Il signore dei Khai

di Enchalott
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L’apparizione
 
Mahati invitò Sheratan ad accomodarsi. Appoggiò i gomiti sul bordo del tavolo, intrecciando le dita: sotto il diadema la fronte accigliata enunciava la solennità degli argomenti di cui lo avrebbe messo a parte.
«Uno dei tuoi è sempre alle calcagna del prigioniero?»
«Sissignore. Sinora ha eseguito gli ordini con precisione e riserbo. Cosa cerchiamo per l’esattezza?»
«Hanran. I Minkari sono informati su troppi particolari, ergo le ambiguità sul possibile sodalizio delle parti cessano di esistere. Per quanto ritenga l’erede al trono estraneo allo spionaggio, potrebbe trasformarsi in un informatore inconsapevole. O divenire il cardine tra il nemico e i ribelli, quando realizzeranno che ha abbastanza fegato.»
«Per questo non lo avete interrogato su quanto ha ucciso Kerulen?»
«Non avrebbe parlato, era pronto a morire. Consentirgli di girare tra noi con un discreto margine di libertà è un’arma a doppio taglio, ma sono disposto a rischiare. Ho la certezza che gli hanran celati tra i miei guerrieri lo avvicineranno per votarlo alla loro causa. Sarà allora che agiremo. Se il piano non andasse a segno, porteremo Shaeta a Mardan e completeremo là la sua educazione.»
«E se non si rivelasse malleabile?»
Mahati accennò un sorriso, pensando alla promessa sposa. La paura e l’ingenuità non sempre corrispondevano alla docilità.
«Si prendono più insetti con il miele, generale. È solo questione di pazienza.»
«Ai vostri ordini.»
«La seconda questione riguarda Eskandar. Suppongo non ci siano riscontri.»
«Desolato, altezza.»
«L’assenza di comunicazioni è di per sé una riprova. Ho atteso oltre la tollerabilità, è in gioco il nostro onore. Prepara il ladi, all’irrompere dell’aurora guiderò l’attacco. Nessuna pietra minkari rimarrà intatta, i superstiti verranno stanati. Tu rimarrai qui con la terza armata: i ribelli potrebbero coglierci alle spalle.»
«Obbedisco.»
Mahati vergò alcune righe su un foglio fregiato con lo stemma reale e lo sigillò.
«Se Belker richiedesse la mia vita» disse porgendolo all’interlocutore.
Questi accettò con un inchino, celando stupore e preoccupazione dietro la facciata impassibile. Il principe non aveva mai lasciato nulla di scritto prima di uno scontro.
 
 
Il dio della Battaglia riacquistò corpo nel suo rifugio sottomarino.
«Kaena!»
«Al vostro servizio, sommo imperatore.»
«Hai ascoltato gli ordini dello stratega supremo?»
«Le fiamme sono occhi e orecchie, mio prezioso signore.»
«Se Mahati ponesse fine alla guerra prima dell’allineamento degli elementi, gli sforzi compiuti negli ultimi secoli vanificherebbero. Manca tempo all’eclissi, ho bisogno di raccogliere sino all’ultima stilla di ergon o fallirò. Fa’ in modo che sia versato altro sangue in mio nome, Minkar non deve cadere.»
«Desiderate che lo uccida? La sua morte risolverebbe il problema.»
Belker passeggiò nervoso, i riflessi della luce filtrata dall’acqua proiettati sul volto attraente. La piuma di fenice tra le sopracciglia era contratta per la concentrazione. Le borchie metalliche della casacca rispedirono al soffitto un animato gioco di luci, mentre setacciava ogni sfaccettatura per volgerla a proprio favore.
«Espediente drastico ma da vagliare. Quali altre pedine abbiamo a disposizione?»
«Il re dei Khai mostra rari momenti di lucidità. La malattia lo divora, autorità e capacità offensiva si sono affievolite. Non è in grado di agire in prima persona, dubito che sarebbe di supporto al momento cruciale.»
«Mi occuperò io di Kaniša. Che ne è suo facinoroso primogenito?»
L’essenza maligna socchiuse gli occhi scarlatti e si raccolse in se stessa, cercando il contatto psichico con le sue sorelle. Ciò che venne restituito le provocò un sussulto.
«Preso in faccende inattese e distanti dal suo compito. Ha rinvenuto lo Shikin
«Cosa!? Il libro proibito è nelle sue mani!? Non ne ho mai rinvenuto traccia e ho finito per convincermi che fosse bruciato! O che il dannato Kushan avesse mentito!»
«Una casualità, divino Belker.»
«Sciocchezze! Il testo ha un sigillo! I demoni non possono toccarlo, neppure vederlo se l’interdetto è stato apposto con le dovute misure! Faceva parte del patto tra Irkalla e il capostipite dei daama! Chi ha infranto la proibizione?»
«Nessuno. La principessa dei Salki l’ha rinvenuto senza sapere di che si tratta.»
«Una spina nel fianco! Il fatto che non sia una Khai la rende imprevedibile! Sarebbe assurdo se intralciasse i miei progetti!»
«Sono pronta a eliminarla, se lo desiderate.»
«No! Non avrei pensato che tornasse utile! Non posso privarmene ora! E poi Valarde e la sua schiera di rammolliti la proteggono nell’inutile speranza che faccia breccia nell’animo del marito o del cognato. Finché lo Shikin risulta illeggibile, siamo al sicuro. In caso contrario incrinerò per sempre il fragile equilibrio del clan reale.»
L’epharat si passò la lingua sulle labbra e sorrise al suo padrone.
«Non incomodatevi, mio signore. I due eredi faranno tutto da soli.»
Belker le porse la mano e la creatura la baciò con ardore.
«Domani non permettere ai Khai di vincere» comandò.
 
 
Kaniša si rigirò nel baldacchino oscurato dalle cortine. L’aria odorava di medicinali, di malattia, di morte. Il profumo del deserto era remoto, la stanza sembrava isolata dal resto del mondo.
Non posso andarmene, non mi è stato restituito quanto promesso.
Inalò l’ossigeno come fosse una rarità. Non aveva idea di quanto fosse stato in dormiveglia: l’ultimo dettaglio era l’interpellanza di Rhenn sui sigilli falsi. Sperò che avesse abbandonato le indagini, ma l’istinto gli suggerì che ci si sarebbe accanito fino a scoprire ogni cosa.
Cocciuto come sua madre! Avrei dovuto educarlo con maggiore severità! Non posso permettermi intrusioni, nulla dovrà emergere dalle vittorie precedenti, soprattutto Jandali. Altrimenti il patto sarà violato.
Cambiò posizione. Rammentava al suo capezzale un’ombra impalpabile, che non era riuscito a riconoscere. Era sicuro di aver avvertito un’ondata d’odio profondo.
«Naora, eri tu? Non mi hai ancora assolto?»
I giorni, gli anni, i secoli senza di lei. Li aveva contati tutti. Ogni istante era stato doloroso, una lama ficcata nelle carni, un tormento privo di sospensione. Aveva compiuto quanto in suo potere per riaverla, infranto ogni proibizione per guardarla ancora una volta, accarezzarle il viso, per abbracciarle le ginocchia e implorare il suo perdono. Per confessarle la verità, per il suo sorriso aveva piegato il capo e rinunciato alla fierezza, all’eredità del sangue orgoglioso di suo padre Hosroi.
Aveva strappato a Mahati, il suo vero erede, la possibilità di salire al trono, con crudeltà aveva messo a tacere ogni rimostranza scaricando la successione sulle spalle di Rhenn. L’aveva resa unica e inappellabile, separando il futuro dei suoi figli. Come nulla fosse accaduto, come se l’aikaharr che aveva quasi distrutto il seggio reale non fosse avvenuto. Aveva tentato di rimediare, di non apparire debole o folle e aveva perso ogni cosa.
Era facile tollerare il disonore, non l’assenza di Naora. Hamari lo aveva compreso: lo aveva rifiutato non per l’infedeltà legittimata dalla prassi arcaica bensì come uomo, marito e padre. Avrebbe sopportato l’oltraggio, non il perdurare del legame con una donna ormai morta.
È così Hamari? Sei fuggita per non affrontarmi? Perché non mi hai tolto la vita?
Scacciò i ricordi, tornando alle angosce presenti.
Se il suo primogenito avesse scoperto le trame passate e le ragioni ad esse sottese, ne avrebbe ordinato la morte. Come con Kujul e con chiunque lo avesse ostacolato.
È per questo che gli Immortali mi puniscono? Perché ho le mani sporche del mio stesso sangue?
Un refolo di vento fendette l’aria immota.
«Naora non è qui. Le tue azioni non sono sufficienti a onorare lo yakuwa, all’evidenza non è così preziosa per te.»
Il re dei Khai impallidì, il battito quasi si fermò.
Questa voce! Non la odo da decenni, ma è impossibile dimenticarla!
«Voi? Vi palesate dopo tanto tempo…»
«Non me ne sono mai andato. Mi sono reso invisibile ai tuoi oltraggiosi occhi mortali e ti ho lasciato agire, sicuro che non mi avresti deluso. Invece ciò che vedo è sconfortante.»
«Mio signore, ho obbedito a ogni comando! Ho scatenato e vinto guerre, sacrificato vite, abbattuto regni e dedicato al vostro nome sublime ogni successo, ogni goccia vermiglia che ha impregnato la terra. Questo corpo fiaccato non è d’ostacolo! Non abbandonatemi, concedetemi il vostro favore!»
La figura ammantata avanzò, nient’altro che un contorno tra le pieghe della stoffa preziosa. Non aveva mai visto il suo volto e non osava sollevare lo sguardo: sapeva chi era e cosa desiderava.
«Un Khai che prega? Patetico! Mi domando se ho fatto bene a siglare con te l’accordo. Forse avrei dovuto interpellare uno dei tuoi figli, quelli che accusi di non essere all’altezza. Sono certo che entrambi posseggano un desiderio da realizzare, forte quanto il tuo. Le umane ambizioni sono il mio territorio.»
Il sovrano si aggrappò alle lenzuola, raddrizzandosi con un rantolo.
«Invoco la vostra clemenza! Se non fossi ammalato, sarei in testa alle armate e Minkar sarebbe polvere! Mio signore, restituitemi Naora come promesso!»
«Minkar cadrà quando vorrò! Non promettere ciò che non possiedi e ricorda! Io solo ho il potere di sottrarre la donna che ami al dominio sconfinato di Reshkigal!»
«Un Khai non…»
L’ombra rise, interrompendo il mantra.
«Non propinarmi assurdità! Hai perso la testa e non si è trattato dell’istinto dominante di un guerriero. Quello sarebbe stato degno di un re demone! Ti sei fatto impugnare dall’amore, esso ti ha avvelenato, privato della dignità! Un’abominevole tossina che ha corroso ciò che rappresenti e l’orgoglioso retaggio dei tuoi avi. Un Khai non ama perché se accade, egli muore! Sei un cadavere che respira! Non esiste nulla del condottiero che eri, la tua miserevole vita è priva di senso!»
Il sovrano chinò la fronte, scosso da un tremito.
«Il disonore morirà con me! Ho insegnato ai miei eredi a disprezzare ogni forma d’amore, mi sono accertato che avvenisse, come ogni padre che alleva un figlio di sangue puro. Nessuno dei due ne è stato traviato! Ho compiuto quanto in mio potere e così sarà fino alla fine dei miei giorni. Lasciate che li trascorra tra le braccia di Naora, lontani da Mardan e dalla stirpe che ho disonorato con la mia debolezza!»
L’interlocutore parve riflettere per interminabili secondi.
«Manterrò la parola a patto che nulla intralci il corso degli eventi. Senza l’energia necessaria, la tua principessa resterà dov’è.»
 
Yozora lo aveva già toccato. Quando gli aveva medicato l’ustione, quando avevano dormito al santuario di Valarde, quando si era aggrappata a lui durante il volo e le volte che la memoria non focalizzava. Per aiutarlo, per disattenzione, per non morire di paura, per amicizia.
Il bacio… il suo bacio è indelebile.
La mano di Rhenn era abbandonata tra le sue, lo sguardo intenso, pronto a percepire ogni palpito, a imporle di oltrepassare il limite se non gli avesse provocato almeno una scossa.
Non posso farlo.
«Si tratta di me, vero?» disse lui troncando la stasi.
Ritirò il braccio e incrociò le gambe. L’aria smaliziata virò in un’espressione torva. Yozora avrebbe preferito evitare l’argomento, ma non le avrebbe dato tregua.
«O di me. Sono punti di vista» rispose.
«Spiegatevi.»
«Mi avete fatto notare che, a paragone delle vostre nutrite conquiste, non sono congrua. Sono troppo ingenua, troppo puerile, troppo diversa, troppo quello che pare a voi a seconda del metro prescelto. La vostra opinione non migliorerebbe, se obbedissi e non voglio essere il vostro svago.»
«Siete in contraddizione. Poco fa avete ammesso l’efficacia delle mie lezioni.»
«E la sostengo. Mi avete costretta a riflettere, condivido ciò che avete evidenziato. Sono stata arbitraria nel giudicare la fisicità del rapporto tra sposi, arrogante nella certezza del mai sperimentato. Vi sono grata per aver dissolto i miei preconcetti. Non significa che siete autorizzato a sentenziare su come affronterò con il mio promesso sposo un’asheat così intima. Non vi toccherò a tal fine.»
Rhenn l’ascoltò impenetrabile, forse a caccia di una crepa argomentativa in cui insinuarsi per avere l’ultima parola. Quando obiettò, Yozora ebbe l’ennesima prova del suo intelletto fuori dal comune.
«Etarmah! È perché vi ho baciata.»
Le sembrò di annaspare su una parete di vetro.
«Niente affatto!»
«Sì, invece! Perché sono stato il primo e ho detto che non contava un accidente!»
«Avrei dovuto attendere altri termini da un Khai? Siete fuori strada!»
«Da un Khai o da me? Avete raggiunto le labbra di Mahati con un impeto tale da sconcertarlo! Avete cercato un paragone o un rimedio?»
«Non mi giustificherò per aver baciato il mio fidanzato!»
«Perché non vi siete lagnata con lui dell’accaduto?»
«Chi vi dice il contrario!?»
«Non mi ha sfidato in un fytarei all’ultimo sangue, quindi…»
«Nemmeno voi avete vantato la prodezza! È stata la paura di perdere il confronto?»
«Un Khai non…!» il ruggito schiumante di collera sfumò in un sospiro rassegnato «No. È perché ho sbagliato.»
Lei tentò di decifrare l’inaudita ammissione di colpa.
«Mi prendete in giro?»
«Non avrei dovuto prevaricarvi. Sono stato disonorevole, mi dispiace.»
«M-ma quello è stato il secondo…»
«La prima volta non mi sono imposto, dunque non me ne rammarico. Avete le sincere scuse del principe della corona, non vi basta? Costituite un caso unico.»
Yozora si appellò agli dèi per respingere l’indomabile desiderio di cavargli gli occhi.
«Anche voi! Unico e irrimediabile!»
«Non è così» rise lui compiaciuto «Diversamente da quanto pensate, ricordo il mio primo bacio. Solo non ci costruisco un castello di assurdi sentimentalismi. Devo per forza essere considerato uno scoglio dell’oceano?»
«Mentre, se provo emozioni, io risulto una sciocca bambolina?»
Rhenn incrociò le braccia e appoggiò la schiena ai cuscini, pungolato dalla risposta.
«Sì. Siete a Mardan.»
«Quindi se ci spostassimo a Seera sareste in torto?»
Lui scostò una ciocca dal viso. Gli orecchini viola che pendevano dai lobi avevano la stessa sfumatura delle sue iridi.
«Per niente. A Seera sono quello che ha vinto.»
La principessa ammutolì: i rapporti positivi e d’affetto che aveva maturato tra i Khai avevano quasi cancellato il suo status di sconfitta, una merce di scambio a garanzia della pace. Che Rhenn si premurasse di ricordarglielo era un segnale d’allarme.
«Le leggi non soffocano i sentimenti» mormorò.
«Verissimo. Ci tutelano da essi, chi non le persegue mette il piede in fallo.»
«Pensate a qualcuno in particolare?»
Lui sorrise enigmatico e non rispose. Afferrò il libro incriminato e lo liberò dalla polvere: i caratteri dorati del frontespizio scintillarono come richiamati alla vita.
«Shi…» stentò «Shi… qualcosa. Tsk!»
Yozora si avvicinò: l’inchiostro aveva il colore della ruggine, le pagine erano ingiallite, ma i tratti erano ben distinguibili sulla carta antica.
«Che lingua è?»
«A saperlo! Alcuni segni sembrano familiari, altri ghirigori scaturiti dalla mente di un pazzo.»
Lei si sporse per curiosare e le loro spalle si sfiorarono, pelle contro pelle. Di nuovo il calore naturale del corpo di lui la penetrò, regalandole il brivido di sempre.
Perché accade? Perché con Rhenn mi sento così… strana?
«C’è qualche problema?» indagò lui.
«N-no, è che queste linee sono illeggibili, avete ragione.»
«Non ci resta che iniziare dalle parti comprensibili e lavorare per deduzione.»
«Volete che vi assista?»
«Avete altro da fare?»
Yozora sollevò gli occhi nei suoi e avvampò. Non era appropriato rimanere sola con lui, la corte avrebbe creato maldicenze e Rasalaje ne avrebbe sofferto. Inoltre si era ripromessa di non creare occasioni ambigue.
«Tempo scaduto» sentenziò Rhenn «In caso di impegni impellenti, li ricordereste. Mahati è lontano e non collaborate sulla terza asheat. Mettetevi a favore di luce.»
L’attirò a sé e le passò un braccio intorno alla vita, avvicinando il libro. Avvertì il battito cardiaco accelerare e il suo debole, fallimentare tentativo di mantenere le distanze. Arricciò le labbra in un sorriso.
«Più che inchiostro, sembra sangue» asserì, il dito sulla prima riga.
«È orribile! Chi farebbe una cosa del genere?»
«Qualcuno in punto di morte o legato a un giuramento. Pensate sempre al peggio voi? Le leggende sono ricche di episodi del genere.»
«Questo scritto è concreto e avete citato situazioni non proprio gradevoli.»
«Non temete, se il volume tentasse di divorarvi, gli chiederei di risparmiare le parti migliori. La cosa è voluta, per tenere lontani gli scaramantici o i vigliacchi.»
Yozora incassò l’allusione, forzandosi a pensare che il sangue appartenesse a un animale.
Trascorsi pochi minuti, Rhenn aggrottò la fronte, irritato dal groviglio privo di senso che si dipanava in verticale sulla pagina. La focosa impazienza fu frenata dalla presenza della ragazza.
Incredibile che abbia il dono di calmarmi.
Incredibile che lo stesse riscontrando. Non era la prima volta, forse frequentare qualcuno privo dell’indole impetuosa dei Khai equivaleva a gettare acqua sulla brace.
Purché la fiamma non si riduca a cenere fumante.
Lei lo conosceva meglio di chiunque in quel luogo prigioniero di regole ferree. Tra una dimostrazione di forza e l’altra, in mezzo al sarcasmo e alla collera, ogni volta che si era trovato a tu per tu con Yozora, aveva mostrato un frammento si sé. Non del guerriero, non del futuro re, bensì di Rhenn.
È un addestramento volto a non commettere gli stessi errori con i Khai. L’occasione per limare i difetti.
Nessuna scusa resse: gli piaceva la sua compagnia, scovare il modo per farla arrabbiare, attendere la sua replica e montare su tutte le furie perché all’apparenza non aveva senso. Trovare poi quel significato sfuggente, riflettere sino a farsi venire il mal di testa, imprecare contro se stesso, giurare di essere severo e ricominciare daccapo.
Come in una danza. O in un amplesso, se lei sapesse com’è.
Osservò la sua espressione intenta e sorrise. Qualcosa che non aveva notato attirò la sua attenzione: decriptò alcuni segni che prima risultavano indecifrabili. Riuscì a tradurre le prime righe, poi dovette fermarsi, colto da un forte malessere.
Yozora lo vide impallidire e l’agitazione crebbe quando s’imperlò di sudore.
«Rhenn? State bene?»
«Io… io credo…»
Il principe si interruppe, il suo sguardo si velò, la mano scivolò dalla pagina. Si accasciò all’indietro privo di conoscenza.




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