La grande montagna, grigia di rocce e verde di pini, s’elevava
dalla pianura fino a toccare il cielo.
Vetta più alta della catena montuosa, la sua cima godeva
della compagnia della neve durante tutto l’anno e spesso era nascosta in una
coltre di nubi; scendendo verso la base, andavano riunendosi in fiumi più
grandi i piccoli ruscelletti originati lassù, sulla cima inviolata.
L’abitava la serpe grigia come la roccia, fra le cui
pietraie cacciava i piccoli roditori e le altre creature popolanti il sottobosco.
Fischiava, nel cielo, lo splendido falco che del vento è
figlio.
Da finché avessero memoria, falco e serpe mal si
sopportavano, ma più corretto sarebbe dire che fra loro correva odio puro.
La serpe dagli occhi arancioni, tagliati in verticale dalla nera
pupilla, era agile cacciatrice e predava nelle tane topi e talpe, sentendone il
calore emesso dai corpi di mammifero.
Il falco odiava vederla poi distesa su di una pietra al sole,
col ventre rigonfio del pasto consumato ed allora puntava giù l’affilato becco,
picchiava diritto con gli artigli protesi, a graffiare la coda dell’agile
rettile che accortosi del pericolo già era sparito in un buio meandro.
Così allo splendido rapace altro non restava che riempirsi
il ventre di cavallette e lucertole, prede rivoltanti e meno gustose della
rosea carne da lui tanto ambita…
“ Bada, stupido pennuto “ sibilò la serpe dal suo buio
rifugio “ …bada che un giorno il mio morso non ti
colga ed allora il veleno avrà ragione delle tue imprudenze!”
“ AH!” esclamò splendido il falco, spalancando le ali per
riprendere il volo “ Bada tu schifoso verme, che un giorno i miei artigli non
ti affondino nel corpo ed io non mi sazi della tua carne!”
Queste cose essi dicevano, giorno dopo giorno alimentando il
rancore e l’intolleranza reciproca.
“ Stupida cornacchia!” pensò fra se la serpe al riparo d’un
sasso “ per digerire il mio pasto bramo i raggi solari, che scaldano il mio
ventre!”
“ Maledetto, schifoso essere strisciante!” fischiò il falco,
confidandosi al vento del cielo limpido “ ogni giorno tu mi costringi a cibarmi
d’esseri infimi, godendo tu solo le creature del suolo, di carne rosea e
prelibata!”
Queste cose essi pensavano, attimo dopo attimo, spingendosi
sempre, passo dopo passo, verso la guerra.
E quel giorno venne presto.
Come dopo ogni pasto, la serpe sazia si stese arrotolandosi
al sole su di una pietra piatta e già calda.
Di lassù, nel cielo blu, il rapido falco la vide e subito l’animo
parve infiammarsi!
“ Giacché il sole corre nel cielo e giacché del cielo io
sono il re, non permetterò che tu esca a mostrare le tue viscide spire!” e così
dicendo picchiò deciso come suo solito.
“ Eccolo che arriva!” sibilò la serpe che già per metà era
al sicuro sotto la roccia.
Un istante dopo il falco riprendeva il volo fischiando la
sua collera nel rifugio della serpe ed essa, dolente delle graffiate sulla
schiena inflittegli, sibilava furiosamente verso l’antagonista.
“ Questa storia s’ha da finire!” pensarono entrambi, nel
medesimo istante.
Il falco superbo raggiunse alta quota; la serpe uscì di
nuovo alla luce del sole, mettendosi in bella vista sopra ad una piatta pietra.
“ Oh, Cielo mio padre!” pregò il rapace “ Fa che più veloce
io picchi e colga finalmente il cranio del rivale col poderoso mio becco!” Un soffio di vento
gonfiò le penne del falco e lo sospinse a velocità folle verso il suo
obbiettivo.
“ Oh, Roccia madre mia, che mi partoristi dal tuo ventre di
terra, fa che le mie spire mutino in pietra, che le mie squame diventino
impenetrabili ed il falco, meschino, si sfracelli cozzando il mio corpo!” fu la
preghiera delle serpe.
Ed il fato compì il
suo disegno.
Da un cespuglio vicino, col manto rossiccio e le zampe nere,
eleganti, con le orecchie ritte ed il muso puntuto, sbucò la volpe.
Sventolando la coda dall’apice bianco, puntando gli occhi
furbi ora sul falco straziato, ora sulle serpe immobile e rigida, con passi
eleganti s’avvicinò ai due nemici.
Il rapace giaceva nel suo sangue che dal becco sgorgava
ancora copioso, il cranio fracassato, gli occhi pieni di terrore.
Annusò la serpe e sentì che la vita era rimasta soffocata
dal corpo di pietra, impossibilitata a respirare l’ossigeno essenziale.
“ Ah!” esclamò all’indirizzo del rettile pietrificato “
forse non v’erano sufficienti topi per entrambe? Io ti vidi spesso ingozzarti
per non lasciarne al rivale!”
Poi voltò la testolina verso il cadavere del misero falco.
“ E tu, sciocco volatile “ ringhiò con un mormorio sommesso “
che pretese avanzavi sul sole cui alla terra tutta ha dato la vita? Tu padrone
di aria, padrone di nulla!“
S’allontanò balzando di pietra in pietra, da lontano osservò
muta la scena della stupida serpe e dello sciocco falco, e disse:
“ Vi siete rivolti a terra e cielo per sommo egoismo, facile
che rinascendo avrete entrambe due gambe e due braccia, corpo di pelle nuda; poiché
il vostro agire è simile all’agire dell’uomo…”