Un'ingiusta
realtà
Ogni volta che partiva, mi
salutava affettuosamente e poi mi diceva "Guarda che torno tra due
giorni, eh!". E, finalmente, quando tornava, quando suonava il
campanello di casa due o tre volte, appena mi vedeva scoppiava a ridere
e diceva "Ecco, vedi? Sono tornato!". E poi mi abbracciava e mi dava
diversi baci sul viso. Prima sulla guancia, poi sulla bocca e infine in
fronte. Dopodichè si staccava e chiedeva immediatamente di
Lorenzo. "E' cresciuto?", "Ha imparato qualche parola nuova?", "Mangia,
vero?". Io annuivo sempre e gli raccontavo tutto quello che succedeva
durante la sua assenza, tra una risata e l'altra. Raccontavo di quello
che combinava Lorenzo. Di quando tirava la coda al cane e rideva. Di
quando iniziava a correre, e poi cadeva. Di come si rialzava subito e
urlava, con entusiasmo "Ancola! Ancola!". Secondo Jack voleva dire che
quando sarà grande affronterà così le
difficoltà: "Cadrà, ma poi si
rialzerà". Io sorridevo e sussurravo "Speriamo".
Quel giorno fu diverso.
«Lore, metti
giù il telecomando, puoi farti del male!» esclamo
io, togliendoglielo delicatamente dalle mani.
Lore, il mio Lore, anzi
il nostro Lore. Mio figlio, e quello di mio marito. Un figlio
adorabile, tenero, di quasi tre anni, un bambino che ride sempre, non
sta fermo un minuto, ti mette subito di buonumore a ogni guaio che
combina.
Gli faccio una dolce
carezza sulla guancia e poi lo prendo in braccio e lo appoggio sul
divano, di fronte alla tv.
Il telefono di casa
inizia a squillare.
Oggi Jack torna. E'
stato via più di due giorni, questa volta. Ha dovuto
pilotare due aerei, non uno come il suo solito.
«Sarà
papà...» sospiro io, dirigendomi verso il telefono
«Lore, resta qui, capito?»
Lui muove solamente su
e giù la testa, con un angelico sorriso stampato sulle
labbra.
Alzo la cornetta e
rispondo, con voce squillante: «Pronto?»
«Buongiorno,
signora.»
Non ho mai sentito
prima d'ora questa voce. Appartiene sicuramente a un uomo, sulla
quarantina, forse.
«Buongiorno»
saluto io, cordiale.
«Abbiamo
appena avuto una terribile notiza...» inizia, parlando piano.
Il mio cuore rallenta.
«Cosa?»
chiedo in un soffio.
«Suo
marito...»
La consapevolezza di
quelle due parole mi colpisce in pieno petto, come una pugnalata.
«No...»
mormoro io, lasciando cadere la cornetta.
Mi accascio a terra,
sentendo le forze svanire. Sento che l'uomo dice ripetuti "Pronto?",
sempre più insistenti.
Non voglio rispondere,
non voglio sentire, non voglio sapere. Non posso credere.
Vedo Lorenzo a qualche
metro da me che mi guarda interrogativo e poi chiede: «Mamma,
che cosa è successo? Quando tolna papà?»
Non riesco a trovare un
minimo di forza per pronunciare qualche parola. Apro la bocca, ma non
riesco ad emettere alcun suono.
Chiudo gli occhi per
numerosi secondi. Quando li riapro, mi accorgo che stanno scendendo
lacrime lungo le mie guance. Tocco il punto in cui me le sento scorrere
e poi ritiro la mano bagnata.
«Pelchè
fai così, mamma?» La voce di Lorenzo mi fa tornare
per un attimo alla realtà.
Lui non sa cosa vuol
dire piangere, lui non sa cosa vuol dire provare dolore, lui non sa
cosa vuol dire soffrire. Lui sa solo mangiare, dormire, ridere e
divertirsi.
Scuoto la testa. Forse
è come un'autoconvinzione. Se mi convinco che non
è successo veramente, magari si avvera.
Lorenzo corruga un
sopracciglio, un po' confuso. «Dov'è
papà?»
Forse sta iniziando a
capire. Ma io non voglio dirglielo. Non posso dirgli che
papà non tornerà più. Non posso dirgli
che non aprirà più quella porta e
griderà "Sono tornato!". Non posso dirgli che non lo
prenderà più in braccio, non lo
prenderà più in spalle, non gli farà
più fare l'aereoplano, non gli farà
più fare "Trotta trotta cavallino". Non posso dirgli che non
sentirà più la sua voce che lo sgrida, ridendo:
"Lascia stare Lilli!". Non posso dirgli che non lo vedrà
più.
Ma Lorenzo continua a
sorridere, forse, in fondo, non ha capito veramente.
Questa volta il suo
sorriso non mi contagia. Questa volta non mi mette di buonumore.
Mi copro le mani col
viso. Come se potessero nascondermi completamente, oppure come se
potessero materializzarmi in un altro posto, lontano da qui dove tutto
mi ricorda Jack. Il mio Jack. Che ora è perduto. In uno di
quegli stra-maledetti aerei dove il suo dannato lavoro lo costringeva a
pilotare.
Ed ora sono sola. Sola,
con mio figlio. Il figlio che abbiamo messo al mondo insieme. Il figlio
che speravo di crescere insieme a lui.
***
Note dell'Autrice
Scusate per la
tristezza di questa one-shot. Scusate se forse vi ho messo di malumore
e vi ho rattristiti. Ho scritto questa one-shot per Marzio Maccarana,
di soli ventisei anni. Morto oggi alle quattro di pomeriggio, a
Montichiari (provincia di Brescia). Pilotava un piper da turismo, prima
dell'esecuzione delle frecce tricolori. C'erano migliaia di persone...
ed io ero una di quelle. Ho assistito all'incindente, come la madre e
la compagna di Marzio. Forse è così piccolo e
stupido, come gesto... ma diciamo che ho dovuto scriverlo. Mi ha toccata,
quest'esperienza. Faccio tantissimi auguri alla povera madre e alla
compagnia di Marzio - anche se non penso che lo verranno a sapere, di
questa mia insignificante "partecipazione", se così si possa
definire.
Spero di avervi
trasmesso un po' di emozioni, perchè io mentre scrivevo ne
ho provate tante.
Baciii,
Lalla
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