Reaper
Le luci rossastre del crepuscolo
autunnale stanno morendo ad ovest, inghiottite dal blu compatto della
sera.
Un uomo alto in completo giacca e
cravatta, per la verità piuttosto anacronistico per l'Inghilterra
del IXX secolo, se ne sta immobile e dritto come un fuso sopra il
tetto di una stalla, adiacente a una piccola fattoria. In paziente
attesa.
Si aggiusta gli occhiali rettangolari
sul naso con l'estremità della falce a foggia di svettatoio
telescopico che impugna nella mano sinistra ed estrae la lista
giornaliera dalla tasca interna della giacca. Per l'ennesima volta,
posa gli occhi fosforescenti sul profilo dell'umano del quale dovrà
occuparsi tra pochi minuti.
È un tipo metodico e scrupoloso,
William T. Spears. Ormai conosce a menadito ogni singolo dettaglio
riportato sul taccuino, ma controllare di nuovo che tutto sia in
perfetto ordine e mettere (vanamente) alla prova il funzionamento
della propria memoria fa parte del suo modo di svolgere il compito di
Shinigami.
Sulla pagina sono riportate poche
informazioni spicciole coronate da una foto ritraente il volto
anonimo di un ragazzo lentigginoso che accenna un timido sorriso. È
un giovane contadino. Niente di speciale, eppure unico nella sua
individualità. Ha solo sedici anni e, almeno in teoria, un'intera
vita davanti a sé. Un futuro di possibilità ancora inesplorate, da
costruire giorno dopo giorno; un cammino tutto da percorrere. Un
dispiegamento di potenzialità che tuttavia non conosceranno mai
realizzazione poiché la morte incombe su di lui. Di lì a una
manciata di minuti (per la precisione, alle otto di sera in punto,
secondo quanto comunicato sul registro) il ragazzo incontrerà la
propria fine.
Will spera che l'ora della morte sia
stata riportata correttamente dall'ufficio informazioni. È stata una
lunga giornata e il suo turno sta per concludersi. Detesta incappare
in imprevisti e ritardi tanto quanto gli incompetenti che li
provocano, obbligandolo a sobbarcarsi ore di lavoro extra delle quali
farebbe volentieri a meno.
Adempiere al proprio dovere nel modo
più pulito, veloce ed efficiente possibile. Questo è l'ideale che
Will tenta di perseguire. Il principio cardine che guida il suo
operato.
Sapere di avere il controllo del suo
piccolo mondo e calibrare le proprie azioni maniacali per limitare,
per quanto possibile, il verificarsi di quegli inconvenienti che
tanto aborrisce gli dona un senso di calma grazie al quale riesce a
far fronte ogni giorno a questa nuova esistenza votata a un unico
scopo: raccogliere e catalogare le anime dei morenti.
Ha da poco superato il periodo di
apprendistato e il lavoro sul campo non è esattamente la sua
vocazione. Preferirebbe di gran lunga essere impiegato in
amministrazione piuttosto che nell'Unità di Recupero. Ma se vuole
ottenere una promozione sa di doversela guadagnare con il sudore
della fronte, portando a compimento in maniera impeccabile gli
incarichi che gli vengono affidati. E così intende agire.
Un movimento sottostante attira la sua
attenzione: ecco la vittima designata che esce dalla stalla per
avviarsi alla casetta. Will lo osserva attraverso le lenti, seguendo
con lo sguardo il suo tragitto. Trasporta due secchi colmi di latte
appena munto. Barcolla leggermente: quel carico è evidentemente
troppo pesante per le sue braccia esili come rami di salice.
Le campane della chiesetta poco
distante rintoccano otto volte, facendo riecheggiare nell'etere
serale l'ultimo suono che raggiungerà le orecchie del giovane James
prima della tragedia, come a sancire l'incontrovertibilità di quanto
sta per succedere... oppure come un avvertimento del pericolo in
agguato.
Will tende i muscoli, pronto a balzare
giù dal suo punto di osservazione ed entrare in azione.
Un tonfo sordo, un grido strozzato
proveniente dalla casetta e poi il silenzio.
Ecco il segnale che attendeva. Lo
Shinigami salta giù dal tetto della stalla e si materializza
nell'edificio principale della fattoria, deserto e fiocamente
illuminato.
Il giovane si lamenta e geme, riverso a
terra in una posa scomposta. Will nota il manico di un rastrello in
obliquo tra le sue gambe e i secchi di latte rovesciati lì accanto,
il fluido biancastro disperso sul pavimento. La dinamica
dell'accaduto è chiarissima: troppo concentrato sul non versare il
contenuto dei secchi, il contadino non ha notato l'attrezzo che gli
intralciava il passo e ha finito per inciampare, cadendo all'indietro
e sbattendo la testa.
Un incidente. Un banalissimo incidente
domestico. Una di quelle fatalità che non meritano di essere
celebrate, vendicate o ricordate ai posteri. Non un sacrificio né un
atto di coraggio ma una morte come tante, senza colpevole né motivo
se non l'umana disattenzione. Una morte stupida, senza senso. Una
morte senza nome e senza testimoni... a parte lui.
Will si inginocchia accanto al ragazzo,
ancora cosciente malgrado il cuscino di sangue denso e grumoso che si
sta allargando dietro la sua nuca.
Serra la mascella, imponendosi di
controllare il senso di nausea. Ha ancora qualche difficoltà a
sostenere lo sguardo delle vittime sull'orlo di spirare. I suoi
superiori gli hanno assicurato che è solo una questione di abitudine
e che presto quella sgradevole sensazione di disagio svanirà per
lasciare il posto a una fredda, indifferente sicurezza.
Con l'indice, spinge gli occhiali sul
naso e riacquista lo stoico contegno che si confà alla sua
professione. - Chiedo scusa, ma ora darò inizio alla mietitura della
vostra anima. - Quell'affermazione suona ridicola, lo sa
perfettamente, ma è un metodo come un altro per imporsi su se stesso
e riportare la situazione entro contorni accettabili, non connotati
emotivamente. Dare voce alla procedura che si appresta a compiere lo
costringe a focalizzarsi sul proprio dovere e a distogliere
l'attenzione dalla vittima. In fin dei conti, di questo si tratta:
una procedura, un compito da eseguire. Nient'altro.
Solleva la falce-svettatoio e affonda
la lama dritta nel petto del ragazzo, senza alcuna esitazione.
Dallo squarcio si leva l'ormai noto
groviglio di pellicole e negativi luminosi nei quali sono racchiusi,
uno ad uno, tutti gli istanti che hanno composto la breve vita in
procinto di spegnersi davanti a lui.
Dubita che ispezionandoli possa
giungere ad un verdetto divergente dalle sue aspettative. Il fugace
passaggio di quel giovane contadino sulla Terra non è nulla di più
che una goccia nel mare. Come previsto, il nastro si riavvolge
rapidamente e non una sola scena balza all'attenzione di Will. Niente
degno di nota da segnalare, dunque. Gli eventi possono continuare
regolarmente il proprio corso, come stabilito.
Lo Shinigami estrae il registro per
annotare le cause della morte e mettere così fine all'archiviazione
quando all'improvviso si sente afferrare un braccio.
Will abbassa lo sguardo, sconcertato.
James lo sta guardando.
Non è solo una sua impressione: le
iridi chiare non vagano alla deriva nel vuoto indistinto in un ultimo
estremo tentativo di aggrapparsi alle forme di quel mondo prima di
lasciarlo per sempre. No, quello sguardo è tutt'altro che offuscato
dalla nebbia dell'agonia; s'infrange dritto contro di lui e lo
penetra con un'intensità sbalorditiva, disperata.
Riesce a vedermi!
Durante l'apprendistato lo avevano
avvertito di quell'eventualità. A volte poteva capitare che, al
momento fatidico del trapasso, un morente riuscisse a distinguere gli
Shinigami, giusto un attimo prima di accomiatarsi dalla dimensione
dei vivi.
Non gli è mai successo e Will sente la
propria fermezza vacillare pericolosamente, la sua calma
imperturbabile minata alle fondamenta come un castello di carte
raggiunto da un'improvvisa raffica di vento.
- A... aiut... ami. -
James lo implora, facendo ricorso a
tutti gli ultimi residui vitali ai quali può attingere. D'un tratto,
i suoi deboli rantoli diventano assordanti. Gli perforano i timpani
come tuoni durante una tempesta. Sono insopportabili per il
mietitore.
Will scuote la testa, tentando di
scrollarsi di dosso il manto di emozioni non sue che minaccia di
soffocarlo.
Deve restare lucido. Uno Shinigami non
può farsi carico della sofferenza delle anime che raccoglie.
Finirebbe annientato. Non può lasciar entrare quelle presenze. È
inaccettabile! Non può! Non deve!
- Ti prego. Aiut... -
La supplica di James viene bruscamente
interrotta da un violento accesso di tosse che gli sconquassa il
petto provocandogli un conato di sangue.
D'istinto, forse lascito di
quell'umanità che un tempo gli è appartenuta, Will allunga una mano
verso il giovane in un moto di compassione inatteso. Vorrebbe
tranquillizzarlo in qualche modo, dirgli che andrà tutto bene,
pregarlo di non avere paura di lui. Il terrore che legge nei suoi
occhi sbarrati è quasi insostenibile. D'altra parte, è il
sentimento che sempre accompagna la venuta di quelli come lui. Dalla
notte dei tempi, gli uomini temono la Morte e i suoi emissari. È
logico. È naturale. È giusto così.
Will è perfettamente consapevole di
questo fatto, eppure quella repulsione lo turba più di quanto
avrebbe mai potuto immaginare.
Andrà tutto bene. Finirà presto, e
poi andrà tutto bene. Tutto bene.
Ecco le parole irrazionali che vorrebbe
rivolgergli. Ma come può saperlo? Proprio lui che ha gettato via la
propria esistenza e ora è condannato per l'eternità a mietere le
anime di coloro che muoiono senza intenzione e ad assistere allo
scorrere delle immagini che ne hanno costituito la vita. Come può
promettergli che andrà tutto bene? Come può arrogarsi il diritto di
illuderlo senza avere alcuna certezza?
Percepisce la presa gelida delle dita
callose sul suo polso farsi più tremante e stentata ad ogni secondo,
man mano che le ultime forze abbandonano il corpo di James.
Basta. È ora di farla finita e
completare la sua missione.
Will prende un respiro profondo per
calmarsi dopodiché scioglie la stretta, allontanando da sé la mano
del ragazzo. Compie quel gesto con una gentilezza decisa,
ineluttabile, che spera possa far comprendere ciò che non
riuscirebbe ad esprimere a parole: “Mi dispiace. Non c'è nulla che
io possa fare.”
Funziona. Chissà come, funziona. Una
luce consapevole guizza negli occhi umidi del ragazzo. Ha capito che
Will non lo salverà. Ha capito che l'unica cosa che può fare ora è
abbandonarsi allo Shinigami e accettare ciò che il fato ha
predisposto per lui.
- Ho... paura. - sussurra piangendo.
Assomiglia più che mai ad un bambino.
- Lo so. - risponde automaticamente
Will. Dalla sua voce non filtra alcuna nota di emotività. Ha
semplicemente constato un fatto. Lo sa.
No che non lo sai. Ribatte una
presenza glaciale nei recessi della sua mente. Ti sei gettato a
capofitto tra le braccia della Morte, preferendola alla vita! Non
puoi capire la sua paura. Non puoi. Non potrai mai. Questo è il
destino di uno Shinigami. Pietà e comprensione sono un lusso che non
puoi permetterti.
Finalmente, la pellicola luminosa si
estingue del tutto e il contadino emette il soffio fatale che lo
affranca dalla pena dell'agonia, recidendo il flebile legame che lo
tratteneva ancorato a quella parte di universo.
E la sua dipartita giunge come una
liberazione anche per Will, che può infine dichiarare terminato
l'ultimo incarico della giornata.
Sospira di sollievo mentre appone il
timbro rosso con la perentoria scritta COMPLETED sulla scheda di
James.
- James Talbot, figlio di Mary e John
Talbot, nato il 12 aprile 1800, deceduto il 10 ottobre 1816 per
frattura cranica e copiosa emorragia sopraggiunte a seguito di una
caduta accidentale. - richiude il registro con un gesto secco. -
Archiviazione completata. Niente da segnalare. -
Niente da segnalare...
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