Infecta

di Doppiakappa
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Roy cercò di alzarsi più volte, cadendo ogni volta in ginocchio.
L’equilibrio gli mancava, la testa gli girava e il mondo attorno a lui gli pareva frenetico.

- C-cosa cazzo è s-successo…? – disse, in preda al panico.

Si guardò attorno, uscendo dal bagno: i vetri di tutto l’isolato erano andati in frantumi, rumori di clacson echeggiavano per tutto il quartiere, cani abbaiavano spaventati, accompagnati dal vociare dei padroni che, confusi, cercavano di dare una spiegazione logica a ciò che era successo.
Il ragazzo raccolse ansiosamente la benda precedentemente caduta, guardandosi nuovamente l’occhio sinistro.
Quell’iride triangolare riflessa nello specchio lo metteva a disagio, così come quelle linee incandescenti che gli percorrevano il corpo. Cercò di coprire entrambi, il meglio possibile, non avrebbe voluto farsi vedere in quelle condizioni.
Un rumore frenetico di passi anticipò l’ingresso di Blaze nella stanza. Il castano ansimava, mentre con lo sguardo preoccupato guardava Roy.

- Roy! Grazie al cielo, stai bene?!

- S-sì… sto b-bene…

- Non sei ferito vero?!

- No… m-ma cos’è stato quel boato? – chiese, fingendo un enorme stupore.

- Non lo so… è stato così improvviso… stai veramente bene?!

- Sì, ho solamente un po’ di nausea… scusami per prima, la mia reazione è stata esagerata…

- Non preoccuparti, ti capisco. Mills è uno stronzo, finisce sempre così con lui.

- Dovremmo tornare in classe però… i professori saranno preoccupati… - aggiunse Blaze, porgendo una mano al biondo, aiutandolo poi a rimettersi in piedi.

I due ragazzi si diressero cautamente verso la loro aula, al secondo piano.
Una voce richiamò la loro attenzione.

- Felter, Steinberg! Dov’eravate finiti?! – Il tono del professore era carico di preoccupazione.

- Ci scusi professore, Roy non si è sentito bene l’ora prima ed è corso in bagno. Dopo la scossa sono andato a controllare se gli fosse successo qualcosa…

- Capisco, ma non allontanatevi più da soli. Ancora non sappiamo cosa sia successo, non possiamo dirci al sicuro finché non avremo chiara la situazione.

- Sì, professore…

- Certamente… - risposero i due ragazzi.

Rientrati in classe, il biondo cercò di evitare lo sguardo dei compagni, ancora si sentiva in soggezione per ciò che era accaduto qualche momento prima. Inoltre, le linee sul suo corpo e la sua iride non rendevano le cose più facili.
Clint rimase in silenzio, guardando Roy con occhi carichi d’odio. Avrebbe voluto ucciderlo, ma si sentiva impotente dopo la reazione del biondo, non avrebbe avuto alcuna possibilità.
 
Aiden analizzava nervoso i dati che erano comparsi sul monitor, mentre cercava disperatamente di contattare Roy.

- Rispondi… rispondi, Roy! – borbottava nervoso, tamburellando le dita sulla scrivania.

Roy sentì il telefono vibrare.
Prese in mano il dispositivo e rispose rapidamente ai messaggi del padre.
 
“Roy, cosa è successo?! I tuoi parametri sono impazziti per una frazione di secondo!”

“Non ne ho idea, papà. Ho avuto una discussione con un mio compagno e improvvisamente ho perso il controllo.”

“Hai fatto male a qualcuno?!”

“No. Mi sono sentito male subito dopo la lite e sono corso in bagno. È lì che è successo un casino.”

“Che è successo?!”

“Il mio corpo è come esploso… non so come spiegare… ho prodotto come un’onda d’urto e ho disintegrato ogni vetro nelle vicinanze.”

“Non avevo previsto una cosa del genere. Devi tornare immediatamente a casa, provvedo io a chiamare la scuola.”

“Non ci lasciano uscire, il preside ha ordinato di tenerci al sicuro in palestra.”

“Vengo a prenderti io allora, sono preoccupato. Tu stai bene adesso?!”

“Sì, ma le linee sul mio corpo sono ricomparse e anche l’iride…”

“Coprile alla meglio che puoi, sto arrivando.”


Roy rimise il cellulare nella tasca della sua felpa verde, stringendosi la benda al meglio che riuscì.
Impaziente, si mise accanto a una finestra ormai distrutta, attendendo l’arrivo del padre.
 
Una donna uscì barcollante da una Mercedes parcheggiata sotto l’edificio scolastico.
Vestiva di nero, con un paio di Ray-Ban viola a coprirle gli occhi. Teneva i capelli fulvi legati a coda di cavallo, mentre sul suo orecchio sinistro spiccava un orecchino in granata, che splendeva ai pochi raggi di sole che filtravano tra la cortina grigia che copriva quella mattina d’inverno.

- Cosa cazzo è appena successo?! – si chiese confusa, contemplando il mare di schegge di vetro che copriva le strade dell’isolato.

Dall’auricolare della donna spiccò una voce:
“Diana, l’esplosione proveniva dalla scuola del ragazzo. È sicuramente collegata a lui e al Void.”

- Come devo agire, Signore?

“Infiltrati e segui il ragazzo e quando lo cogli da solo, rapiscilo. Lo voglio vivo, ho bisogno del suo corpo.”

- Ricevuto, inizio il pedinamento. – Diana spense l’auricolare e si diresse furtiva verso la scuola.

Due uomini seguirono la donna con estrema discrezione, perdendola di vista poco dopo aver svoltato l’angolo del vicoletto.

- Dov’è finita? – chiese uno dei due, il più grosso. Un uomo sulla trentina, biondo con gli occhi castani.

- Occhi aperti. – rispose l’altro, più minuto. Anche lui sulla trentina, ma moro.

- Certo che fate schifo a pedinare le persone… - la voce di Diana richiamò l’attenzione dei due uomini.

- Da che pulpito… sappiamo che stai seguendo il ragazzino, cosa vuoi da lui? – si impose minaccioso uno dei due.

- Non eravate previsti… che seccatura. – sbuffò lei, provocandoli.

- Rispondimi! Cosa vuoi dal ragazzino? – sbraitò il moro.

Diana sorrise – Non sono tenuta a dirvelo, anzi, ora dovrò cucirvi occhi e bocca dato che mi avete visto.

- Perché non ci provi troietta? – la sfidò il moro.

- Mantieni la calma, non abbiamo il permesso di ucciderla. Dobbiamo portarla con noi.

- Va bene, mi accontenterò di prenderla a pugni finché non perde i sensi.

- Che gentiluomo… - sospirò lei.

Diana fece un passo indietro, incrociando poi lo sguardo con i due uomini.
Tutti e tre erano in posizione di guardia, in attesa che qualcuno facesse la prima mossa.

- Non ho tutto il giorno, vedete di muovervi. – stuzzicò la donna.

Il moro partì alla carica, sfruttando il suo fisico atletico.
Senza esitare, Diana roteò una gamba, accompagnando il movimento dell’uomo e aggrovigliandolo in una morsa.
L’uomo cadde a terra.

- Maledizione… - grugnì fievolmente, mentre faticava a respirare.

Il biondo corse in soccorso del collega, trovandosi un pugnale conficcato dritto nella caviglia, pugnale che la donna aveva velocemente estratto da sotto la gonna e sferrato con precisione millimetrica.

- Argh! – l’uomo cadde in ginocchio, togliendo la lama dalla carne e gettandola via.

- Che signorine… siete veramente fatti di cristallo voi due… - li prese in giro la donna.

Il biondo fece un profondo respiro, per poi estrarre una pistola dal fodero che teneva sul fianco.
La punto contro Diana.

- Liberalo. – ordinò lui, facendo scivolare velocemente il carrello della beretta.

- Altrimenti? – provocò lei, stringendo la morsa sull’uomo.

- Ti pianto due proiettili in testa.

- Non ti consiglio di sparare, userò il tuo amico come scudo.

L’uomo sorrise – Non hai lo spazio per muoverti, è inutile bluffare. Te lo ripeto un’ultima volta: lascialo libero. – ordinò, tornando serio.

- Come vuoi… - sbuffò Diana, mollando la presa e balzando all’indietro con un salto atletico.

Diana estrasse una pistola da un fodero nascosto dietro la sua schiena ed esplose due colpi verso il biondo. L’uomo, senza accorgersene, cadde morente a terra, bagnando il freddo asfalto del suo tiepido sangue.

- Jacob! – urlò il moro, vedendo il collega a terra. – Bastarda! – gridò poi, tentando un ultimo e disperato assalto. Assalto che venne stroncato sul nascere da una pallottola sparatagli in fronte, che gli strappò la vita in meno di un battito d’occhi.

Diana riprese fiato, contemplando l’orrore che aveva appena compiuto.

- Mi tocca nascondere i cadaveri adesso, che rottura… - disse stremata, mentre si infilava un paio di guanti in lattice.

- Sapevano che avremmo attaccato nuovamente, devo informare il capo. Ma prima…

La donna nascose i corpi in un cassonetto della spazzatura, a cui diede fuoco poco dopo, non curandosi delle possibili conseguenze.
In passato aveva ucciso almeno una quarantina di persone in pieno giorno, senza lasciare tracce.
Senza fare una piega, si incamminò rapidamente verso la scuola, sistemandosi gli occhiali che nel mentre le erano scivolati sul lato.
 
Aiden arrivò velocemente, parcheggiando distrattamente in divieto di sosta.
Corse all’interno dell’edificio, inventando una scusa sul momento quando il bidello chiese il motivo della sua presenza.
Roy venne fatto scendere poco dopo, placando parzialmente l’ansia dell’uomo.

- Vieni, dobbiamo andare in fretta. – disse visibilmente sudato.

- Papà, che succede? – chiese preoccupato Roy.

- Te lo spiego in macchina, andiamo.

L’uomo riaccese rapido la macchina, eseguendo una folle manovra per risparmiare tempo.

- Mi hanno contattato dal laboratorio, hanno perso i segnali vitali degli uomini che ti stavano coprendo a distanza. Il segnale è stato perso proprio dietro alla scuola…

- C-cosa?!

- Dobbiamo sbrigarci.

- Non è troppo pericoloso tornare a casa?

- Manderanno una scorta a fare da guardia, lì saremo al sicuro.

Aiden curvò rapidamente, dovendo però frenare all’improvviso per evitare di schiantarsi contro una Mercedes con i vetri infranti che gli aveva bloccato la strada.

- Che cazzo fai in mezzo alla strada?! Levati! – sbraitò l’uomo nervoso, colpendo con violenza il clacson. 

Dalla macchina uscì una donna, armata di pistola, che a passo lento iniziava ad avvicinarsi all’Audi dello scienziato.

- Papà! Lei è la donna del laboratorio! Dobbiamo andarcene! – gridò Roy, in preda al panico.

Aiden cercò di tagliare la corda, inserendo la retromarcia e dando gas alla macchina, Diana però anticipò l’uomo sparando alle gomme dell’Audi, crivellando ulteriormente di colpi il cofano.
I due al suo interno furono costretti ad abbassarsi, fuggendo poi dalle portiere e nascondendosi sul retro della macchina.

- Roy, mettiti al sicuro quando te lo dico. Cercherò di contrastarla.

- Papà è troppo pericoloso! È addestrata.

- Ho praticato tecniche di difesa con l’esercito tedesco per venticinque anni, so come difendermi.

- È armata!

- Pure io lo sono. – disse estraendo una Colt da sotto la camicia, lasciando sorpreso il figlio.

Aiden fece un cenno a Roy, che subito iniziò a correre verso un albero. Diana non ebbe il tempo di puntare la pistola contro il ragazzo che si trovò costretta a difendersi dalla scarica di colpi, che l’uomo aveva sparato per coprire la fuga del figlio.

- Chi sei?! – gridò Aiden senza distogliere la mira dal cofano dell’Audi, in attesa che l’aggreditrice uscisse allo scoperto.

- Signor Steinberg… mi scuso per la maleducazione, ma ahimè non posso rivelarle la mia identità. Posso dirle però che sono una Sua grande ammiratrice, le Sue ricerche sono straordinarie.

- Cosa vuoi da noi?!

- Lo sa esattamente, Professore. Mi consegni il ragazzo.

- Cosa vuoi fare a mio figlio?

- Devo solo consegnarlo al mio capo, diciamo che ci serve qualcosa che ora è nel ragazzo.

Aiden rabbrividì.

- Come fai a sapere del Void?!

- Oh mamma quante domande... - ridacchiò. - Ci sono così tante cose che so sul Suo conto, Professore. Non ne ha idea… - la donna fece una pausa. - Una Colt M1911, calibro 45… pistola un po’ datata eh? – disse poi.

- Come…?!

- Caricatore da 10 colpi… e se non sbaglio lei li ha già sparati tutti… giusto?

Aiden rimase in silenzio.

- Adesso la prego, Professore, getti l’arma. – disse Diana, uscendo allo scoperto e puntando la pistola contro l’uomo.

Aiden gettò l’arma a terra, come chiesto dall’interlocutrice e pose le mani verso l’alto. Avrebbe voluto girarsi per controllare se Roy fosse al sicuro, ma von aveva la possibilità di muovere nemmeno un muscolo.

- Avanti ragazzo, esci fuori! Non vorrai mica che tuo padre si becchi un paio di pallottole in capo, no?! – gridò la donna cercando il biondo con lo sguardo.

- Roy, non uscire! Scappa e basta!

- Oh, ma che cazzo, faccia silenzio! – disse infastidita, sparando un colpo sul piede dell’uomo.

Aiden si piegò a terra dal dolore, gemendo.

- Il prossimo gli va in testa! Ti do dieci secondi, ragazzino!

Roy sudava freddo, paralizzato dalla paura.
Non sapeva cosa fare, era la seconda volta che si sentiva terrorizzato di fronte a quella donna.

- Dieci… nove… otto… sette…

Più Diana parlava, più il sangue ribolliva nelle vene del ragazzo. L’adrenalina stava per invadergli tutto il corpo.

- Tre… due… uno…

- Ferma! – Gridò Roy saltando fuori da dietro un albero.

- Troppo tardi, moccioso… - disse, premendo il grilletto.

Il tempo sembrava come se si fosse fermato, nella frenesia la benda era scivolata via dalla faccia del ragazzo, scoprendogli l’iride arancione incandescente.
Le sue pupille si muovevano rapide ad analizzare la situazione. Sentì i muscoli spingere verso l’esterno, come se volessero liberarsi dalla morsa della pelle.
Tese una mano verso il padre, nell’invano tentativo di afferrarlo per salvarlo dalla morte.

- Papaaaaaaaaaaaaà!

Un grido disperato precedette un boato assordante.
Un’enorme onda d’urto si liberò dal palmo della mano di Roy, deviando il proiettile che era arrivato a pochi centimetri dal padre, scaraventando poi con violenza la donna contro la sua Mercedes.
Il corpo del ragazzo era coperto da linee incandescenti, le vene sulle sue mani si erano gonfiate, parendo quasi sul punto di esplodere. Ansimava lui, mentre cercava di contemplare ciò che era appena accaduto. Di colpo riprese la lucidità, precipitandosi verso il padre ferito.

- Papà! Stai bene?!

- S-sì… ma tu… cosa…?

- Non lo so… Dobbiamo andarcene da qui, ce la fai a camminare?

- No, non riesco a reggermi in piedi.

- Appoggiati a me.

- Roy, sono troppo pesante… non ce la puoi fare…

- Papà. Non ti lascio qua con quella psicopatica, ti porto io.

- Ma, Roy… - Aiden non fece in tempo a finire la frase che venne improvvisamente caricato in spalla dal figlio.

- C-come fai a sollevarmi così?!

- Non ne ho idea, è come se stessi sollevando del polistirolo… non so come spiegare.

- Poco importa adesso. Andiamocene, prima che quella stronza si svegli!

- Sì. – annuì il ragazzo, iniziando a correre a una velocità improbabile per un sedicenne con in spalla un uomo.

Aiden guardò il ragazzo per qualche secondo, mentre veniva trasportato velocemente verso casa. Improvvisamente strinse il figlio, poggiandogli la testa sulla spalla.

- Ho avuto paura… ho rischiato di perderti una seconda volta…

Il ragazzo sorrise – Non mi sarei mai perdonato se ti avessi lasciato andare… siamo entrambi vivi per miracolo…

- La scusa dell’influenza non basterà più per tenere mamma all’oscuro… - disse l’uomo, sbuffando una lieve risata, che subito si unì a quella del figlio.
 
Diana si svegliò dolorante. Giaceva seduta a ridosso della Mercedes, con una scia di sangue che le partiva dalla fronte. Tossì tre volte, prima di tentare un lieve movimento delle braccia. Il dolore era infernale, le ossa delle braccia erano completamente fratturate, così come un paio di vertebre.

- Gaaah! – urlò, cercando di spostarsi di lato. Con uno sforzo enorme riuscì ad attivare l’auricolare, cadendo poi nuovamente a terra. - C-chiedo… so-so-soccorso… la… mi-missione è… fallita… - disse prima di perdere i sensi.

La zona dello scontro era deserta, trovandosi in mezzo alla strada di campagna che separava il quartiere residenziale dal quartiere scolastico.
I cadaveri delle due macchine facevano compagnia al corpo esanime della donna, mentre una leggera neve iniziava a coprire i dintorni.

Passò mezz’ora prima che una figura maschile si presentò di fronte a Diana.
Era un ragazzo giovane, dai capelli castano-biondi e dalla corporatura atletica e robusta. Prese la donna in braccio e lentamente si diresse verso il furgone che lo aveva precedentemente portato sul luogo.

- Signore, ho recuperato Diana. Ci avviamo verso la casa di Steinberg. – disse il ragazzo con tono apatico.

Una voce impartì un ordine dall’auricolare del ragazzo:
“No, tornate alla base. Se sono riusciti a mettere fuori gioco Diana non possiamo permetterci di rischiare ulteriormente. Ritiratevi.”

- Sissignore, ci dirigiamo allora al quartier generale. Chiudo. – disse, facendo poi una smorfia mentre spegneva l’auricolare.

- Come cazzo hanno fatto a ridurla così…? – disse poi, carezzando lievemente il corpo della donna. – Drake, metti in moto, andiamo alla base. – ordinò infine all’autista.
 
Roy aprì velocemente la porta di casa, fiondandosi in salotto e poggiando delicatamente il padre sul divano.
Non aveva provato la benché minima fatica durante il tragitto e si sentiva carico di energia.

- Portami al laboratorio, devo sistemarmi il piede e poi voglio farti un paio di analisi.

- Ma papà… non sarebbe meglio riposare?

- Non abbiamo tanto tempo, gli uomini del laboratorio stanno arrivando. Posso parlare dell’aggressione, ma se scoprono del Void siamo nella merda.

- V-Va bene...

Il ragazzo eseguì l’ordine del padre, portandolo in spalla fino al laboratorio, lasciandolo poi sedere su una delle sedie del bancone centrale, ancora mezzo distrutto dall’esplosione.

- Passami la valigetta nera e verde nel quarto armadio, per piacere. – chiese l’uomo, tirando poi fuori da uno sportello una sorta di pistola.

Il biondo passò ad Aiden la valigetta. L’uomo vi estrasse un’ampolla di vetro, contenente una strana sostanza grigia, collegata con dei tubi a un piccolo macchinario.
Collegò la pistola alla pompa principale e avviò il programma della macchina.
Si scoprì poi il piede ferito, gemendo per il dolore. Dopo che la macchina fece un segnale acustico, Aiden puntò la pistola verso il piede e premette il grilletto, rilasciando uno spray di particelle grigie sulla ferita. Gemette nuovamente, mentre le particelle cominciavano a ricostruire i tessuti interni del piede, cicatrizzando lentamente la ferita.

- C-cos’è quello?! – chiese stupito il ragazzo, assistendo a quella magia.

- È la mia ultima ricerca completata, una serie di nano-bot organici che permettono di ricostruire i tessuti danneggiati. Applicano tuttavia solo una cura primaria, ciò comporta il doverli utilizzare più volte per poter ricostruire i tessuti. Inoltre, si adattano a qualsiasi paziente perché vengono ignorati dal sistema immunitario.

- Come hai fatto ad alimentarli seguendo l’energia di legame necessaria?! Con i miei nano-bot sono arrivato a un punto cieco.

- Ho fatto in modo che oltre al nano-bot siano presenti degli zuccheri ad alto contenuto energetico, è l’unico modo che ho trovato… beh… oltre al possibile utilizzo del Void…

- Avevi in mente di unire le due ricerche?!

- Sì, ma non mi sarei mai aspettato che il Void a contatto con una nano-tecnologia e il corpo umano avrebbe reagito così… Ora dobbiamo essere cauti, quella donna era a conoscenza del nome della mia ricerca, ciò vuol dire che non mi stavano semplicemente spiando, hanno preso anche i risultati delle mie ricerche e i file che tenevo nascosti… se il Void finisse nelle mani sbagliate sarebbe un disastro… potrebbe diventare un’arma.

- Cosa facciamo adesso?

- Per il momento dobbiamo lasciarlo dentro di te, hai generato un’onda d’urto prima, se riuscissi a controllare una cosa del genere potresti difenderti mentre io cerco una cura…

- E se ci scoprono?

- Non ci scopriranno. Ora però siediti vicino a me e dammi il braccio.

- Huh?

- Ho notato che l’attività del Void aumenta all’aumentare dell’adrenalina, se le due cose sono collegate basta iniettare una sostanza inibitoria per tenerlo sotto controllo. Questa è una molecola simile alla morfina, non è pericolosa e agisce in modo più graduale. Ecco… - disse l’uomo, rimuovendo la siringa dal braccio del ragazzo e coprendo il piccolo foro con un cerotto.

- Vai a sdraiarti a letto, dormirai per circa un paio d’ore prima che la morfina esaurisca il suo effetto.

- Tu cosa farai nel frattempo?

- Cercherò di spiegare agli uomini del laboratorio cosa è successo. Dirò loro che il target di quei tizi è la mia nuova ricerca sull’esoscheletro per la riabilitazione motoria, è una ricerca estremamente delicata anche quella, dubito che provino qualche sospetto.

- Va bene, riesci a camminare da solo?

- Adesso sì, grazie Roy. Aspetta, ti accompagno. – disse l’uomo, facendo un lieve sforzo per alzarsi. Il dolore al piede si era affievolito molto, permettendogli di camminare da solo.

Aiden aspettò che il figlio si addormentasse, prima di sdraiarsi esausto sul divano in attesa che gli uomini della sua compagnia arrivassero.

- Se il Karma mi sta facendo passare tutto questo… devo aver combinato qualcosa di veramente grosso… - disse, sbuffando.

Qualche minuto dopo il cellulare squillò, Aiden si alzò dal divano e si diresse verso l’ingresso.
Aprì la porta e si trovò davanti un ragazzo piuttosto giovane, moro con occhi castani e un leggero filo di barba che gli decorava il viso.

- Professor Steinberg, sono Axel Klein. Mi hanno mandato per assisterla.

- Certo, prego si accomodi. – rispose il biondo, facendo cenno al ragazzo di seguirlo.




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