Lontano in mare

di Siluvaine
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Ogni rivoluzione

Comincia e finisce

Con le labbra di lui.

(Rupi Kaur)

 

 

Quando sei in mare, non hai più tempo per altro. Non hai il tempo di mangiare né di bere, non hai il tempo di chiacchierare, non hai sicuramente il tempo di pensare. Tutta te stessa è dedicata al mare, alle sue correnti, ai suoi scatti d’ira.

Inej si era ben presto resa conto che non aveva spazio, nelle sue giornate, per il passato. Il mare reclamava le sue costanti attenzioni, come un nuovo compagno a cui aveva scelto di dedicarsi anima e corpo, ed il mare ricambiava ogni volta. Era già il secondo gruppo di persone rapite che riuscivano a salvare, e se Inej avesse potuto abbracciare il mare, di certo lo avrebbe fatto. Aveva, invece, pensato ai suoi Santi, prima di ogni altra cosa. Poi, insieme alla ciurma, avevano approntato un’antica cerimonia che usavano gli Zemeni per ringraziare il dio del mare, quell’infinita superficie d’acqua scura su cui si trovavano, a chilometri dal più vicino pezzo di terra e con troppe persone affamate a bordo, ma ancora tutti sani e salvi.

Era seguita una sorta di piccola festa a base di rum e di qualche galletta, e Inej era felice, sentiva il cuore pieno. Lo aveva fatto. Lo stava facendo. Salvava veramente le persone dagli schiavisti, e le avrebbe riportate a casa. Non avrebbero mai dovuto conoscere gli orrori dei bordelli o delle miniere o di tutti gli altri luoghi in cui venivano sfruttati schiavi innocenti.

Stesa di schiena sul ponte della Spettro, i canti della ciurma e degli ospiti che si levavano alti nel cielo buio, Inej ripensò di colpo a Ketterdam. Fu come un improvviso urto di ricordi, un’invasione nella sua mente, e il suo cuore si strinse nella tremenda nostalgia. Avrebbe voluto condividere tutto questo con i suoi amici. E lo farai, le disse una voce nella testa. Appena tornerai a casa gli racconterai ogni dettaglio davanti ad una bella tazza di caffè e waffle. 

Fu in quel momento, tra le lampade a olio e il cielo stellato, che Inej si rese conto di cosa volesse dire la sua missione. Tornare a casa. Lei era lontana da casa. La Spettro era poco più che un ufficio, era lo strumento di una missione, ma non era casa. Casa era…

Lo studio di Kaz. La sua penna che graffiava la carta. I suoi occhi neri che si alzavano a lanciarle un’occhiata.

Sul ponte ondeggiante della nave, Inej strinse gli occhi e prese un respiro profondo.

Non era neanche questo, il fondo della sua nostalgia. Se restava in silenzio e respirava piano, lo poteva sentire, quel pensiero sordo che mormorava in lontananza nella sua mente.

Non è detto che tu riesca mai a tornare da loro. La morte potrebbe arrivare domani, e loro non sapranno mai niente di ciò che ora vorresti dirgli, perché non ci sarà più nessuna te a bere il caffè con loro. Saresti solo nulla, mentre loro andrebbero avanti.

La consapevolezza la atterrì. La morte, nel Barile, non era una cosa nuova, ma era stato diverso per lei. Inej non aveva nulla da perdere, quando si lanciava da un tetto all’altro per ordine di Kaz e quando sguainava i coltelli per difendersi da qualche aggressore. All’inizio, non aveva niente di cui le importasse; alla fine, Inej saltava senza pensare perché sapeva che sarebbe morta accanto alle uniche persone di cui le importava qualcosa.

Adesso, pensò, sarebbe stata sola. Pur con tutta quella gente intorno, qualsiasi cosa le fosse accaduta, non ci sarebbero state le persone a cui ormai aveva affidato il suo cuore, né le persone che le avevano dato la luce, e non avrebbe più rivisto gli occhi scuri di Kaz. Inej era pronta a giurare che quello sarebbe stato il suo ultimo pensiero: il suo viso, il luccichio del suo sguardo, e il modo in cui una volta le aveva sorriso. In fin di vita, Inej avrebbe pensato che lo stava lasciando solo, e che la vita era veramente ingiusta.

L’attimo dopo, Inej si rialzava dalle assi del ponte e con un passo non particolarmente stabile si dirigeva alla sua cabina.

Quella notte, il Capitano Ghafa si addormentò su alcuni fogli fittamente scritti, e l’inchiostro che le si stampò sul viso portava solo parole d’amore.





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