Masters Of Darkness: a D&D Tale

di VentodellaNotte
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Tra montagne senza nome al limitare di un freddo deserto, una vetta insolita si ergeva, trapassando le nubi. Grigiastra come le altre e poco contrastante dall’umido cielo, tale conformazione appariva troppo peculiare per sembrare una montagna – o un suo pezzo – e troppo caotica per essere una costruzione eretta consapevolmente. Ai suoi piedi – ammesso che in quell’ammasso frastagliato di roccia si potesse distinguere un piano coerente – una via quasi invisibile, timida, feriva il granito.

Soltanto occhi molto attenti avrebbero scorto dove moriva, e una vista ancor più sopraffina avrebbe riconosciuto due figure muoversi velocemente, proteggendosi dall’alba in mantelli opachi.

 

Il Picco dell’Ovest – così era nominata dai più – si annunciava come punto di riferimento per il luogo che quelle figure, oltre ad un’altra decina, avrebbero dovuto raggiungere. Al di là della vetta, in un punto imprecisato, di apriva un piccolo spiazzo baciato dai primissimi raggi di sole.

Superato l’angolo, la prima sagoma, notevolmente più alta, si abbassò il cappuccio, invitando la seconda a fare lo stesso. Il loro colorito non contrastava con l’ambiente generale, né coi loro abiti, sebbene venisse intiepidito da una luce sognante, che si rifrangeva più volentieri nei capelli candidi dei due. L’individuo alto li teneva in una treccia elegante, che sfuggiva ormai al controllo del mantello. Quelli della seconda erano più indisciplinati, sebbene conservassero le parvenze di una particolare acconciatura che pareva appartenere al giorno precedente. Nonostante la differenza d'altezza, nonché d'età, i due si somigliavano parecchio, suggerendo un rapporto più stretto rispetto alla semplice appartenenza di popolo. Dal punto di vista delle razze più dominanti non si distingueva una caratteristica che prevalesse a bizzarria nel loro aspetto. Una carnagione tra il grigiastro e il violaceo si declinava in un certo pallore. Alti zigomi si allineavano con lunghe orecchie di forma ovale, conferendo loro una distante bellezza, tipica degli elfi scuri.

In pochi secondi altri mantelli si distinsero dal granito, e alcuni volti, ben più coloriti rispetto ai primi due, sgusciarono da quella grigia uniformità. Una buona parte erano anziani, sebbene la loro anzianità nulla avesse a che vedere con quella della gente comune, e il corpo ne fosse poco segnato: erano i loro sguardi, torbidi e penetranti, a segnare una profonda maturità spirituale, una maturità edificata a sacrifici, a battaglie, ad un vissuto di una strana ed ineffabile natura. Eccezioni a questi individui erano rappresentate, oltre che dalla coppia di familiari, da due umani: uno poco più adulto dell’elfa, e un secondo di rango ed età visibilmente superiore: erano distinguibili dagli anziani non solo per l’aspetto fisico, ma anche per gli abiti più simili a quelli degli elfi scuri. I primi, invece, indossavano una tonaca completamente nera, con un simbolo, quasi invisibile, decorato all’altezza del petto.

I sei anziani si disposero in un semicerchio, lasciando spazio ai rimanenti quattro. L’elfo e l’umano si disposero davanti ai due adolescenti, come creando una sorta di scudo. Uno dei vecchi parlò, e la sua voce creò un arcano eco, forse a causa della conformazione del luogo, forse per una causa misteriosa.

Daiksa, Heramno: Dichiarate i vostri discepoli pronti in questo Crepuscolo a brillare in contrasto con la luce?>

L'umano mosse solennemente un passo, quasi traspariva un giubilo dai suoi movimenti. 

 

Pronunciate queste parole, si spostò verso destra, lasciando l'adolescente sotto il libero influsso delle parole dei vecchi. 

Passò qualche secondo, e uno sguardo perplesso da parte del vecchio, prima che anche l'elfo potesse compiere le stesse azioni. In un tono di voce neutro, infine, fece lo stesso: 

Un silenzio gelido, più gelido di un’alba d’inverno, calò nello spiazzo. Nessun sospirò osò romperlo, persino il sole si fece più pallido. Da secoli, nessuno osava utilizzare quelle parole, al Monastero di Stver, così come in altre parti dei mondi. Era una formula antica, pronunciata nella sua interezza. Una formula che sanciva non solo un duro destino, ma anche solleticava l'attenzione degli Dèi.

Con un sorriso amaro inciso nelle labbra, Daiksa fece un passo a lato, lasciando l'espressione sgomenta di Aditis confrontarsi con gli Anziani. Lei ne percepiva l'energia, intense vibrazioni che pur a qualche metro di distanza la irradiavano come raggi di un oscuro sole. Con sgomento abbracciò la sua iniziazione, sapendo che la aspettava un duro viaggio, e un fallimento avrebbe significato distruzione per la sua famiglia...O per quello che ne rimaneva, lì, alle sue spalle, in quel momento.





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