Prologo
Avevo tredici anni quando sentii per la prima volta il
nome “My Little Pony”. Inizialmente non ci feci particolarmente caso, prendendo
addirittura in giro quei miei amici che già lo guardavano. Ma giorno dopo
giorno, fanart dopo fanart
comparsa nelle chat di Skype e Teamspeak, decisi di
dare a quello strano cartone una chance. Fu così che iniziò la mia avventura
con MLP: una storia abbastanza banale, come credo quella di tanti altri brony attirati da questo mondo decisamente atipico per un
maschio adolescente.
Ma dopo poco tempo la mia attenzione venne catturata
dall’immensa quantità di fanfiction che popolavano le sezioni di forum e siti:
questo fandom era diverso, non come gli altri. Nessuno in Europa e Stati Uniti
aveva mai visto un fenomeno simile: migliaia e migliaia di opere qualunque
genere, dal letterario al musicale al visivo, venivano continuamente pubblicate
in massa. Mi immersi in letture che ben poco avevano a che fare con il semplice
e colorato mondo di MLP: storie come “Cavalcare la Tempesta” di Lantheros hanno scavato un solco nell’animo di chiunque le
abbia mai lette.
Ben presto mi resi conto della portata mondiale del
fenomeno: il BronyCon, le altre tante convention in
giro per il mondo, le animazioni di Argodaemon o
Pony.mov e le fanfiction più belle di sempre. Certe volte queste storie
diventavano così lunghe e complesse da trasformarsi in veri e propri romanzi:
come dimenticare la leggendaria Fallout:Equestria
ed il suo spin-off Project Horizon, la cui lunghezza supera sia Il Signore
degli Anelli che la Bibbia. Ero così felice di poter fare anche io parte di
questo mondo: aspettavo trepidante l’episodio nuovo ogni settimana e mi
confrontavo con i ragazzi del forum mentre scrivevo la mia prima storia dai
tempi delle elementari.
Ma purtroppo questo nuovo universo aveva portato con sé
l’attenzione della gente, dei media e soprattutto delle persone che mi erano
fisicamente vicine. Non è difficile immaginare cosa succede quando un gruppo di
adolescenti annoiati scopre che uno di loro guarda un cartone animato per
bambine e ci scrive addirittura delle storie sopra. Non ricordo molto di quel
periodo, e non vedo nemmeno la necessità di riportarlo qui in particolare:
ricordo solo il grande senso di solitudine, di sofferenza ed incomprensione che
mi attanagliava. Loro non capivano perché non avevano voluto capire, non
avevano voluto nemmeno provare ad affacciarsi ad un mondo che non conoscevano.
Da allora ho sempre avuto paura di mostrare questo mio
interesse, mio malgrado ora più che mai. Non so neanche se troverò mai il
coraggio di far leggere questa storia a tante persone che conosco per paura del
loro giudizio. Ma è proprio attraverso queste disavventure e questa sofferenza
che questo show per bambine mi ha insegnato qualcosa di così potente: la gente
ha paura di ciò che non conosce e per questo lo odia, lo insulta. Succede ogni
volta, con tutto: anche con cose molto più canoniche di questa.
Io non voglio essere così, ho imparato a non essere
così sulla mia pelle. Questo cartone mi ha insegnato ad andare oltre, ad
apprezzare le persone per quello che sono e ad incuriosirmi delle passioni
altrui, per quanto strane possano essere. Perché dietro un velo di apparente
semplicità si possono nascondere grandi cose: nessuna delle storie da me citate
prima parla semplicemente di pony. Ognuna di loro racconta un sentimento umano,
struggente e che fa riflettere: quei piccoli cavalli colorati si trasformano in
veri esseri umani che vivono e affrontano le loro incertezze. Sono solo un
pretesto, delle pedine per raccontare qualcosa di molto più grande. Non è forse
questo il fulcro di qualunque storia degna di questo nome? Non importa
l’ambientazione o i personaggi: ciò che conta è il senso di fondo, il
sentimento che lega come un filo tutta la storia. Toy Story non è un film sui
giocattoli: è un film sull’amicizia, sull’invidia e sull’accettare che qualcuno
possa andar via dalla nostra vita. Monsters & Co non è un film sui mostri:
è un film su un uomo che diventa un padre.
E dopo tanti anni, ormai all’ultimo anno di magistrale,
una triste sera vuota mi è venuta un’idea. Un’idea carina, concreta,
strutturata come non ne avevo da anni. Si, amerei poter creare storie veramente
originali, con personaggi e mondi completamente frutto della mia immaginazione,
ma ancora purtroppo non ci riesco. Allo stesso tempo c’è un qualcosa di
familiare, di accogliente nello scrivere di nuovo di quei piccoli pony
colorati.
Mentirei se dicessi che riesco sempre a seguire questo
insegnamento: sono debole ed incredibilmente spesso mi ritrovo in trappola
delle mie ansie e delle mie paure. Non è difficile capire che chi giudica
sempre sé stesso finisce anche per giudicare gli altri. Ma superati i momenti
più bui pian piano so su cosa riflettere e mi ricordo cosa ho passato.
È questo quello che chi leggerà queste righe deve
capire. È questo il lascito che secondo me un fenomeno come quello dei brony può dare a tutti.
Spero che questa storia riesca a trasmettere qualcosa
di più, esattamente come quelle da me citate in precedenza.
Un giorno ci sentiremo tutti liberi di esprimere chi
siamo fino in fondo, senza paure. Magari a quel punto il mondo sarà un posto
migliore.