Non
la solita mimosa
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Riuscire
a fare tutto in venti minuti era stato un record e Barbara
sospirò soddisfatta
mentre si chiudeva la porta di casa alle spalle. Un'ultima occhiata
all'orologio e la stima di quanto tempo ci avrebbe messo l'ascensore ad
arrivare al quarto piano e poi riscendere, la fecero decidere di
imboccare le
scale.
Non
aveva calcolato la signora Pinuccia che, al terzo piano, stava
già tirando su
gli zerbini per pulire il pianerottolo e quasi le finì
addosso.
"Oh,
mi scusi Pinuccia!"
"Sempre
di fretta, voi giovani…" brontolò l'anziana
signora, ignorando il fatto
che la ragazza stesse raccogliendo il tappetino della famiglia Conte
che,
inavvertitamente, Barbara aveva fatto cadere.
"È
che non mi è suonata la sveglia…" si
giustificò lei, ma tanto, anche se
poteva essere una buona scusa, la signora Pinuccia non la stava
più ascoltando.
Senza
pensarci ulteriormente, prese di corsa l'altra rampa di scale,
schivando, solo
perché preparata, gli altri zerbini del secondo piano, tutti
arrotolati e messi
in piedi contro la porta.
Arrivò
all’androne del palazzo senza più fare danni,
pronta per uscire e prendere una
bella boccata d’aria fresca e correre verso
l’ufficio.
"Buongiorno,
signorina Barbara!" la salutò il suo vicino di pianerottolo,
che stava
rientrando in quel momento dopo una corsa, vestito da jogging.
"Auguri!" le augurò, mentre si spostava per lasciarla
passare,
tenendole aperto il portone.
"Auguri?"
chiese la ragazza, fermandosi e corrugando la fronte. Si
tirò su gli occhiali
con un dito, per poi passarsi la mano fra i lunghi capelli chiari.
"Sì,
oggi è l'otto marzo. È la festa…"
"Oddio,
davvero? No!" esclamò quasi inorridita, interrompendolo.
"Ah,
anche lei è una di quelle che preferisce non festeggiare
questa ricorrenza?"
"No,
no… È che io…"
Ma
lui non la fece finire, scuotendo la testa e chiudendosi la porta alle
spalle.
Ma
cavolo, non l'aveva neanche fatta parlare!
E
ora? Dal piccolo cortile del condominio guardò in
alto, verso la finestra
della sua cucina, con le tende raccolte e poi si voltò verso
il cancello del
palazzo: tornare in casa o andare direttamente al lavoro? Quanto ci
avrebbe
messo a fare un salto su? Un'altra occhiata all'orologio e la ragazza
decise di
lasciare perdere e di andare verso la stazione della metro.
Così, si girò per
riprendere il cammino verso l'ufficio, pensando all'orribile giornata
che
avrebbe passato.
Lei
non andava proprio d'accordo con l'otto marzo ed era tutta colpa di
quella
maledetta festa!
Incontrò
proprio sul primo gradino della discesa della metro, un fattorino che
sbandierava le mimose in piccole confezioni di plastica trasparente,
legate da
nastrini di tutti i colori. Neanche un fiocco, solo il nodo. Ormai alle
confezioni non badava più nessuno, pensò la
ragazza, passandoci vicino scendendo
in stazione; si scoprì a sospirare nel momento in cui si
soffiava il naso.
Dannazione!
In
metro purtroppo non era meglio: alcune ragazze sventolavano mazzetti
gialli
ridendo divertite, guardando un gruppetto di coetanei verso il fondo
del vagone
che le osservavano di sottecchi, rintanati nei cappucci delle felpe.
Sembrava
una guerra di sguardi e risatine. Chissà, forse se le erano
comprate da sole
per farli ingelosire? Barbara tentò di stare girata verso il
finestrino ma,
essendo seduta, non poteva muoversi molto, ma sentiva chiaramente uno
dei
mazzetti che le veniva ripetutamente sbattuto sulla testa.
"Scusa,
puoi non sventolarlo così, per piacere?" chiese, girandosi,
a una
ragazzina di neanche quindici anni.
"Sei
invidiosa perché nessuno si è ricordato di te e
ti ha regalato una
mimosa?" le rispose, guardandola malissimo.
Come?
Ma com'erano sfacciati i ragazzini al giorno d'oggi! "No, è
che…"
"Acida
zitella!" la insultò, prima di scappare via con le compagne,
oltre le
porte aperte alla fermata. Barbara le osservò fermarsi sul
marciapiede e
indicarla attraverso il finestrino, mentre ridevano a crepapelle e il
treno
riprendere la corsa.
Stupide
ragazzine!
Grattandosi
il naso con il palmo della mano, sbuffò ancora, mentre usava
un fazzoletto per pulirsi
gli occhi.
"Sono
state veramente maleducate! Mi dispiace… Tanti auguri
signorina…"
Barbara
alzò lo sguardo su un signore anziano che le stava
sorridendo dolcemente, sedendosi
sul sedile accanto al suo. "Tenga" disse, mentre tirava fuori dalla
borsa un rametto sfuso da un mazzo più grosso di mimose. "Il
mazzo è per
la mia signora, ma non si offenderà se gliene regalo un
pochino…"
"La
ringrazio è che io…" In quel momento la metro
frenò un po' rovinosamente
per fermarsi alla stazione successiva e lui perse la presa sul rametto,
sporgendosi in avanti e facendolo cadere sulle gambe della ragazza.
"Oddio, no! No!"
Barbara
scattò in piedi, come scottata da una secchiata d'acqua, e
si spostò
velocemente, cercando di portare il fazzoletto che aveva ancora in mano
a
coprirsi il viso. Quando gli occhi iniziarono a lacrimarle e il naso a
colare,
capì di dover uscire al più presto dal vagone e,
appena le porte si aprirono,
scappò sul marciapiede, prendendo parolacce dalla gente che
era in attesa di
scendere.
Ma
che figura! Sospirando e soffiandosi ancora il naso, guardò
il treno richiudere
le porte e ripartire.
Salì
le scale della stazione della metro e si incamminò verso
l'ufficio. Forse era
il caso di tornarsene a casa? No, no, ce l'avrebbe fatta, si disse,
premendosi
il fazzoletto su naso e bocca.
"Buongiorno,
signorina Barbara, buona festa della donna!" esordì il
receptionist guardandola
far passare il badge nel lettore.
"Mmm,
grazie, Alberto. Speriamo che lo sia davvero…"
"Oh,
è una femminista anche lei?"
La
ragazza strabuzzò gli occhi: in che senso? "Come?"
"La
mia vicina di casa si dichiara femminista, e dice che questa
è una festa
consumistica e che non vuole assolutamente ricevere auguri o fiori
né andare a
festeggiare…"
"Ah,
no, no. Non ho niente contro la festa della donna è solo
che…"
"Ma
sa cosa penso, signorina Barbara?" la interruppe l'uomo, avvicinandosi
con
il busto e sorridendo sornione. "Penso che se la mia vicina fosse meno
acida, avrebbe un ragazzo che la invita fuori e le regala la mimosa e
non
farebbe tante storie!"
Barbara
sospirò: come ribattere? Era un discorso troppo lungo da
affrontare alle otto
del mattino e senza avere ancora preso il caffè. E con il
naso che colava e gli
occhi gonfi.
"E
chi lo sa…" disse solamente, alzando le spalle e allargando
le braccia e
camminando all'indietro verso l'ascensore.
Salutò
prima di raggiungere l'ascensore e solamente quando ci fu davanti vide
il
fattorino della posta con tre mazzi di mimose veramente grossi.
"Ciao,
Barbara, mi dai una mano? Devo far trovare sulle scrivanie delle figlie
del
presidente questi mazzi, ma non…"
"No,
scusa, Giovanni, proprio non posso, perdonami!" rispose lei, premendo
di
nuovo il fazzoletto sul naso. Ormai le prudeva da matti e sentiva gli
occhi
troppo gonfi anche per guardarsi intorno.
Salì
le scale e quando arrivò al secondo piano, chinò
la testa per non incrociare
nessuno ed essere obbligata a parlarci.
"Barbara!
Ti ho…" la chiamò Andrea, uno dei grafici della
ditta. Era sempre molto
carino, soprattutto da quando avevano scambiato quattro chiacchiere
alla festa
di Natale.
"Non
ora, Andrea, scusami, non posso, devo scappare!" gli rispose lei,
pensando
che potesse, da un momento all'altro tirare fuori un discorso sulla
festa della
donna o, peggio, una mimosa.
Girò
per il grosso open space e puntò al fondo del locale, dritta
verso la sua
scrivania, ma dovendo prima passare davanti a altre persone, decise di
continuare con la strategia del guardare il pavimento.
"Auguri,
Barbara!" le disse Gianluca, un collega, sventolando diversi rametti
gialli verso di lei. "Tieni una mimosa!" esclamò,
posandogliene uno
in mano.
"No,
no, io…" Ma non riuscì a finire la frase,
perché iniziò a starnutire
ripetutamente, tanto che il rametto le cadde di mano e, durante
l'ultimo
starnuto, si spostò e senza volere lo pestò:
tutto l'ufficio si zittì mentre la
osservava.
La
pelle del viso, dove erano finiti i pollini della mimosa,
iniziò a
pruderle e lei iniziò a grattarsi le guance e gli
occhi, che sentiva
gonfissimi.
Quando
tentò di soffiarsi di nuovo il naso, non ci
riuscì, ma sentiva lo stesso il
desiderio di farlo.
Scuotendo
il capo e vedendo tutti che la guardavano allibiti, dicendo:
"Scusate", si precipitò in bagno.
Nell'antibagno
si appoggiò alla porta chiusa e fece girare la serratura,
prima di recarsi
verso il lavandino. Riuscì a lavarsi la faccia e prese un
bel respiro: lo
sapeva, doveva tornare a casa.
"Barbara?"
Il bussare alla porta e la voce di Andrea le fecero venire voglia di
piangere.
"Non
ora Andrea, per piacere…"
"Barbara,
apri la porta…"
La
ragazza sospirò e tornò verso la porta
scorrevole, sganciando la serratura.
"Io
non odio la festa della donna, sono solo…"
"Allergica
alle mimose. Lo so…"
La
ragazza sospirò, sollevata per aver trovato quello che
sembrava un complice,
mentre lui le allungava una scatolina: era il suo stesso antistaminico,
quello
che aveva a casa e che aveva comprato una settimana prima proprio per
questo
giorno.
"Come…"
"Me
lo hai detto alla festa di Natale, ricordi? Quando abbiamo scoperto che
prendevamo lo stesso antistaminico per…"
"Perché
tu sei allergico al pelo dei cani!" esclamò lei,
ricordandosi del cocker
della figlia del presidente che girava indisturbato durante il party.
"Eh,
già…" Andrea sorrise imbarazzato.
"Sei
il mio eroe, sappilo!" disse ancora la ragazza, prendendo la scatolina.
"Ti
aspetto alla macchinetta del caffè per la pausa,
così ti sdebiti, allora!"
E con queste parole, il ragazzo chiuse la porta con un sorriso e la
lasciò di
nuovo sola al bagno.
Barbara
si prese un po' di tempo e si lavò bene le mani e il viso,
subito dopo aver
ingerito la miracolosa pastiglietta e dopo dieci minuti uscì
dal bagno, diretta
alla propria scrivania.
"Scusa,
non sapevo che…"
Molto
più tranquilla di prima, Barbara sventolò una
mano all'indirizzo di Gianluca
che, avendo capito la situazione, stava cercando di scusarsi, ma anche
lei
aveva capito che lui non lo sapeva. "Non preoccuparti, avrei dovuto
dirlo
subito" disse solamente, passandogli davanti e raggiungendo la sua
scrivania.
Laura,
la sua vicina di postazione, alzò gli occhi su di lei e le
sorrise sorniona,
quando la vide arrivare. "Cosa c'è? Pronta a sgridarmi per
come ho
calpestato i diritti di una mimosa?"
Ma
la ragazza scosse la testa, continuando a sorridere. Subito dopo le
indicò con
il capo la sua scrivania e Barbara rimase a bocca aperta: una
bellissima rosa
gialla a gambo lungo, confezionata alla perfezione, con tanto di velo
da sposa
e un grosso fiocco bianco, era posata sul piano, sopra la tastiera e
vicino al
telefono.
"Ma…"
Si voltò subito verso l'amica, ma questa le fece un'alzata
di spalle non del
tutto innocente.
"Io
non ho visto niente! Ma magari qualcuno che sapeva che non avresti
potuto
ricevere le mimose ha deciso che dovevi festeggiare lo
stesso…"
Barbara
prese in mano il fiore e lo annusò: non aveva un gran
profumo, ma era delicato
e tenero. Ne accarezzò i petali con le dita e poi
alzò gli occhi verso il fondo
dell'open space: Andrea le sorrise e lei sentì le guance
arrossarsi neanche
avesse ancora quindici anni.
L'ascensore
si aprì e dal fondo del piccolo corridoio due delle figlie
del presidente
iniziarono a camminare verso il fondo del locale: tutti si zittirono e
andarono
a sedersi, ognuno alla propria postazione.
"Come
stai?" La notifica della chat dell'azienda apparve in basso sullo
schermo
del suo pc.
"Molto
meglio, grazie a te. Dopo ti offro un caffè. Mi sa che devo
ringraziarti anche
per la rosa…"
"Ti
piace?" Scrisse lui.
"È
bellissima…"
"Allora
facciamo che stasera ti offro io un aperitivo?"
Barbara
sorrise: forse sarebbe stata l'unica donna a uscire per un appuntamento
nel
giorno della festa in cui di solito si stava solo fra amiche.
Ma
lei non faceva mai niente come gli altri.
"Volentieri"
rispose.
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***Questa storia, molto
importante per
me, è dedicata a Barbara, una ragazza che non c'è
più e a cui è
successo questo fatto, anche se in un altro luogo, occasione e contesto.
Barbara, te lo avevo
promesso, spero ti piaccia 💜
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