Dietro
il nome
Avrebbe dovuto essere
abituata al ritmo delle macchine fotografiche, rapido e irregolare, in
contrasto con la fissità del sorriso studiato per il pubblico. Numerosi lampi
di luce la investivano in volto – la stampa locale e quella britannica che
aveva viaggiato con lei – ma nessun cenno di fastidio le alterava i lineamenti.
L’unico movimento approvato era una piccola rotazione del capo, a destra e a
sinistra equamente, perché ogni giornalista avesse la possibilità di catturare
un’immagine centrata.
All’ufficio del
Presidente Quahog si arrivava tramite un corridoio a cui si accedeva dal fondo
della sala, presidiato da una coppia di Auror americani in uniforme. Tuttavia
in quel momento l’anziano mago non sedeva alla propria scrivania: in piedi al
fianco di Hermione esibiva un’analoga espressione, perfezionata in anni di
esperienza ai vertici del MACUSA. Le stringeva la mano con un vigore
insospettabile dall’aspetto caduco dei fini capelli bianchi.
Le ampie finestre su un
lato della sala conferenze erano chiuse, ma, prima del loro ingresso, un incantesimo
aveva animato le bandiere alle loro spalle come il vento sulla sommità di un
palazzo istituzionale Babbano.
Stipati tra le file di
sedie, reporter britannici e americani immortalavano un’immagine di
cooperazione internazionale, il primo risultato sulla scena estera dell’ufficio
della Ministra Granger, insediatasi quattro mesi prima tra le perplessità per
la sua giovane età e l’incrollabile stima del predecessore Shacklebolt. Nemmeno
a un’eroina di guerra era risparmiata la critica politica e Hermione era
determinata a conquistarsi ogni merito con il lavoro e la competenza, come
aveva sempre fatto.
«Basta così, grazie.» A
un cenno del Presidente Quahog rivolto ai presenti, una giovane strega del suo
staff riconobbe il segnale per indirizzarli verso l’uscita.
«Grazie a tutti» disse
anche Hermione.
Decine di passi e un
intenso vociare aleggiarono nella stanza che si svuotava. Il suo omologo
americano fu costretto a piegarsi verso di lei e alzare il tono per essere
udito: «Il trattato è firmato, la conferenza conclusa e le foto di rito
scattate; ora passiamo alla parte più interessante, che dice? Abbiamo fatto
preparare anche del tè, Ministra!» Il mago ridacchiò come a sottolineare
l’eccezionalità dell’evento.
«Ne sono onorata» rispose
lei, trincerandosi nello stesso tono leggero. Si sarebbe premurata di annotare
mentalmente i gusti che l’uomo avrebbe palesato, per mostrargli ogni cortesia
quando la visita istituzionale sarebbe stata ricambiata.
«Ci sposteremo nel
Salotto Rosso» annunciò il Presidente, e dal piccolo palco rialzato di fronte
alle sedie si avviò verso una porta alla propria destra. La sua scorta si mosse
subito con lui e gli Auror britannici scelti personalmente da Harry Potter
seguirono lei, non appena si incamminò con Quahog.
«In questa stessa sala»
continuò, «fu revisionata la legge Rappaport sui rapporti tra maghi e No-Mag.»
«Lei sa che io ho origini
Babbane, Presidente.» Lui annuì, mentre Hermione riprendeva: «Essere ospitata
proprio qui per me ha un estremo valore simbolico.»
Lui si schernì, ma pareva
invero molto fiero. «È stato un suggerimento di un mio assistente, lo conoscerà
a breve.»
La mano guantata di un
membro del personale aprì per loro la soglia. Li accolse un intreccio di
tonalità scarlatte e vermiglie e cremisi: i tappeti sul pavimento, le tende
alle finestre, le poltrone attorno a un basso tavolo apparecchiato. Ai muri
erano appesi i ritratti annoiati di alcuni Presidenti passati e sulla parete di
fronte all’ingresso fiamme vivide scoppiettavano in un camino di marmo candido.
Lo stile asettico della sala conferenze – bianco e grigio, linee rigide e
arredamento essenziale – lasciava spazio al rosso ricco della storia sulle cui
fondamenta era stato edificato quel luogo.
Si accomodarono per le
conversazioni più distese che di solito facevano seguito alle formalità
previste dai riti istituzionali – nel corso della propria carriera al
Ministero, Hermione vi aveva assistito seguendo il Ministro Shacklebolt in alcuni
viaggi in Europa. In un contesto più privato – per quanto concesso dalla
presenza irrinunciabile dello staff, vincolato comunque da accordi di non
divulgazione – Samuel G. Quahog poteva sbilanciarsi a proposito di consigli su
come equilibrare la vita professionale con quella familiare e lei poteva
interessarsi dei suoi piani riguardo il pensionamento.
Qualcuno batté sulla
porta e il Presidente diede istruzione di aprire. «Voglio presentarle il mio
assistente, visto che è soprattutto con lui che ha lavorato al nostro trattato.
E poi potrete parlare di tè o di qualcun’altra delle vostre cose» ridacchiò
ancora, quasi istigandola ad alzare gli occhi al cielo. Ma ogni sua reazione fu
scavalcata dallo stupore, quando il mago in questione fece il proprio ingresso.
«È inglese, sa?»
«La Ministra Granger lo
sa già, Presidente.»
«Malfoy!»
Un discreto colpo di
tosse fece seguito alla sua esclamazione. «Preferiamo non usare quel cognome,
rispettiamo le decisioni dei nostri impiegati» la corresse gentilmente il
Presidente.
L’uomo che un tempo
faceva vanto di ogni singola lettera di quel nome di famiglia fece un passo
verso di loro. «Non è un problema: la Ministra mi conosceva con quel cognome.»
Nel mese di trattative
che aveva preceduto le loro firme in fondo a un rotolo di pergamena ufficiale,
Hermione era stata consapevole di lavorare con l’ufficio del Presidente più che
con Quahog in persona: arrivato alla fine della propria carriera, il mago americano
amministrava l’arte del delegare come era stato consigliato anche a lei di
fare, lei che nelle prime fasi del proprio incarico si stava affannando tra
impegni e scadenze. Ciò che Hermione non aveva mai saputo prima di quel giorno,
né aveva avuto alcun motivo di sospettare, era che la firma “L. Black, Ufficio
del Presidente Quahog” che accompagnava la corrispondenza intercontinentale
aveva il volto di Draco Malfoy.
Avrebbe forse
riconosciuto la grafia, se a scuola fossero stati amici e compagni di studio?
Se lui non fosse stato odioso rivale, Mangiamorte nemico, aspirante assassino.
Draco Malfoy aveva per
lei un’espressione gentile che non le aveva mai rivolto, tuttavia si adombrò
quando si rese conto di dover ritirare la mano che lei non accennava a
stringere. Era la destra. Il braccio sinistro era coperto dalla manica lunga –
non faceva caldo e in ogni caso l’abbigliamento formale imponeva di coprirsi,
ma Hermione non aveva notato frammenti del vestiario di nessun altro in quella
stanza, perché di nessun altro sapeva cosa nascondevano.
«Volevo farle di persona
i complimenti per la sua elezione, è un forte segnale di rottura con il
passato.»
Hermione deglutì l’astio
che non poteva mostrare liberamente davanti al Presidente, che aveva parlato
del proprio assistente con così tanta stima, e rispose con un cenno. Malfoy le
dava del tu, una volta, e non le faceva mai complimenti, e non voleva rompere
nulla se non lei.
Da quando si faceva
paladino della cooperazione internazionale? Da quando sosteneva che le amicizie
potessero essere coltivate anche su un terreno di secolari differenze? Quanto
era disposto a fingere e sorridere, pur di ripulirsi la faccia? Non gli era
bastato cavarsela senza una condanna dai processi dei seguaci di Voldemort, né
lasciare senza alcuna traccia la Gran Bretagna e la propria reputazione
macchiata: dal padre condannato al carcere a vita aveva ereditato l’ambizione
al potere, e l’aveva inseguito e ottenuto in un luogo diverso.
Ma non era sufficiente
cambiare un nome per dimenticare – glielo disse, in un gelido commiato,
nell’unico momento di quella giornata lavorativa in cui non furono circondati
da americani ignari.
***
Avevano continuato a
scriversi per lavoro.
L. Black non era Draco
Malfoy, quando faceva commenti sorprendentemente acuti sul valore della
cooperazione, quando le sottoponeva proposte coerenti con le ambizioni
politiche e programmatiche del suo ufficio, quando sosteneva che sarebbe stato
opportuno che la legislazione in materia di diritti per le minoranze fosse
avanzata tanto quanto quella sui No-Mag negli Stati Uniti d’America.
L. Black era Draco
Malfoy, quando concedeva sprazzi di ironia pungente al tono istituzionale,
quando uno scampolo di alterigia sfuggiva nel tono di un commento, quando citava
casualmente certe tradizioni secolari ben radicate nelle più antiche famiglie
magiche.
E lei rispondeva – che
ringraziava per l’interessamento, che un dipendente di un'altra istituzione non
poteva sapere di più, che era già abbastanza stressata dalle impellenti
richieste di ogni fascia della popolazione per badare anche a quelle di un mago
britannico espatriato.
Fu quando lui le chiese
“Come stai?” in un P.S. in fondo a un resoconto sui rapporti commerciali tra i
due Paesi nell’ultimo trimestre, quando lei gli rispose che le mancava avere
più tempo a disposizione da trascorrere con i due figli in età prescolare, che
Hermione si rese conto che le piaceva parlargli. Che le era già piaciuto. Che
se prima di conoscere la sua identità aveva apprezzato l’anonima voce su carta
di quel collaboratore del Presidente, adesso le piaceva scoprire quella dietro
il nome, la nuova faccia del suo vecchio compagno di scuola – e odioso rivale, e
Mangiamorte nemico, e aspirante assassino, ma forse non più, perché nessuno
poteva portare avanti una finzione tanto a lungo.
Quando infine Hermione,
rassegnata di fronte al proliferare degli impegni, trovò un’assistente che
sembrava competente quanto si era rivelato L. Black e la nuova assunta iniziò a
sbrigare la sua corrispondenza, Draco le spedì la prima lettera privata.
A Hermione Granger,
firmato Draco Malfoy.
***
Ne riconobbe la voce
prima di ritrovare il volto.
«Spero che quel tè sia
buono quanto sembra. Latte e zucchero?»
«Sempre.»
«Solo qui potrò berne uno
come si deve. Mi chiedo perché al MACUSA tutti dimentichino il latte.»
La sala stampa del
Ministero della Magia, che avrebbe accolto le dichiarazioni istituzionali, in
quel momento ospitava solo la sua scorta e un paio di dipendenti
a sistemare le ultime postazioni. Hermione vi si era rifugiata per ritagliarsi
un momento di tranquillità.
Il Presidente Quahog
aveva accettato di ricambiare la visita in occasione dell’anniversario della
firma del trattato tra i due Paesi, ma Draco Malfoy evidentemente non era
entrato al suo seguito. Ferma accanto al leggio, Hermione attese che fosse lui
ad avvicinarsi, esaminato dagli occhi sempre vigili degli Auror assegnati alla
sua incolumità. Una targhetta appuntata sulla giacca scura lo identificava come
visitatore autorizzato, segno che aveva già superato i controlli di sicurezza
previsti nell’atrio.
«Te lo faccio preparare»
si offrì Hermione, «prima che arrivi il Presidente a scoprire quanto sgradito
sia il suo.»
«Non ce n’è bisogno, sarò
qui per poco. Non resterò per l’evento» le comunicò, secco, il tono che aveva
perso tutta la serenità della loro più recente corrispondenza.
«Cosa? Perché?»
Il mago sospirò e fissò
assorto le bandiere dei due Paesi davanti a loro. Hermione prese un sorso, si domandò
se avrebbe scorto un colore altrettanto liquido nelle iridi di Draco Malfoy.
«Per gli sguardi
all’ingresso, i sussurri nei corridoi, lo spazio intorno a me nella folla. Per
come i tuoi Auror non mi hanno tolto gli occhi di dosso da quando sono entrato
a salutarti.» Perfettamente professionali, i due uomini della scorta non si
mossero neanche, anche se potevano udire ogni parola di quella conversazione.
«È da questo che sei
scappato dopo il tuo processo?»
«Sono sempre stato molto
bravo a fuggire, non trovi?»
«E ad agire nell’ombra»
concesse Hermione. «Perciò hai scelto di iniziare a lavorare con un nuovo
nome.»
Draco piegò le labbra in
una smorfia amara. «Concorderai con me che quello di prima ormai non era il più
comodo con cui presentarsi.»
«Ma stavolta puoi
permetterti di farti vedere al tuo posto. Lascia che conoscano i tuoi meriti.»
Draco scosse la testa
piano. «E chi ci crederebbe?»
Chiunque avesse lavorato
con lui, chiunque avesse visto come la testimonianza della prossimità al potere
e ai potenti di Lucius Malfoy fosse stata messa a frutto da suo figlio nel
campo delle relazioni internazionali, fatto di delicati equilibri, la ricerca
del contento di una parte e dell’altra pure.
«Saresti sorpreso. Ron è
sempre meno sconvolto ogni volta che gli racconto di stare collaborando con il
Presidente, e quindi con te.»
A quelle parole lui tornò
a guardarla con un misto di incredulità e divertimento. «Non invoca il mio
licenziamento borbottando?»
«Questo sì.» Hermione
lasciò andare una risatina. «Ma di questi tempi credo che si farebbe andare
bene chiunque possa alleggerirmi di un po’ del carico di lavoro.»
Il mago si limitò a un
broncio poco convinto in risposta.
«Non ti manca casa,
Draco?»
Lui scivolò con lo
sguardo sulla tazza ormai fredda tra le sue mani. Un istante dopo, nel grigio
sotto le palpebre galleggiava una sofferenza acuta e innegabile. Calarono, e ogni
verità svanì nella compostezza.
«Non hai niente che ti
trattenga negli Stati Uniti, se non la posizione lavorativa che ti sei
guadagnato. Ti offro la stessa qui, a casa.»
«Hermione…» la chiamò,
con un tono che chiariva indubbiamente che non aveva previsto quel risvolto.
«Però questa proposta è
per Draco Malfoy» precisò, poi si distrasse un momento per rispondere a un
collaboratore e un altro le si avvicinò per recuperare la tazza.
Quando riportò lo sguardo
su di lui, Draco stava contemplando l’uscita con risoluzione. «Pensaci» gli
suggerì tranquilla. «Andiamo? Se tu sei qui, il Presidente arriverà certamente
a breve e io ho bisogno di recuperare il mio discorso dalla mia assistente.»
Draco le offrì il braccio
per scortarla. Era il destro.
Lei si portò dall’altro
lato, gli prese il sinistro senza esitare e avanzò al suo fianco.
Sulla soglia, lui si
fermò d’improvviso. «Mi manca casa, Hermione.»
Lei sorrise e strinse il
tessuto spesso che gli copriva l’arto con una confidenza che l’anno prima non
avrebbe mai immaginato. «Al Ministero della Magia nessuno dimentica il latte per
il tè, te l’assicuro.»
Draco sbuffò. «Ora
inizieranno a dire che ho ottenuto un posto solo per le mie amicizie ai vertici.»
Hermione ridacchiò,
mentre guadagnavano l’uscita. «E non è quello che hanno sempre fatto i Malfoy?»
Note:
Il Presidente del MACUSA
Quahog è citato da J.K. Rowling in un contenuto pubblicato su Pottermore. La
sua spocchia nei confronti delle abitudini inglesi è farina del mio sacco e fa molto
stereotipo americano, lo riconosco!
La legge Rappaport è quella
in vigore negli Stati Uniti nel film Animali fantastici e dove trovarli:
non solo imponeva alla comunità magica la
segretezza, ma proibiva ai maghi persino di sposarsi o fare amicizia con i No-Mag,
perciò ho ovviamente immaginato che in seguito sia stata revisionata.
Il contest a cui partecipa
questa fanfiction prevede di sviluppare un rapporto di amicizia tra due
personaggi che hanno avuto contrasti in passato. Anche se quelli tra Draco e
Hermione sono canon, ho voluto mostrarli nella prima parte della storia, per
poi romperli nella parte centrale e scrivere infine di due amici nella terza
parte.
Spero che questa one-shot vi
sia piaciuta, grazie per la lettura!
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