ci sono capitate talmente
tante cose assurde, che non crederle sarebbe un’eresia!”
Chiusi
gli occhi, con il cuore ricolmo finalmente di una sensazione di
tranquillità agognata e desiderata da fin troppe ore.
“Però,
smetti di piangere. Vedrai che andrà tutto bene!” Mi
strinse la mano.
“Bulma…
Io non so che dire…”
“Io,
sì. Ascoltami: questa notte sarai mia ospite, qui alla Capsule
& Corporation. Dormirai in una delle stanze con il bagno interno,
così potrai rilassarti nel migliore dei modi.” La
guardavo rapita dall’emozione. “Farò in modo di
farti avere un pigiama e dei vestiti, nel caso domani mattina sarai
ancora dei nostri.” Ammiccò, sorridendo dolcemente. “Ah,
devi mangiare, giusto? Noi
abbiamo
già cenato, quindi ti farò avere un pasto caldo
direttamente nella tua camera.”
L’impulso
di abbracciarla fu irrefrenabile. “Grazie!”
Si
scostò quel tanto, da riuscirmi a guardare. “In un certo
senso, sei qui per causa nostra. E’ giusto così!”
Impossibile non sorriderle. “Dai, ti mostro dove dormirai!
Crilin, vieni con noi?”
Un
paio d’ore più tardi, nell’appartamento privato
all’ultimo piano…
“E’
o non è incredibile? Cioè, sa tutto di noi…
Tutto!”
Un
uomo con dei folti capelli a fiamma, con indosso solamente un paio di
boxer neri, era intento a lavarsi i denti rivolgendo lo sguardo sulla
figura della moglie riflessa sullo specchio.
“Tutto,
in che senso?” Fu la prima domanda che fece, non prima di aver
sputato il dentifricio nel lavabo.
“Tutto!
Da quando ho incontrato Goku, all’ultimo assurdo torneo che
quel babbeo vi ha fatto disputare!”
Era
una classica e intima scena famigliare: Bulma, comodamente seduta
sopra al water, nonostante avesse finito di far pipì da
parecchio tempo ormai, raccontava a suo marito le news della serata:
il mio
ingresso nelle loro vite.
“Mmm…”
Fu l’unico suono che Vegeta riuscì a emettere, appena
prima di lavarsi il viso.
“Mmm
cosa?”
“Non
mi fido.” Sentenziò, chiudendo la valvola del rubinetto
e prendendo l’asciugamano.
Bulma
alzò gli occhi al cielo. “Anch’io, inizialmente,
ero di questa idea… Poi, parlandoci bene, mi sono ricreduta.
Anche Crilin è del mio stesso parere!”
“Ah,
beh! Allora siamo a cavallo!”
“Che
vuoi? Perché mi fissi?” Le si era avvicinato, con le
braccia incrociate.
“Dovrei
pisciare anch’io.”
Gli
occhi della donna si socchiusero, prendendo la carta e pulendosi
irritata. “Quanto sei cafone!” Si alzò, abbassando
la tavoletta.
“Non
tirare.”
“Comunque,”
Fece posto al marito, andando ad aprire l’acqua calda nella
vasca e sedendosi sul bordo. “adesso Serena è qui. Buona
o cattiva che sia, non possiamo abbandonarla. Con il tempo, capiremo
la sua natura.”
Vegeta
tirò lo sciacquone e si avvicinò alla moglie,
riportando le braccia nella posizione precedente.
“Che
c’è? Anche la vasca è di tua proprietà?”
“No,
tu
sei di mia proprietà
.”
Le ammiccò, accennando un furbo sorriso.
Bulma
si alzò, andando sorniona a sfiorargli i pettorali gonfi e
nudi con un dito. “Neanche te lo meriteresti.”
“Io
non devo meritarmi proprio nulla.” Le afferrò il volto,
avvicinandolo al suo e passandole la lingua tra le labbra.
Una
scarica di eccitazione le oltrepassò il corpo, facendola
deglutire agitata. Allungò una mano per sentire il calore
dell’acqua e chiuse il rubinetto. Aprì l’accappatoio,
lasciandolo ricadere sensualmente lungo il corpo.
Gli
occhi di Vegeta si illuminarono maliziosamente di desiderio. La mano
le agguantò la schiena, facendo aderire il delicato corpo al
suo petto virile. Quei seni gonfi a contatto con la sua pelle dura lo
inebriavano.
“La
vasca è pronta.” Scivolò via dalla forte presa e
la bellissima turchina si voltò, mostrando tutto il suo
splendido lato posteriore, andandosi poi a immergere tra le mille
bolle candide.
Vegeta
era palesemente eccitato oltremisura. Si gustò la suadente
entrata in acqua della moglie, leccandosi le labbra. Si abbassò
i boxer, continuando a fissare quella meravigliosa sirena.
Ma la magia si spense presto. Un
improvviso pianto disperato risuonò attraverso il piccolo
monitor poggiato su una mensola. Marito e moglie sospirarono,
lanciandosi uno sguardo sofferente.
“No,
proprio adesso!” Bulma portò in dietro la testa,
esprimendo nella voce tutto il suo rammarico.
“Dai,
ci penso io. Tu aspettami qui.”
“Grazie
tesoro. Il biberon è nel termos vicino alla culla.” E
sospirando, si rilassò, fantasticando sul paradiso che di lì
a poco avrebbe raggiunto…
Scendiamo
di qualche piano e torniamo a noi…
Finalmente,
a pancia piena, pulita e con un pigiama profumato, mi stavo
rilassando sotto alle calde coperte di un comodissimo letto
matrimoniale.
La stanza era meravigliosa, molto
spaziosa e con tutto l’occorrente. Sembrava una camera di un
hotel extra lusso, vi era addirittura un piccolo frigo bar e un
angolo per le tisane, incredibile!
Nonostante la stanchezza fosse tanta, la mia testa non riusciva a
smettere di pensare. Gli ingranaggi con annesse rotelline giravano
talmente forte, che il rumore credo fosse udibile fino
all’appartamento di Bulma! Chissà, magari li avrei
svegliati! Ora più che mai, avevo
la certezza che non si trattasse di un sogno, o almeno per come abbia
sempre immaginato che fosse. Tra pochi minuti, avrei dormito nel
sonno, avrei dormito mentre dormivo. Avrei… Dio, che cosa
assurdamente impossibile da concepire!
Sorrisi per l’assurda circostanza. “Ho
parlato con Bulma e Crilin!”Ero
euforica, e non mi importava cosa questo
significasse
nella mia vita reale!
Dopo una devastante giornata, stavo finalmente bene, ero felice ed
emozionata. Le paure le avrei accantonate, almeno per quella notte.
E
poi, la testa mi andò subito lì,
su di lui.
Il cuore cominciò a battere velocissimo. Gli occhi si
spalancarono e le gote avvamparono come un incendio. Presi il cuscino
del lato sinistro e lo poggiai sopra al mio volto paonazzo,
scoppiando in una fragorosa e isterica risata.
E se domani
l’avessi incontrato?
Ciao
a tutti e buon giovedì!
Ormai
ci ho preso gusto con questa storia, sarà che sono la
protagonista, ma non posso farne a meno di scriverla! Ahahahahahah
Con
questo capitolo sono stata un po' più esplicativa, spiegando
come sia accaduta questa situazione e i miei nuovi amici
sono stati veramente carini nei miei confronti!
Avrete
notato che ho scritto di avere 28 anni, e non 32… Avendo
iniziato a immaginare questa storia quattro anni fa, ho riportato
l’età che avevo all’epoca. Chissà, magari
questo significherà che questa long si protrarrà nel
tempo… Chissà, chissà!
Per
ora vi ringrazio di avermi dedicato del tempo e spero che questo
capitolo via sia piaciuto…
Un
abbraccio,
Serena
|