Le avventure di Arcolago

di Emilia Zep
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Una volta fuori dalla grotta furono investiti da una raffica di vento gelido. Pietro e Giulio strizzarono gli occhi per riabituarsi alla luce. Davanti a loro distese e distese di ghiaccio.
“Ma non avevi detto che qui era un’eterna primavera?”
“Già…” Zefi guardava spaesato davanti a sé “Lo era. Non mi spiego.”
Giulio batteva i denti per il freddo.
“Aspetta” disse Micaela “Ti dò la mia felpa, tanto io ne ho un’altra sotto”. Fece per togliersela e nel farlo si intravidero le alette da pipistrello.
Peter la guardò incuriosito “Ma allora anche tu…? A te come è successo, ti ha morso un pipistrello?”
“No no” disse Micaela aiutando Giulio a infilarsi la felpa “Non è come sembra. E’ solo un incantesimo andato male.”
“Un incantesimo?”
“Sì, sono una masca. E’ così che chiamano le streghe da dove vengo io.”
Peter scoppiò a ridere “Ma dai! Oltre ai goblin dal nome strano ora anche le streghe. Va bene tutto ma mi sembra un po’ troppo.”
“Certo, invece sparare ragnatele dai polsi e scalare i grattacieli è estremamente più credibile!” Ribatté Micaela “Per non parlare del ritrovarsi catapultati in un mondo magico.”
“Cosa c’entra. Io sono stato morso da un ragno radioattivo durante un esperimento, c’è una spiegazione scientifica!”
Micaela lo guardò con un sorrisetto “Ma certo, non fa una piega. In un film della Marvel!”
“E questo non è un mondo magico, è una dimensione parallela tra le infinite del multiverso.”
“Ovviamente.”
 “La magia invece non esiste. Forse hai dei poteri a cui non sai dare un nome. Magari sei una super eroina anche tu, dovrei presentarti al signor Stark!”
Micaela sospirò “Guarda già è tanto se passo l’esame di quarta elementare. Lascerei perdere il signor Stark.”
Nel frattempo Giulio si era infilato la felpa gigante di Micaela e se ne andava in giro tutto contento, agitando le sue braccia lunghissime.
Erano in cammino, al seguito di Zefi che più andava avanti più appariva disorientato “Ma non è possibile” diceva guardando incredulo le distese deserte di ghiacci “Qui c’erano campi di tulipani!” “Qui era pieno di villaggi! Non avete idea. Lì c’era una taverna dove facevano le frittelle ai mirtilli più buone del regno!”
“Ma sei sicuro che sia la strada giusta?”
“Sicurissimamentevolmente sicuro! Manca poco a Uruk. La città era piena di palazzi, di monumenti e di strade asfaltate. Non potrà certo essere scomparsa.”
Ma più si avvicinavano al luogo in cui Zefi ricordava sorgesse Uruk meno avevano la sensazione di andare verso un centro abitato.
Ecco che da lontano si intravide un arco di marmo. E ancora più distante, sullo sfondo, cominciavano a distinguersi i profili di guglie, palazzi, costruzioni. “Guardate!” Gridò Zefi “E’ lì! E’ Uruk!”. Ma via via che si facevano più vicini l’arco, le costruzioni e i palazzi assumevano un aspetto sempre più sbreccolato e cadente, come di rovine lasciate lì alle intemperie da secoli.
“Non è possibile.” Mormorò Zefi “Deve essere successo qualcosa.”
Ma più di tanto non poté avvicinarsi perché d’un tratto si trovarono la strada sbarrata da un filo spinato, fitto e altissimo, da cui pendeva un cartello mezzo arrugginito “Zona tossica. Non proseguire!”
Pietro seguì il recinto con lo sguardo e di cartelli ne vide altri tre “Attenzione” “Pericolo!” “Area contaminata”.
“Giulio, non ti avvicinare!” gridò al fratello che si era messo a correre dietro a qualcosa.
“Cosa sta inseguendo?” chiese Peter a Pietro “Oh guarda! E’ un altro scoiattolo. O è una marmotta?” ma né Peter né Pietro riuscirono a capirlo perché Giulio e la sua preda erano appena scomparsi dietro alla curva del recinto spinato.
Zefi e Micaela erano tutti presi dal cercare di guardare attraverso le maglie della recinzione e non si erano accorti di nulla.
Peter e Pietro non fecero in tempo a correre appresso a Giulio quando, da oltre la curva, videro spuntare un ragazzo con i ricci e la barbetta che si trascinava dietro una fucinetta a carbone.
“E’ vostro questo bambino?” chiese indicando, con un cenno del capo, Giulio che lo seguiva a pochi passi di distanza.
“Sì, è mio fratello.” disse Pietro.
Micaela e Zefi si voltarono.
“Non dovreste stare qui.” Disse il ragazzo con i ricci e la barbetta “E’ pericoloso.”
“Cosa è successo a Uruk?” chiese Zefi.
Il ragazzo notò il sarvanot e si fermò davanti a lui “Ma tu pensa…” sorrise tra sé “orecchie a punta, piedi di capra” mormorò scrutandolo da capo a piedi “Io non so chi tu sia ma eviterei di farmi vedere in giro dagli sferraglianti nella tua condizione.”
“Gli sferraglianti?” chiese Zefi.
“Sì, le guardie del re.”
“Lo dicevo io che erano guardie!” Intervenne Peter “Quella specie di automi a cavallo.”
“Sono cavalieri meccanici.” Spiegò il ragazzo “E’ la polizia speciale di Orkosh.”
“Orkosh è ancora re?” Chiese Zefi stupito.
“Non sarà quellOrkosh!” Eclamò Micaela.
“Il solo e l’unico!” disse il ragazzo “Il sovrano supremo dall’alba dei tempi.”
“Non proprio dall’alba dei tempi” lo corresse Zefi in automatico.
“Sì, lo so,” sorrise il ragazzo “Ma qui da noi il tempo si conta dal suo insediamento. Quindi tecnicamente sì, è re dall’alba dei tempi.”
Zefi sembrava confuso “Ma come può essere ancora vivo? Un umano non vive più di cento anni.”
Il ragazzo alzò le spalle “C’è chi dice che sia immortale. Ma c’è anche chi sostiene che invece possa essere ucciso. Sono teorie. E voi cosa fate qui?”
Zefi sospirò guardandosi attorno “Cercavamo Uruk.”
“Be’ questa era l’antica Uruk.” Spiegò il ragazzo “Qui è stato tutto abbandonato. L’aria è contaminata, non dovremmo sostare troppo.  La città è stata rifondata al di là della valle, bisogna scavalcare. Su, mettetevi la strada sotto le scarpe e seguitemi, io sto andando proprio lì, al mercato sul ghiaccio.”
“Ma perché è stata abbandonata?”
Il ragazzo li guardò perplesso “Venite da molto lontano, vero?”
I bambini, Zefi e Peter si lanciarono occhiate l’un l’altro come a chiedersi cosa fosse opportuno rispondere.
Il ragazzo scrollò le spalle “Non importa.” Disse “Non dovete spiegarmi niente. Qui abbiamo tutti qualche segreto. Venite su, vi porto in città.” Poi si ricordò di Zefi “Bisogna fare qualcosa per te”. Gettò un occhiata alla fucinetta ambulante: appesi insieme agli attrezzi da lavoro e a qualche padella c’erano un berretto e due scarponcini di pelo da bambino.
 “Questi erano per i più piccoli” sospirò tra sé mentre li prendeva dal gancio “Ma non importa, tornerò a portargliene degli altri.”
“I più piccoli?” chiesero Pietro e Giulio “Chi sono? I tuoi bambini? O hai dei fratelli più giovani?”
Ma il ragazzo non rispose “Ecco,” disse poi a Zefi “Non dovrebbero starti troppo grandi” e gli raccomandò di coprire bene le orecchie a punta e i piedi caprini “Così non darai troppo nell’occhio quando arriveremo in città”
Pietro osservò il sarvanot tutto imbacuccato. Tra lui e Giulio con la felpa gigante non si sapeva chi era più buffo “Potremmo dire a tutti che sei il nostro terzo fratellino” propose.
“Sì, be’…” commentò Micaela titubante e poi, togliendosi la sciarpa e mettendola addosso a Zefi “Ecco,” disse “forse se non fa vedere troppo la faccia…”
“E se non parla mai.” aggiunse Peter.
“Resta comunque un bambino basso.” Fu costretta ad ammettere Micaela.
“Potrei tenerlo in braccio” propose Peter e fece per prenderlo.
“Oh basta!” Si divincolò Zefi “Non sono mica un bambolotto. E poi c’è ancora molta strada da fare e per ora non mi pare che ci sia anima viva! Potrò pure camminare con le mie gambe!”
Il ragazzo con i ricci e la barbetta sorrise “L’avevo sentito dire che erano permalosi!” ridacchiò “Forza su, andiamo. Prima che faccia buio.” Poi si tirò dietro la sua fucinetta a carbone e, proprio come gli piaceva dire, si mise la strada sotto le scarpe e partì.




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