La mia ossessione

di Panda13
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C’era farina. Farina ovunque. Sugo. Briciole. Padelle sporche. Uova, latte, olio d’oliva, marmellata, forchette, fette di toast, coltelli, affettati, formaggi, miele, grissini salati, bi- scotti, taralli, maionese…

Tutto era sparso sul tavolo e sul piano cottura, tutti gli ingredienti impiastricciavano la stanza qua e là. Non riusciva a fermarsi. Il suo cervello era totalmente spento. Il suo corpo sottomesso agli impulsi. Sentiva le cellule pulsare. Il cuore batteva sfrenato senza che lo avvertisse. Aveva provato a resistere, ma inutilmente. Non poteva farne a meno, la voglia era troppo grande. No, non la voglia. Il bisogno! Sì, perché questo era. Se non avesse ceduto avrebbe sentito l’aria mancarle, il tormento inseguirla e sarebbe stata male, molto male.

Era una schiava ossessionata dal cibo. S’alzava pensando che sarebbe stato diverso, che non avrebbe ceduto; ma poi si ritrovava inevitabilmente a fantasticare su cosa avrebbe ingurgitato. La notte andava a letto stanca e frustrata. Presa da mille sensi di colpa. Quella mattina non era stato diverso. S’era fiondata in cucina. Aveva spalancato lo sportello del fri- go e aveva mangiato a dismisura tutto ciò che le era passato davanti. L’attesa era stata lunga ed estenuante. Dopo avere inghiottito grandi quantità di dolce, salato, acido e piccante era sazia, ma non si fermò.
Continuò a mangiare.
Nessuno poteva vederla.
Nessuno poteva giudicarla.
Mangiò.
Era libera di sfogarsi.
Al sicuro. Felice.
Mangiò ancora.
Non più vuota ma piena.
Riempita nel buco dell’anima.
Raggiunse il limite.

Le occorreva qualche minuto per riprendersi. Si guardò attorno. Era un disastro. Doveva ripulire tutto, e in fretta.
Con la pancia gonfia ripose tutto nei giusti scomparti e passò un panno umido per eliminare le tracce di sporco. Si sedette. Il suo cervello stava già iniziando a elaborare le prime psicosi. Rimorsi s’insinuavano nella sua mente come radici velenose. Aveva ceduto. Anche questa volta era stata debole. Andava avanti da troppo tempo, ormai. Quando sarebbe riuscita a smettere? Forse mai. Probabilmente da quel tipo di dipendenza non si guarisce. Poteva tentare di migliorare. Tirare un sospiro di sollievo. Resistere un giorno, forse due, ma la minaccia era sempre dietro l’angolo. Il pericolo di una rica-duta era sottile quanto il filo di un rasoio.
La sconfitta le rammentava che era una nullità. La testa dava un input preciso: non puoi ingrassare!
Iniziò a pensare a tutto quel cibo dentro il suo corpo. Sui fianchi, sulle cosce e sulla pancia. L’immagine di sé con dei chili in più era insopportabile. Non poteva accettarla. Doveva fare qualcosa. Eliminarlo prima che fosse troppo tardi.
Corse in bagno.
L’aveva visto fare tante volte nei film. “Due dita in gola e il gioco è fatto”. Aprì la bocca e portò l’indice insieme al medio dentro. Li posizionò sulla lingua e scese fino all’ugola. Quando la raggiunse però non riuscì ad arrivare al dunque. Tolse la mano. Era più difficile di quanto immaginasse. Fece altri due tentativi senza successo.
Decise di provare in un altro modo. Tornò in cucina e frugò tra gli sportelli della credenza. Riempì un grosso bicchiere d’acqua e ci mescolò un cucchiaio pieno di sale. Raggiunse il WC e si chinò sulla tavoletta. Completamente schifata da quella bibita e da se stessa, buttò giù metà del contenuto tutto d’un sorso. La reazione non si fece attendere. Spruzzi di vomito uscirono rapidi e violenti cadendo direttamente nel water.
Si risciacquò la bocca acida nel lavandino. Lavò i denti, poi il viso con l’acqua fredda. Era tutto finito. Si truccò pesantemente con la matita nera com’era solita fare. Pettinò il caschetto biondo ossigenato e indossò una maglietta pulita, grigia e larga.
Uscì.




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